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Autore: Leopoldo    18/02/2013    3 recensioni
New York, circa cinque anni dopo il diploma.
In una serata noiosa come molte altre in un bar come tanti altri, Santana si trova costretta
ad affrontare il proprio passato.
Perché le coincidenze e gli incontri fortuiti non sempre portano ad un lieto fine.
Genere: Angst, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: FemSlash | Personaggi: Brittany Pierce, Sam Evans, Santana Lopez | Coppie: Brittany/Santana
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Goodbye my lover

 

N.B.: angst  e niente lieto fine, maneggiare con cura. Lettore avvisato …

 

 

Quest’anno il freddo pungente ha fatto capolino a New York con grande anticipo rispetto agli inverni precedenti.

Siamo appena ai primi di novembre e già i ‘grandi esperti’ della meteorologia parlano di possibili nevicate, ghiaccio e temperature abbondantemente sotto lo zero.

 

Nonostante gli anni passati a girare per Lima con solo la tenuta da cheerleader pesante e le gambe coperte da un paio di semplici calzettoni lunghi, Santana Lopez non è mai riuscita ad abituarsi al freddo pungente, quasi che in quei mesi la parte latina del suo corpo prendesse il sopravvento –più del solito, ecco– per dimostrarle che no, lei non è stata progettata per resistere alle basse temperature.

I mesi invernali in Ohio passavano in maniera tristemente lenta per lei, accompagnati da un costante e persistente raffreddore cronico e, di tanto in tanto, dall’orribile combinazione di mal di gola e tosse.

 

Fortunatamente per lei, da quando ha messo piede nella Grande Mela le cose sono leggermente cambiate. Innanzitutto può permettersi di andare in giro come una persona normale, senza quell’orribile divisa in poliestere –comunque perfettamente ripiegata nell’armadio e custodita come una reliquia insieme a quella rossa e nera dei Cardinals– e con un abbigliamento consono al periodo dell’anno in cui si trova.

 

La sera di un normale venerdì di novembre in cui mette piede al ‘Not in my house’, il bar a un paio d’isolati dal suo appartamento di Tribeca, è avvolta in un paio di strati di vestiti pesanti, guanti, sciarpa e cuffia perfettamente coordinati, da cui sputano a malapena gli occhi e il naso decisamente arrossato.

 

Rimane in piedi vicino alla porta qualche minuto, sfregandosi le mani e le braccia per riacquistare un minimo di sensibilità agli arti e per studiare la clientela. C’è molta meno gente di quanta sarebbe lecito attendersi in un locale di buon livello come quello durante una serata del week end ma, pensa lei, forse il freddo ha fatto da deterrente.

 

Mentre inizia a togliersi cuffia e guanti, si avvicina al bancone, salutando con un bel sorriso –che si intravede appena per via della sciarpa color crema, pesante quasi quanto lei– il barista.

 

“Ehi, Santana” la saluta lui, ripulendo con uno straccio la parte di legno di fronte a cui la latina sta prendendo posto. La vede spesso da queste parti per lavoro ma, in ogni caso, è bravo a non dimenticare mai un volto e un nome.

 

“Ciao Cam” è la risposta ovattata dal tessuto che torna indietro. Ci vuole qualche altro secondo prima che Santana riesca a togliersi anche la sciarpa e a slacciarci i bottoni del cappotto –dello stesso identico colore della sciarpa– lungo poco sopra al ginocchio.

 

“Cosa ti porto?”

 

“Un boilermaker, por favor

 

Il biondo annuisce, prendendo fuori una pinta da mezzo litro e un bicchierino da shot. “Preferenze su birra e whisky?”

 

Santana scuote il capo, sistemando il cappotto sullo sgabello a fianco. È stanca, davvero tanto. L’esibizione della serata precedente si è conclusa alle quattro di notte per una serie impensabile di problemi tecnici e, grazie al provino fissato per le otto, ha potuto dormire solo due ore e mezza. Il tutto per ricevere un sentito no, grazie.

Vorrebbe davvero andare a casa e morire sul divano ma, quando si è ricordata che è venerdì sera, si è imposta di uscire comunque, nonostante le caviglie gonfie e un accenno di mal di testa che, dalla premesse, sembra di dimensioni epiche.

