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Autore: Kingdommarco    20/02/2013    6 recensioni
22 Dicembre 2012. Sono passate due ore. L’Apocalisse è finita.
Apro gli occhi. Non c’è nessuno, sono solo. Sollevo la schiena. Il cielo è nero, intorno a me solo macerie. Sul mio libro di storia del liceo c’era una foto molto simile, quella del disastro atomico di Hiroshima.

Storia vincitrice (1° posto) di un concorso letterario provinciale, sezione narrativa.
Genere: Angst, Dark, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza
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22 Dicembre 2012. Sono passate due ore. L’Apocalisse è finita.

Apro gli occhi. Non c’è nessuno, sono solo. Sollevo la schiena. Il cielo è nero, intorno a me solo macerie. Sul mio libro di storia del liceo c’era una foto molto simile, quella del disastro atomico di Hiroshima.

Cerco di alzarmi, ma ricado al suolo. Guardo il mio corpo: non ho più una gamba. In effetti mi sentivo leggero. Nel momento in cui vedo la ferita, l’impulso del dolore raggiunge il mio cervello, e avverto l’Inferno.

Grido, e sento dei passi. Mi rigetto al suolo, mi fingo morto. Sopraggiungono due figure: non li vedo bene, ho gli occhi chiusi. Ma comprendo una cosa: non sono umani.
“E’ stato questo qui?” Chiede uno, indicandomi. Ha una voce fredda. Metallica.
“Si. L’ho sentito. Vediamo se è morto.” Conclude, e imbracciato il fucile, mi spara in una gamba.

Mi mordo la lingua per trattenere l’urlo, e quasi me la stacco. Sangue. Ora mi sarebbe stato completamente impossibile alzarmi.
“Morto.” Conclude uno dei due, e si allontanano. “Ma chi sono questi?”, penso.
Mi giro a destra, e vedo altri cadaveri. Accanto a me, mia moglie. E ancora più in là, i miei figli.
Cadaveri, con gli occhi rivolti verso il vuoto. Occhi straripanti di lacrime, lacrime che in vita non hanno potuto versare, lacrime cariche di parole, cariche di speranze, e di sogni, bloccate, in quelle orbite ormai immobili.
Morti. Comincio a piangere, e a riflettere.

Perché io ero vivo? Ce n’erano altri, vivi, come me? E se sono vivo, è per un mero errore di quegli esseri, o un’entità superiore mi vuole ancora qui?
I dubbi premono contro le pareti del mio cranio.

Svengo.
 
 
 
 

 
23 Dicembre 2012. Sono passate ventisette ore

Mi sveglio. A quanto pare, sono di nuovo solo. Incrocio le braccia e tento di raccogliere le idee.
Cos’era successo due giorni prima? Ero a casa, con la mia famiglia. Stavamo pranzando. All’improvviso una fiammata, poi buio, e poi luce. E poi ero qui. Che significa, cos’era successo?
Non lo so, e non lo voglio sapere. So solo, per certo, che il mondo è finito.

Mi asciugo le lacrime e il sudore con la manica, e mi guardo la mano. Mi accorgo solo ora di averla appoggiata su dei pezzi di vetro. Sanguina, ma al momento è il male minore. Alzo la schiena, mi volto a destra e vedo un edificio ancora in piedi. Mi decido, devo raggiungerlo. E comincio a strisciare, come un verme. Ecco, la mia dignità è morta.
Mi trascino con le braccia strisciando su detriti, pietre, vetri e cadaveri; sono pieno di ferite ma non me ne importa, devo continuare. Raggiungo il muro e sento delle voci. Mi rigetto a terra.

Due “esseri” vengono fuori. Li vedo meglio: hanno forma semiumana, se non per gli occhi, che sono totalmente neri e coprono metà faccia. Non hanno i capelli, e hanno un cranio più grosso del normale. Li definirei “anormali”, se fossimo in un’altra circostanza, ma ora, mi sa che l’anormale qui sono io.
“Ehi, quello respira!” Urla uno dei due, indicandomi.
“Macchè, li abbiamo controllati.” Lo contraddice, l’altro.
L’essere si avvicina, mi guarda e sputa. “Inutile.” Mi apostrofa. Mi lascio scappare un ghigno di scherno, e lui lo percepisce. “Si muove!” Grida. “E mi schernisce!”
“Mannò, guarda!” Dice l’altro, e mi spara, nella stessa gamba di ieri. Trattengo di nuovo l’urlo.
“Visto?” L’altra creatura si arrende, e i due si allontanano.
Il dolore è atroce, e la mia vita in pericolo.

Ma questa qui, si può ancora definire “vita”?
 
 
 
 
 
 
24 Dicembre 2012. Sono passate cinquanta ore, è la vigilia di Natale.

Solitamente questo giorno lo trascorrevo con i miei figli. Decoravamo l’albero di Natale, e allestivamo il Presepe. Mia moglie si occupava del cenone, ed era tutto perfetto. Sì, “era.”
Guardo l’orologio, poi il cielo. Dovrebbe essere mattina, ma c’è la luna in cielo. Io amavo guardare la luna, in terrazza, e riflettere. Ma la Mia luna, non questa. E questa luna, mi trascina nella follia.

Le mie gambe sono morte, come la mia dignità, e il mio cuore. Batte a stento, e i sentimenti oramai sono spariti.
Vorrei gridare aiuto, ma nessuno verrebbe. Anzi, verrebbero… con intenzioni ben diverse.
Mi guardo attorno. Desolazione più totale.

