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Autore: _Syriana    18/02/2013    3 recensioni
Ci sono momenti nella vita in cui devi fare una scelta: decidere se essere sincera e pagare le conseguenze delle proprie azioni, oppure mentire.
Mentire o essere sincera?
[...]
- Tesoro, – si rivolse direttamente a lei – quel ragazzo è pazzo di te, ma hai ragione. Devi aspettare di essere pronta per dirgli una cosa così importante. Insomma –
[...]
- …Non si comunica mia tutti i giorni al proprio ragazzo di aspettare un figlio! – concluse la donna.
Genere: Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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A Ross, che mi minaccia e a cui voglio un bene dell’anima.
A Giusi, perché lei lo sa.
A Claudia, perché, nonostante tutto,
sono stati cinquantasette giorni fantastici.

 
 

Breathless

 
Ci sono momenti nella vita in cui devi fare una scelta: decidere se essere sincera e pagare le conseguenze delle proprie azioni, oppure mentire.
Mentire o essere sincera?
Quando quella mattina si era svegliata, con il corpo caldo di lui premuto contro la sua schiena e un suo braccio attorno alla vita, si era sentita –come sempre, anche dopo due anni- in pace, e completa. Si era voltata e aveva sorriso nel vederlo ancora addormentato, e gli aveva dato un bacio leggero sulle labbra. L’aveva visto fare una smorfia, prima che una sua mano salisse alla nuca di lei e la premesse di nuovo contro di lui, per unire un'altra volta le labbra alle sue, in un bacio profondo che la lasciò senza fiato – Questo è un bacio del buongiorno – le sussurrò sulle labbra, la voce ancora roca per il sonno. Lei scoppiò in una risata leggera, prima che le morisse sulle labbra e si alzasse, correndo in bagno, sbattendosi la porta alle spalle. Sentì distintamente Justin battere sulla porta del bagno, chiamarla e chiederle se stava bene.
Se stava bene.
Lei non stava bene, non esattamente: da otto settimane si alzava con la nausea ogni mattina e rimaneva piegata ore in bagno, con la fronte sudata per gli sforzi.
Erano otto settimane che aveva voglia di frittelle di mele ricoperte di cioccolata e zucchero.
 - Sei incinta, Caroline, di sei settimane – le aveva detto Eloise Weiss, qualche settimana prima quando Alexandria, preoccupata per la sua salute, l’aveva obbligata ad andare in ospedale a farsi una visita.
Lady Eloise Weiss le aveva sorriso, e le aveva poggiato una mano sulla gamba – Non ti preoccupare. Andrà tutto bene – aveva una voce dolce e rassicurante, ma Caroline sapeva che in realtà non era esattamente così. Non andava tutto bene, non sarebbe andato tutto bene 
Congratulazioni – concluse poi la dotoressa, voltandosi e sorridendo verso Alexandria, che era rimasta con Carol anche durante la visita e che ora la guardava con uno sguardo indecifrabile. – Caroline – iniziò a dire la cugina, avvicinandosi, con voce incerta. Lei scosse solo la testa             
-  Andiamo a casa, Sandria. Andiamo a casa-.

 
Erano iniziate le sue settimane d’inferno, tra bugie e scuse. Non l’aveva detto a Justin, dubitava che ci sarebbe mai riuscita, anche se sapeva che prima o poi avrebbe dovuto saperlo. In fondo, era suo figlio.
Uscì dal bagno, una mano sul ventre, già leggermente gonfio. Justin la guardò, con uno sguardo preoccupato. Le si strinse il cuore.
- Cosa succede, Carol? – le chiese, avvicinandosi e posando una mano sopra la sua, ignorando che con quel gesto proteggeva non solo la sua mano, ma anche una vita che stava crescendo.
Alzò lo sguardo su di lui e lo fissò.
Dillo, Caroline, dillo. Non è così difficile: Justin, sono incinta.
-Justin, io… - le si bloccarono le parole in gola – nulla. Solo un influenza. Passerà. – gli sorrise, ricevendo in cambio un altro sorriso, mentre lei, dentro, piangeva.