 

“Brutta giornata?” chiede Cameron il barista, facendo quello che fanno tutti i baristi del mondo quando vedono una persona abbattuta seduto al loro bancone. Certo, il fatto che sia estremamente sexy è un incentivo non da poco.

 

“Direi che il periodo delle brutte giornate è finito da un bel po’” mormora osservando la pinta riempiersi di birra alla spina. “Sono passata decisamente a giornate di merda”

 

“Dai, su! Vedrai, passerà” replica sorridendo, versando anche il whisky nel bicchierino. Poi, con abilità, lo lascia ricadere nel bicchiere di birra. La sostanza giallognola si increspa per un secondo, prima di tornare calma e cristallina. “Et voilà, signorina, il suo boilermaker. Questo lo offro io”

 

“Grazie”

La prima sorsata è lunga e convinta. Non vuole ubriacarsi, non lo fa ormai da anni.

Bisogna dire, però, che il non voler passare l’ennesimo venerdì sera in casa da sola non è l’unico motivo per qui si trova al ‘Not in my house’ questa sera.

 

Viene in questo bar un paio di volte al mese, spesso su invito del proprietario per esibirsi sul palchetto con karaoke annesso. Altre volte, esattamente come questo venerdì, sfrutta l’atmosfera calda e familiare e la quiete delle persone che vogliono solo godersi un goccio in tranquillità per fare un piccolo resoconto della sua vita lavorativa –perché su quella sentimentale è meglio sorvolare.

 

A ventitré anni, Santana è arrivata finalmente al punto in cui può sostenersi, ovvero pagare affitto di un piccolo appartamento, bollette e tutto il resto, solo sfruttando il proprio talento vocale. Da circa sei mesi si è licenziata dal ristorante dove lavorava come cameriera e quasi ogni sera ha qualche invito da parte di locali della zona e non per un’esibizione dal vivo.

Certo, cantare per qualche gruppetto di ubriachi non è il massimo dell’aspirazione. Tuttavia pagano bene e, per il momento, il mondo dello show business non le ha ancora offerto un’occasione degna di nota.

 

Molti produttori di case discografiche non hanno voluto nemmeno sentirla far uscire una nota dalla bocca: ‘Se non ti presenti con un agente con sufficiente fama nell’ambiente o con una laurea prestigiosa, sei già morta prima di iniziare’ le hanno ripetuto praticamente ovunque, quasi come un mantra.

Altri, invece, si sono dimostrati molto meno rigidi e permissivi. Le hanno offerto la possibilità di registrare una demo da far sentire ai loro superiori se lei si fosse dimostrata generosa con loro. Elegante traduzione per ‘inginocchiati sotto la scrivania e fatti vedere come te la cavi con la bocca’ o ‘prima ti pieghi a novanta e poi guardo cosa posso fare’.

Ed è successo davvero molte più volte di quanto si sarebbe mai augurata, anche perché schiaffeggiare le persone e mandarle al diavolo è sempre piuttosto faticoso. Quinn docet.

Voleva e vuole tutt’ora diventare famosa a qualsiasi costo ma, è meglio specificare, solo con la forza della propria voce, senza nemmeno prendere in considerazione l’idea di vendere il proprio corpo.

Aspettare un’occasione ed essere pronta a sfruttarla è l’unica cosa che può fare.

 

“Stasera è proprio un mortorio”

 

Santana alza lo sguardo dal suo ‘drink’, praticamente già quasi finito, e sorride quando incontra il broncio di Cameron.

 

“Sarà il freddo” butta lì, giusto per far capire di essere ancora viva.

 

“Perché non canti una canzone?”

 

Ah, ecco dove voleva andare a parare quel furbone. “Senti dal tuo capo se può permettersi il mio cachet” replica con un occhiolino.

 

“Dai! Fallo per me! Sono un tuo grande fan! Se facessi un disco lo comprerei subito!”

 

“Wow, con te e mia madre sarei a ben due copie vendute. Tre con mio padre, forse. La strada per il disco di platino farebbe sicuramente meno paura”

 

Cameron scoppia a ridere, seguito a ruota dalla latina.

