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Autore: Echan    19/02/2013    1 recensioni
"Era appeso ad un filo, ed implorava il perdono. Ma il perdono di chi?
Cercava di essere perdonato da chi perdono non conosceva, da chi non era mai stato perdonato."

Flashfic ad interpretazione, spero possa piacere.
Dedicata ad una persona speciale...
Genere: Guerra, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Questa breve storia è stata scritta ed ispirata da Untitled dei Simple Plan,
e questa canzone è quindi una sorta di colonna sonora,
gradirei che accompagnasse la vostra lettura.



Libera vittoria


Era appeso ad un filo, ed implorava il perdono. Ma il perdono di chi?
Cercava di essere perdonato da chi perdono non conosceva, da chi non era mai stato perdonato. La luce riflessa da quelle lame in fila era quasi accecante, ritrassi la mia; ma lo sguardo terrificante del comandante mi fece subito tornare in posizione.
Urlavano, come se stessero assistendo ad uno spettacolo, come se fosse tutta una recita. Gridavano e applaudivano. Avevamo vinto, ma avevamo vinto cosa?
Le lame luccicavano, e le luci venivano riflesse sulla folla. Stavano ridendo perché erano felici, almeno dalle risate si percepiva questo…
Le loro risate mi inquietavano, quasi terrificanti. Ma i suoi singhiozzi strazianti erano la cosa che mi metteva più a disagio.
Il capitano si avvicinò, sistemandomi il colletto dell’uniforme e sussurrandomi, mentre si avvicinava, “hai fatto un buon lavoro”.  Una pacca sulla spalla, ma non riuscivo a guardarlo, con lo sguardo cercavo un volto tra la massa.
Un volto inorridito, come il mio, straziato quanto le sue grida.
Lo trovai. Riflesso sulla lama; vestito come un soldato, con le lacrime di un bambino e gli occhi di chi urlava dentro. Di chi non applaudiva.
La mano mi tremò, e la lama cadde.
Urlavano, ma le grida erano confuse; chi stava urlando?
Alzai lo sguardo, ma tra i volti l’unico che riconobbi era il mio, rideva, rideva in mille modi ed applaudiva guardando lui urlare. Lo stesso che quel volto aveva catturato e che quel volto avrebbe ucciso. Quel volto, il mio volto, lo aveva accompagnato fino a lì, fino a l’ultimo viaggio. O forse no?
Ridevo, stavo ridendo con mille voci, in mille modi; ed applaudivo, stavo esultando. Non ero io.
Era il riflesso di quello che sarei dovuto essere, di quello che avrei dovuto fare. Ma l’immagine delle mie gambe rigide e delle mie braccia che stringevano l’uniforme mi svegliarono.
Correre. Sì, dovevo correre; e corsi. Veloce, con tutta la forza che avevo in corpo, come l’avevo portato a morire dovevo portarlo a vivere.
Le urla non le sentivo più, appeso ad un filo lui si dimenava, contorceva.
Poi tossì, cadde da lì, e sapere che ero stato io a salvarlo dalla mia stessa scelta mi fece sorridere.
Erano silenziosi, loro; e il mio viso non lo possedevano più.
Sorrisi guardandoli, guardandoli tutti. Alzai le braccia al cielo, e in quel momento mi sentii morire. Infatti, qualcuno sparò.
 

Qual è la vera vittoria,
quella che fa battere le mani o battere i cuori?


 



_________________________
Dedico questa storia ad Esis (FaDiesis), sperando che la possa in qualche modo apprezzare.
L'autore dell'ultima frase non sono io, è una citazione a Pier Paolo Pasolini, quindi non ho i meriti per i brividi che vi ha scaturito il leggerla.
Concludo così, con una vittoria che spero abbia fatto battere qualche cuore (?).

  
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