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Autore: WouldBeRebel    17/02/2013    5 recensioni
Ero seduto al tavolo da più di mezz’ora, e quel cretino di Mathias non mi aveva ancora dato una risposta alla mia domanda.
«Perché, perché mi succede questo, Kohler?»
«Eh, caro Jan, succede. Si chiama amore, e anche tu ci sei caduto dentro in pieno. E con lei, tra l’altro! Ma non ti biasimo, e davvero bellissima, da quanto mi raccontano.»
Lo fissai interdetto, mentre quelle parole mi colpivano in pieno volto.
Lo odiavo, quando mi trattava in quel modo, come se fossi ancora un ragazzino.
«È solo una puttana.»
«No, non lo è, e tu lo sai meglio di me.»
Mi si infiammarono le guancie, ed ebbi l’impeto di afferrargli la testa e di spiaccicargli la faccia su quel dannato tiramisù.
Lo odiavo, tantissimo. Lo odiavo perché aveva ragione.
E io lo sapevo meglio di lui.
- - -
Aggiornerò mensilmente, per qualsiasi ritardo avviserò sul mio profilo.
Buona lettura, e spero che sia di vostro gradimento!
Genere: Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Danimarca, Nuovo personaggio, Paesi Bassi
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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1. Servizio privato

 
Non sentivo alcun rumore, ma forse era meglio così. Probabilmente mi stava studiando, visto che la luce che entrava dagli spazi fra le serrande mi veniva proprio addosso.
Non la vedevo ancora, ma sapevo che era lì. Il miglior servizio di sempre, mi avevano garantito, ma non ne avevo mai dubitato.
Dopotutto, Amsterdam era pur sempre Amsterdam.
Uno scricchiolio delle molle del letto, segno che si sta muovendo. Portai una mano dietro alla schiena e diedi un giro di chiave alla porta. Non volevo disturbatori, durante quella piacevole serata che mi concedevo dopo tanto.
I miei occhi non si adattavano ancora al buio della stanza, permettendomi di vedere solo ciò che entrasse nella parte illuminata dalla luce dei lampioni che filtrava pallida.
Stavo per dire qualcosa, o quantomeno per avanzare, ma mi fermai non appena vidi un’ombra dannatamente sinuosa avvicinarsi ed avanzare nell’oscurità.
Venne alla luce, e finalmente la vidi, per la prima volta che mi mozzò il fiato.
Alle belle donne ero sempre stato abituato, dopotutto, mi ero sempre trattato molto bene in quel campo, ma devo ammettere che ci fu quasi una scintilla, una scarica elettrica che percosse l’aria non appena la vidi appieno.
Aveva i capelli nerissimi, tagliati in un caschetto spettinato e per nulla ordinato, uno di quei tagli sbarazzini che vanno di moda. Gli occhi erano gialli, come quelli di un serpente. Lei stessa, mi ricordava un rettile. Un rettile bellissimo e incredibilmente velenoso.
Aveva le unghie laccate di un rosso brillante, e la loro forma affusolata e piacevolmente lunga contribuiva a snellire ancor di più quelle dita già sottilissime.
Non era molto truccata, ma questo non la rendeva affatto brutta. Anzi, tutt’altro.
«Jan, ti aspettavo … voi uomini vi fate sempre attendere.»
Sembrava più un sibilo che una frase, la sua voce era più tagliente di una sciabola.
«Siete voi donne, ad essere sempre in anticipo. Ma ora dimmi, come ti chiami ... » - mi avvicinai al suo orecchio, cauto. Le donne di solito adoravano le provocazioni di quel tipo, ma dovevo stare attento, era un cobra davvero pericoloso. - « … tesoro.»
«Roos. Ma posso chiamarmi in qualsiasi modo tu voglia …» - mi afferrò la mano, che si stava per posare sul suo fianco. - « … Jan.»
Sentirle pronunciare il mio nome in quel modo fu terrificante.  Un fremito mi attraversò la schiena, e l’impeto di stringerla a me e di baciarla fu davvero tremendo.
Aveva una corporatura molto esile, ed era più bassa di me di circa un testa. Avevo paura di ferire una creatura così piccola, anche solo toccandola.
Ma avevo pagato per quel servizio, no? Quindi mi era concesso iniziare il gioco in qualsiasi momento.
Allungai una mano a sfiorarle un’anca, questa volta senza essere bloccato. Passai piano i polpastrelli sulla pelle biancastra, mi muovevo di pochi centimetri per poi ripetere lo stesso movimento al contrario.
«Stai facendo il gentiluomo, Jan? Non pensavo fossi venuto qui solo per farmi delle carezze.»
Le piantai gli occhi in faccia, fissandola freddo. Ebbe un leggero sobbalzo, che tentò di nascondere con risultati scarsi.
Tenni la bocca serrata, come mia consuetudine, cercai di leggerle nella mente senza far trasparire nessuna emozione.
Ma di emozioni ne avevo in quel momento, fin troppe. Quel cobra velenoso doveva avermi morso, perché facevo fatica a ragionare lucidamente.
E non dipendeva dal fumo che proveniva dal bar qualche piano sotto di noi.
Sentii sotto la mano ancora posata sul suo fianco una serie di piccoli brividi. Ma non erano dovuti alla paura, erano dovuti al freddo.
Era mezza nuda, e nella stanza vi era giusto quel poco di tepore da permettere alle persone vestite di stare bene.
«Hai freddo.» - sentenziai di punto in bianco io, senza nessun preavviso. Nei suoi occhi balenò una luce nuova, quasi volesse dire “ma davvero, cosa te lo fa pensare?”.
Non aspettai una sua risposta, che probabilmente stava elaborando. Ai serpenti bisogna bloccare la testa, per evitare di farsi mordere.
«Ci penso io a scaldarti, e credimi, fra poco avrai fin troppo caldo.»
 