“Comprerei anche un tuo libro su come essere sempre pronti a uccidere una conversazione con una battuta sarcastica” dice il barista, congedandosi per un secondo per servire un ragazzo dall’aspetto adolescenziale, probabilmente un liceale con un documento falso.

 

È davvero troppo stanca per cantare, considerando anche la doppia esibizione del giorno seguente. Non è davvero serata, proprio per nulla. Nello stato profondamente riflessivo in cui si trova finirebbe sicuramente per cercare appositamente canzoni tristi che le facciano pensare a Brittany e poi … ecco, fantastico.  

 

Irrigidisce la presa sul manico del boccale di vetro, stringendo i denti con rabbia. Ha appena pensato a lei e, nonostante siano già passati cinque anni, continua a far male.

 

Dopo tutto questo tempo? Ancora?

Sì, esatto. Non si strugge tutti i giorni dal dolore, certo, però ogni volta che il flusso dei suoi pensieri finisce a focalizzarsi su di lei, una morsa le prende lo stomaco e lo stringe come se volesse farlo esplodere.

 

Non riesce a smettere di ad odiarsi, perché l’unica responsabile di tutto è sé stessa.

È stata Santana, non Brittany, a imporre ad entrambe che la decisione migliore dopo un mese di relazione a distanza fosse troncare subito prima di fare qualcosa che potesse ferire tutte e due, come se il lasciarsi non lo fosse già abbastanza.

È stata Santana, non Brittany, a non dare nemmeno una possibilità a loro due dopo tutta la fatica che avevano fatto ad uscire allo scoperto e a stare mano nella mano davanti a tutti.

È stata Santana, non Brittany, a ritenere che il sorridere ad una ragazza avvenente fosse di per sé il primo sintomo del malessere che porta al tradimento. Come se la sua paperella avrebbe mai avuto potuto cedere alla debolezza e tradirla o come se lei avesse mai potuto cercare un’altra ragazza per sentirsi meglio.

È stata Santana, non Brittany, a provare senza sosta a mettere distanza tra loro due nonostante fosse palese l’enorme sentimento che ancora le legava.

 

E, alla fine, solo allora, è stata Brittany a cercare conforto nelle braccia di Sam solo ed esclusivamente perché Santana l’aveva portata ad avere bisogno di essere consolata.

 

Una volta resosi conto dell’immane stronzata aveva provato a lottare ad ogni costo per riprendersela, scontrandosi però ogni volta contro una dura verità. Il sentimento tra i due ragazzi era sincero e si era consolidato in fretta, facendola scivolare nei pensieri della sua dolce biondina di nuovo nel territorio spinoso del ‘siamo solo migliori amiche’.

 

Era stato un duro colpo per Santana. Mille dubbi l’avevano tormentata, mille incertezze l’avevano fatta vacillare finché, sola e arrabbiata con sé stessa, aveva lasciato il college e il Kentucky per trasferirsi a New York.

Senza l’aiuto dei ‘GayBerry’, ovvero Kurt e Rachel, fondamentali per tirarla su, probabilmente sarebbe precipitata nel baratro su cui è rimasta in bilico per mesi.

 

Dopo il diploma Brittany aveva accettato l’offerta della Joffrey di Chicago che, soprassedendo sulla media appena sufficiente della bionda, non aveva avuto dubbi sul concederle una borsa di studio dopo averla vista ballare. Sam era andato con lei senza nemmeno pensarci due volte.

Da lì in poi Santana non aveva più avuto sue notizie, complice lo sforzo immane che New York le aveva richiesto per adattarsi alla nuova vita. Le aveva mandato qualche sms, qualche chiamata a cui aveva risposto la segreteria, poi aveva semplicemente smesso di provare. L’aveva persa definitivamente.

 

“Yuri ha detto che se canti una canzone te la aggiunge sulla paga della prossima serata”

 

Alza i suoi occhi color pece dalla pinta e non può non sorridere per lo sguardo implorante di Cameron. “Ok, hai vinto. Però prima finisco questa e poi tu me ne offri un’altra”

 

“Sei una grande!” ridacchia il barista prima di tornare agli altri clienti che arrivano pian piano, riempiendo poco alla volta il locale.

 

Ed è in questo preciso momento che li vede. Un gruppo di una decina di persone che sta occupando uno dei tavoli centrali, quelli più spaziosi.

