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Autore: Abirthofbrokendreams    18/02/2013    3 recensioni
E se Jared non fosse l’uomo che tutti immaginiamo? E se dietro quel bellissimo viso angelico, ci fosse tutt’altro che un angelo? Se tutti scoprissimo che Jared Leto non è un grande esempio da seguire?
Milioni di ragazze avrebbero pagato per passare una notte con lui, ma nessuna immaginava quanto se ne sarebbe pentita se l'avesse fatto davvero.
Genere: Dark, Drammatico, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Jared Leto, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Dopo tanto tempo sono tornata con una nuova storia. è nata per caso, dalla mia passione per il genere noir e horror. Ho pensato a un Jared Leto diverso, misterioso. Spero che questa storia piaccia e aspetto le vostre recensioni! :*

Disclaimer: Con questo mio scritto, pubblicato senza alcuno scopo di lucro, non intendo dare rappresentazione veritiera del carattere di Jared Leto, nè offenderlo in alcun modo.

 
Monsieur Revanche.
 
“No, Emma, dì a tutti che non posso essere lì.”
“Ma Jared, ti aspettano. Non puoi evitarlo anche questa volta.”
“Ho detto che ho da fare. Scusati da parte mia, è il tuo lavoro.”
Riattaccò, sbuffando. Chiuso in quella stanza d'albergo, al buio, l'ultima cosa che voleva era partecipare a quelle stupide rimpatriate che suo fratello organizzava con vecchi amici e parenti. Poteva immaginarli perfettamente tutti quegli americani alticci che avrebbero riempito il suo salotto di fumo e imbrattato i suoi divani di patatine, salatini e coca cola.
Andiamo, Jay, ci divertiamo. La solita frase di Shannon per tentare disperatamente di convincerlo.
Divertirmi? Credi che io mi diverta a vedermi sporcare la casa come se invece di persone ci fossero delle mucche in salotto? Aveva risposto, ma suo fratello era riuscito ugualmente a convincerlo. Adesso però aveva dato di nuovo buca e d'altronde c'era da aspettarselo.
Rabbrividì al pensiero di casa sua che veniva distrutta da quegli individui e prese a tormentarsi le mani. Tornò a pensare - come prima di quella telefonata - alla vera ragione di quel rifiuto, oltre a quella ovvia del non volere assistere allo sfascio della sua abitazione. Dopo tutto quel tempo ogni anno non riusciva a trattenere l'eccitazione per quell'evento. L'adrenalina entrava in circolo precisamente a quell'ora, a quel giorno, tutti gli anni. Gli piaceva pensare che fosse una sorta di anniversario: lui si preparava un'ora prima, indossava smoking, cravatta, scarpe lucidate alla perfezione. Dopobarba, una sistemata ai capelli e poi saliva in macchina per arrivare alle nove in punto allo stesso hotel, nella stessa stanza – la 325 – ad aspettare al buio e in assoluto silenzio, come quella sera.
 