 
 - Dovresti dirglielo: fa paura, all’inizio, ma poi capirà. Ti ama, Carol, da così tanto tempo che a volte mi chiedo se ci sia mai stato un momento in cui non ti amasse. Non devi aver paura di dirglielo -. Caroline, quando Alexandria le disse quelle parole, si domandò se doveva o meno ascoltare le parole di una ragazza che solo qualche mese prima, sette per la precisione, si era sposata e aveva messo al mondo una splendida bambina.
Alexandria Sullen Mayfield in Eldrige cullava tranquillamente la figlia Violet Clarissa di appena cinque mesi. Era una bellissima bimba, con gli occhi scuri della madre e i capelli biondi del padre e un sorriso che avrebbe illuminato anche la giornata più buia.
- E io dovrei ascoltare le parole di una ragazza sposata e madre di una creatura tanto incantevole? – chiese Carol, accarezzando con un dito la guancia rosea della bambina, che sembrava sorriderle.
- Dovresti ascolatare le parole di qualcuno che è passato su tutto questo prima di te. Ascolta – si alzò e posò la bambina sulla culla prima di sedersi vicino alla cugina – quando dissi a Gareth di essere incinta, avevo paura. Ero una diciottenne, spaventata, davanti a qualcosa che non potevo fermare, davanti ad una vita che cresceva dentro di me. Sono dovuta crescere in fretta, ho dovuto prendere decisioni importanti e non semplici e, lo ammetto, avevo paura che lui mi lasciasse per questo. Ma ho rischiato! Ora, guardami – indicò quello che le circondava – ora ho tutto. Un marito che mi ama, una figlia splendida, una vita quasi perfetta. Ovviamente, a volte ci sono momenti in cui vorrei solo che tutto si spegnesse. In cui vorrei chiudermi in una stanza e urlare, o dormire. Ma rifarei tutto, dalla prima all’ultima cosa – le disse, guardandola negli occhi.
Caroline avrebbe voluto risponderle che per lei era diverso, che non era la stessa situazione, ma si accorse che non era così, che non c’era nulla di differente tra lei e Alexandria. Non avrebbe potuto replicare, nemmeno se avesse voluto: la madre di Alexandria entrò in quel momento nella stanza, reggendo in mano un vassoio con del thè e dei pasticcini. Carol sorrise: i genitori di Alexandria si erano trasferiti da Altieres nella Vecchia Capitale per poter aiutare la figlia con la piccola Violet e quindi permettere ad Alex di proseguire con i suoi studi. Non era raro che delle ragazze madri frequentassero lo Studium mentre le bambinaie o le madri rimanevano a casa ad accudire i figli.
La maggior parte delle ragazze, però, rilegava il compito di accudire i figli alle bambinaie anche durante il pomeriggio; invece, Alex si prendeva cura della figlia quando tornava dallo Studium, perché, a suo dire, non voleva perdersi nemmeno un momento della vita di sua figlia. E lo stesso Greth, che non appena lasciava i suoi incarichi nell’Ordine della Chiave, correva a casa per godersi le sue due donne.
Caroline dubitava che i suoi genitori si sarebbero mai trasferiti da Altieres per potersi prendere cura del figlio della loro figlia maggiore; non che fosse un problema: la madre di Alex, che era l’unica oltre la cugina a sapere che era incinta, era stata felice di proporle il suo aiuto per permetterle di continuare gli studi.
- Un bimbo o due, cosa vuoi che cambi? – le aveva chiesto e Caroline aveva sorriso, un po’ meno spaventata.
- Alexandria cara, - iniziò la madre, guardando la culla dove Violet dormiva senza preoccupazioni – stai convincendo la nostra Caroline a parlare con Justin? Dubito servirà – puntò gli occhi sul viso di Carol, che arrossì leggermente – la nostra cara ragazza è sempre stata incredibilmente testarda quando si tratta di cose importanti. Tesoro – si rivolse direttamente a lei – quel ragazzo è pazzo di te, ma hai ragione. Devi aspettare di essere pronta per dirgli una cosa così importante. Insomma – stava per aggiungere qualcosa, quando Alexandria spalancò gli occhi, puntandogli dietro Carol e la madre – Mamma! – esclamò, ma lady Mayfield ignorò la figlia e completò la frase, proprio mentre Carol si girava e incontrava due iridi verdi che la fissavano senza la dolcezza che era abituata a scorgervi.
- …Non si comunica mia tutti i giorni al proprio ragazzo di aspettare un figlio! – concluse la donna.
 
