Anime & Manga > Digimon > Digimon Tamers
Ricorda la storia  |      
Autore: WhiteLight Girl    16/02/2013    1 recensioni
Era facile sollevare lo sguardo e fissare la terra in lontananza, stupirsi di quanto fosse stato semplice abbandonarla dopo tutto quel tempo per una missione che forse era fallita già in partenza. Ruki non aveva idea se la sua ricerca avrebbe dato i suoi frutti, ma era troppo testarda per non tentare, per smettere di arrancare da sola in uno degli assurdi settori di Digiworld. Era anche troppo testarda per scostarsi davanti ai fasci di luce rosa. Aspettava anzi che uno di loro la colpisse, confidando che il destino potesse mandarla sulla strada giusta, dato che lei non aveva idea del punto da cui cominciare.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Ryo Akiyama | Coppie: Ruki Makino/Rika
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

LOST IN DIGITAL WORLD


Ogni minuto che trascorreva, passo dopo passo, sembrava che la landa desolata si allungasse sempre più, senza che se ne potesse scorgere la fine.
Il vento soffiava copioso, rendendo ancora più difficoltoso scorgere la linea dell’orizzonte nel mezzo dei turbini di terra che minacciavano di entrare negli occhi ed infilarsi nel naso. La sciarpa avvolta attorno al collo e sollevata fin sotto gli occhiali da sole non serviva a molto e lei sentiva i granelli di sabbia sulla lingua e sulle ciglia. Almeno, pensava cupamente, Digiworld non aveva un grosso sole cocente ad illuminare e riscaldare il deserto di rocce.
Era facile sollevare lo sguardo e fissare la terra in lontananza, stupirsi di quanto fosse stato semplice abbandonarla dopo tutto quel tempo per una missione che forse era fallita già in partenza. Ruki non aveva idea se la sua ricerca avrebbe dato i suoi frutti, ma era troppo testarda per non tentare, per smettere di arrancare da sola in uno degli assurdi settori di Digiworld. Era anche troppo testarda per scostarsi davanti ai fasci di luce rosa. Aspettava anzi che uno di loro la colpisse, confidando che il destino potesse mandarla sulla strada giusta, dato che lei non aveva idea del punto da cui cominciare.
Era arrivata da cinque giorni, senza chiedersi cosa avessero pensato della sua scomparsa, senza preoccuparsi di quanto si sarebbero preoccupati per lei. Ora aveva un solo pensiero fisso in testa e continuare a camminare figurava al primo posto nelle sue priorità.
I suoi pensieri erano tanto profondi che neanche si rendeva conto del peso del grosso zaino, che aveva ormai lasciato il segno sulla sua spalla scoperta.
Aveva la sabbia perfino nel reggiseno; se glielo avessero raccontato non ci avrebbe mai creduto. Piccoli stupidi granelli digitali che le causavano un prurito pazzesco.
Il fascio di luce la colpì da sinistra, facendole mancare per una frazione di secondo il terreno da sotto i piedi, quasi spaventandola. Non l’aveva visto arrivare, distratta com’era, ma non le importava, seppur non riconoscesse affatto il settore in cui l’aveva condotta.
Il Digivice era al suo posto, attaccato alla cintura, anche se inutile in assenza di un Digimon che lei non aveva ancora intenzione di cercare. Le domande le vorticavano in testa audaci e della maggior parte non era certa neanche di voler conoscere la risposta, terrorizzata dall’ipotesi che questa potesse non piacerle. Ma pensava che il non sapere facesse anche più male, dopo tutto quel tempo.
Ora non c’era più vento a scompigliare i suoi lunghi capelli rossi e sembrava un buon momento per sfilare gli stivali e svuotare sull’erba la sabbia che vi era finita dentro. L’equilibrio di Digiworld non se la sarebbe certo presa.
Continuava a domandarsi come sarebbe stato restare da sola per così tanto, se il suo corpo sarebbe cambiato e se si sarebbe tenuta abbastanza impegnata per non pensare alla vita reale fuori di lì. Erano domande che l’avevano tormentata per troppo tempo, ed era venuto il momento di dimenticarle o trovarvi una risposta.