***
 
19 Novembre 2005.
 
“Dimmi solo perché.”
“Perché… non c'è un perché Jared, è così e basta.”
“Non dire cazzate.”
“Io non ti amo più. Non c'è un motivo, non ti amo più e basta.”
“è per il mio lavoro, eh? Sapevi a cosa andavi incontro quando ci siamo messi insieme.” Le urlò contro.
“Non è per questo.” Lei scosse la testa e i suoi riccioli biondi si mossero a destra e a sinistra.
“Ti ho trascurata? Non ti ho amato abbastanza? Dimmelo, cazzo, dimmi perché!” La prese per i polsi e la scosse. Lei si divincolò, ma lui strinse ancora di più la presa, gli occhi infuocati fissi in quelli di lei, terrorizzata.
“C'è un altro, non è vero?” Chiese, questa volta con la voce disperata. Finalmente posò le mani sulle sue spalle.
“Non c'è un altro uomo.” Sospirò. “Possibile che non riesci a capirlo? Le persone possono smettere di amarsi ad un certo punto. L'amore non dura per sempre.”
“Io non ho smesso di amarti. E comunque non ti credo.” Si voltò verso la finestra posando una mano sulla fronte, il volto esausto. Osservò la linea spezzata dei grattacieli di Los Angeles, neri contro il cielo tinto di rosso. Nero e rosso, come i loro abiti da sera, come loro due.
Appena tornati dalla loro cena romantica, invece di festeggiare avevano finito per litigare. Ed era strano farlo vestiti in quel modo: lui in smoking e lei, bellissima, stretta in un abito rosso che le lasciava la schiena nuda, la bocca carnosa tinta dello stesso colore del vestito e gli orecchini che brillavano in controluce.
“Perché me lo stai dicendo proprio ora, perché oggi?” Domandò lui.
“Non potevo aspettare.” le mani sui fianchi, spazientita.
“Devi correre da lui? Dove andrete, a Parigi, a fare i fidanzatini? Oppure a Venezia, la città dell'amore! O magari vi sposate a Las Vegas, che ne dici?”
“Smettila.” La sua bocca si mosse velocemente, lo sguardo duro.
“Perché?” Sussurrò con un filo di voce, mentre si avvicinava lentamente. Prese il suo viso tra le mani, la accarezzò con lo sguardo.
“Jared, no..” Cominciò lei, cercando di scansarsi, ma lui tenne le mani di lei sulle sue, facendole rimanere lungo i suoi fianchi. Le baciò lentamente gli occhi, il naso, le guance ed infine le sue labbra si posarono delicate sulle sue. Protestò ad occhi chiusi, ma lui non la stette a sentire.
Poi si staccò e la guardò a lungo; si allontanò da lei e si versò da bere mentre lei lo guardava ammutolita. Ormai non sapeva più come dirglielo.
“Non parliamone più, d'accordo?” Sembrò essere tornato solo in quel momento, come se tutto quello che si erano detti, tutto quello che era successo fino a poco prima non fosse mai accaduto. Le sorrise e, dopo essersi spogliato, andò a letto, facendo finta di niente.
 
***
 
Cominciò a camminare su e giù per la stanza. Controllò l'orologio, 21.15.
Manca un quarto d'ora.
Erano passati sette anni. Sette lunghissimi, maledettissimi, anni. Eppure bruciava ancora come all'inizio. Eppure lui non riusciva a togliersi dalla testa l'immagine di quel letto vuoto – lo stesso che ora aveva di fronte – e nessuna traccia di lei in quella stanza, tranne il suo profumo, la notte del loro anniversario.
Sette anni che la cerco. Sette anni che è sparita.
Il Perché non l'aveva mai saputo. E alla fine si era convinto che non c'era davvero. Che lei non lo amava più e basta. Nient'altro.
Eppure.. eppure non poteva smettere. Ormai era la sua personale tradizione, il loro piccolo anniversario.
Questa volta le assomigliava tantissimo. Certo, le aveva sempre scelte bionde, magre e con gli occhi chiari (anche se qualche volta tralasciava quest'ultima caratteristica), ma in quella che aveva scelto quel diciannove novembre duemiladodici, c'erano dei particolari in più. Lo stesso sorriso timido, gli stessi riccioli corti, la forma degli occhi. Era perfetta. E lo sarebbe rimasta per sempre.
L'aveva incontrata che sorseggiava una vodka, in un bar dei tanti, sola. Era importante che lo fossero quando le avvicinava, o perlomeno era importante che nessuno si accorgesse che avevano parlato con lui. E lei era stata così facile da convincere.
Avanti, ti faccio compagnia per un po'... sorrisi, risatine, parecchi drink.
Raggiungimi al Madison hotel, alle nove e mezza, stanza 325*, chiedi del signor Revanche.**
Lo sussurrava loro prima di andare via, con la voce calda e provocante, come solo lui sapeva fare.
Era importante anche che nessuno lo riconoscesse, perciò si assicurava di frequentare posti sconosciuti, in periferia, e indossava sempre le lenti scure nonostante fosse sera.
Lei aveva annuito senza farselo ripetere due volte, gli aveva sorriso sbattendo le ciglia e lo aveva osservato lasciare il locale.
Sarà qui a momenti. Cercò di restare calmo. Controllò che nella stanza ci fosse la valigia e il resto. Poi si sedette sul letto, bevendo del vino rosso comprato apposta per l'occasione.
 
