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Autore: Hikari93    17/02/2013    6 recensioni
Partecipante al contest "Happy Birthday" di Sakurina the best.
«Immagino che nemmeno stavolta mangerai.» Gli aveva preso pure i dango, nella’assurda speranza di vederli finalmente scomparire come qualunque persona viva avrebbe potuto fare. «Pazienza, non ha importanza.»
Si alzò, stanco – il peso di una vita sofferta sulle spalle – e gettò il latte nel lavello, mentre i dango – sebbene non fossero stati toccati – trovarono la loro fine nel cestino.
Ennesimo, ennesimo spreco di cibo, ennesima frustata al cuore.
«Esci?» chiese Itachi, quando lo vide imboccare il corridoio che conduceva alla porta d’ingresso.
«No, usciamo.»
E buon compleanno a me. ♥
Genere: Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Itachi, Sasuke Uchiha
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler! | Contesto: Dopo la serie
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Nick: Hikar93;
Titolo della storia: Aitai;
Compleanno scelto: 9 Giugno;
Personaggio assegnato: Itachi Uchiha;
Rating: Verde;
Genere: Malinconico;
Avvertimenti: Oneshot; Spoiler!
Trama: «Immagino che nemmeno stavolta mangerai.» Gli aveva preso pure i dango, nella’assurda speranza di vederli finalmente scomparire come qualunque persona viva avrebbe potuto fare. «Pazienza, non ha importanza.»
Si alzò, stanco – il peso di una vita sofferta sulle spalle – e gettò il latte nel lavello, mentre i dango – sebbene non fossero stati toccati – trovarono la loro fine nel cestino.
Ennesimo, ennesimo spreco di cibo, ennesima frustata al cuore.
«Esci?» chiese Itachi, quando lo vide imboccare il corridoio che conduceva alla porta d’ingresso.
«No, usciamo.»
Note dell’autore: Vedi sotto;
 

 



 
 

Aitai

 
 





Dedusse che avrebbe dovuto allenarsi di meno, almeno per quel giorno; la testa ciondolava e la fronte batteva contro il tavolo, mentre il tempo sembrava non passare più, a differenza delle forze, che, invece, andavano via come se gliele stessero risucchiando.
Affondò involontariamente il viso tra le braccia incrociate, chiudendo in automatico gli occhi, frattanto che quel poco di coscienza di sé rimastagli lo scherniva debolmente, dandogli del bamboccio, poiché, a sei anni suonati, non riusciva a mantenersi sveglio fino a mezzanotte nemmeno in occasione del compleanno di Itachi.
Era stupido, ma avrebbe voluto augurargli buon compleanno per primo, almeno per una volta, dato che nei cinque anni precedenti non era mai potuto succedere – non che si aspettasse di farcela a due anni, tuttavia adesso ne poteva vantare sette a luglio, quindi...
Poco dopo – o molto dopo? – si sentì avvolgere da un braccio e carezzare i capelli.
«Adesso andiamo a dormire, otouto.»
Fu sollevato dal suo giaciglio provvisorio – che avrebbe dovuto tenerlo ben desto solo per il fatto di non essere un comodo letto massaggia ossa – e riposto tranquillamente in camera sua, ricoperto con le lenzuola e salutato con un bacio sulla fronte.
Tuttavia, quando Sasuke il giorno seguente si stropicciò gli occhi, capendo di aver nuovamente fallito in quella piccola impresa che negli ultimi due anni era divenuta una sorta di missione personalissima, non seppe se avesse semplicemente immaginato tutto o se fosse avvenuto davvero nei modi in cui ricordava fiocamente.
In ogni caso, scendendo le scale con una certa smania di muoversi e di potercela ancora fare, inciampando nei suoi stessi piedi, udì distintamente la voce allegra di sua madre che trillava un tanti auguri, tesoro troppo demotivante per la sua persona. A coronare il tutto, lo schiocco del bacio risuonò sulla guancia di suo fratello maggiore come conferma.
Sarebbe stato per l’anno seguente, si disse.

