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Autore: Cassandra Morgana    18/02/2013    0 recensioni
Sullo sfondo chiaroscurale di un'Accademia d'Arte Drammatica con troppe maschere da indossare e una posta in gioco che sale, tre ragazzi si incontrano.
Elena vince il proprio mal di vivere grazie a un'amicizia speciale, al ritrovato coraggio di gestire i conflitti e a un forte altruismo; si scontra con Isa, la sua nemesi, voce contraria e complementare che cerca di tessere una storia opposta.
Andrea, ragazzo ambiguo e dalla lingua affilata, vuole recuperare la stima di chi, troppo tardi, si è reso conto di amare.
Gabriele imbroglia la propria depressione fumando spinelli, nutre sentimenti ambivalenti verso Andrea e gioca da burattinaio.
Tra pettegolezzi sussurrati, volontà opposte in rotta di collisione, ambizioni frustrate, gelosie, complotti sotterranei, storie di ordinaria omofobia, dark enigmatici, musicisti irascibili, ex amanti, amicizie inossidabili e amori taciuti, in una storia in cui ognuno vuole far sentire la propria voce, resta solo stabilire chi sia Cleopatra e chi il serpente che le insidia il seno.
[Storia sesta classificata e vincitrice del premio "Stile e scrittura più originale" al contest Chi è normale non ha molta fantasia - La storia più originale su EFP, indetto da Butterphil]
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Il bacio dell'aspide ~ la serie'
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Capitolo 53

The day after tomorrow

 

 

Buonasera, stronzi.

Vi aspettavo, sapevo che non avreste tardato – mai quanto io farò tardi con Andrea, e per colpa vostra: due chiacchiere al chiaro di luna e si digerisce meglio.

E sì, lo so: vi farà strano ritrovarvi a un palmo di naso Derossi lo schizzato, quello che si è fritto il cervello e va in cerca del lume perduto. Quasi quanto a me il pensiero di pararmi di fronte a voi, un attimo prima che mi sbattiate la porta in faccia, a me e alla mia peggiore faccia da psicopatico. Sorriso asimmetrico, occhi socchiusi, sopracciglia distese, nervi tesi fino allo spasmo.

 

- Derossi, che cazzo vuoi? – Basile si tira i capelli all’indietro sbuffandogli in faccia la sua noia di semidio annoiato, costretto a calcare il suolo come un mortale qualunque.

Gabriele lo squadra da capo a piedi. Ivan Basile in tutta la sua maestà di capelli color inchiostro che colano sulle spalle, occhi infossati da rapace e scarponi dalla punta rinforzata.

Parola-chiave, improvvisare – Andrea insegna, bontà sua.

Perché, se ti sei messo nel sacco Neri e, per poco, l’Accademia intera, che sarà mai un deficiente gasato col delirio d’onnipotenza facile e i bicipiti pasticciati da un tatuatore alcolizzato?

- Un compromesso, caro – il sorriso si allarga.

Facciamo un gioco?

- Evapora da un’altra parte! – Basile inghiotte lo spazio che li divide avanzando con passo marziale, le spalle rigide, la faccia una maschera d’acciaio: forse cerca di intimorirlo con la minaccia subliminale di un democratico pestaggio due contro uno, ma con lui il meccanismo non attacca – Non ti è bastato rincoglionire Lastella con le tue cazzate? Non si fida più nemmeno del suo culo e sclera per niente. Grazie a te.

- Oh, poverini, accusati ingiustamente! Molto rumore per nulla – Gabriele arriccia le labbra in un broncetto infantile – Cosa vuoi che siano… insulti, minacce, bullismo, deliri da “cosa nostra”, sigarette spente sul braccio, e a uno che ha il solo torto di starti sul cazzo? Quisquilie. O forse ti rode che il tuo amico stia iniziando a svegliarsi e a capire che merda sei?

- Derossi, vattene!

- Se no, che fai? – Gabriele lo scimmiotta scuotendo le spalle e sgranando gli occhi.

