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Autore: Zoey_    20/02/2013    0 recensioni
Continuò a piangere mentre le ombre l’avvolgevano con il loro mantello nero e soffocante.
E la sua ultima promessa fu che in paradiso avrebbe imparato a fischiare.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Nonsense | Avvertimenti: Incompiuta
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Stava correndo oramai da ore nella foresta, i piedi che venivano graffiati dai rovi.
Dietro di lei tre figure nere come l’ombra la seguivano, cercando di prenderla, senza accenni di stanchezza e di affanno.
Lei intanto correva, correva come mai aveva fatto nella sua vita.
Le gambe erano stanche, cadevano sotto il suo peso e si indebolivano sempre di più ogni passo che faceva.
Uscì dalla foresta e si ritrovò sull’asfalto crepato.
Camminarci sopra faceva ancora più male che camminare sopra i rovi.
Dopo poco si rese conto che quella strada le era familiare.
Si girò a destra e come si aspettava trovò la via che imboccava sempre quando andava a trovare i suoi nonni.
La prese sentendo un sentimento di speranza, che credeva oramai spento, crescere nel proprio cuore.
Intanto le figure nere la seguivano, senza mai fermarsi.
Dopo poco, dietro gli olmi intravide la grande casa, talmente grande, che da piccola la chiamava castello.
Aumentò la velocità e fece uno sprint per coprire i pochi metri che la separavano dalla sua salvezza.
Dentro di sé sentiva il sentimento di speranza crescere sempre di più.
Arrivando a quella casa, sarebbe stata in salvo e le figure nere l’avrebbero lasciata in pace, andandosene deluse.
Arrivata al “castello”, bussò alla porta con foga, con più forza che poteva.
Nessuno però le rispose.
All’improvviso si ricordò che i suoi nonni avevano istituito un codice segreto per entrare.
Tutti avrebbero potuto bussare e entrare, anche le figure nere.
Quindi c’era un codice.
Non era niente di complicato, anzi, era un semplice fischio.
Si mise sotto la finestra della loro camera, chiuse le labbra a cerchio e soffiò, ma la sua bocca non emise alcun suono.
E solo in quel momento si ricordava che non sapeva fischiare.
Non aveva mai voluto imparare, nemmeno quando i suoi genitori si erano offerti di insegnarglielo.
La considerava una cosa inutile, priva di importanza, aveva di meglio da fare nella sua vita.
“Guarda che fischiare un giorno ti sarà utile”
Le parole del padre le rimbombavano nella mente e mai come in quel momento le sembravano così vere.
Saper fischiare o no, in quel momento determinavano la sua salvezza e la sua morte.
Provò più volte, ma le labbra rimanevano mute.
Le volte che andava a trovare i nonni era suo fratello a fischiare, ma ora lui non c’era.
Era sola, doveva cavarsela da sola, doveva fare tutto da sola.
Si accasciò sotto il portico e ricominciò a bussare con rabbia.
Cadde a terra, le mani sulla faccia e le lacrime che le sgorgavano dagli occhi.
Non voleva morire, aveva sempre avuto paura della morte, soprattutto se a donarla erano quelle figure nere.
Le lacrime cadevano sul legno del pavimento oramai rovinato dal tempo, mentre lei veniva rovinata dalla tristezza.
Continuò a piangere mentre le ombre l’avvolgevano con il loro mantello nero e soffocante.
E la sua ultima promessa fu che in paradiso avrebbe imparato a fischiare.
 
  
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