 
- Mamma – la voce di Alexandria, calma e bassa, ruppe il silenzio che era calato sulla stanza nel momento in cui, voltandosi, lady Mayfield si era accorta che Justin e Gareth erano alla porta del salotto e, senza ombra di dubbio, l’avevano udita.
Alexandria si alzò, prendendo la figlia dalla culla e lanciando un’occhiata alla madre, si avviò verso la porta, posando appena la mano sulla spalla di Caroline, in una lenta carezza incoraggiatrice. Caroline le era grata, ma continuava a fissare in basso, in un punto imprecisato del grande tappeto che ornava la stanza.
Justin, invece, continuava a fissare la fidanzata, con uno sguardo così duro che qualcuno si sarebbe chiesto se mai uno sguardo del genere fosse stato dolce in qualche occasione. E aveva paura, perché conosceva quello sguardo, quel suo lato duro che poche volte aveva visto rivolto verso di lei. Sentiva il terrore stringerle lo stomaco e opprimerle il petto. Ma era il silenzio, quello che più di tutto la inquietava. Quel silenzio che tra loro non c’era mai stato, carico di tensione e elettricità.
- Justin, - iniziò, trovando il coraggio di guardarlo negli occhi, e probabilmente non avrebbe dovuto farlo, perché gli occhi del ragazzo brillarono e solo in quel momento sembrarono prendere vita al suono della sua voce. Si avvicinò a lei, con una calma glaciale – Sono curioso, Caroline. Me l’avresti detto o avresti aspettato che fosse impossibile nasconderlo? – le domandò, ma prima ancora che lei potesse aprire bocca, lui rispose – Ma certo che no. Sai, ho capito che qualcosa non andava quando ieri mi hai detto che non avevi “nulla” – una scintilla di comprensione si accese negli occhi di Carol e si morse le labbra, torcendosi le dita con le mani – tra di noi ci siamo promessi che non ci sarebbero mai stati i “nulla”. Ma tu l’hai usata, e io ho capito che qualcosa non andava – concluse, fissandola. Caroline lo fissava di rimando, e non sapeva cosa rispondere a quelle parole, nonostante la sua mente fosse piena di ragionamenti e pensieri.
Alla fine, l’unica cosa che riuscì a dire fu – Mi dispiace – sussurrò, piano, credendo che nemmeno lui l’avesse sentita. Cosa che, ovviamente, invece fece. E la sua collera esplose.
- Ti dispiace?  Ti dispiace? – urlò, e Carol se ne stupì: poche volte aveva urlato con lei, ma fu solo quando le prese il polso, stringendolo forte, che ebbe veramente paura. Lui non l’aveva mai toccata, se non per farle una carezza o con le labbra a sfiorarle la pelle. Non l’aveva mai stretta senza dolcezza, mai per farle male. Sentiva la pelle pulsare dove lui la stringeva, sentiva il sangue fermarsi alla sua stretta.
Ma furono le sue parole successive a farle desiderare di svegliarsi da quello che sembrava sempre di più un incubo, piuttosto che la vita reale.
- Non sono pronto, Caroline. Non voglio un figlio, non lo voglio ora. Non posso – le disse. Le mancò il respiro in gola, e attorno a lei iniziò a ruotare, mentre le sue parole le rimbombavano nella testa, destabilizzandola. Come poteva dirlo? Era vero, non ne avevano mai parlato, se non una volta e per qualche minuto, per poi accantonare l’argomento. Ma lei credeva li volesse, dei figli, soprattutto nel modo in cui sorrideva e giocava con Violet. A quanto pare, si sbagliava.
- Pensi che io lo sia, pronta? – gli domandò, alzando la testa e fissandolo negli occhi, quasi con rabbia – Pensi che lo sia? Diventare madre alla mia età, sacrificare tutto il mio futuro, quello che avevo pensato di fare della mia vita! – si liberò della sua stretta – Pensi sia semplice? -.
- Non lo so! – sbottò lui – Non lo so, Caroline! Quello che so è che non sono pronto per avere un figlio, non voglio avere un figlio ora! – le girò le spalle, incamminandosi verso l’uscita della stanza – Non ce la faccio, Carol. Mi dispiace – sussurrò, uscendo.
Lei cadde a sedere sul pavimento, le mani al viso, mentre le lacrime iniziavano ad uscirle dagli occhi insieme ai singhiozzi strozzati. Aveva la nausea, ma combatté l’istintodi correre in bagno, rimanendo seduta sul pavimento, finché due braccia gentili non la fecero alzare e la accompagnarono lontano da quella stanza.
 