Non ci farebbe caso se non fosse che uno di quelli, un ragazzo piuttosto alto che si sta avvicinando al bancone proprio a pochi metri da lei, ha un’aria tremendamente familiare.

 

Vestito elegante, capelli mori a spazzola, enorme sorriso, tratti asiatici … tratti asiatici?

È possibile che sia davvero lui? Apparentemente sì perché se se ne è accorta lei che l’avrà guardato in faccia sì e no tre volte in quattro anni di liceo, vuol dire necessariamente qualcosa.

 

Solo quando lui ha ordinato, iniziando a dare un’occhiata in giro con curiosità per studiare il locale ha la certezza che si tratti di lui.

Come?

Dal modo in cui è sbiancato non appena l’ha notata. È Mike Chang, l’altro asiatico, e non sembra particolarmente contento di vederla.

 

Santana lo fissa dritto negli occhi a mandorla, quasi a chiedergli implicitamente se abbia bisogno di qualcosa.

Lui non la saluta, non dice una parola –come ai vecchi tempi, comunque– eppure da ogni spasmo del volto trasuda il suo nervosismo.

 

Siamo arrivati addirittura a questo? Non ha nemmeno il diritto del saluto?

Scrolla le spalle, indifferente, prendendo un lungo sorso dalla pinta da cui non si è ancora staccata.

 

Proprio mentre sta bevendo intercetta con la coda dell’occhio uno sguardo di Mike rivolto verso il tavolo e … Cristo Santo, lei è qui!

 

Riconoscerebbe quei capelli ovunque, quel viso tra mille, quella risata –anche se non la può sentire, ma l’immagine basta e avanza– tra miliardi. Brittany è a New York, nello stesso locale in cui si trova lei, a pochi metri da lei.

 

Tutto si ferma, come in uno stupido fermo immagine da film di serie D dove il bel protagonista che deve sposarsi rincontra l’amore della sua vita la sera dell’addio al celibato in un locale di spogliarelliste. Ci sono mille e una domande che le formicolano il cervello, ma solo una sembra riuscire ad avere la meglio: che cazzo fare adesso?

 

Poi vede anche Sam, il braccio avidamente appoggiato sulle sue spalle, quelle assurde e gonfie labbra da trota a sussurrarle qualcosa all’orecchio. Qualcosa di divertente a giudicare dal modo in cui lei ride. Qualcosa di dolce, forse, a giudicare dal modo in cui lei lo bacia.

 

Una volta sarebbe corsa al tavolo, irrompendo con la sua dose di veleno misto ad ironia, facendo sentire tutti a disagio, e poi avrebbe preso Brittany per parlare con lei a quattrocchi. Una volta, forse.

 

Distoglie lo sguardo, beve, e tutto torna a scorrere veloce, esattamente come il battito del suo cuore. C’è qualcosa di profondamente sbagliato e perverso nel destino, questo è certo.

E c’è qualcosa di sbagliato anche in lei. C’è una parte di lei, la parte più razionale, che sta cercando in tutti i modi di spingerla a raccogliere le sue cose ed andare via. Subito, veloce, senza dare nell’occhio.

Eppure non si muove. Da brava masochista rimane lì, sperando che Brittany la noti, che Mike le si avvicini a dirle almeno ciao, che Sam faccia l’uomo e venga a parlarle.

 

Nulla. Niente succede per mezz’ora, finché l’ennesima insistente richiesta di Cameron il barista di salire sul palchetto-karaoke del locale non le porta alla mente un’idea folle. Cantare per lei.

 

Sì, ma cosa?

 

“Tieni d’occhio la mia roba, Cam” mormora al barista, sistemandosi i jeans e il tanto morbido quanto caldo maglione di cotone grigio che, se non fosse stato per Kurt e i regali che le fa grazie al suo lavoro per Vouge.com, non si sarebbe potuta permettere.

 

Nella sua testa passano parole confuse di tante canzoni, tante quante sono le cose che sente di doverle dire e non ha avuto più occasione di dirle, sia per ‘merito’ suo che di Brittany. E sente pure il cuore rimbombarle nel petto mentre passa davanti al loro tavolo. E anche parecchi sguardi su di sé ancor prima che riesca ad arrivare sul palchetto, un semplice rialzo di legno.