 
 
 

*

 
 
 

«Otouto, che stai facendo?»
Itachi sbucò alle sue spalle come solo uno spettro poteva fare, ma Sasuke non se ne incupì. Lo sguardo non tentennò, ma continuò a essere puntato dritto innanzi a sé , vuoto, perduto.
Eppure è finito tutto, ormai.
«Domani è il tuo compleanno» espresse, atono. «Non aspettarti alcun regalo, non ti ho comprato niente.»
Si sentì sparpagliare i capelli, amichevolmente. Fu un sussurro quello che gli attraversò l’orecchio: «Lo so.»
«Meglio così.»
Un guizzo rapido alle spalle, una strana sensazione dopo i minuti di immobilità forzata a cui i ricordi lo avevano costretto, e l’orologio segnante i pochi minuti rimanenti prima della mezzanotte apparve. Non era più un bambino, e di notte insonni ne aveva passate parecchie; dagli allenamenti estenuanti con Orochimaru, ai sensi di colpa che di certo non gli avevano conciliato il sonno dopo che ebbe saputo la verità su colui che ora gli dava le spalle – o che forse era Sasuke a non voler vedere.
Rabbia o tristezza, non sapeva cosa provare quando incrociava gli occhi smorti di Itachi e il viso scalfito dall’Edo Tensei, reso così tanto diverso dal candore e dal liscio del volto a cui era abituato da bambino.
Meglio di niente, si disse.
E attese. Itachi non diceva una parola, rispettando il silenzio che Sasuke imponeva; non aveva mai spiccato per loquacità – e non solo Itachi, anche lui aveva le sue colpe, doveva ammetterlo –, ma da quando l’Edo Tensei lo aveva riportato tra i vivi, il suo era diventato un mutismo vero e proprio, fatta eccezione per alcune frasi di circostanza o gesti consueti – quelli che appartenevano solo a loro, quelli che non si erano risparmiati mai quand’erano stati soltanto dei normali fratelli, senza sangue, stragi e incomprensioni a dividerli.
La mezzanotte scattò, Itachi sorrise, e Sasuke lo seppe anche se non lo vide.
«Tanti auguri, nii-san.»
 
 
 
Era stato lui stesso a eseguire la tecnica che gli aveva permesso di avere per sempre Itachi al suo fianco. Aveva studiato, poi tentato e infine ci era riuscito, come se fosse la più semplice delle imprese. Difficile da credere, tuttavia Itachi era lì, era lì. Sì, era lì.
Si erano stabiliti nella loro vecchia casa – ristrutturata a dovere dopo che Konoha era diventata un insieme di polvere e macerie recuperate alla meno peggio –, cercando di mantenere gli ambienti come le loro menti ricordavano. Sasuke occupava quella che in passato era stata la sua camera, anche se letto e mobilio erano stati sostituiti per forza di cose. Comunque, ciò che davvero gli importava era che l’atmosfera fosse rimasta tutto sommato la stessa.
Tutto sommato…   
Era sveglio già da un bel po’, a contare gli spiragli luccicanti che poteva scorgere nel buio dietro le palpebre, frattanto che, le orecchie attente, provava a captare ogni rumore, in modo da cogliere quell’istante preciso in cui Itachi avesse aperto la porta e si fosse intrufolato nella sua stanza come tutte le mattine. Perché quando apriva gli occhi lo trovava sempre lì, impalato o appoggiato alla scrivania in legno, di fronte, che lo fissava. Senza sentirlo arrivare. Mai.
Seppe – seppe – che stavolta sarebbe stato lo stesso.
«Sei qui» constatò, tirandosi a sedere e guardando in avanti.
«Perché, che cosa ti aspettavi, otouto?»
«Niente di diverso. Un anno in più non cambia le vecchie abitudini» commentò.
Itachi si aprì in un sorriso. «Potrebbe essere vero, ma per me non è così.» Non è un anno in più. «Lo sai.»
«Piantala. Possibile che tu sia così paranoico anche oggi?»
«Puoi farmi smettere quando vuoi, sai anche questo.»
Sì, lo sapeva.
Ma come? E ci sarebbe riuscito davvero?
 