 
Un mese dopo, Caroline stava meglio. Dopo che Justin se n’era andato, era rimasta giorni a letto, con la febbre alta. Il medico che l’aveva visitata si era preoccupato molto per le sue condizioni: aveva paura che a lungo andare, le condizioni di Carol avrebbero danneggiato il bambino.
Il pensiero che la piccola vita dentro di lei potesse soffrire, l’aveva scossa dallo stato in cui era caduta. E migliorò, per quella vita.
Dopo un mese, in cui era tornata alla sua vita in modo normale, sorrideva ancora e aveva addirittura mandato una lettera a casa per informare i genitori della sua condizione. Non ne erano stati né felici né tristi, bensì le avevano risposto con una fredda lettera in cui le comunicavano che avrebbero raggiunto la Vecchia Capitale verso il termine della gravidanza e la esortavano a scrivere loro ogni settimana, per gli aggiornamenti.
Justin non si era fatto più vedere, e non le aveva scritto. Alexandria le aveva raccontato, dopo aver parlato con Drayden e Gabriel, che era tornato a vivere in caserma e che quasi mai lasciava la sua stanza, se non per i suoi doveri da soldato.
Per quanto le facesse male, nemmeno Caroline aveva mai cercato Justin. La rabbia e il risentimento che provava nei suoi confronti le impedivano anche solo di pensare a lui con troppa concentrazione. I suoi cugini, invece, l’andavano a trovare ogni giorno e scherzavano con lei, facendola ridere e suggerendole i possibili nomi per il figlio. Solo quando uscivano dalla sua stanza, e lei chiudeva la porta, si permetteva di accasciarsi a terra e piangere.
 

