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Autore: sbibidibob    16/02/2013    2 recensioni
questa è una storia vera. una storia che si ripete ogni anno, ogni mese, ogni giorno, ogni secondo e tutti noi l'abbiamo vissuta. e sì, se te lo stai chiedendo, l'hai vissuta anche tu.
Genere: Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Riesco a scorgere appena in tempo i fari della macchina grigio scuro che illuminano il cortile comune. Mi abbasso per evitare che la mia ombra si possa intravedere attraverso le tende. Primo errore: luci accese. Fattore non troppo importante dal momento che, avendolo osservato per anni, il soggetto è affetto da una non moderata sbadataggine. Ripulisco la sala. Tendo l’orecchio per ascoltare il rumore del garage che si apre e il tombino malmesso che sotto il peso delle ruote si incrina. Il computer si sta spegnendo ma le spie laterali sono ancora accese. Esala l’ultimo respiro nel momento in cui il soggetto entra nella taverna. Do una seconda controllata alla stanza per assicurarmi che sia tutto al suo posto e salgo con passo felpato le scale. Svolto a destra ed entro nella stanza buia. Il letto è sfatto e la finestra è chiusa dalla sera precedente, giustificando l’odore di aria viziata che si diffonde in quei pochi metri quadrati. Accendo la luce della scrivania spargendo a casaccio i fogli sul piano come è solito che siano. Appoggio qualche penna e matita qua e la e sfrego la gomma su un foglio bianco sfaldandola in piccoli pezzi e riponendola in un ordinato e ben preciso disordine. Due piani più giù, la porta scorrevole che divide le scale dalla taverna è stata aperta. Ho ancora circa 45 secondi  a giudicare dai passi lenti e pesanti che si spingono fino al pian terreno. Due stivali cadono a peso morto sul pavimento, seguiti dal giaccone di piume che viene invece riposto su una delle due sedie bordeaux della zona tv. Solo allora mi rendo conto di aver lasciato attaccato a una delle prese accanto al televisore il caricatore del computer. Secondo errore. Per fortuna, come non gli ho dato peso io nella fretta e dati il respiro lento e profondo e il modo in cui il soggetto si aggira nella stanza con fare  confuso fermandosi ogni tanto a contemplare il nulla, c’è una possibilità dell’1% che l’oggetto in questione venga notato. La lampadina inizia a surriscaldarsi e a fare più luce. Do una veloce stirata alle coperte e mi accovaccio sulla morbida sedia arancio pesca osservando con attenzione i fogli. Sento premersi l’interruttore delle scale che portano al primo piano. Ho dieci secondi. Prendo in mano una matita e analizzo con attenzione il primo schema che mi si para davanti. I passi si fanno improvvisamente più veloci, quasi frenetici, come se solo in quel momento il soggetto avesse realizzato qual è il suo scopo in tutto questo trambusto. Cinque secondi. Mi sudano le mani dall’ansia mentre l’adrenalina mi permette di concentrarmi meglio su quello che sto analizzando. Mi ritrovo a sbattere velocemente la matita sul banco di legno liscio. Tre secondi. Due secondi. Assumo un’aria concentrata e assorta. Un secondo, pari a un respiro e la porta si apre. Il soggetto mi guarda per qualche istante cercando di riprendere il fiato e analizza con i suoi occhi di falco la stanza. Finito lo scanner e verificata la mia identità, fa un respiro profondo e parla per primo.
-ciao jess! Stai studiando?- mi chiede con un un sorriso falso
-ciao mami! Sì, è matematica- rispondo di rimando cogliendo la sfida nei suoi occhi
-bene, io sono proprio stanca e vado a farmi una dormita. Ci sono i peperoni ripieni di tuo padre da riscaldare nel frigo, puoi scongelarti una pizza o farti una piadina. Insomma vedi tu cosa trovi da mangiare.- mi risponde ora con fare più sincero arrendendosi alla mia ennesima vittoria.
-tranquilla mami, so prepararmi una cena- concludo soddisfatta.
Resta sulla soglia della porta qualche secondo, come se non accettasse che anche questa volta non sono incriminabile o come se si aspettasse che da un momento all’altro le dica come ho sprecato il mio pomeriggio guardando la tv, stando su face book, al telefono e mangiando nachos impregnati di salsa piccante messicana. Infine si arrende, gira i tacchi e si dirige verso la sua camera da letto, lasciando la mia porta leggermente aperta. Mi sorprendo di aspettarmi ancora che una buona volta la chiuda come dio vuole, mi alzo e completo l’opera.       
  
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