Piango, ho finito le lacrime e ora esce sangue. Sgorga come mai, e il dolore è insopportabile.
Di fronte a me non c’è nulla. Tutto piatto, niente montagne, cumuli di detriti o… “esseri” inferociti.
Solo nulla. Vuoto.

La luna è sparita, sostituita da una sfera verde simile a un sole, solo color blu metallizzato, mi ricorda la Volswagen Polo del mio capo. Chissà lui in quale modo straziante è morto.
Fisso lo sguardo sopra di me, in un punto ignoto del cielo. Solitamente, lo facevo per pregare. Ma adesso… non so se esiste ancora un Essere Superiore, o se sia mai esistito. Ma se ci fosse, mi chiedo… come potrebbe tollerare questo? E tollerare la mia sofferenza in questo momento?
Gli sono sempre stato fedele, non avrebbe motivo di punirmi. E allora perché, perché non mi aiuta?
Non voglio la vita, anzi, la morte. Desidero morire, scrollarmi di dosso tutto questo dolore, chiudere le palpebre e spirare, diretto alla vita migliore del Regno dei Cieli.

Solo in questo momento, mi rendo conto che per me la religione non è stata altro che una mera speranza, alternativa al credere nel buio totale dopo la morte.
 
 
 
 

 
25 Dicembre. Sono passate settantaquattro ore. Oggi è Natale.

Dopo aver passato la nottata a piangere sangue e a patire la sete che oramai inizia a farsi sentire, appoggio il volto a terra, proprio su un pezzo di vetro. Sanguinando, giungo alla conclusione che è meglio per me iniziare a esplorare, per almeno tentare di sopravvivere. Nella mia vita non mi sono mai arreso e non voglio farlo ora, anche se so benissimo di essere spacciato.

Inizio a trascinare con le braccia il mio misero corpo sui detriti.
A pochi metri da me un oggetto luccica. Mi avvicino, e lo raccolgo: una pisside in oro, con finiture in argento e coperchio in ottone. Non era un pisside qualunque… molte volte Padre Armando mi aveva dato la comunione proprio da quella preziosa patena, e a me piaceva molto per via delle sue scritte in latino, delle quali riuscivo a decifrare solo poche parole. La raccolgo e la osservo. Mi sfugge un’altra lacrima, e scaglio l’oggetto lontano da me, ripensando alla riflessione di ieri. Il rumore metallico richiama un essere, così mi riappiattisco al suolo e mi fingo morto. Assicuratomi che la bestia fosse sparita, continuo il mio percorso.
 
In cielo risplende un corpo celeste ignoto di colore verde acqueo, colore che impregna anche tutto il resto del cielo. Tendo il braccio per proseguire, ma non afferro niente. Mi fermo e mi sporgo: dinnanzi a me un burrone, profondo suppongo intorno ai sei, settecento metri, mi si para dinnanzi. Osservo il fondo: c’è dell’acqua. Acqua… non ne vedo da tre giorni. Il mio organismo ne risente.
Istintivamente, mi sporgo, come nella speranza di afferrarla. Precipito lanciando un urlo, ma mi ammutolisco appena mi rendo conto di cosa stavo rischiando. Atterro di pancia in acqua.

Mi manca il fiato. Svengo.
Rinvengo appollaiato su una sporgenza, evidentemente portato lì dalla corrente, inzuppato e con la pancia lacerata, che perde sangue. Immergo il volto in acqua, e ne ingoio un sorso enorme, e un altro subito dopo. Sento il rumore di una barca, e vedo un essere.
 
 
 
 
 
26 Dicembre. Sono passate centoquattro ore.

Mi sveglio e scopro di essere stato stordito da una freccia di sonnifero. Sono legato a una barella, nudo, al centro di una sala nel mezzo del nulla, e attorno a me ci sono quelle creature, che mi osservano, quasi compiaciuti. Mi guardo: le mie gambe c’erano, e tutte intere. Le mie ferite erano scomparse. Non avevo più fame, ne sete. Non sembrava realtà: vedevo il mio corpo come fosse etereo, e tutta la scena come un sogno effimero.

“Chi siete?” Trovo il coraggio di domandare.
“I Suoi sudditi.” Mi risponde uno, accennando un inchino. Penso sia di scherno, mi sta evidentemente prendendo in giro. Ma è stranamente serio.
“Ci hai sicuramente sentiti nominare. Ci chiamiamo in diversi modi, ma voi ci conoscete come Cavalieri dell’Apocalisse, il nostro compito è rinnovare il mondo.”
“Che cosa?” Non posso fare a meno di urlare, e la creatura, accennando un sorriso, mi spiega.
“Noi, una volta ogni settemila anni, abbiamo il compito di sterminare la razza umana e rinnovarla. Questa è la centosettantatreesima volta che avviene.”
“E perché mi avete tenuto vivo?” Chiedo, dubbioso.
“Perché dovevamo selezionare, tra voi, il più coraggioso e tenace.” Mi spiega.
“E come mai allora avete cercato di ammazzarmi?”
“Era una prova, e voi l’avete superata.” Mi dice, tranquillo, e la mia paura va lentamente sparendo.
“E… e Dio? Permette tutto questo?” Chiedo allora.
“Quel Dio che conosci e tanto veneravi non c’è più, ne è stato scelto un altro.” Risponde.
 “E chi è?” Ribatto, curioso.

“Ce l’ho davanti, Mio Signore.”
 

Fine

 
   
 
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