- Sei diventata enorme! – la voce di Julian si sparse nell’aria, seguita da una fragorosa risata. Caroline, che aspettava il ragazzo seduta su una panchina del parco, si voltò verso la sua voce. Lo stava aspettando da diversi minuti, lui era in ritardo, come al solito, ma la cosa ormai non turbava molto la ragazza. Lo conosceva da tempo e la cosa era, in qualche modo, confortante. Ci sono cose che non cambiano mai.
- Sono in sei mesi, Julian. E’ ovvio che io sia diventata enorme! – sorrise Carol, alzandosi. Avevano deciso di passare un pomeriggio insieme, lontano dai libri, per poter stare fuori all’aria aperta. Julian le aveva ripetuto mille volte che stare sempre chiusa in camera avrebbe fatto del male al bambino, che al contrario necessitava di aria e sole.
Il ragazzo sorrise e si abbassò verso la pancia della ragazza, arrivando con il volto a qualche centimetro dal ventre – Piccolino, stai facendo diventare  la tua mamma grossa come un cucciolo di orso! – esclamò, poi scoppiò di nuovo a ridere, seguito subito da Caroline, che, incerta tra essere offesa o divertita da quell’uscita, aveva deciso di ridere insieme al ragazzo.
Julian posò una mano sulla pancia della ragazza, ma la ritirò subito con un espressione stupita disegnata nel volto.
- Ho sentito un calcio! – esclamò, divertito, riappoggiando la mano sul suo ventre e cercando di sentire qualche altro calcio. Caroline sapeva quello che Julian aveva sentito, lo percepiva sulla sua stessa pelle, dentro di se, e avrebbe riso anche lei insieme al ragazzo, se, alzando lo sguardo, non avesse incontrato due iridi verdi che la stavano fissando.
Justin la stava guardando da lontano: sentiva il suo sguardo bruciare sulla pelle come fuoco vivo. Percorreva interamente la sua figura, fino a focalizzarsi sulla mano che Julia teneva sulla sua pancia. Anche il ragazzo si accorse della presenza di Justin e ritirò subito la mano, il sorriso che gli si spegneva sul volto.
- Andiamo, Julian – sussurrò Carol, tirando per un braccio il ragazzo.
Sottraendosi a quegli occhi che sapevano ancora farle stringere il cuore.
 
Gareth quella sera, cercava, senza molto esito, ad essere onesti, di far mangiare Violet. Si avvicinava alla bocca della bambina con il cucchiaio pieno di pappetta di color leggermente marrone, che puntualmente finiva sul tavolo da pranzo.
Se fosse stata nella bambina, nemmeno Carol avrebbe voluto che quella fosse la sua cena. Come se le avesse letto nel pensiero, la bimba si sporse a prendere il cucchiaio dalle mani del padre e lo indirizzò verso la “zia” Carol, che scoppiò a ridere.
- No, tesoro, ti ringrazio molto, ma io quella non la mangio! – esclamò Carol, tra le risa. Alexandria e Gareth, che avevano guardato la figlia con gli occhi spalancati, si lasciarono anche loro contagiare dalle risate, mentre la povera bambina guardava gli adulti con un espressione confusa sul volto.
Mentre rideva, Carol sentì una fitta al basso ventre, ma cercò di ignorarla: da qualche giorno le sentiva, ma i dottori le avevano detto che era normale, essendo vicina al termine della gravidanza.
- Caroline, – la voce di Alex la distolse dai suoi pensieri – hai mai parlato con Justin, negli ultimi sei mesi? – chiese, senza molti giri di parole. Alexandria non era mai stata quel tipo di persona che amavano girare attorno ai discorsi, preferiva essere sempre molto diretta.
Carol scosse la testa, con una lieve nota di tristezza e sofferenza. Non amava particolarmente parlare di quell’argomento, e Alex lo sapeva.
Le uniche volte che in quei mesi aveva visto Justin, lui o lei si erano nascosti dietro i rispettivi amici e avevano fatto finta di non vedersi, di non conoscersi. Quasi come due estranei, non come due ragazzi che a breve, volente o no, sarebbero diventati genitori.
- Dovresti, Carol. Dovreste parlare; insomma, state per diventare genitori, vostro figlio o figlia ha bisogno di entrambi -  disse dolce Gareth, intromettendosi nel discorso, guardando verso Carol e tenendo la bambina in braccio.
Caroline avrebbe risposto, se una fitta più forte alla pancia non le avesse fatto uscire un piccolo grido dalle labbra. Portò istintivamente le mani al ventre, le fitte sempre più frequenti e acute. Sentì Alex gridare qualcosa a Gareth, prima che due braccia forti non la sollevassero dalla sedia e la tenessero in braccio, incamminandosi verso il corridoio e una delle stanze.
Non se ne rendeva nemmeno conto, mentre le fitte le percorrevano il corpo e la facevano urlare.
- Stai calma, Caroline. Il medico arriva, il medico arriva subito – le sussurrò Alexandria all’orecchio, tenendole una mano.
Ma lei non la sentì, perché attorno a lei tutto iniziava a diventare nero. Percepì solo la sua voce sussurrare – Justin, chiama Justin. Ti prego -.
Poi ci fu solo il vuoto.
 