Andrea, la tua miniera d’oro è che provochi e fai il cretino e sembri cercare botte: ti ho osservato bene, ora non mi resta che riprodurre il modello. Superare il maestro.

- Mi picchi? – prosegue – Ti fai aiutare da qualche leccaculo di fiducia per imboscarmi una pasticca nel bicchiere?

Calmo, Gabriele. Calmo. Osserva le sue reazioni e rilancia di conseguenza. Non attaccare per primo.

Basile distoglie lo sguardo; cerca l’appoggio di Piani, ma lui preferisce pigiare sui tasti del telefonino con un accanimento ai limiti dell’isteria, terminare la partitina a Snake o qualcosa di simile e passarsi una mano tra i quattro peli unti che gli coprono il cranio. Movenze effeminate da presa per il culo.

Sospiri: proprio il tipo che, piuttosto che infilargli le dita dentro i pantaloni, le infileresti più volentieri nella presa della corrente. Agghiacciante.

Tra un po’ rido io.

Moro non si è fatto più vedere: forse si vergogna della propria omertà, forse ha avuto un attacco di dissenteria o ha fatto da cavia per l’intruglio da propinare a Thompson – conoscendoli anche per sommi capi, si aspetta questo e altro.

- Succedono robe strane, là sotto – incalza, luciferino – Ho un dubbio che mi rode il cervello.

- Hai preso una botta in testa? – Basile cerca di sorridergli di rimando, di buttarla nel ridicolo, ma le labbra si storcono in una strana smorfia.

- Nah. Ho visto una cosa… e non ti farà felice.

- Un’altra visione psichedelica?

- Quasi – Gabriele si ravvia i capelli arruffati, il movimento speculare a quello di Piani che continua a fargli il verso – Qualcuno ha buttato una pasticca nel drink di Alex Thompson.

Scuote le ciglia, ispirato. Parola d’ordine, improvvisare. Qualunque cosa ne verrà fuori.

Caro Neri, sei una schifezza d’uomo, ma come insegnante sapevi il fatto tuo: ci mancherai.

- … che, in questo momento, sta vomitando l’anima aggrappato alla tazza del cesso. L’ho visto coi miei occhi.

Bugia: non hai visto niente, ma fa atmosfera.

- Di cosa ti sei fatto, stavolta? – Basile allunga le mani e lo scuote per le spalle – Roba tagliata male, vedo. La stessa che hai passato a Thompson?

- Il cameriere, Tony, è un vostro amico? – gli sussurra Gabriele, ignorando ogni deviazione sul tema “droga” – Oltre che stronzo di proporzioni cosmiche.

- Va bene, ho capito – Basile annuisce col capo – Hai prove per dimostrarlo? Qualche testimone? Denuncialo. Sempre che ne abbia le palle. Peccato che nessuno ci crederà… al primo fattone fuori di testa che si presenta in questura con storie assurde cagate sul momento. Ma tu fai come vuoi: basta che non mi rompa troppo i coglioni.

- Ecco, arrivi dritto al punto – Gabriele quasi grida, lo sguardo che schizza fino al soffitto simulando l’illuminazione dell’ultimo secondo, la parola magica che scioglie dal dubbio; gli punta un dito contro il petto – Pensare che sembri idiota, eh! Le prove, i testimoni: dici niente! Dove sono?

- È questo il tuo problema? – Basile sorride, beffardo – Intanto che aspetti il miracolo, puoi fare l’unica cosa utile: chiamare il 118 per il tuo amichetto strafatto e lavarti la coscienza da bravo cittadino. A me non me frega un cazzo: non è mio amico, non lo conosco, non sono il paladino degli sfigati. Può anche strozzarsi, dentro quel cesso.

- Voi tre – Gabriele gli fa scivolare gli occhi addosso, poi passa a Piani, che solleva di colpo lo sguardo, quasi interessato alla piega del discorso – Eravate lì davanti al bancone, no? Quindi avrete visto per forza. Inutile che cerchiate di difendere il vostro barman di fiducia.

