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Autore: wrjms    19/02/2013    2 recensioni
Sherlock è in vena di scoprire cosa "umqra" voglia dire.
John gli dà una dimostrazione pratica.
Genere: Comico, Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Sherlock Holmes
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'I don't have friends. I've just got one.'
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Let’s Umqra

«Sherlock?».
«Mmh?».
«Wanna umqra?».
«Cos…».
Il consulente investigativo si gira di scatto, scioglie la stretta delle sue mani e si mette a fissare il compagno d’avventure. Questi siede in silenzio, sfogliando il Daily e sorseggiando il suo tea. Al sentire lo sguardo di Sherlock su di sé gli lancia un occhiata torva, rimanendo con la tazza immobile e appoggiata alla bocca dischiusa.
«Sherl?», mormora, bevendo un sorso. È disinvolto, quasi sembra di avere già dimenticato le parole appena pronunciate mentre con lo sguardo torna al suo giornale.
«Umqra?».
John non risponde. Sherlock lo osserva mentre sfoglia qualche pagina del suo quotidiano, lo fissa mentre finisce di bere il suo tea e mentre poi si mette a picchiettare qualcosa al suo laptop. Attende fino a quando non si alza dalla sedia stiracchiandosi per poi riprendere parola.
«Non c’entrava con quella storia di Baskerville?».
«Cosa?».
Sherlock sbuffa, spazientito. «U-M-Q-R-AH», scandisce, enfatizzando esageratamente il tutto. Quando finisce di parlare affonda la testa in un angolino del divano, quasi come se l’antro pieno di polvere e briciole possa consolarlo dalle incomprensioni fra lui e John.
«Senza dubbio i cuscini non mi mettono mai in confusione, come qualcun altro fa», borbotta, biascicando le parole fra sé e alitando sulla stoffa del divano. Questa volta è John che lo fissa alzando un sopracciglio ma, essendo abituato al sentirlo parlare da solo o a simili situazioni, si limita ad accendere la TV abbandonandosi sulla poltrona.
«Sì?», azzarda, mentre mette sulla BBC. Sembra attento, sembra che abbia prestato tutta la sua attenzione alla televisione, ma in realtà le sue orecchie sono drizzate come antenne per captare qualsiasi sfumatura di comprensione, qualsiasi lampo di genio o qualsiasi stralcio di pensiero che il suo amico si potrebbe lasciar scappare per errore. Le immagini che scorrono sullo schermo davanti a lui sono solo un alibi, una finta distrazione: in realtà gli occhi di John continuano a lanciare occhiate fulminee a Sherlock. Non sono ancora lunghi sguardi come quelli che Sherlock gli regalava prima, mentre scriveva sul suo laptop: nonostante il consulente investigativo sia accecato dai cuscini dove egli ha immerso il suo viso, John continua a temere di essere scoperto mentre lo guarda. Si limita perciò a scoccargli quale sguardo fugace, osservando la curva delle sue spalle large e i riccioli neri spettinati che si muovono leggermente a causa del vento fresco che entra dalla finestra aperta. «Ma era il discorso di due ore fa, Sherlock».
«Adesso abbiamo reso il discorso attuale, comunque. Contento?», borbotta, tanto piano che John deve tendere le orecchie per captare e distinguere i biascichii attutiti dallo schienale del divano. 
Il dottore non ha certo le doti del suo compagno nella deduzione, è ovvio; tuttavia John riesce comunque a notare la sfumatura di nervosismo nella sua voce. Sorride, compiaciuto. Capita raramente che Sherlock Holmes sia confuso o che non comprenda qualcosa ma, quando succede e soprattutto quando capita per mano di John stesso, la vittoria è percepibile e dolce almeno quanto il miele o lo zucchero.
Dopo mezz’ora dalla rispostaccia di Sherlock, questo riinizia a parlare.
«Quindi?».
«Quindi cosa?».
«…».
John non si riesce più a trattenere: inizia a ridere sotto i baffi, cosa piuttosto svantaggiosa dato che Sherlock, pochi minuti prima, aveva cacciato fuori la testa dal suo antro buio e ripreso a fissare l’amico.
