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Autore: Wkb    17/02/2013    1 recensioni
Vite di periferia. Quando non vedi mai il sole che speranze ti restano?
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Triangolo
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Siamo cresciuti in una sporca periferia qualunque di una grande città come tante, una periferia di quelle dove i grandi casermoni dell'edilizia popolare, oltre il sole, oscurano le speranze.
Ricordo quel labirinto di scale, portici e androni, portoni tutti uguali che distinguevamo solo per i graffiti. Erano posti dove la polizia non veniva mai, dove potevi trovare con facilità siringhe usate negli ascensori quasi sempre rotti e carcasse di motorini rubati nei sottoscala. Van, Kyo, Toy e io, vivevamo al numero 46 scala C, quinto piano. Eravamo più o meno coetanei e, per ragioni ancora del tutto incomprensibili per l'ambiente in cui vivevamo, i nostri genitori non solo mantenevano rapporti di buon vicinato, ma addirittura avevano stretto amicizia, o almeno quella che gli adulti considerano tale.
Avremmo avuto 17 anni, sul tetto terrazzato del nostro palazzo a quattordici piani dal livello del suolo.
La porta in lamiera che dava l'accesso al terrazzo era stata forzata tanto tempo prima, sbatteva per il vento di quella notte di San Lorenzo a intervalli quasi regolari, l'aria fredda che condensava i nostri respiri in nuvole bianche, la città che dormiva brillante ai nostri piedi. Van a cavalcioni sul parapetto, sospeso per metà nel nulla con una bottiglia ormai vuota di birra in mano, scrutava il cielo alla ricerca di stelle cadenti cui affidare un desiderio.
-Vorrei una casa con un tetto, un giorno.
-Questo è un tetto.
-No Jei, io voglio un tetto vero, di quelli spioventi con le tegole rosse.
Kyo, seduta per terra si era arresa e non cercava più le stelle, sconfitta dall'inquinamento luminoso e dallo smog.
-Io vorrei solo vedere le stelle.
Toy, appoggiato coi gomiti al parapetto, mi passò la canna.
-Io vorrei solo essere felice.
Io rimasi in silenzio, ma avrei voluto gridare al mondo intero che io non volevo nulla, che tutto quello che volevo ce l'avevo già e che erano loro.
Non ho ricordi significativi della mia infanzia in cui non fossero con me. Sin dalle materne e forse anche prima, le nostre vite si sono intrecciate in un'unica esistenza.
A volte però, la memoria si confonde e crea brutti scherzi come con Kyo, nei ricordi la vedo coi capelli rossi anche da bambina, eppure, razionalmente so che li aveva castani fino ai 14 anni, quando li tinse la prima volta di quel rosso che portò tutta la vita. Però forse la ricordo rossa anche da piccola perché lei era fuoco, gli occhi scuri e liquidi, sempre vivace e luminosa come fiamma. Bruciava tutto in fretta, le tappe, l'interesse, gli affetti, consumava e trasformava in cenere l'ego di chi provava ad avvicinarla. Ricordo ancora perfettamente come era vestita la prima volta che uscì di casa con il suo nuovo e appariscente colore di capelli, camicia di flanella a quadri da uomo aperta su una t-shirt con scritto sopra "salviamo le balene", un paio di jeans sdruciti e una trascuratissima coda di cavallo.
Entrò nel garage di Toy dalla basculante semi aperta all'improvviso e noi, per la prima volta, sentimmo la necessità di nascondere le riviste porno. La radio sintonizzata su un programma di classici rock suonava sweet child of mine, lei vestita come sempre, ci parve diversa e, forse, per la prima volta ci accorgemmo che era una donna. Van guardava intensamente Kyo che si sedeva vicino a Toy, la musica che ci riempiva la testa di sogni.
Il garage di Toy era il nostro punto di ritrovo, lo avevamo arredato con due divani sformati e una poltrona lacerata trovati vicino un cassonetto. Toy viveva con la nonna e la madre, unico maschio in casa, viziato all'inverosimile e, grazie a questo, dall'età di 11 anni, potevamo contare su un posto tutto nostro.
Ricordo gli occhi di Toy, verdi e brillanti, sempre in movimento. Era bello come un attore del cinema, i ricci biondi scompigliati con eleganza, alto e sinuoso, la bocca grande dalle labbra carnose sempre pronta al riso. Faceva battere il cuore a tutte le ragazze del quartiere e lui, lieve e superficiale come una brezza primaverile e altrettanto incostante, giocava con loro flirtando con tutte e spezzando il cuore a più d'una. Era sicuramente il più bello tra di noi, forse anche il più intelligente, eppure, la sua incostanza non lo faceva applicare in nessun campo.