La mattina del 20 Novembre lei non c’era più e da quel momento non l’avrebbe più rivista.
Quel giorno insieme a lei sparirono anche i sentimenti di lui. Spense qualsiasi emozione che fino a quel momento lo avesse fatto sentire l’uomo più felice del mondo.
Da quel 20 Novembre Jared Leto non si sarebbe mai più innamorato, ma avrebbe al contrario nutrito per sempre una particolare avversione verso le donne. Per questo si limitava ad usarle, ad approfittare del loro corpo e non era un caso che la maggior parte di loro fossero bionde.
E anche il resto, quel rito che si compiva ogni 19 novembre, era una punizione per lei.
 
Ore 21.29. Bevve un altro sorso e la stanza era talmente silenziosa che si riusciva a sentire il liquido scorrergli giù per la gola. Cominciò a sudare leggermente e allentò il nodo alla cravatta.
Sapeva che non era giusto. Sapeva che se qualcuno l’avesse scoperto sarebbe stata la fine. La fine della sua carriera, della sua vita, la fine di tutto. Ma era troppo bravo, troppo allenato. Dopo sette anni i gesti erano automatici, le azioni ripetute ormai senza neanche pensarci. Aveva architettato tutto alla perfezione fin dal primo momento. Perché quando Jared Leto deve fare una cosa niente è lasciato al caso, niente è trascurato.
21.35, è in ritardo. E se non viene? Non importa, andrò a cercarne un'altra.
Per lui non era mai stato difficile rimorchiare, infondo lui era una star, un uomo di quelli che potrebbero farti sciogliere con il solo sguardo. E aveva due occhi azzurri che facevano paura per quanto erano belli. Le sue tecniche si erano affinate con il tempo, soprattutto per necessità. Loro dovevano fidarsi di lui a tal punto da accettare di raggiungerlo in albergo e alcune di loro non erano facili da convincere, il fascino in quei casi non bastava. Volevano essere conquistate, non cedevano, ma Jared era troppo irresistibile, troppo affascinante. Troppo tutto. Per questo ci cascavano sempre. 
21.40. Il telefono della stanza cominciò a suonare. Prese un respiro e alzò la cornetta.
“Sì?”
“Sig. Revanche, ha una visita. La signorina Candy.”
“La faccia salire, grazie.”
Era ora! Posò il bicchiere, sistemò la cravatta e quando la sentì bussare aprì la porta con disinvoltura., sfoderando il suo miglior sorriso. Lei fece lo stesso, l'espressione svampita la rendeva così innocente e stupida.
“Credevo avessi cambiato idea.” Le disse mentre l'aiutava a togliersi il cappotto.
“Oh mi dispiace, non riuscivo a trovare l'albergo. È piuttosto fuori mano.”
“Già.” C'è una ragione se lo è. E tu devi essere davvero stupida a non aver capito nulla.
Candy continuava a guardarsi intorno con quell'aria da bambina, ignara di tutto. Per lei era solo una notte da passare all'insegna del divertimento, una serata diversa dalle altre, ma non aveva idea di quanto diversa sarebbe stata effettivamente.
Nessuna aveva mai sospettato qualcosa. Nessuna aveva mai fatto domande. Perché chi potrebbe sospettare di un uomo del genere? Jared era la persona perfetta per quel tipo di cose. L'unica cosa che la gente sapeva e pensava di lui era che fosse una rock star e un playboy. Certo, un po' sopra le righe, a volte “strano”, ma niente di più.
Milioni di ragazze avrebbero pagato per passare una notte con lui, ma nessuna immaginava quanto se ne sarebbe pentita se l'avesse fatto davvero. Solo che la gente non riusciva a pensar male di uno così, era questo il suo miglior vantaggio.
Versò da bere alla ragazza, la quale avvicinò il bicchiere alla bocca tentando di sedurlo con lo sguardo. Lui riuscì a pensare solamente a quanto fosse ridicola, ma le sorrise ammiccando. Quell'idiota non riusciva neanche a capire che le sue espressioni erano totalmente false.