Sollevò gli occhiali da sole; un impedimento nel bosco fitto quasi privo di luce in cui era stata spedita. Infilò la giacca, che fino ad allora aveva tenuto legata intorno alla vita, bevve un sorso d’acqua e rimise la borraccia ormai quasi vuota nello zaino, domandandosi per l’ennesima volta perché lo stava facendo.
L’ultima volta che aveva visto Ryou non era stata una delle situazioni migliori, lo ammetteva anche lei; quando lo aveva aiutato a trovare un varco per Digiworld e lui le aveva vietato categoricamente di seguirlo.
Lo aveva odiato segretamente, alla fine aveva dovuto ammetterlo, ma con il tempo aveva compreso la ragione per cui l’aveva fatto, preoccupato dall’idea di poter morire lasciandola da sola, bloccata probabilmente senza alcuna possibilità di tornare indietro.
Ora Ruki voleva sapere. Scoprire se era stato inutile che lui partisse o che lei restasse. In entrambi i casi, sicuramente, avrebbe fatto male, ed il ricordo degli ultimi giorni con lui la perseguitava.
Li rivedeva nel sonno, a volte. La tenevano sveglia fino a tardi ricordandole quanto impotente fossa stata e quanto inutile fosse adesso.
Cosa sarebbe cambiato se avesse scoperto che lui era morto? Che tutto questo non era servito a niente e che avevano perso anche gli ultimi giorni preziosi prima che la malattia lo portasse via? Come confidare nell’imprevedibilità di un mondo assurdo perché bloccasse il suo corpo evitando che il virus avanzasse? E se questo si fosse tramutato divorandolo comunque?
Ecco altre domande, altri dubbi e ragioni per far finta di niente e pensare che nell’ignoranza può esserci anche la speranza. Avrebbe potuto lasciar perdere, trovare il modo di tornare indietro, ma quando ci pensava tornava alla ribalta la sua cocciutaggine che le diceva che, no, non poteva farlo.
Quando scendeva la notte era inutile tentare di trattenere i pensieri. La stanchezza era troppa per opporre resistenza. Così, quando arrivò il buio, Ruki si sistemò ai piedi di un albero, abbandonò la schiena contro il suo tronco freddo e chinò il capo chiudendo gli occhi. Incrociò e braccia stringendo le ginocchia al petto nella solitudine, ricordando.

Il varco era ciò che di più bello avessero visto da anni. L’ultima volta che avevano salutato i loro Digimon era sembrato essere un addio definitivo. Erano rimasti incantati a fissarlo, mentre luccicava nell’oscurità del parco, distante dal piazzale con le altalene e gli scivoli.
I lampioni della luce erano ben distanti ed il varco nascosto tanto bene tra le foglie che non era visibile dal vialetto. Trovarlo, in conclusione, era stata una vera impresa, ma Ruki ce l’aveva messa tutta; intestardita a non permettere a Ryou di lasciarsi andare senza un ultimo tentativo. Gli aveva spiegato il suo folle piano quello stesso pomeriggio, in un vecchio bar che ad entrambi piaceva, ben lontano da ognuno dei posti che gli altri Tamer usavano frequentare, per impedire loro di sentire quel discorso anche solo per sbaglio. Si trattava di un azzardo, certo, ma la ragazza si era trovata ad essere così disperata da essere disposta a provare di tutto.
Aveva spiegato bene le sue ragioni: a Digiworld non avevano avuto necessità di mangiare, quindi – a parte l’inutilità dell’enorme zaino pieno di panini che Takato si era portato dietro la prima volta che c’erano andati – era chiaro che le funzioni vitali si fossero interrotte bloccandoli nello stato in cui erano arrivati. Ryou si era ritrovato a dover ammettere che lui stesso non aveva notato grandi cambiamenti nel suo corpo quando era tornato a casa, rispetto a quando era partito. Aveva guardato Ruki, le aveva sorriso e le aveva detto: «Si, sembra una buona idea».