 
 
Sasuke preparò la colazione per entrambi, giustificando un suo atto gentile – del quale, a differenza di altri, si vergognava piuttosto che andarne fiero – con un borbottato «solo perché è oggi», che risuonò falso tanto quanto lo era.
Itachi non muoveva neanche un dito – non poteva muovere neanche un dito –, e Sasuke non glielo faceva né se lo faceva pesare. Accettava quel suo girovagare opprimente e costante intorno a lui come se non riuscisse – né volesse – liberarsene, come se non ci fosse un’altra scelta.
«Sei fastidioso» gli confidò all’improvviso, mentre gli versava del semplice latte bianco – «se non ti sta bene, arrangiati da solo» –  nella tazza che aveva comprato appositamente per lui e che, paradossalmente, rimaneva sempre inutilizzata.
Itachi gli rispose soltanto con un sorriso, mentre gli conficcava quel suo strano sguardo indecifrabile – e inavvicinabile – addosso, potente e doloroso come una maledizione da cui non poteva scampare – non voleva scampare. Suo fratello, il gomito poggiato sulla tavola, alternava lo sguardo dalla tazza a lui – che beveva forzatamente, senza spiccicare una parola.
Preparava sempre tutto per due Sasuke, dalla colazione al pranzo, per il solo gusto di dover gettare pietanze ancora tutte intere. Naruto si lamentava in qualunque occasione a causa di ciò, ma lui aveva imparato a ignorarlo – a ignorare almeno Naruto.
«Immagino che nemmeno stavolta mangerai.» Gli aveva preso pure i dango, nella’assurda speranza di vederli finalmente scomparire come qualunque persona viva avrebbe potuto fare. «Pazienza, non ha importanza.»
Si alzò, stanco – il peso di una vita sofferta sulle spalle – e gettò il latte nel lavello, mentre i dango – sebbene non fossero stati toccati – trovarono la loro fine nel cestino.
Ennesimo, ennesimo spreco di cibo, ennesima frustata al cuore.
«Esci?» chiese Itachi, quando lo vide imboccare il corridoio che conduceva alla porta d’ingresso.
«No, usciamo.»
 
 
 
Sasuke si trascinava silenzioso per le strade di Konoha, approfittando dell’ultimo venticello di inizio Giugno. Temeva che l’aria potesse diventare eccessivamente calda per i suoi gusti, quindi, dato che doveva, era meglio sbrigarsi di prima mattina, quando le vie erano più libere e le code ai negozi soltanto una fantasia.
«Avevi detto che non mi avresti comprato nessun regalo.»
«Infatti non è per te.» Non per te, non per il te stesso che mi sta seguendo, che mi parla, che mi sembra così reale.
Dagli Yamanaka poche parole; anche Ino, da quando suo padre era caduto in guerra, non illuminava più come prima. Mogio lui, sorriso di circostanza lei, se la sbrigarono in fretta, e i fiori furono stretti nel pugno.
La strada dal villaggio al cimitero più in periferia fu breve, perché Sasuke la percorse velocemente e senza guardarsi mai alle spalle – senza guardare mai Itachi. Adocchiò, invece, nell’immediato il monumento eretto in onore di suo fratello, con qualche frase fine a se stessa incisa sopra, così che un servitore di Konoha potesse essere ricordato a dovere per quello che aveva fatto e per i benefici che aveva garantito al villaggio nel corso della sua marcia esistenza.
Un monumento a parte, ai piedi del quale era stato depositato di già qualche fiore ora un po’ smorto, forse di qualche giorno prima.
«Questa è la tua tomba» soffiò.
Si accomodò a terra, a gambe incrociate, mentre la mano di Itachi andava a toccargli la spalla, come a voler essere di conforto.
«Sparisci.» Se vuoi aiutarmi.
Ma quell’Itachi non lo fece. Per tutte le tante ore che Sasuke trascorse immobile – ancora – a perdersi nell’inafferrabile desiderio di rivedere suo fratello e di poterlo riabbracciare, conoscere le sue abitudini, sentirlo parlare, vederlo mangiare e udire i suoi passi, quell’opprimente figura non si scostò da lui, disturbandolo dal suo doloso far niente, con richieste – quasi suppliche scocciate, come rimproveri – fastidiose che implicavano il doversene andare da lì. Fingeva preoccupazione, il falso Itachi, mentre gli ricordava che il troppo Sole in testa gli avrebbe fatto male o che si era fatto tardi e avrebbe dovuto pranzare.
Sembrava davvero lui.
Fingeva. Ma quanto, essendo quell’Itachi una proiezione intima dei suoi ricordi da bambino? Forse dipendeva da quanto a fondo aveva imparato a conoscere suo fratello e, probabilmente, non l’aveva mai afferrato appieno.
Un solo movimento: strusciò i polpastrelli contro il marmo della pietra, sentendo il freddo del materiale che si distribuiva come un’onda in tutto il suo corpo - sebbene la sera del nove giugno offrisse un clima tendente all’estivo.   
«Allora, vogliamo andare a casa, otouto?»
Sasuke ingoiò veleno: non sapeva nemmeno quali sigilli ci volessero per utilizzare l’Edo Tensei.
Non poteva sentire i passi di Itachi, perché Itachi non esisteva più.
E lui non mangiava i dango che gli aveva comprato né utilizzava quella tazza perché non poteva.
Non parlava troppo, perché l’immaginazione di Sasuke non era così fervida – né così arguta – da poter cogliere le sfumature della personalità di Itachi e trasformarle in criptici discorsi, quelli che su di lui avevano avuto sempre un certo effetto; aveva dovuto ripensarci svariate volte per coglierne il significato completo.
Non guardava il vero Itachi e Itachi – almeno quell’Itachi – non guardava lui. Non aveva udito il suo “tanti auguri”. Nemmeno stavolta era riuscito a farglieli di persona e per primo, e non ci sarebbe stato modo di rimediare a quella sua perpetua mancanza.
Si trattenne dal mordersi le labbra.
Forse decidersi a dirgli addio non sarebbe servito. Ci aveva provato più volte da quando Naruto si era deciso a sbattergli in faccia la verità e a disintegrare le immagini fantasiose e discordanti dalla realtà che si era ostinatamente creato.