* * *
 
Mi svegliai di malavoglia percependo una luce molto forte contro le palpebre chiuse. Lei doveva aver aperto le serrande, a giudicare dalla quantità spropositata di chiarore che entrava nella stanza.
Aprendo gli occhi la vidi seduta su una sedia che la sera prima non avevo notato a ripiegarmi i vestiti, vestiti che la notte precedente avevo buttato a terra in malo modo.
Rimasi ad osservarla lavorare, compiendo un gesto che nessuno aveva mai fatto.
Non sorrideva, ma non era nemmeno arrabbiata, manteneva soltanto un’espressione seria. I suoi occhi ambrati erano fissi sulla mia giacca beige che faticava a piegare nel modo giusto. Le sue piccole mani scorrevano veloci sulla stoffa.
Respirava piano, era tranquilla. Il sole le illuminava la pelle, facendola sembrare ancora più pallida.
Era sempre poco vestita, ma almeno aveva qualcosa addosso.
D’un tratto, proprio mentre la contemplavo, si girò verso di me puntando i suoi occhi di topazio nei miei smeraldi.
«È una bella giornata oggi, per te che puoi uscire.»
«Sì, sono piuttosto rare le giornate così soleggiate qui nei Paesi Bassi, non trovi?»
Stavo facendo una conversazione con una puttana? Dio, ma che diavolo mi passava per la testa? Avrei dovuto strapparle i vestiti di mano, non degnarla di uno sguardo e andarmene velocemente, non commentare il tempo atmosferico.
«Stavo per andarmene, per questo ti piegavo i vestiti. Almeno non avresti dovuto perdere tempo a ricattarli, visto che li hai gettati ovunque.»
Arrossii lievemente, nascondendolo il più possibile. Non aveva detto niente di assolutamente scandaloso, per quale motivo mi sentivo in imbarazzo?
Scostai le coperte, alzandomi molto lentamente. Mi sentivo il suo sguardo addosso, ma la cosa non mi eccitava affatto. Anzi, avevo quasi l’istinto di afferrare il lenzuolo e coprirmi.
Non era normale che io mi vergognassi della mia nudità, non lo era affatto.
Mi porse i vestiti senza dirmi nulla. Mi fissava negli occhi, mentre io schivavo il suo sguardo. Le diedi le spalle mentre mi vestivo in fretta, desideroso che quella sensazione alla quale ero tanto estraneo sparisse.
Mi avvolsi la sciarpa intorno al collo, veloce. Lei era ancora lì, ferma, e anche se non la vedevo percepivo la sua presenza immobile e silenziosa.
A grandi passi mi avvicinai alla porta. Era il suo lavoro, avrebbe avuto i suoi soldi dal suo capo. I suoi clienti facevano sempre così, pagavano e se ne andavano silenziosi, muti e frettolosi.
Non si sarebbe sorpresa, ne ci sarebbe rimasta male. E poi che me ne importava, se piangeva come una mocciosa?! L’aveva scelta lei quella vita!
Girai la chiave, ancora ferma al suo posto. Feci pressione sulla maniglia in ottone. Fra poco me ne sarei andato, e tutto sarebbe tornato come prima. La mia pipa in bocca, qualche tulipano sotto braccio da portare a casa, qualche carota in tasca per Miffy, stufa delle solite lattughe.
«Jan.» - chiamò lei. - «Stai … bene, con i capelli abbassati.»
Furono le ultime parole che disse, prima che oltrepassassi la porta senza degnarla di uno sguardo.
   
 
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