Basile scoppia a ridere, l’isteria palpabile come energia elettrostatica – forzatissimo, e meno male che studia per diventare attore…

- Tu sei fuori, Derossi, se pensi che verrò a testimoniare per te contro un mio amico e sulla sola base delle tue stronzate! Thompson frequenta gente di cazzo: a quanto ne sappiamo, la roba può avergliela passata chiunque. Magari si è imbottito di psicofarmaci, oppure ha mangiato qualche schifezza e ha sboccato.

- Thompson non si è mai mosso da qui.

- Può essere stato chiunque… se è vera la tua storia della roba somministrata di nascosto. C’era troppo casino: un attimo di distrazione, e il resto lo sai tu.

- C’eravate solo voi – Gabriele incalza – Devo pensar male?

- Derossi, piantala con questa storia!

- Allora è peggio – Gabriele annuisce, le labbra tirate – C’era il cameriere e c’eravate voi, il trio delle meraviglie. Curioso: se non è stato Tony, è stato uno di voi. E adesso vi coprite a vicenda.

- E brava Jessica Fletcher! – Piani si è risolto a far sentire la sua voce, una faccetta sprezzante tragicamente fuori luogo – Cosa vuoi fare? Denunciare? Nessuno ha visto nulla, tranne te che non capisci una mazza.

- Ma tutti hanno visto voi tre appollaiati di fronte al bancone. E Thompson pochi metri più in là.

- Cosa vuoi fare? Rispondi alla mia domanda! – Basile è passato a un ringhio basso e sordo, la fronte imperlata di sudore.

È caduto nel sacco.

- Innanzitutto, parlarne con qualcuno che può aiutarmi. Tipo… Patrizio. Sì: conosce certi andazzi. Conosce voi – cinguetta.

Ed è la goccia che rompe gli argini.

Perché l’eventualità di una reazione violenta messa sul piatto della bilancia è un conto, un’ipotesi nebulosa; la mano di Basile che ti cala addosso come un maglio, ti afferra per il colletto e ti sballotta avanti e indietro fino a schiacciarti contro la parete, ha qualcosa di tanto suggestivo da mozzarti il respiro, le sue nocche premute sotto la gola come un pugnale e le scapole pressate contro il muro. I muscoli delle spalle che urlano per la posa forzata.

- Mi stai soffocando…

- Prova a lasciarti sfuggire con Patrizio un decimo delle tue stronzate, e io ti spacco il culo nel modo che non ti piace – abbaia a due centimetri dalla sua faccia, l’alito che sa di birra e alcool, il respiro accelerato che frusta l’aria.

- Come sei volgare…! – squittisce Gabriele.

Prova a scartare a sinistra, ad allentare la presa, ma Basile lo marca stretto contro il muro; la mano scende sul torace, pressandolo nello spazio di una mattonella.

- Zitto, Derossi. Patrizio è capace di dare i numeri e mollare la baracca per molto meno. Prima di sabato. Non vorrai che la nostra serata allo Chat Noir se ne vada a puttane per colpa tua…

- Oh, adesso lo dici! – Gabriele ridacchia, tanto per ricacciarsi in gola la paura di un diretto in mezzo agli occhi – Hai paura che Patrizio scopra le tue puttanate e ti molli su due piedi! Che ti rovini la festa. Tu e la tua band. Che ci sarà di speciale allo Chat Noir? Un agente discografico di fama mondiale che aspetta solo voi? La tua mamma?

- Poche palle, Derossi! Una parola, e ti faccio piangere.

- Dovrai ammazzarmi – Gabriele gli serra le dita intorno al polso, intimandogli la resa, mentre la paura sale lungo la spina dorsale – Per ottenere il mio silenzio, amico. Ma posso sempre patteggiare.