C’era troppo sangue. Ne era sicuro, nonostante non fosse molto pratico in quelle cose. Ma per lui, che di sangue nella sua vita ne aveva visto parecchio per via della sua carriera militare, sapeva che quel sangue era decisamente troppo.
Il letto era ricoperto di sangue, il pavimento era ricoperto di sangue. Tutto era ricoperto di sangue. Prima che potesse muovere anche un solo passo verso il letto, sentì qualcuno che singhiozzava: come in un sogno, in cui tutto è rallentato e ovattato, si voltò per incontrare con lo sguardo la figura di Alexandria, che stretta al marito, singhiozzava sulla sua spalla.
Una morsa gli chiuse lo stomaco, mentre un sospetto iniziava a prendere forma nella sua mente.
Ma non era possibile. Semplicemente, non era possibile.
- Alexandria – sussurrò, avvicinandosi di un passo alla cugina, che alzò lo sguardo su di lui. I suoi grandi occhi marroni erano rossi e segnati di pianto.
- Justin, – mormorò lei, avvicinandosi incerta a lui, poi iniziò a correre e l’abbracciò, stringendosi a lui, che però non ricambiò l’abbraccio – non ce l’ha fatta. Non… - le si smorzarono le parole in gola, mentre riprendeva a singhiozzare.
- Non è possibile – sussurrò Justin, quando le parole che le aveva appena detto la cugina raggiunsero con una scossa il cervello – Non è possibile! – urlò, poi staccandosi dalla cugina e correndo verso il letto.
Registrò appena la presenza di qualcuno vicino alla porta, seduto su una sedia: Damian, gli occhi fissi davanti a se, era immobile come una statua, uno stato che solo chi è morto ed è ritornato indietro poteva assumere.
Il volto di Caroline era coperto da un sottile lenzuolo bianco: anche senza scostarlo, Justin avrebbe potuto riconoscere a memoria i lineamenti di quello che era stato il suo primo e unico amore.
Il lenzuolo non si abbassava e non si alzava al ritmo del respiro di una vita umana, al ritmo di una vita viva. Rimaneva immobile.
Con una mano, Justin scostò il lenzuolo, e rivelò il viso della giovane: bianco, troppo bianco, il sangue che ormai non circolava più nei tessuti e gli occhi chiusi, che non potevano mai più vedere la luce.
La rabbia si impossessò di Justin , insieme al dolore: raggiunse a rapide falcate Damian che stava seduto sulla sedia e gli sferrò un pugno, tenendolo per il colletto della camicia e alzandolo contro il muro. Il vampiro non fece nemmeno segno di essersene accorto e non replicò.
- Potevi salvarla! – urlò, sferrando un altro pugno – Potevi salvarla! -.
Sferrò altri pugni, senza ricevere nulla in cambio, finchè la mano di Gareth non strinse il polso del ragazzo – Ora basta, Justin. Ora basta. Non risolverà nulla prendere a pugni la gente – gli disse, con voce ferma e autoritaria.
Il ragazzo scosse solo la testa – Poteva salvarla, Gareth. Invece non ha fatto nulla. Lei… - gli si bloccarono le parole in gola. Non aveva nemmeno il coraggio di pensarle.
- L’ha chiesto lei, Justin. L’ha chiesto lei di non essere salvata, perché avrebbe compromesso la vita del bambino – sussurrò Alexandria, avvicinandosi al ragazzo.
Prima che potesse rispondere, un vagito interruppe il breve silenzio che era calato nella stanza. Justin si voltò, mentre una donna avanzava nella stanza con un fagottino in braccio, che porse con un sorriso incoraggiante al ragazzo.
- E’ una bambina, signore. Una splendida e sana bambina – disse la donna, mentre il ragazzo prendeva in braccio la piccola. Era davvero piccola, tra le sue braccia, ma era anche incredibilmente bella.
E quando aprì gli occhi, Justin seppe che Caroline non era morta.
Caroline era ancora viva, dentro quegli splendidi occhi azzurri.
 