L'atmosfera in quella stanza avrebbe fatto cedere chiunque. La penombra rendeva tutto più intimo e la luce dei grattacieli in lontananza faceva sembrare Los Angeles quasi irreale, immersa nel cielo sfumato di rosa e azzurro. Ma questo Candy non lo notava nemmeno, superficiale com'era. Continuava a fissare il profilo perfetto di Jared in controluce.
Potrei perfino sembrare romantico, se solo lei facesse attenzione a tutto quello che le sta intorno. La luce spenta, le candele sui comodini, il vino. Possibile che non importi a nessuna di loro?
A Candy non importava affatto. Anzi, si chiedeva come mai lui rimaneva immobile a guardare fuori dalle vetrate, invece di saltarle addosso. Lei voleva solo quello.
Jared aveva già capito che tipo di ragazza era. Di quelle oche che ridono in continuazione e irriterebbero chiunque. Ma era l'unica che era riuscito a trovare.
Si stava già maledicendo. Stava pensando di mandarla via, di rinunciarci per quella volta, poi però gli venne in mente che il suo astio nei suoi confronti avrebbe giocato totalmente a suo favore.
“Hai intenzione di rimanere lì impalato tutta la sera?” La domanda fu seguita da una delle sue risatine. Poggiò il bicchiere ormai vuoto sul tavolino e si alzò dal letto dove si era seduta, avanzando verso Jared.
“In tal caso, posso pensarci io.” Fece scorrere le dita sul petto di lui, ripercorrendo i pettorali muscolosi sotto la sua camicia. Ma prima che potesse togliergli la cravatta, lui aveva già allontanato le sue mani.
“Non..” Sospirò, ad occhi chiusi. “Non mi piace essere toccato.”
“Andiamo..” insistette lei. Pessima mossa.
Non riuscì a trattenersi dall'alzare la voce. “Ho detto che non devi toccarmi.” Scandì ogni parola. Lei fece un passo indietro ritirando immediatamente le mani, gli occhi spalancati per il repentino cambiamento di Jared.
Non lo aveva semplicemente urlato, no, l'aveva guardata in un modo che l'aveva fatta rabbrividire, l'aveva scossa dentro. Non aveva mai visto quello sguardo e per la prima volta ne ebbe paura.
“Mi dispiace... non volevo urlarti contro.” Troppo bravo persino a recitare. Lo sguardo dispiaciuto, la voce calma. E lei ci cascava.
“No, è colpa mia.” Sospirò. “è che mi hai portata qui e ho pensato che...”
“No, no, no. Non capisci. Io ti ho portato qui per una ragione e intendo andare fino in fondo. È solo che non mi piace essere toccato, preferisco spogliarti io.” Secco. Dritto al punto. Occhi che ammaliano.
E lei si faceva abbindolare.
Gli sorrise, dandogli silenziosamente il permesso di toglierle i vestiti. Uno dopo l'altro, i capi caddero sul pavimento e quando Candy rimase in lingerie, Jared le ordinò di stendersi. Entrambi pensavano a cosa sarebbe successo poco dopo, ma in due maniere completamente diverse. Però lei questo non lo immaginava nemmeno.
Jared rimase a torso nudo, sebbene l'idea di spogliarsi davanti a lei non lo allettasse affatto. Avanzò lentamente verso la ragazza poggiando le mani sulle coperte, ai lati del suo viso, in modo da poterla guardare dall'alto. Lei aveva quel sorriso compiaciuto sul viso, quella fastidiosa espressione di chi sta per ottenere quello che vuole. Ma lui non le avrebbe mai dato questa soddisfazione.
Cominciò a scendere sul suo collo, baciandole delicatamente la pelle, per poi stringere i denti più forte, facendola sussultare. Le morse le gambe, le braccia, la pancia e lei non sapeva cosa provare. Aprì la bocca per protestare, ma lui fermò le sue labbra con l'indice, sussurrandole di chiudere il becco. Poi si alzò e prese qualcosa dalla valigia. Candy non riuscì a vedere di cosa si trattasse, perciò tornò a guardare il soffitto. Quando Jared smise di frugare tra le sue cose, tornò da lei, prese le sue mani e le legò con dei nastri rossi alla testiera del letto. Così non può andare da nessuna parte.
Poi usò un secondo nastro, più spesso, per tapparle la bocca.
“Aspetta, perché vuoi mettermi quello sulla bocca?” Chiese lei preoccupata.