- Non sono tuo amico e non patteggio con nessuno, tanto meno con un tossicomane del cazzo! – Basile indietreggia.

Lo afferra per un lembo della felpa e lo attira verso di sé, prendendo lo slancio, per poi scaraventarlo contro il muro come se la sua vista, il suo sorriso obliquo, gli occhi che gli scavano tra le pieghe del viso, gli corrodessero la faccia come acido.

Le dita riposte al sicuro nei passanti della cintura, lontano da lui che respira ansimando, attende sui carboni ardenti. Piani fissa il pavimento. Fanno di tutto per mascherarlo, ma la paura si affetta che è uno spasso. E odora quasi di miele, con lui che sta lì e centellina la loro angoscia come nettare e ambrosia.

- Ipotesi numero uno – Gabriele tossisce, libero dalla sua morsa soffocante – Vi denuncio tutti e quattro. Thompson lo convinco io. Patrizio non sarà felice. Il resto, pazienza: non posso dimostrare che siete complici, ma qualcuno potrà casualmente ricordare di avervi visti appiccicati al bancone a parlottare. Come le carogne schifose che siete.

- Maledetto… – Basile stringe i denti: forse sta per capitolare.

Se sarà fortunato, troverà un compromesso conveniente. In caso contrario, si ipotecherà il culo, sicuro com’è vero che ora sta sudando freddo. Che la maschera dell’uomo che non deve chiedere mai non regge più e gli penzola giù dalla faccia come uno straccio inutile, come cemento che si sgretola.

- Ipotesi numero due: io non dico niente a Patrizio, lo tengo nella sua beata ignoranza almeno fino a sabato, ma voi domani venite con me e confermate tutto quello che dirò. Che avete visto Tony buttare una pasticca nella birra che stava per servire. A voi la scelta.

- Fatti curare, Derossi: sei da manicomio. Vedi cose che non esistono.

- Grazie del consiglio – Gabriele si scuote la polvere di dosso, ghignando – Avete tutta la notte per pensarci. Domani mattina passo a riscuotere.

- Passa prima a riscuotere le marchette dell’altro giorno, brutto frocio di merda! – Basile gli sputa addosso gli ultimi filamenti di veleno, ma lui ormai non li sente più, e quegli insulti schiumanti di rabbia scompaiono alla sua svolta d’effetto, dietro l’angolo in penombra che lo accoglie come un sentiero conosciuto, mentre l’orologio a pendolo batte le undici e gli vibra fin dentro le viscere – Tanto lo sappiamo tutti, che Neri lo sbatteva in culo anche a te. Che sei un fallito.

E tu lì che stringi le palpebre e allunghi il passo, una stretta allo stomaco. Incasserai anche questa: una in più o una in meno, non ti cambierà la vita. Perché tra non molto riderai tu.

 

* * *

 

- Alex, che hai?

Si è lasciato andare sul divano – è crollato di peso, la testa che ciondola sulle spalle, gli occhi socchiusi fissi in un punto a caso, a metà strada tra le sue sopracciglia e l’attaccatura dei capelli, o forse oltre. Boccheggia, un basso mugolio gutturale.

- Mi sento strano – la voce impasta i suoni in un borbottio cantilenante e discontinuo – Troppa luce… c’è troppa luce – si strofina gli occhi, li riapre di scatto e scuote le ciglia, come se mettere a fuoco gli oggetti gli costasse troppe energie.

- Alex, ascoltami! – Patrizio gli afferra il volto tra le mani – Che hai fatto? Cos’hai preso?

Che cazzo ti è successo, maledetto ragazzino?

- Niente. Sei tu che abbagli. Mi fai venire il mal di testa – Alex scuote il capo; lo sguardo oscilla qua e là per la stanza come se un rollio immaginario sotto le scarpe ostacolasse l’impresa di mantenere l’equilibrio, di mettere a fuoco un’immagine per il verso giusto – Non riesco a seguirti… è tutto pieno di farfalle. Di scintille. Sei tu – ridacchia – Sei troppo bello… per me. Smettila di accecarmi.