Ricordo un'estate nella mia casa al mare, avremmo avuto sette anni e già passavamo le estati insieme, stavamo costruendo un castello di sabbia quando un bambino più grande venne e lo distrusse. Ricordo Kyo piangere, rivedo Van stringere le labbra già sottili, alzarsi e dare una spinta al ragazzino, il bullo rispondere a pugni, Toy che saltando gli si aggrappa al collo trascinandolo sulla sabbia in un confuso groviglio di braccia e gambe. Ricordo che pensai sembrassero una spaventosa piovra gigante. Vennero i miei genitori a separarli e ci punirono tutti costringendoci a passare in casa il resto del pomeriggio. Eravamo nella nostra stanza seduti per terra in circolo.
-Siete stati eroi, anzi supereroi! 
Kyo era felice che i suoi amici avessero dimostrato tanto valore, vedevo che li guardava con ammirazione e io provavo invidia e vergogna, nei miei sette anni trovavo imperdonabile non aver partecipato alla zuffa come un codardo.
-Allora meritiamo nomi da supereroi! Allora... Tu sarai SuperKyo, tu SuperVa... SuperVan, io SuperToy. Tu sarai Jei.
Jei. Per me niente super, solo Jei. Certo, dopo poco anche loro si stancarono di farsi chiamare super qualcosa, rimasero nel tempo solo i nomignoli dati quel giorno, nomi con cui poi, alla fine abituati dall'uso, ci chiamarono anche i nostri genitori. Eppure non ho scordato che non sono mai stato SuperJei.
Un pomeriggio scesi in garage e ci trovai solo Van che suonava malinconico la sua chitarra acustica. I capelli neri che non trovava mai il tempo di tagliare davanti al viso, gli occhi stretti del colore dei cieli di novembre, le labbra sottili e tese, i pensieri persi in qualche inaccessibile remoto luogo. Sembrava il mare, quando prima di una tempesta, per pochi istanti si fa piatto, tranquillo e grigio. Suonava una ballata triste e malinconica, accordi casualmente armonici come la pioggia. Era triste e immaginavo il motivo. Eppure non mi trattenni, avevamo forse sedici anni, volevo fargli male, vederlo soffrire.
-Toy e Kyo dove sono? 
Mi guardò con lo sguardo umido e ferito dei poeti, le borse sotto gli occhi stretti e distanti. Non era bello Van, non molto alto, con le labbra sottili e gli occhi piccoli che di bello avevano solo il colore, le mani già da uomo, una barbetta spelacchiata e trascurata. Eppure, tutto in lui trasudava fascino, aveva la profondità degli oceani e lo stesso sapore di malinconia. Era come acqua, cangiate e sfuggente, come pioggia, che ti sorprende all'improvviso.
-Non lo so.
Con quel non lo so, sottintendeva mille cose, mille sfumature, Kyo e Toy erano insieme chissà dove, lui ci soffriva e non ne voleva parlare. Rabbia e dolore sordo, la canzone che si faceva sempre più triste.
Ricordo il mio primo bacio, impacciato, goffo e umido.
Lo diedi a Kyo, tutti noi demmo il primo bacio a Kyo, a undici anni. Un po' per gioco, un po' per curiosità, decidemmo di provare e di esercitarci in attesa di quello vero. Eravamo nel garage seduti in circolo per terra e cominciammo prima a stampo, poi con la lingua. Ricordo Van accarezzare Kyo con una mano, Toy pulirsi la bocca con la manica.
-Che schifo!
Scoppiò a ridere, senza accorgersi dello sguardo ferito di Kyo.
Oggi credo che Kyo fosse sempre stata innamorata di Toy, certo allora non me ne rendevo conto, anzi forse solo Kyo con la sua maturità diversa di femmina lo capiva. Credo che per lei fosse difficile resistere alla vivacità di Toy, ai suoi occhi verdi, alle sue idee che lei trasformava in passioni. Era come quando il vento attizza le fiamme e le rende più vive. Toy non se ne accorgeva o, forse, non se ne curava, troppo preso da se stesso e da Van.
Toy così vivace e brioso era sempre stato attratto dalla gravità e dalla profonda malinconia di Van, fatalmente, come la falena con la fiamma. Allora neanche ci aveva sfiorato l'idea che potesse essere omosessuale, ancora oggi faccio fatica a crederlo. Probabilmente neanche lo era, semplicemente asessuato come gli angeli aveva trovato in Van l'anima gemella. Un rapporto strano e morboso, qualcosa di sconosciuto e mai pienamente compreso li legava, qualcosa che faceva volere a Toy tutto quello che voleva Van.