Ma aveva nascosto bene i suoi dubbi al riguardo. Si trattava di una malattia mortale, non di una merenda dietetica o di una pausa pipì. Ruki l’aveva capito solo in seguito, che non ci credeva davvero; forse quando, davanti ai pixel vibranti del varco luccicante lui l’aveva guardata serio e le aveva detto rammaricato: «È meglio che tu resti qui. Non sappiamo se funzionerà». Probabilmente era stata tanto impegnata a rifiutare l’ipotesi che aveva finito per cancellare dalla sua testa ogni possibile teoria di fallimento.
Neanche la migliore espressione truce della ragazza era servita a far cambiare idea a Ryou e lei se l’era presa troppo per seguirlo con la forza. Si era ripetuta duramente che se lui non la voleva tra i piedi lei non l’avrebbe costretto a sopportarla più del dovuto. Aveva lasciato cadere il suo zaino a terra, aveva annuito ed aveva lasciato che lui la abbracciasse mogiamente per dirle addio.
Solo alcune ore dopo, tornata da sola a casa e chiusasi al buio nella sua stanza aveva lasciato che i dubbi la sommergessero e, a capo chino, aveva pianto in silenzio sapendo che probabilmente non avrebbe mai più rivisto quello che, ormai le era chiaro, era diventato il suo primo amore.

Con il passare degli anni Ruki era cresciuta. Era andata avanti e non si era mai pentita di non aver mai rivelato a Ryou ciò che provava. Sarebbe stata una mossa alquanto inutile, per non dire ingenua e fin troppo emotiva. Che fosse corrisposto o no quel sentimento era qualcosa che nascondeva nel profondo, sotto una montagna di rammarichi e propositi che lei riteneva ben più importanti e con minori rischi di esposizione.
Gli affari di cuore non le interessavano; non aveva mai provato nulla per nessuno a parte lui ed era ben felice di questo. Non aveva mai sognato ad occhi aperti che Ryou potesse ritornare e non aveva mai sperato di poterlo rivedere. La distanza l’aveva sicuramente aiutata a non rischiare di cedere ai sentimenti ma non le aveva impedito di ricordarlo, sognarlo e, sicuramente, idealizzarlo. Era stato un duro colpo quando se n’era resa conto; convinta che il non averlo tra i piedi fosse abbastanza per tenere la testa sulle spalle e dar retta al cervello ed alla logica. Aveva invece compreso di aver ceduto ad una classica debolezza femminile, costruendo un’immagine di Ryou che certamente non corrispondeva alla realtà.
Era una situazione che le dava letteralmente i brividi.
Rifiutava categoricamente l’idea di potersi ridurre come una patetica adolescente innamorata. Nascondeva bene quella parte di sé e le sembrava che l’unica soluzione per riuscire finalmente a toglierselo dalla testa fosse mettersi l’anima in pace.
Ryou è morto; Si era ripetuta numerose volte, alternandolo all’opposto: Ryou è vivo.
Era arrivato il momento delle risposte. Era diventato un tormento che non riusciva più a reggere.
Fu all’improvviso e senza preavviso che tornò il giorno; seppur la luce fosse filtrata dalle foglie quasi più che il giorno precedente. Il bosco restava un ambiente ombroso e umido. Ruki si stupì di quanto breve le fosse parsa la durata della notte e di quanto la stanchezza fosse lontana dalla sua mente. Avrebbe dovuto essere a pezzi per il viaggio, per le lunghe camminate, per le notti passate quasi insonni. Era tutto così irreale che quasi non credeva di essere di nuovo a Digiworld, seppure da sola e sperduta, senza avere la minima idea della direzione da intraprendere.
Quando si alzò dal suo angolino non fu un mistero quale fosse l’obbiettivo della giornata. Camminare. Camminare verso un nuovo settore e, possibilmente, verso una pozza di inutile acqua digitale. Non era indispensabile per sopravvivere ma, talvolta, era utile per inumidire le labbra secche.