C’è un grumo di lucidità che riverbera in fondo alle pupille, ma il suo sguardo resta aggrappato altrove, dietro di lui, sul filo di un’allucinazione. Le palpebre si accartocciano sotto una lama di luce immaginaria.

- Alex, guarda che riconosco, uno che è strafatto. Guardami un attimo. Dritto negli occhi – parlargli a due centimetri dalla faccia e scandire i suoni è l’unica soluzione, prima che si perda – Hai due fondi di bottiglia al posto delle pupille.

- Sono stanco – Alex lo spinge via e raccoglie le ginocchia contro il petto, il respiro accelerato; si sfrega le palpebre e deglutisce a fatica, ma continua a tenere le distanze – Domani sono come nuovo… te lo giuro, eh, te lo giuro.

- Hai preso qualcosa? – Patrizio gli afferra le mani e intreccia le dita alle sue: priorità assoluta, mantenerlo vigile il tanto che basta a fargli sputare cos’è che ha combinato là sotto.

- No, davvero. Te lo giuro – ripete, sciogliendosi dalla sua presa, i piedi di nuovo saldi a terra – Te lo giuro. Cos’ho preso?

- Dovresti saperlo tu.

Alex si drizza in piedi, mosso da una forza ancestrale, le gambe molli e la testa che gli ricade in avanti. Barcolla sul posto e si preme le mani sulla bocca, deglutendo a ripetizione.

- Dove diavolo vai, adesso?

- Scusami un secondo… – biascica.

Non lo vede: scivola via sotto i suoi occhi come un pugno di sabbia tra le dita, come un liquido viscoso. Incespica sui propri piedi, sfuggente come l’imprecazione che soffoca tra i denti, un mugugno confuso nel poco spazio che gli concedono le mani pressate in faccia. Un urto secco con l’anca contro lo stipite della porta del bagno, le misure prese male e le percezioni che se ne vanno per i cazzi loro. Annaspa in avanti, le braccia tese.

Il tempismo di aggirare l’ostacolo, socchiudere la porta con un calcio e chinarsi davanti alla tazza a vomitare l’anima – questa era facile.

Patrizio indietreggia verso il divano, una goccia di sudore freddo che gli ghiaccia la nuca.

È successo tutto nel misero, dannato quarto d’ora in cui l’ha lasciato di sotto a farsi la birretta della buonanotte. Mezz’ora al massimo. Mezz’ora ed è successo il finimondo. Nessuno che si sia curato di avvisarlo.

Il cellulare che squilla a vuoto, in bilico sul comò, lo fa sobbalzare.

Messaggio. Luca. Che, al novanta per cento, si scuserà per essere sparito così: l’ha aspettato per niente, ha lasciato Alex di sotto a sfasciarsi per lui che preferisce dileguarsi nell’ombra e seguire il disegno del momento, l’impegno improrogabile, il canto della sirena che lo chiama. Signorsì, signora.

Non ora, cazzo.

- Alex, tutto bene? – grida.

- Quasi…

Silenzio. Il ticchettio dell’orologio da parete gli martella addosso come uno spillone infilato nelle tempie. Le undici e mezza. Lo scroscio della doccia aperta al massimo esplode come una sveglia improvvisa. Un sospiro. Patrizio infila lo sguardo oltre la fessura della porta chiusa a metà – spiare non sta bene, ma la priorità assoluta è assicurarsi che sia ancora vivo, che non stramazzi al suolo. Il riflesso frastagliato sulle mattonelle gli rimanda una figura esausta seduta a gambe incrociate sul piatto della doccia, con l’acqua che le tamburella addosso e scivola giù per la nuca. Sbuffa, piega la testa all’indietro e si lava la faccia: forse lo shock dell’acqua fredda schiaffata addosso l’ha sbalestrato di nuovo nel mondo dei vivi. Lo sente quasi sulla sua pelle, Patrizio, mentre se ne sta incollato alla parete e attende uno schiaffo in piena faccia.