“Shh.. ho detto che devi stare zitta.” Sussurrò, la voce modulata per rassicurarla. “Fidati di me, è solo un gioco.” Un sorriso appena accennato; lei annuì e lo lasciò fare. Questo non te lo insegnano a scuola di recitazione. Questo è qualcosa che viene da dentro, una dote naturale.
Adesso che lei non aveva alcuna possibilità di irritarlo con quella vocina stridula che si ritrovava, Jared poté tirare un sospiro di sollievo.
Lei si limitava a guardarlo, impaziente. Cercava di tirarlo a se con le gambe, ma lui gliele bloccava con le mani. Dio, stai un po' ferma per una volta. Avrebbe voluto finire tutto subito, mandarla via, cominciava davvero ad essere insopportabile. Tuttavia resistette, serrò le labbra e si avvicinò di nuovo alla sua valigia, estraendo qualcosa che Candy non riuscì neanche questa volta a distinguere.
Jared aveva prenotato l'intero piano dell'hotel, così da assicurarsi che nessuno li sentisse, ma soprattutto che nessuno li disturbasse. Odiava le interruzioni e odiava gli invadenti, perciò all'hotel nessuno gli domandava per quale motivo prenotasse tutto l'ultimo piano, in posti come quelli era meglio non sapere.
Prima di tornare da lei, che lo seguiva con lo sguardo, andò in bagno. Candy lo sentì trafficare, sentiva sbattere qualcosa, pensò che si stesse preparando, finalmente. Invece lui uscì dal bagno e si diresse verso di lei senza alcuna intenzione di fare quello che lei immaginava. La ragazza ebbe solo il tempo di vedere la siringa nella mano di lui. Non poteva muoversi, le gambe erano bloccate dal peso di Jared, a cavalcioni su di lei. Sentì il pizzico dell'ago nel braccio, cercò di divincolarsi, lo guardò implorante, ma a lui non importava. La guardava soddisfatto, con quell'espressione seducente che lo caratterizzava. Cercò di muovere le gambe, ma non ci riuscì, perché non le sentiva più. Provò a tirare le braccia cercando di slegarle dalla testiera del letto, ma non sentiva neanche quelle. Improvvisamente le sembrò di non riuscire più a comandare il suo corpo. E lui sembrava essere contento di vederla così. La guardava estasiato, mentre lei perdeva ogni sensibilità. Non osava immaginare cosa le avesse somministrato, ma ora incominciava ad avere paura di lui. Paura di quell'uomo bello da impazzire, di quegli occhi azzurri che ora sembrava stessero andando a fuoco. Lentamente le lacrime cominciarono a scenderle sul viso, silenziose. Lo implorò con lo sguardo, ma lui non batté ciglio. Rimase in quella posizione per minuti interi, contemplandola. Percorse interamente il suo corpo con le dita, ma lei non sentiva assolutamente niente.
“Hai paura di me, ora, non è vero?” Chiese lui. Non aspettò una sua risposta, la conosceva già.
“Te l'ho detto, è solo un gioco. Stai tranquilla, finiremo presto.” le sorrise, facendole l'occhiolino. Lei annuì, non sapeva ancora se gli credeva o no. Infondo non sembrava cattivo, almeno non così tanto. Forse aveva solo delle manie un po' strane, ma c'era qualcosa in lui che la attirava, la affascinava. Voleva capirci qualcosa, perciò decise di assecondarlo. Di vedere fin dove si sarebbe spinto. E lui andò decisamente oltre, fece l'ultima cosa che lei si sarebbe aspettata. Era riuscito a convincerla, a lasciare che lei si fidasse di lui, e sapeva fin dall'inizio che come tutte, anche lei ci sarebbe cascata. Anche lei avrebbe assistito a quello che Jared definiva “Il rito dell'anniversario”. Anche Candy quella notte avrebbe fatto parte di quelle ragazze. Quelle che assomigliavano all'altra. A lei che era stata la causa di tutto. Lei che lo aveva abbandonato e lo aveva reso quello che era ora. Lei che un giorno, avrebbe pagato per quello che gli aveva fatto.
Candy le assomigliava più di ogni altra, per questo non vedeva l'ora di farle quello che faceva ogni anno ad una ragazza diversa. Sentiva di essere sempre più vicino, a un passo così dal ritrovarla, quella stronza.