«Sei snervante».
«Grazie, Sherlock, molto gentile».
A quel punto l’investigatore si rizza in piedi d’un sol colpo, senza preavviso; attraversa il salottino con due lunghi passi e si va a sedere per terra, appoggiando la schiena alle gambe di John. Tutto ciò che John riesce a vedere con la coda dell’occhio è lo svolazzio della sua vestaglia blu, che va a impigliarsi nel bracciolo della poltrona.
Svogliato, Sherlock alza un braccio per sistemarsi la vestaglia. Ciò che incontra non è però il tessuto fresco, ma la mano di John. Questo ridacchia quando il consulente investigativo arrossisce e ritrae la mano, e gli scompiglia i riccioli ribelli.
«Non fare così. Sono arrabbiato con te, lo sai».
«Vai a farti friggere, Sherlock. Lasciamela vinta, per una volta».
«Il bello è che nemmeno l’altra volta mi hai rivelato il vero significato di umqra».
Prima di parlare, John pensa a godersi la scena. Sherlock è terribilmente adorabile quando si cruccia in quel modo, e tutto ciò è reso migliore dal fatto che, come un gattino scontento dal pranzo ritrovatosi nella ciotola, quando è arrabbiato Sherlock cerca affetto. I momenti d’intimità sono così pochi quando si parla del grande Sherlock Holmes, quindi perché non giocare ancora un po’ per far durare quegli attimi il più possibile?
«Beh, mi pare che a Baskerville mi avessi fatto arrabbiare».
«Ma poi mi sono fatto perdonare, non credi?».
John sbuffa, alza gli occhi al cielo e borbotta qualcosa a proposito che definirlo “ispirazione per la sua intelligenza” non era poi il modo migliore per scusarsi; al che, a sorpresa, Sherlock se ne esordisce con una delle sue migliori recitazioni.
«Dannazione, John, ero arrabbiato con te e adesso sei tu quello che mi sta facendo sentire in colpa».
«Mio Dio!», esclama il dottore, prendendo a malapena fiato fra una risata e l’altra. «Sherlock Holmes, il grande Sherlock Holmes si sta sentendo il colpa? Venghino, signori, venghino!
Mrs. Hudson, corra, presto! E porti anche patatine e popcorn, Sherlock qui sta dando spettacolo!».
«Oh, John, vai a farti fottere».
«Che linguaggio scurrile, mio caro».
La scena si dilunga a lungo fra bonacce, allusioni e borbottii d’irritazione fino a quando, a sorpresa, Sherlock ha un’illuminazione.
«Non sarà mica qualche vaneggiamento di Henry, vero?».
«Oh, no. Umqra è tutta farina del mio sacco».
«Un’acronimo che allude a qualcosa?».
«Sei fuori strada».
«Ma deve centrare con Baskerville, altrimenti perché la avresti considerata una pista, se fosse stato qualcosa di esterno o non rilevante?».
«Continui a sbagliarti».
«Non capisco».
John gli scocca un’occhiata maliziosa. «Capirai». Si alza dal divano lasciandogli un’ultima carezza sui capelli, si dirige verso la cucina e si mette all’opera per preparare qualcosa abbastanza appetitoso da stuzzicare la quasi assente fame di Sherlock. Questo continua a fissarlo, ma nella sua mente non c’è più ira, non c’è più frustrazione: è rimasta solo la curiosità, la dannata voglia di saperne di più. Quando John si gira e gli lancia un sorrisino, Sherlock si scioglie definitivamente e dimentica tutte le sue preoccupazioni.


La mattina dopo, mentre si alza dal letto – è necessario specificare quale? -, John è certo di aver spiegato con sufficiente abbondanza di dettagli il significato della parola umqra.
Ma forse, forse… forse Sherlock ha ancora capito bene qualche dettaglio e avrà bisogno di un’ulteriore spiegazione…, pensa, prima di scrollare il capo con una risata e di rimettersi a lavorare dietro al suo laptop.

Nota
Questa storia l’avevo pubblicata un po’ di tempo fa, ma poi eliminata dopo poco, dato che  non mi convinceva. La ripropongo, sperando di avere qualche riscontro positivo :3
WJ

   
 
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