 

“Grazie, grazie, troppo buoni” mormora accedendo il microfono, rispondendo con un sorriso imbarazzato agli applausi che le arrivano, merito della sua fama o forse del suo sedere perfetto, difficile dirlo.

 

Si sposta verso il piccolo computer che contiene le basi per il karaoke, chiedendosi ancora una volta il perché lo stia facendo.

Forse perché sente di meritarsi di stare ancora male, forse perché non ha ancora imparato a comunicare con le parole, a meno che non si tratti del testo di una canzone.

Sì, ma quali parole? Cosa deve dirle?

 

E poi, mente l’indice scorre sulla rotella del mouse, capisce. Come un flash, si ricorda di una cosa. ‘Questo non è un addio’ aveva detto a Brittany quel pomeriggio di cinque anni fa in aula canto.

Invece lo era stato eccome, ancora una volta ha avuto ragione la sua paperella. Solo che lei non le ha mai detto addio e, probabilmente, meriterebbe di dirlo ad alta voce.

 

La sua mano sinistra clicca sulla lettera J della tastiera senza ulteriori induce, aprendo la cartella relativa al cantante che ha selezionato. Scorre di nuovo con il mouse finché non trova quella canzone. L’ha ascoltata per la prima volta nell’iPhone di Rachel e, leggendo il testo, non aveva potuto fare a meno di chiedersi se quelle parole fossero state scritte apposta per lei.

 

“Probabilmente la mia voce non si adatta particolarmente a questa canzone, ma spero lascerete correre per questa sera” parla a tutti, anche se di tutti a lei non importa nulla.

Le prime note escono dagli altoparlanti e lei non riesce a non stringere avidamente il microfono con entrambe le mani.

 

“Did I disappoint you or let you down?
Should I be feeling guilty or let the judges frown?

'Cause I saw the end before we'd begun,
Yes I saw you were blinded and I knew I had won.
So I took what's mine by eternal right.
Took your soul out into the night.
It may be over but it won't stop there,
I am here for you if you'd only care”

 

Quanti insulti si è presa da Quinn e Noah lo sa solo lei. E se persino due come loro si erano sentiti in diritto di criticare, a ragione, la sua scelta, vuol dire che è stata una stronzata colossale.

Ma lei aveva già deciso ancora prima di parlare con Brittany, non voleva vedere la sua ragazza stare male mentre era ancora SUA, o stare bene con qualcun altro alle sue spalle.

Conosceva e conosce Brittany come le sue tasche, eppure solo dopo si è resa conto di quanta poca fiducia riponesse nella loro relazione.


“You touched my heart you touched my soul.
You changed my life and all my goals.
And love is blind and that I knew when,
My heart was blinded by you.
I've kissed your lips and held your hand.
Shared your dreams and shared your bed.
I know you well, I know your smell.
I've been addicted to you”

 

La sua mano sinistra stringe ancora il microfono mentre la destra si solleva a mezz’aria, sfiorando i contorni di Brittany come se ce l’avesse davanti.

Tiene gli occhi chiusi, ricordandosi a memoria quel viso e quel corpo che ha imparato a conoscere nel corso del tempo, prima come amica, poi come passatempo e infine come amore puro.

Manda giù il groppone che le si è annodato in gola, strizzando le palpebre per non piangere.

 

“Goodbye my lover.
Goodbye my friend.
You have been the one.
You have been the one for me”

Le stesse parole che le disse quel giorno. E difatti lei non ha mai cercato qualcun altro. Perché farlo e mentire quando sai che il tuo cuore appartiene a qualcuno? A Brittany?

E la cosa che più le ha fatto male non è stato perdere il suo grande amore, perché lei non era solo questo. Era anche e soprattutto la sua migliore amica, l’unica in grado di capirla e di sopportare le sue famose crisi isteriche.

 

“I am a dreamer and when I wake,
You can't break my spirit - it's my dreams you take.
And as you move on, remember me,
Remember us and all we used to be
I've seen you cry, I've seen you smile.
I've watched you sleeping for a while.
I'd be the Mother of your child.
I'd spend a lifetime with you.
I know your fears and you know mine.
We've had our doubts but now we're fine,
And I love you, I swear that's true.
I cannot live without you”

Adesso calde lacrime le rigano le guance ma la voce è ancora salda, decisa. È tutto vero, tutto. Le volte in cui hanno dormito assieme, il tempo prima di svegliarsi passato a guardarla russare appena stretta nel suo abbraccio, a confessarle le proprie paure, a dirle che non esistono mostri sotto i letti.