Candy vide qualcosa brillare nella mano di Jared. Una lama affilata, lucente. Vide la mano di Jared avvicinarsi al suo petto, lentamente. Lui era talmente concentrato che non si accorse dell'espressione terrorizzata di lei. La ragazza cercò con tutte le forze di comandare il suo corpo, di muoversi, di scappare, ma non ci riuscì. Cerco di imporre alle sue gambe di divincolarsi, ma non poteva fare niente. E intanto, lui cominciò a percorrere con la lama la sua pelle, senza graffiarla. Lei non sentiva il freddo, non sentiva il tocco del coltello, lo vedeva muoversi ma non sapeva cosa stava succedendo. Non sapeva quali erano le intenzioni di Jared, e questo la spaventava a morte. Iniziò a piangere sempre più forte, a pregare nella sua mente, a implorarlo con gli occhi ma lui non distoglieva lo sguardo dalla sua pelle, continuava ad accarezzarla con le dita, a fissarla come se la stesse studiando. All'improvviso, si decise. Poggiò la lama all'altezza dello sterno e premette sempre più a fondo; tracciò una linea netta verso il basso, senza esitazione. Osservò il sangue sgorgare lento dall'enorme ferita e rimase in silenzio, mentre lei si rendeva conto che non avrebbe potuto combattere ancora. Capì che piangere, pregare, implorare non aveva senso. Jared la osservò morire piano piano, mentre lei non sentiva assolutamente niente. Ed era questa la cosa più terribile. Non sentiva dolore, non sentiva il sangue scorrerle giù per il ventre.. no. Sapeva a cosa stava andando incontro perché l'aveva visto, ma non poteva rendersene conto. E lui non parlava, non lo faceva mai. Rimaneva zitto a guardarle morire, a vedere i loro occhi muoversi a destra e sinistra in cerca di un perché, in cerca di qualcosa che neanche loro sapevano cos'era. Il perché lo sapeva solo lui. Se l'era chiesto tante volte prima di essere sicuro di volerlo fare. Perché ucciderle Jared? Perché lo meritano. Perché lei lo merita. Perché se non lo faccio non avrò mai pace. Deve pagare per quello che ha fatto, deve sentirsi in colpa. Deve sapere che fino ad ora sette donne sono morte a causa sua. E ne moriranno altre, finché non la troverò.
Si assicurò che Candy avesse smesso di respirare, e si alzò dal letto. Ripulì con cura il coltello, la siringa, e tutto quello che aveva usato. Tolse di mezzo le lenzuola, i suoi vestiti e tutto quello che si era sporcato del sangue della ragazza, tutte cose che avrebbe in seguito bruciato. Il cadavere di Candy invece, lo avrebbe abbandonato in un vicolo, dove era facile che la gente venisse uccisa per furto. Raccolse le sue cose e andò via, come se niente fosse. Il suo rito era stato compiuto, ed era soddisfatto. Aveva ancora una volta festeggiato a modo suo il loro anniversario. Ora poteva tornare a casa, da suo fratello e dai suoi amici. E neanche per una volta nel corso dei giorni seguenti avrebbe pensato a Candy. Perché a lui non importava. Per lui niente di tutto quello era così grave da pensarci continuamente. Lui non si sentiva in colpa. Si faceva chiamare signor Revanche, in quell'albergo, per un motivo. Il suo fine era la vendetta verso colei che lo aveva trasformato in quella persona che ogni 19 Novembre uccideva una donna che le assomigliava, senza pensarci su. Per lui era solo quello, ma in realtà c'era qualcos'altro dietro. La causa di tutto era un'altra, forse ben peggiore della vendetta. Ben peggiore di qualsiasi dolore. La causa era un cuore spezzato, un amore finito senza addii, senza spiegazioni. La causa di quella terribile strage, era l'abbandono.



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* 325 non è un numero scelto a caso: 3 x 2 x 5 = 30! :P
** Revanche: Vendetta in francese.

Sicuramente avrete notato che non ho dato un nome alla "ex" di Jared. è stato fatto apposta, volevo che rimanesse così per enfatizzare l'aria "misteriosa" del racconto (sempre se ci sono riuscita ahah).

 
  
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