 
Un anno dopo.
 
Una bambina dagli splendidi capelli neri e gli occhi azzurri teneva in mano un piccolo mazzo di rose rosse. Erano, almeno così le avevano detto, le preferite della sua mamma.
In fianco a lei, un ragazzo erano inginocchiato davanti ad una tomba e la accarezzava appena con una mano. Il vento spirava tra le foglie degli alberi e accarezzava i capelli dei due e le loro mani erano saldamente intrecciate, mentre il tramonto colorava di rosso e rosa le nuvole.
Genevieve Alexandria Sinclair aveva un anno e assomigliava alla madre in un modo incredibile. Lo stesso carattere, forte e dolce allo stesso tempo, la stessa felicità.
Ma soprattutto, quegli occhi azzurri come il cielo che erano appartenuti alla madre.
Dei passi veloci si avvicinarono alle due figure, ma nessuna delle due sembrò farci caso, soprattutto il ragazzo, che anzi non se ne accorse nemmeno, troppo perso nel fissare la tomba davanti a se, il nome scritto in caratteri gotici.
Una mano si posò sulla spalla del ragazzo, con la leggerezza di un battito d'ali di farfalla, ma con la pretesa di far voltare lo sguardo verso il suo possessore. 
Justin voltò la testa, per incontrare lo sguardo della cugina Alexandria.
- Non ti sei ancora arreso?- chiese lei, guardando la lapide davanti a loro.
- Non lo farò. Non è morta, lo saprei se fosse così, no? Lo sentirei dentro che è morta – sussurrò il ragazzo, voltando appena la testa verso la figlia.
- E’ passato un anno, Justin… - disse di nuovo Alex – E l’hai vista anche tu, sul letto della camera. E al funerale – continuò Alex, guardando anche lei verso Genevieve, che continuava a portarsi le rose al naso per sentirne il profumo.  
- Non so spiegartelo, Alexandria. Non so spiegarlo nemmeno a me stesso. So solo che ho questa sensazione, che non sia morta. Lo sento dentro; io e lei siamo sempre stati legati e io l’amo ancora, nonostante tutto. Capisco se mi credi pazzo, perché ero al funerale e tutto il resto, ma questa sensazione non mi abbandona – le disse, senza staccare lo sguardo dalla tomba e sfiorando appena le lettere che componevano il nome di Caroline.
- Non ti credo pazzo – sussurrò Alex, così piano che nemmeno il ragazzo la sentì, poi si voltò verso delle chiesette ai margini del cimitero – Devo andare, Justin – gli disse, stringendogli la spalla. Il ragazzo annuì e basta, senza voltarsi verso di lei che si chinò a dare un bacio sulla testa della bimba e si allontanò.
 
Una figura guardava da lontano il ragazzo inginocchiato davanti alla tomba, la mano saldamente intrecciata a quella di una bambina dai capelli neri, come a protezione, che giocava con un mazzo di fiori.
Lo sguardo della ragazza si spostò verso la donna che, allontanandosi dai due, si stava dirigendo verso la sua direzione. I capelli color del miele le oscurarono appena la vista, mossi dal vento invernale
- Sapevo di trovarti qui-mormorò piano Alexandria, ma le sue parole vennero sentite distintamente dalla destinataria, che sorrise.I canini, innaturalmente lunghi e affilati, fecero capolinea tra le labbra morbide di Carol, mentre sorrideva.
- Immagino di essere diventata prevedibile- commentò, continuando a fissare il ragazzo inginocchiato davanti alla tomba.
Non era cambiato molto dall’ultima volta che, da viva, lo aveva visto. Forse, teneva la barba un po’ più lunga e incolta. La bambina, invece, era cresciuta a vista d’occhio, i lunghi capelli neri erano appena ricci sulle punte e gli occhi, che in quel momento guardavano una tomba contenente una bra vuota, erano azzurri.
Come quelli che in quel momento la guardavano intensamente.
- Partirai stanotte? – la voce di Alexandria interruppe i suoi pensieri e la rediviva spostò lo sguardo sulla cugina, che invece guardava dritto davanti a se.

