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Autore: Haushinkagreen    18/02/2013    1 recensioni
La storia di Marie, isolata e tormentata da tutti.
Genere: Drammatico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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Mi svegliai in una solita mattina di febbraio.
Lessi la data ,26 febbraio.
Guardai il cielo. Il solito grigio.
L’orologio segnava le 7 e 20, era ora di alzarmi, anche se l’idea non mi allettava un granché.
Uscii di casa in fretta dirigendomi verso la scuola, l’enorme edificio bianco che sembrava una prigione.
-
Mi chiamavo Marie, avevo 14 anni, un’età in cui sei troppo piccola o troppo grande per tutto.
La mia storia? (Per quanto a 14 anni si possa avere una storia).
Vivevo in uno sperduto paesino italiano,  isolato , di poche migliaia di abitanti.
Un paesino in cui se sei solo impazzisci.
Sono sempre stata isolata. Non ne ho mai compreso al pieno le ragioni, ma a quanto la gente diceva in giro la causa era la gelosia nei miei confronti. Ciò ha comportato la mia esclusione da ogni forma di gruppo.
Sono sempre stata quel tipo di ragazza buona ed educata, così come mi aveva insegnato mia madre, non ho mai dato problemi a nessuno, ma ciò non mi ha protetta dalle mie aguzzine.
Aguzzine? Si, le mie compagne di classe.
Mi odiavano, avevano un risentimento incredibile verso di me , me lo facevano sentire ogni giorno, lo sentivo nei loro sguardi ogni volta che mi guardavano.
I ragazzi della classe mi prendevano in giro, spinti dalle ragazze.
La mia vita era dolore, tristezza, rabbia repressa.
Ogni giorno quando tornavo a casa la mia unica consolazione era il cibo, mi abbuffavo, senza sapere che quell’azione quotidiana mi avrebbe perseguitato per anni.
Arrivai in seconda media a dovermi svegliare, ero un mostro, enorme, orrenda.
Allora la sentii,era dentro di me e disse’’ puoi uscirne da tutto questo’’.
Mi spaventai, stavo forse diventando pazza?
‘’come?’’ chiesi mentalmente
‘’muori di fame’’ disse lei.
E così feci, passò un anno.
Un anno d’inferno, la bilancia era la mia migliore amica e il cibo il mio acerrimo nemico.
Quanto a lei, aveva un nome bellissimo, che mi trascinava con sé giorno per giorno, Ana.
Ana mi capiva, non mi lasciava sola, lei mi voleva bene a differenza di tutti.
Tutti. Nessuno, neanche i miei genitori si interessavano a me, a loro non importava di me finchè c’era mio fratello, il favorito.
Mese dopo mese mi trasformai, da cigno bianco passavo a cigno nero.
Ma come tutti sanno alla fine il cigno muore, così successe con me.
Era il 26 febbraio, un giovedì.
Entrai a scuola, non curandomi degli sguardi di nessuno.
Sentivo qualcosa dentro di me, lei era pronta, era la fine.
Appena mi sedetti sul banco, svenni.
Sentivo solo il pavimento freddo e le risate divertite delle mie compagne.
Fui mandata in infermeria, ma neanche loro sapevano cosa fare, non si trattava di un banale calo di zuccheri.
Fui portata al pronto soccorso, mi diedero il letto 126, mi pare.
Guardai la finestra, un cielo sempre più grigio.
Stesi la testa all’indietro, mentre mi conficcavano la pelle con gli aghi.
Vidi solo mia madre terrorizzata appena arrivata dal lavoro, forse si sarebbe finalmente accorta di me.
Ma non fece in tempo a dire niente che la sentii, Ana mi reclamava.
Ecco il prezzo da pagare, la morte.
Sentii piano piano tutto svanire, era una sensazione quasi piacevole, adesso non soffrivo più.
Non sentivo più niente, solo le urla dei miei genitori.
In quel momento capii che nessuno mi avrebbe più fatta soffrire, sarei stata libera dal dolore.
Girai lo sguardo verso la finestra e vidi finalmente uno spiraglio di luce.
  
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