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Autore: Impossible Prince    17/02/2013    0 recensioni
"Sto correndo. Sto correndo come se non ci fosse domani, sto correndo come se stessi scappando dall’oblio. Sto correndo, ma in realtà sono in gabbia."
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Sto correndo.
Sto correndo come se non ci fosse domani, sto correndo come se stessi scappando dall’oblio.
Sto correndo e sono senza fiato.
Sto correndo ma in realtà è solo un’illusione, sto correndo ma in realtà sono in gabbia.

Corro lontano dal mio castello, lontano dal posto che mi ha reso questo principe impossibile. Corro lontano dalla mia casa che opprime e sopprime il mio spirito, che lega il mio ego ad una stupida recita.
Questo posto non è per me.
Corro nella foresta, corro verso la vegetazione selvaggia, mi rifugio nella natura incontaminata.
Questo luogo ha tutte le caratteristiche vorrei avere io, vorrei esser selvaggio, vorrei essere libero senza che radici basate sul nulla mi impediscano di voler fare quello che vorrei.
Mi fermo quando vedo delle piccole lucine che si muovono in maniera irregolare, incontrollabile nell’aria.
Mi avvicino quasi incantato, ammaliato dalla magia e mi accorgo che sono lucciole che volano nei pressi di un ruscello d’acqua, che scorre disordinatamente aggraziato nel suo letto, sufficientemente profondo da poterci infilare la testa con tutte le mani sotto l’acqua gelida. Sentii come una fitta tremenda al cuore, l’ennesima.
Risollevo la testa mentre l’acqua scorre leggera dai miei capelli coprendomi il già bagnato viso e tutti i miei vestiti.
Mi siedo sul terreno umido osservando quel concerto di luci gialline che si stava consumando davanti ai miei occhi sognanti, incuranti che quelli erano solo insetti dalla vita breve quanto inutile.
Mi tolgo i vestiti lentamente, quasi per non disturbare lo spettacolo, li getto con non curanza sul prato mentre mi sedetti all’interno del ruscello completamente cullato dalla gelida acqua che scorreva su di me.
Non so per quanto sono rimasto lì fermo, minuti o forse ore, ma decido che era tempo di rialzarmi e di riprendere il mio percorso all’interno della foresta.
Cammino a piedi scalzi nel ruscello, incurante di tutta quella ghiaietta che poteva ferirmi il palmo dei piedi e indifferente al pericolo di scivolare se incorrevo in qualche sasso dalla superficie liscia.
La mia voglia di correre e fuggire era morta, desidero solo camminare rinfrescato dal fiumiciattolo, volevo solo andare alla foce e forse fermarmi ad osservarla oppure per ricominciare a scappare.
Non so quello che farò, non mi interessa; voglio vivere così, all’avventura.
Arrivo davanti ad una cascata molto alta ma con una larghezza piuttosto ridotta, uguale a quella del torrente.
Il flusso dell’acqua proveniva da un’altura rocciosa, il tutto era circondato da alberi alti e carichi di foglie verdi. Decido di uscire così dal rivolo d’acqua e ho così cominciato ad arrampicarmi.
I palmi delle mani e dei piedi sanguinano, così anche le ginocchia che strisciano contro la roccia hanno segni evidenti di contusioni.
Le ferite bruciano ma devo andare avanti, devo superare l’ostacolo e ricominciare il viaggio lontano dal mio mondo e finalmente ce l’ho fatta.
Mi aggrappo al terreno dell’altura stringendolo fra le mani e vedo la città.
La tua città, quella che dopo averti conosciuto è diventata anche la mia città.
Ho sognato per anni di correre per quelle strade ridendo e scherzando assieme a te, come in una bellissima fiaba, ma le fiabe hanno solo veri principi e vere principesse e io sono impossibile, un principe impossibile.
Ho rivisto per un momento il tuo viso nella mia mente e una fitta al cuore mi fece mollare la presa e cadere, cadere e cadere.
Continuavi ad averlo, in un certo senso te lo sei preso tutto lasciandomi solo la parte morta di quell’organo che gestisce i miei sentimenti.

Continuavo a cadere ed era come se stessi correndo.
Come se stessi correndo via dalla mia castello, via dalla persona che amo, via dal passato che continua a far male proprio come se fosse il presente e via dalla mia incapacità di vivere.

Mi sono ritrovato con la schiena a terra e un sorrido beffardo sul mio volto che osservava il mare di foglie che con il cielo notturno si mescolava con la volta celeste.
Sono rimasto lì a terra per mesi senza curarmi delle foglie che, ingiallite, cadevano delicatamente sul mio viso.
Che senso ha scappare se poi ti trovi in un posto peggiore di quello precedente?
Che senso ha voler essere liberi quando i propri sentimenti sono manovrati da qualcun altro?
La neve ora mi copriva posandosi delicatamente, ed era soffice.
Ero lì, fermo, ma dentro di me era come se corressi.

Sto correndo, sto correndo lontano, ma alla fine rimango sempre chiuso nella mia gabbia.
   
 
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