Come Kyo. Van amava la sua vivacità, seguiva la scia del suo caldo profumo, osservava le linee del suo corpo snello crescere e ammorbidirsi.
Ma fu Toy che la ebbe. Senza apprezzare quello che lei le donava, senza preoccuparsi di quello che Van provava, senza curarsi degli equilibri che rompeva, la prese un pomeriggio di novembre mentre Van suonava da solo la chitarra.
Ricordo il nostro primo fine settimana da soli, passato a fine agosto nella mia casa al mare. Avevamo 15 anni, era il compleanno di Kyo. I nostri genitori ci avevano dato fiducia e noi l'avevamo tradita subito con spensieratezza. Con le biciclette eravamo andati fino al market a comprare due bottiglie di vino e una di vodka alla frutta insieme a qualche merendina e al pesto per condire la pasta per un paio di giorni. Tornati a casa mi misi a cucinare qualcosa, mentre Van fumava in sala e Toy apriva il vino. Kyo tirò fuori, in mezzo allo stupore generale, una bustina di erba. Nessuno di noi sapeva che Kyo fumava abitualmente erba da un po', iniziata alle droghe leggere dai compagni del liceo classico che frequentava. Fece una canna e l'accese senza dire una parola, fece qualche tiro aspirando voluttuosa con le labbra provocanti, gli occhi pieni di sfida. La tenne alta tra di noi, come la fiaccola della ribellione.
-Tu sei pazza! 
Esclamò sbottando a ridere Toy, facendo no con la testa. Anche io rifiutai per codardia. Van, invece, la prese, aspirando il fumo dall'odore agre e sporcandosi la bocca sottile del lucidalabbra di Kyo, immaginando forse di baciarla. Toy arrossì violentemente e tese la mano a Van che gli passò la canna senza neanche guardarlo negli occhi. Alla fine fumammo tutti e, disabituati all'alcool, dopo due bottiglie di vino eravamo tutti ubriachi. Come sempre succede a quell'età in situazioni promiscue e alcooliche finimmo a giocare al gioco della bottiglia che via via si faceva sempre più morboso e ambiguo.
Il vino rendeva i gesti goffi e i desideri vivi, il fumo ci rendeva leggeri e limpidi, così i baci erano sempre più veri e sentiti, ricordo che quando fu il turno di Van di baciare Kyo lui la avvicinò a se, guardandola con uno sguardo dolce che non gli avevo mai visto, le accarezzò languidamente una guancia, chiuse gli occhi e si perse tra i respiri di lei. Ancora un po' scossa toccò a Kyo girare la bottiglia. Lessi la delusione nei suoi occhi quando si fermò a me, necessario come la terra sotto i loro piedi eppure perfettamente invisibile. Fu il turno di Toy, girò la bottiglia che indicò Kyo, la rabbia di lui che gli deformava le labbra, la gioia di lei che cieca chiudeva gli occhi. Fu un bacio veloce e frettoloso, gli occhi di Toy che cercavano invano quelli tristi di Van. Toccò a Van girare la bottiglia che puntò Toy. Una strana energia incendiò l'aria, nel corso della serata mi era capitato di dover baciare sia Toy che Van, ma ancora non era mai successo che si dovessero baciare tra di loro.
Con la strafottenza che gli era abituale Toy sciolse le gambe incrociate e si avvicinò in ginocchio a Van, un sorriso sbieco che mal celava una certa perversa gioia nel dover baciare l'amico. Così, in ginocchio davanti a Van, visibilmente più esile eppure più alto, la testa leggermente piegata di lato, sembrava stranamente imponente, la sua personalità ingombrante sembrava schiacciare Van.
Lo afferrò per i capelli neri, senza dolcezza ne delicatezza, lo baciò con forza espugnando le labbra sottili di Van e, nell'impeto, lo scaraventò per terra bloccandolo con il peso del suo corpo. Van sotto che si dimenava cercando di liberarsi prendendolo a pugni sul petto. Toy si rese conto di essere andato oltre, di aver mostrato una volta per tutte cosa provasse, si staccò di colpo rimettendosi seduto e tendendo la mano a Van che, invece, si copriva la bocca con una mano e chiudeva l'altra a pugno colpendolo in faccia. Kyo si alzo e corse in lacrime in camera, Toy uscì sbattendo la porta e Van si chiuse in bagno. Io rimasi solo nella sala che, senza i miei amici, sembrava improvvisamente vuota. L'indomani, come per un tacito accordo, nessuno parlò più dell'accaduto e tutto tornò come sempre.