Una mezz’ora dopo la ragazza scoprì che il confine del bosco non era mai stato molto distante, arrivando sulle rive di un lago tanto grande da essere impossibile da aggirare. Riempì la borraccia di acqua cristallina da un ruscello che si riversava nel lago e si avvicinò al vecchio molo traballante, chiedendosi come potesse il muschio essere cresciuto sul vecchio legno umido in un mondo che di naturale e realmente umido non aveva proprio nulla.
Non si stupì di trovare un piccolo Gekomon che stringeva i nodi della corda che bloccava una barchetta, ferma sulla superficie dell’acqua immobile.
Dopo aver lanciato uno sguardo rapido in giro, per assicurarsi che non ci fosse davvero altra scelta, Ruki si rivolse bruscamente al piccolo Digimon. «Eih! Tu»
Proseguì immediatamente, non appena capì che di aver attirato la sua attenzione. «Come faccio ad attraversare il lago?»
Il Gekomon la fissò inclinando la testa stupito dalla sua presenza. Evidentemente non accadeva spesso che qualcuno passasse di lì, poi le sorrise e rispose alla sua domanda: «Con la barca o a nuoto; come altrimenti?». La sua espressione diceva chiaramente che era curioso di sapere cosa l’avesse condotta lì
«Sto cercando Ryou Akiyama» gli rivelò lei sbrigativa.
Lui la guardò confuso, evidentemente non aveva idea di chi stesse parlando.
«Il Leggendario Digimon Tamer» chiarì Ruki, sperando che questo gli dicesse qualcosa.
Effettivamente il Gekomon s’illumino, sollevò una zampetta palmata e sorrise. «Il Leggendario Digimon Tamer!» esclamò. «È un po’ che non si vede»
«Quanto tempo?» non poté evitare di domandare la ragazza mentre con una mano premuta sullo stomaco tratteneva la preoccupazione e l’emozione.
Aspettò che il Digimon ci pensasse su e soppresse la delusione quando lui le rispose sicuro: «È stato parecchia anni fa, prima della battaglia contro il D-Reaper. Mi era giunta voce che fosse tornato nel suo mondo»
«Si» rispose mogiamente Ruki abbandonando la mano contro il fianco. «Era tornato sulla Terra, si, ma poi era tornato di nuovo qui»
Il Gekomon scrollò le spalline ossute. «Mi dispiace, non ne sapevo nulla»
Ruki si lasciò sfuggire un sospiro, celando la delusione come meglio poteva. Tornò al tono deciso e domandò seria: «Puoi portarmi dall’altra parte?». Fece un cenno con il mento per far comprendere al mostriciattolo cosa intendeva ed attese la sua risposta.
Un paio d’ore dopo riusciva a vedere la sponda opposta e ringraziava il cielo che non ci fossero onde a rischiare di farle venire il mal di mare. Non ne aveva mai sofferto, ma c’era sempre una prima volta ed avrebbe preferito che non fosse questa.
Dopo aver fatto gran parte della traversata in silenzio Ruki aveva deciso di spillare più informazioni che poteva. Aveva cominciato con un semplice: «Dove posso trovare informazioni?»
Il Gekomon le rispose mente lei si legava i capelli, senza guardarla, continuando a remare imperterrito e quasi senza sforzo, segno che in fondo era abituato alle traversate, o almeno alle lunghe nuotate. «Dovresti raggiungere la Grande Città» le suggerì lui. «Ci sono un sacco di Digimon là, qualcuno potrebbe aiutarti. Potrebbero sapere qualcosa»
Ruki sbuffò risentita. «Ci passerò. Quanto mi ci vorrà per arrivarci?»

Solo tre giorni dopo Ruki si ritrovò davanti al grande portone di metallo che doveva fungere da chiusura di sicurezza per l’ingresso della città. Un Angemon ed una Angewomon facevano la guardia, sistemati davanti ai piloni principali; non chinarono lo sguardo quando lei gli si avvicinò, ma lo fecero quando lei schioccò le dita in cerca di attenzione, fissandola austeri dall’alto.