E la ama, sì. La ama ancora, ma non si fa illusioni. È innamorata di ciò che Brittany era al liceo, dei progetti che avevano insieme. Ora la sua paperella sarà sicuramente una persona diversa, più matura forse. E lei? Cos’è diventata Santana?


“Goodbye my lover.
Goodbye my friend.
You have been the one.
You have been the one for me”

La canzone non è finita, manca l’ultima strofa. Ormai, però, la sua voce è troppo debole per reggere senza rompersi in un seria di singhiozzi.

 

Il pubblico però apprezza lo stesso a giudicare dagli applausi scroscianti che le riservano. Non osa sollevare lo sguardo verso il tavolo di Brittany. No, troppa paura.

 

“Grazie a tutti” sussurra al microfono, trovando infine la voce necessaria a dire “Se vuoi parlare, ti aspetto qui fuori”

 

Coraggio o stupidità; è buffo come il confine tra le due cose sia così flebile da renderle praticamente inscindibili.

 

Lo stesso coraggio che la porta a camminare ben dritta con la schiena, seguendo lo stesso percorso che l’ha portata sul palco, senza vergognarsi minimamente del trucco leggerissimo colato e delle guance umide.

 

La stessa stupidità che la porta a indossare il chilo di stoffa con cui è uscita di casa, rimandare il boilermaker offerto da Cam ad un’altra sera e aspettare fuori dal ‘Not in my house’ qualcuno che sa che non verrà.

 

Aspetta oltre un’ora, congelandosi le estremità del corpo e le guance, ancora umide, mentre la sua testa elabora una serie di discorsi da fare a Brittany quando uscirà. Scuse, perdono da ottenere con il tempo, un’altra occasione solo come amica, una panoramica sulla sua vita. E sì, persino un’accurata serie di domande su come vanno le cose con Sam.

 

Un’ora. Un’ora e dieci. Un’ora e mezza.

 

“Quanto tempo devo rimanere qui prima che ti decida ad uscire?” ringhia a bassa voce, tremando dal freddo e dalla rabbia.

Peccato che la domanda giusta non sia questa, bensì ‘quanto tempo devo rimanere qui prima che di rassegnarmi al fatto che non verrà?

 

E la risposta a questa nuova domanda è mezz’ora.

Dopo due ore, persino la sua parte emotiva o  masochista o quello che è si arrende all’evidenza di una verità che già sapeva.

 

Santana non le ha mai detto addio, ma Brittany l’ha fatto tanto tempo prima, forse ancora prima del famoso discorso in aula canto.

Qualcosa, dentro Santana, le dice che ha perso Brittany nel momento esatto in cui le ha sentito pronunciare “Tu mi hai abbandonata, e questo mi ha ferita”.

 

Cantare quella canzone per lei è stato molto stupido, perfettamente inutile, eppure sempre quel famoso qualcosa le dice che le è servito. È servito a lei per riuscire a voltare pagina, è servito quantomeno a dirle finalmente addio.

 

 

 

 

Note dell’autore.

 

… ok, innanzitutto la colpa di tutto questo angst è del sistema universitario italiano che mi stressa e mi rende particolarmente nervoso.

Scherzi a parte –mica tanto, è la pura verità–, ho scritto questa cosa dopo la quarta puntata della quarta stagione e ho apportato solo alcune correzioni per seguire gli eventi del telefilm.

Di quella puntata mi ha colpito particolarmente la scena di cui parlo alla fine, quello dello scherzo di Kitty alla schiavetta asiatica di Tina.

Spero che Santana non risulti troppo OOC.

E … niente, non saprei cos’altro dire se non grazie a chi è arrivato in fondo senza cadere nella tentazione di premere la x in alto a destra.

Pace. 

P.S. mi sono accorto tardi non aver inserito i credits della canzone che fa anche da titolo alla one-shot. Shame on me. Si tratta di 'Goodbye my lover' di James Blunt.

  
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