Questo non era previsto, cazzo. Non Alex, non Luca che schizza da una parte all’altra come una girandola impazzita, lasciando pezzi in giro. Che dà di matto e rinsavisce a suo uso e consumo.

- Ma ti sei ubriacato?

Non è tipo da superalcolici, Alex, non è tipo da sbronza facile, da “bevo per dimenticare perché sono depresso, e questa è l’unica cosa figa che so fare, oltre a forarmi le labbra e infilarci minuscoli cerchietti di metallo vile”. Non è tipo che assume stupefacenti random per tastarne l’effetto, che pesca pillole a casaccio nell’armadietto dei medicinali, che imprime la giusta scossa al suo apprendistato da suicida per caso perché il trio Miracoli gli tiene il fiato sul collo e Loria non lo caga. Lui è tipo da tisanuccia per dormire.

- Non lo so! – urla Alex, la voce che sovrasta per miracolo il martellare costante della doccia sparata addosso.

Si rialza con le ginocchia pesanti, una mano premuta contro il boxe e il telefono della doccia come supporto. Si sfila la maglia inzuppata.

Patrizio distoglie lo sguardo: assicurarsi che non si schianti a terra da un momento all’altro, è uno scopo nobile – cadrebbe di faccia. Spiarlo con due occhi così, mentre si strappa i vestiti di dosso, seminudo e poco presente a sé stesso, sarebbe patetico e malato.

- Come non lo sai?! Che cazzo hai bevuto?

- Il solito – un barlume momentaneo di razionalità che gli consente di calciare i vestiti fradici fuori dal boxe e ruminare risposte che suonino coerenti.

- Sicuro di non aver preso altro?

- Non mi ricordo, Patrizio, non lo so! C’era un casino. Ho un casino in testa.

Puoi anche dirlo, che ti sei fumato o hai alzato troppo il gomito o hai fatto qualche strano mix: non sono tua madre, non ti metto in punizione. Ma non sei il tipo che si stona in mezz’ora.

Vita di merda.

Patrizio si lascia andare contro il comò, il freddo delle mattonelle sotto il sedere come una presenza rassicurante. Forse il peggio è passato.

Il cellulare stretto tra le dita, un occhio sullo schermo e l’altro sulla porta del bagno, attende. Se Alex ha intenzione di collassare, di finire la sua serata disteso a tappetino sul pavimento del bagno, potrà sempre avvisarlo in tempo.

 

Scusa me se sono andato. Sono da Manuela. Ci vediamo domani. Luca.

 

Signorsì signora, comandi. E vaffanculo.

 

Patrizio scuote il capo: almeno con Elena non correva da una parte all’altra come un flipper impazzito, macinandosi cinquanta chilometri al giorno appena il sergente chiama.

Con Elena sarebbe semplicemente peggio, se fosse una cosa alla pari, con un piede in due scarpe e due storie contemporanee e parallele, perché a obbedire a un padrone, dopo un po’ puoi farci il callo; dividersi tra due padroni sfrecciando da un capo all’altro della galassia, mina alle tue facoltà psichiche. Specie quando non sai nemmeno deciderti tra il brodo di dadi e il cioccolato fondente. Specie se il senso di colpa sedimentato in fondo allo stomaco ti trasforma in un ibrido tra il bravo fidanzatino che fa felici mamma e papà, e lo zerbino su cui grattarsi il fango sotto le scarpe.

Sorride, Patrizio: lui non ha mai dato grane in tal senso. Non a casa, non altrove. Il tutto fu digerire la barzelletta del gemello etero e il gemello gay con buona pace del parentado, e poi via a preparare le frittelle per il pranzo della domenica – a volte basterebbe poco. Invece Luca continua a fottersi con le sue mani, a martoriarsi le cicatrici con un’ostinazione tale da riaprire le ferite.