«Dunque questa è la Grande Città» disse scrutando la strada all’interno. Doveva essere la via principale ed aveva tutta l’aria di essere molto frequentata. «Sto cercando un vecchio amico che potrebbe essere passato qui negli ultimi mesi; Ryou Akiyama: il leggendario Digimon Tamer»
Angewomon le indicò uno schermo che, al suo fianco, era probabilmente al servizio dei visitatori. Ruki sbuffò seccata dalla loquacità dei due e si diresse al piccolo computer. Si rivelò essere un censimento digitale di tutti i Digimon che erano vissuti o passati in città anche per brevi periodi, ma la visita di Ryou risaliva a più di nove anni prima e non era probabile che la Renamon passata di lì appena due mesi prima fosse la sua.
«Ok» disse rassegnata la ragazza. «Dove andrebbe un ragazzo che sa di dover passare il resto della vita, probabilmente l’eternità, solo per Digiworld come unico della sua specie?»
Non ebbe risposta, ovviamente. Rifletté un istante cercando di riordinare i pensieri sconnessi. Ryou si sarebbe tenuto impegnato; cercando l’avventura, probabilmente, ma allora perché i Digimon a cui aveva chiesto non sapevano nulla del suo ritorno? Era troppo idilliaco il pensiero che avesse deciso di mantenere un profilo basso e stabilirsi da qualche parte per condurre un’esistenza tranquilla?
Ruki cominciava a pensare che la strada di ritorno sarebbe stata fin troppo lunga. La terra, da lì, era un piattino per dolci, i fasci di luce rosa neanche si vedevano. Era una strada chiusa, era bloccata a Digiworld inutilmente. Questa volta nessuno l’avrebbe tirata fuori e riportata a casa. Non le restava che trovare Renamon e decidere il da farsi.
Si voltò e, senza salutare, corse per la spianata in direzione del dirupo. Lo zaino batteva sulla sua schiena e gli stivali lasciavano impronte imprecise sulla terra secca.
La gola le bruciava e la polvere che la sua corsa arrancata sollevava non ne era la causa. Ci volle poco perché gli occhi le si inumidissero e le impedissero di vedere dove stesse andando, ma a lei non importava affatto. Si fermò appena prima dello strapiombo ed afferrò il Digivice sollevandolo e fissandone lo schermo. Sperava che le desse un indizio riguardo alla direzione da seguire per trovare il suo Digimon. L’oggetto restò inanimato e Ruki si rassegnò a dover scendere il versante fino all’insenatura che da lì riusciva ad intravedere; un ottimo posto per rifugiarsi in un momento in cui non aveva voglia neanche di continuare a respirare.
Lasciò scivolare lo zaino giù, sfruttando un punto in cui le rocce formavano quasi una scalinata naturale. Quando lo zaino atterrò con un tonfo lei lo raggiunse, mettendo un piede dopo l’altro e finendo per perdere l’equilibrio a pochi metri dal fondo. Scivolò dolorosamente finendo con le ginocchia sul terreno, trattenendo un gemito di fin troppo vivido dolore.
Raccolse lo zaino, lo sollevò ed arrancò fino all’oscurità della caverna. Lanciò ancora con malagrazia la sua sacca sul pavimento e si lasciò scivolare per terra, rannicchiandosi contro una parete come aveva già fatto in quelle ultime settimane ogni volta che si era fermata. Poggiò la testa sulle ginocchia scrutando l’esterno ed aspettando la notte, mentre stringeva le gambe a sé come se questo potesse darle conforto.
All’improvviso le ore di sonno perse le crollarono addosso pesando come macigni. Le palpebre le si chiusero da sole e prima che se ne rendesse conto era scivolata in un sonno senza sogni in cui l’unico disturbo era un bip bip costante dall’aria familiare che non riusciva a visualizzare in modo definito. Le perforava la testa disturbandola ma era troppo stanca per risalire la sua coscienza e controllare cosa fosse. Restò assopita, finendo per sentire delle voci concitare senza riuscire ad afferrare ciò che stavano dicendo.