 
 
 

*

 
 
 

«E’ morto, Sasuke. Itachi è morto.»
E’ morto.
Senso di perdizione, capogiro. Era vero, ma Sasuke non voleva che lo fosse.
«Stai zitto…» Non sai quello che dici.

 
 
 

*

 
 
 

Non sarebbe servito, ma forse sarebbe stato un primo passo, un primo passo nella giusta direzione.
Per Itachi. Per quello vero.
Toccò ancora la pietra, poi si alzò e si strofinò i pantaloni pieni di terriccio.
«No, vado a casa.»
Da solo.
Tu resta qui.

 
 
 





 
 



























 
 
 
 
 
 
 
 
 

 
Allora. Stavolta ho dato il meglio di me per scrivere una storia così… strana.
Effettivamente nella mia testa era migliore, ma poi è uscita così e pace – non che mi dispiaccia del tutto, devo ammetterlo. Tuttavia, dato che bisogna mettere in luce un po’ tutto, spero di non essere andata fuori traccia e aver considerato troppo poco Itachi (quello che poi ho fatto, a dire il vero X///D). Mi giustifico dicendo che il contest richiedeva il tema del compleanno sempre presente, e, effettivamente, il tema del compleanno c’è dall’inizio alla fine, perché si parte con un flashback sui due fratellini, ed è proprio la sera prima del nove giugno, per finire, al presente, alla sera del nove giugno, dove Sasuke – spero si sia capito – promette al vero Itachi (perché quello della mia storia è soltanto una proiezione della sua mente… sì, Sasuke sta impazzendo ed è visionario, se ve lo state chiedendo U.U” Non ho approfondito troppo perché non conosco troppo l’argomento), come regalo di compleanno, che riuscirà a staccarsi dal falso Itachi creato dal suo “dolore”.
Non so spiegarlo meglio, ma spero sia la storia a parlare per me. X(
Poi: “Aitai” significa “mi manchi”, e lo trovo adatto. :)
Per l’IC, spero più o meno bene, per la grammatica sono abbastanza tranquilla, per l’originalità non c’è male… vabbé, sintetizzando, spero di non aver combinato casini, ecco. XD
 


P.S. Auguri a me, che è il mio, di compleanno. XD
   
 
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