Incontrare lo sguardo di un Redivivo è pericoloso.
- Stanotte, – confermò Caroline, con voce piatta – e prima che tu me lo chieda, non so dove andrò. Probabilmente a nord -.

Alexandria rimase qualche secondo in silenzio, prima di voltarsi apertamente verso la cugina, incurante della raccomandazione che ogni giorno i loro genitori erano soliti fare – E’ passato un anno, Caroline. Ha sofferto molto, soffre ancora, per la tua “morte”. Penso che dovresti… Insomma, Carol, tu non ci sei quando alla mattina, dopo che tu le hai fatto visita, Genevieve ripete all’infinito la parola “mamma”. Non vedi lo sguardo di Justin riempirsi di sofferenza e colpevolezza. Lui è ancora convinto che tu non sia morta, nonostante abbiamo fatto tutto perfettamente. Damian non ha detto nulla, io e Gar non abbiamo detto nulla, della promessa che ci hai fatto fare -.
Caroline scosse la testa – No. Cosa cambierebbe, dopo un anno, anche se dicessi la verità? Cosa dovrei fare, andare li e dirgli cosa? “Guardami, sono tornata. Sono “viva”, quasi, e sono un vampiro”. Dovrei dirgli questo? Aspetto ancora che lui si innamori di un'altra, come è nella natura umana. Lui si innamorerà di un’altra e si dimenticherà di me -.
- Lui non può dimenticarsi di te, Carol. Sei il suo primo amore, l’unico che abbia mai avuto, e sei la madre di sua figlia. E tu, potrai dimenticarti di lui? -.
- Sandria, è giovane. E’ umano; arriverà un giorno in cui si innamorerà di un’altra. In quanto a me, non importa cosa provo io -.
- Hai l’eternità, Carol, per poterti dimenticare di lui – sussurrò Alex, senza guardarla.
- Pensi che l’idea dell’eternità serva? Basterebbe, per te, Alex, l’eternità per dimenticare Gareth? Riusciresti a dimenticare Gareth? – chiese la vampira, con voce appena più alta, mentre guardava Justin alzarsi dalla sua posizione e prendere in braccio la bambina.
Alexandria non rispose e Carol annuì – Hai la tua risposta, Alexandria. Ora vai, avrai presto mie notizie – la congedò e vide la cugina annuire e allontanarsi a passo spedito verso l’uscita del cimitero.
Mentre si voltava anche lei, per andarsene da quel luogo di morte e sofferenza, i suoi occhi incontrarono quelli di Justin, che si stava voltando per andarsene. Fu un secondo, uno sfiorarsi di sguardi, il leggero battito d’ali di una farfalla.
Quegli occhi erano già spariti.
Il vento portò solo un sussurro.
- Justin -.
 
Fu solo un sussurro, un gioco della sua mente stanca e sofferente, che non desiderava altro che averla di nuovo con se. Solo un gioco della mente, come l’immagine dei suoi occhi vicino alla cappella nell’estremità del cimitero. Si bloccò, il fiato in gola.
Vide Genevieve voltarsi verso la sua stessa direzione ed esclamare allegra – Mamma! -.
E fu certo, in quel momento, che non era solo la sua mente. Non era solo un desiderio che era dentro di lui, e che tornava ogni secondo della sua vita. Era…
- Caroline -.
 
 
 
PICCOLI RINGRAZIAMENTI:
 
Grazie a Cristina, che praticamente sopporta i miei scleri ogni giorno insieme al suo vampiro.
Grazie a Black Friars GDR, senza il quale queste cose nemmeno uscirebbero dalla mia mente.
Grazie a voi, che semplicemente avete letto.
 
Con affetto,
Fra.
 
   
 
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