Nessuno batterebbe ciglio, se domani si presentasse a casa con una valigia di lenzuola da lavare e la mano avviluppata a quella di Alex – o di Andrea, che ha sempre avuto un’immensa faccia di bronzo. Chissà cosa succederebbe, se domani Luca si presentasse a casa con la notizia del secolo…

Ma lui è sempre stato uno che ci tiene, a complicarsi la vita fino a trasformarla in un cumulo di stracci sporchi. E Manuela è un tipo impegnativo. Con lui che diventa l’ombra di sé stesso e lei che ciancia di un futuro tagliato con la squadra e chioschi di bibite sulla spiaggia per mettere insieme uno stipendio, e convivenze raffazzonate e appartamenti in città.

Non era lui il fratello problematico, lui e il suo piercing al labbro e le spille da balia per tenere insieme gli strappi sui jeans, i capelli per aria, la chitarra sottomano e i ragazzi da portarsi su in camera: ha sempre saputo cosa voleva. Luca è ancora lì che sfoglia la carta del menù e inciampa nella trappola della scelta obbligata.

Non era lui l’adolescente complicato che si fora il naso e le cartilagini dell’orecchio con chincaglierie assortite – come dice sua nonna –, che si tinge i capelli di colori assurdi e suona musica punk in garage. Non quando c’è uno che preferisce rovinarsi la salute mentale con una che vuole l’uomo perfetto, e poi sforzarsi di far quadrare i conti infognandosi dentro storie ai confini del masochismo appassionato.

- Alex, stai bene? – Patrizio si alza di scatto: per poco non spedisce il cellulare a fottersi dall’altra parte della stanza.

Alex riemerge dal vapore del bagno con i capelli mezzo umidi incollati alla nuca e il pigiama indossato a cazzo sulla pelle nuda, la camicia aperta fino all’ombelico e i pantaloni appesi all’altezza delle anche. Odora di collutorio alla menta che lo sentiresti nel raggio di un chilometro – si sarà sciacquato la bocca quindici volte o giù di lì, da perfettino rupofobico qual è –, più qualcosa di delicato e persistente che ti si incolla al palato. Forse disinfettante.

Solleva la mano, Alex, un cenno svogliato che suona come un “non preoccuparti”. Striscia fino al letto e si lascia andare a faccia in giù, le palpebre strizzate sotto l’impulso di un capogiro, immobile per scongiurare il rischio di rimettere la colazione dell’altro giorno – forse funziona così, con un principio di trip da acidi, se di solito vai liscio. Sospira e sprofonda con la faccia nel cuscino, troppo devastato per alzare un dito.

- Va meglio? – Patrizio si avvicina e gli scosta una ciocca di capelli dal viso con dita tremanti – Sei pallido.

Il conte Dracula ti spiccia casa.

- Va dimmerda, Patrizio – un miagolio soffocato, mentre rotola sul fianco destro con un braccio incastrato sotto il cuscino e tutta la circospezione necessaria a non riprendere a vomitare stile “L’Esorcista” – Dimmerda, come sempre.

Patrizio gli allunga una carezza sulla schiena e gli drappeggia addosso una coperta di pile – vietato provare a spostarlo –, srotolandogliela fino ai piedi. Le unghie del piede sinistro smaltate di nero non le aveva mai notate, ma forse sono prove tecniche.

Sarebbe delizioso, se non fosse un magnete vivente per le sfighe più improbabili. Se non fosse a un passo dal rigor mortis.

Pensa, Patrizio, pensa: non è normale. C’è qualcosa che si incastra male.

Alex, bar di sotto, sfiga, alcool, casino, gente che lo vuole morto, trip indefinibile, droghe, strane visioni… Dove ero rimasto?

Mezzanotte in punto e nessun gallo canta. Solo luci artificiali desolate dalla strada, il parchetto ben curato qualche metro più in basso oltre la finestra, e il filo che si attorciglia su sé stesso.

   
 
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