Si sentì scrollare dolcemente e quando dischiuse gli occhi ci mise alcuni secondi a mettere a fuoco il muso familiare del suo Digimon.
Sollevò il volto lentamente poggiando una mano sul collo, dolorante per essere stato per troppo tempo piegato innaturalmente. Renamon la fissava corrucciata e, non appena si rese conto di non stare sognando, Ruki le sorrise lievemente.
«Ve l’avevo detto che era lei» annunciò Renamon solenne. Terriermon zampetto affianco a lei sorridendo. Ruki si sentì stingere il cuore, mentre capiva che alla fine non sarebbe rimasta del tutto sola. «Ciao» disse la ragazza con voce rauca. Era intontita ma felice di aver rivisto i vecchi amici. Gioiva interiormente, ringraziando che il legame con la sua Renamon fosse ancora solido e li avesse aiutati a trovarla.
Il piccolo Terriermon le si avvicinò afferrandole una mano. «È bello vederti! Dove sono gli altri?» domandò sollevando le orecchie entusiasta.
Ruki si sentì male a doverlo deludere, ma preferì farlo subito, prima che si illudesse troppo. «Loro non ci sono. Sono venuta da sola»
Il sorriso di Terriermon si spense, ma il piccolo si riprese subito. «Momentai. è bello che tu sia qui» La ragazza scattò in piedi e si sistemò la maglia che, sotto la giacca, si era sollevata fino a scoprirle l’ombelico. Era tranquilla, ma quasi sobbalzò nel vedere MonoDramon che, zitto e fermo in un angolo, la osservava.
«Bene bene. Una viaggiatrice solitaria, quindi» commentò una terza voce stroncandole il respiro. «Immagino che tu non abbia programmato il viaggio di ritorno, a questo punto» la stuzzicò Ryou raccogliendo da terra il suo zaino.
Ruki lo guardò come se fosse un miraggio, incapace di dire o anche solo pensare qualcosa. I Digimon si erano avviati all’ingresso della grotta, pronti a tornare da dove erano venuti, facendola strada per portarla con sé.
«Quanto tempo è passato dall’ultima volta che ci siamo visti?» le domandò il ragazzo contrariato. Era identico a quando l’aveva visto l’ultima volta. Stessi vestiti, stessa età e stesso sorriso scintillante palesemente forzato; probabilmente questa volta nascondeva la solitudine degli ultimi anni anche se, a quanto pare, non si poteva dire davvero che fosse stato del tutto solo.
«Quattro anni» gli rispose lei. Dirlo ad alta voce, dirlo a lui, l’aveva liberata da tutti i macigni interiori che aveva covato nel tempo.
Ryou la osservava, sorrise lievemente, restando in silenzio un istante di troppo per nascondere l’emozione.
«Quindi ora abbiamo la stessa età» concluse scioccamente in un patetico tentativo di fare dell’ironia. Continuava a fissarla, davanti allo sguardo serio di Renamon. Probabilmente si aspettava che Ruki dicesse qualcosa di ironico per smontarlo o anche solo per contraddirlo, ma lei dischiuse la bocca un istante e, quasi senza rendersene conto, percorse i pochi passi che li separavano stringendo le braccia attorno alla sua vita.
«Ok…» borbottò Ryou stupito dal gesto inconsueto. Lasciò ricadere per terra lo zaino e la strinse a sua volta, delicatamente. «Anche tu mi sei mancata» le disse.
La reazione della ragazza fu immediata; caricò un possente pugno e lo colpì dritto allo stomaco. Ryou si piegò in due dal dolore. «Ti senti meglio adesso?» le domandò quando riuscì a riprendere fiato.
Ruki gli regalò un sorriso soddisfatto e gli rispose senza esitazione: «Non immagini neanche quanto». Poi raccolse lo zaino, si voltò e seguì Renamon fuori dalla caverna, pronta ad iniziare la sua nuova vita a Digiworld.

   
 
Leggi le 1 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Digimon > Digimon Tamers / Vai alla pagina dell'autore: WhiteLight Girl