Le superiori ci avevano un po' allontanato, Kyo al classico, Van al liceo artistico, Toy allo scientifico e me a ragioneria. Trovavamo il tempo per vederci rubando spazio allo studio e evitando di stringere nuove amicizie. Un giorno tornando da scuola tagliando per il parco, sentii dietro degli alberi la voce di Kyo incerta per le lacrime. Istintivamente mi avvicinai.
-Kyo, mi dispiace, se lo avessi saputo non avrei mai fatto sesso con te...
-Però lo hai fatto! Ti prego Toy, dimmi almeno che non lo hai fatto solo per fare un dispetto a lui.
-Lo amo Kyo.
-E io amo te! Ma non ti importa nulla vero? Mi hai usata solo per fargli del male, perché lui non ti vuole.
-Lui ti ama Kyo. Non sprecare questo dono, amalo e sarai felice.
Si allontanò lasciando Kyo a piangere sola. Strinsi i pugni, lo volevo picchiare, aveva detto tante belle parole ma in verità nel suo egoismo aveva rovinato tutto, non voleva rimanere solo a soffrire e, agendo come aveva agito, ci aveva trascinati tutti nel suo inferno personale.
Ciechi. Siamo stati tutti ciechi.
La prima ad andarsene fu proprio Kyo. Non aveva neanche diciotto anni. Si gettò nel fiume una sera di agosto. Il cuore spezzato, l'anima persa dietro sogni impossibili, si lasciò cadere con drammatico romanticismo, spegnendo per sempre la sua luce. La sogno spesso, lei che casca, il vestito bianco che si fa trasparente nell'acqua gelida, la corrente che la trascina, i suoi capelli rossi che sembrano fiamme. Poi mi sorride e mi sveglio.
Ci mitragliarono di domande, se sapevamo che faceva uso di cannabis, se eravamo a conoscenza di qualche fidanzato o delusione d'amore. Da parte nostra ci fu solo silenzio.
Da li in poi i ricordi si fanno tutti più rapidi e caotici, i tempi si accavallano e i tre mesi che trascorsero dalla morte di Kyo a quella di Van mi sembrano solo poche ore. Uniche le luci delle sirene, unica la camera mortuaria e le candele accese per loro due insieme.
Van dopo la morte di Kyo smise di andare a scuola, smise di andare nel garage che ormai non usavamo più, smise quasi di parlare e di mangiare, quando citofonavamo o telefonavamo, si faceva negare. Toy sembrava impazzito, si sentiva responsabile della morte di Kyo, si dava tutte le colpe del dolore di Van e io facevo di tutto per non farglielo scordare.
Poi una sera sentii musica provenire dal garage. Era all apologies, un caso o una scelta ponderata di Van non l'ho mai saputo.
Ricordo che ero contento, ingenuamente avevo pensato che tutto fosse tornato come prima, che dietro la basculante avrei trovato Van e Toy, persino Kyo, che fosse tutto uno scherzo di pessimo gusto organizzato per me. Invece c'era solo il corpo di Van, gli occhi aperti e senza vita che fissavano il soffitto, bava ormai secca intorno alla bocca atteggiata in un sorriso, la siringa che l'aveva ucciso ancora nel braccio.
Non volli più vedere Toy. Ai miei occhi era un assassino, le mani del suo egoismo avevano spinto giù Kyo dal ponte e infilato la siringa di eroina nel braccio di Van. Lui entrò in brutti giri e persi le sue tracce per anni. Mi costruii una vita, divenni mio malgrado adulto senza loro e misi su famiglia. Poi un paio di anni fa ricevetti una chiamata, era Toy.
-Ciao Jei, sono Toy, come va?
-Dopo tutti questi anni tu sei capace di dirmi solo come va?
-Sto morendo Jei, ho l'aids, sono in fase terminale. Vorrei rivederti.
Attaccai il telefono. 
Ora che sono io che sto morendo, ora che questo cancro mi consuma dentro, me ne sono pentito.
La memoria fa brutti scherzi, ricordo a stento i loro veri nomi Chiara, Valerio, Antonio. Sono i nomi sulle loro lapidi, come sulla mia ci sarà scritto Giacomo. Nomi da morti.
Nei ricordi, che sono l'unica cosa che resta, saremo sempre Kyo, Van, Toy e Jei. Ora che sto morendo sono contento nonostante lasci mia moglie e le bambine. Sono contento perché so che li riabbraccerò, che saremo come in questa foto che tengo stretta tra le mani, su una spiaggia al tramonto, di nuovo bambini, di nuovo innocenti. Perché, nonostante io sia stato per loro quasi invisibile, sono quello che li ha amati di più, molto di più di quanto abbiano amato loro stessi.
  
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