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Autore: Telyn    20/02/2013    5 recensioni
Una volta Remus aveva sentito che, a volte, la tua anima si fermava in un posto, per non spostarsi mai più. Remus era certo che la sua si fosse fermata lì, e non la biasimava affatto: anche lui, potendo, sarebbe rimasto sospeso in eterno tra Sirius e quella luce perfetta.
Prima classificata al contest "Back to school" di GalanaOnira
revisione del 26/12/14
Genere: Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Remus Lupin, Sirius Black | Coppie: Remus/Sirius
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
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Nick autore: Telyn
Titolo: Quella luce azzurrina che precede l’alba modificato alla pubblicazione con “Penombra”
Pacchetto materia: Remus/Sirius
Pacchetto scuola: Dove c’è molta luce c’è anche molta ombra (La mia giudiciA, in un eccesso di sclero, mi ha detto la frase in modo sbagliato, quando la versione reale sarebbe laddove c’è molta luce l’ombra è più nera... o qualcosa di simile .-.)
Genere: Malinconico, Romantico, Introspettivo.
Rating: verde
Avvertimenti: nessuno

Introduzione: Una volta Remus aveva sentito che, a volte, la tua anima si fermava in un posto, per non spostarsi mai più. Remus era certo che la sua si fosse fermata lì, e non la biasimava affatto: anche lui, potendo, sarebbe rimasto sospeso in eterno tra Sirius e quella luce perfetta.

NdA: non ho NdA, se non che questa storia è stata un parto .-. 26/12/14: ho tante NdA, anche se di questa storia presumibilmente non frega più nulla a nessuno.

Ho smesso di scrivere seriamente più o meno un anno e mezzo fa. Non è stata una cosa ragionata, ma dettata dalle necessità, tant'è che credo pure di aver lasciato un po' di roba in sospeso. Non me ne vogliate: è un anno e mezzo che tento di fare di tutto per realizzare i miei sogni, e c'è andata di mezzo un po' di roba. Non è vero che ho smesso di scrivere da un anno e mezzo: è un anno e mezzo che non tocco il mio profilo efp se non per leggere qualche storia in silenzio, ma non mi manca la voglia di tornare; solo, se lo facessi butterei al vento un po' di roba, e credo non sia il caso. Perché toccare questa storia? Perché è vero che sto scrivendo, anche se non dedico più ai personaggi lo stesso tempo che prendevano prima, e tra le cose lasciate in sospeso c'erano le correzioni che mi aveva suggerito una giudiciA in un vecchissimo contest. Mi è sembrato un buon momento per farlo, anche se duplicando la lunghezza originaria della storia.

Buona lettura ai malcapitati, e buon Natale di cuore (in ritardo)

 

Penombra

A te che sei molto più che una giudiciA
e una delle amiche più pazienti che potessi desiderare

Ti voglio un mondo di bene, sappilo


Remus si rivoltava nel letto, nervoso. Il graffio sull’avambraccio bruciava un po’, e le piaghe della gamba destra prudevano contro il pigiama. L’odore un po’ inquietante di disinfettante Babbano gli obnubilava i pensieri, senza però farlo dormire. Fece una smorfia: difficilmente sarebbe riuscito a detestare un posto più di quell'infermeria fredda e vuota.

Remus Lupin odiava la notte. Odiava non riuscire a prendere sonno, odiava restare sveglio senza riuscire neanche a formulare un pensiero veramente sensato, odiava il ghigno beffardo della luna oltre i vetri gelati. Non ricordava neanche una notte in cui le palpebre si fossero appesantite con naturalezza, anche prima che i pleniluni acquisissero quell’iniquo significato di dolore e incoscienza. Non ricordava i suoi sogni, non ricordava quel momento di caduta oltre il burrone tra coscienza e incoscienza; non si accorgeva di passare dei minuti nel sonno e altri da sveglio; le sue notti erano ore eterne passate a fissare il buio con gli occhi spalancati senza che lui se ne rendesse conto, e la mattina dopo era sempre più faticosa della precedente. Neanche ad Hogwarts le cose erano cambiate: il naso di Peter, “congenitamente deviato” o malamente storto, produceva un rumore orribile, simile ad uno di quei giganteschi camion per pulire le strade tipici dei Babbani. Per non parlare di James, che anche nel sonno riusciva a sbattere contro ogni oggetto circostante e produrre un rumore assurdo, assurdo. Almeno Sirius stava fermo e zitto, mentre dormiva. Certo, recuperava il tempo perduto di giorno, ma almeno di notte non rompeva.
Diede una testata all’inferriata del letto, cercando di tramortire i neuroni che, arzilli come pidocchi, lo tenevano sveglio, strinse le palpebre a più non posso per cadere in quel buio tanto agognata.
Odiava la notte.
Odiava dover restare sveglio mentre la sua testa piena fino all’orlo di stanchezza minacciava di traboccare senza mai farlo, e odiava anche il letto asettico che lo accoglieva dopo ogni trasformazione sapendo il respiro grosso di Peter e i tonfi di James e il respiro lieve di Sirius lontani da sé, odiava quel silenzio eccessivo. Non lo avrebbe mai ammesso, ma gli mancava il respiro sommesso di sua madre e quello rumoroso del padre, il rumore di foglie fuori dalla sua casa violentemente sostituito con gli scricchiolii del caminetto.
Rumore di passi, nel corridoio. Probabilmente Mrs Chips stava venendo a controllarlo o a somministrargli qualcosa di viscido, amaro o acido o in qualche modo difficilmente classificabile come commestibile, pensò. Udì altri passi. Non era strano, però, che venissero dal corridoio? Chi era in giro a quell'ora in infermeria. No, non poteva essere la strega di mezzanotte di cui parlava continuamente quel ragazzino ossuto vicino a casa sua. Stupido Lupin, pensò: era semplicemente ridicolo pensare alla leggenda della strega di mezzanotte in quel momento, quando si trovava sotto lo stesso tetto di centinaia di streghe, ma a quanto pareva al suo subconscio tutto ciò sembrava totalmente irrilevante.
La porta si aprì lentamente, scricchiolando, senza che nessuno apparisse dietro la maniglia.
Remus aggrottò la fronte.
Altri passi, più lievi, si diressero verso di lui. La parte irrazionale del suo giovane cervello continuava a fargli battere il cuore a mille; un giorno le avrebbe fatto capire che le streghe normali non avevano l'abitudine di estrarre il cuore a giovani undicenni. Forse.
« James? » chiamò piano.
« Credi davvero che riuscirebbe ad essere sveglio dopo le undici? Le sue doti intellettive mi deludono, messer Lupin » fece Sirius a bassa voce mentre i suoi lineamenti regolari, contratti in un ghigno, si rivelavano da sotto il Mantello dell’Invisibilità – non senza fatica. Remus sospirò pesantemente, soffocando una risata: la tanto celata goffaggine del suo compagno di dormitorio non cessava mai di palesarsi, quando tentava di togliersi il mantello in un unico gesto fluido ed elegante.
« Mi perdoni, messer Black. Non credevo che esistesse qualche altro pazzo scriteriato mi potesse far visita nel cuore della notte senza qualche particolare motivo. A meno che tu non ne abbia motivo. » rispose, liberando – tra le proteste dei suoi maltrattati arti – uno spazio per il suo compagno di dormitorio sul materasso.
Sirius fece spallucce, sedendosi sopra le coperte. « Affatto, non ne ho motivo. Semplicemente non avevo sonno. Tu, invece? Perché non dormi? » chiese.
Remus sospirò. « Ci riuscirei, se fosse facile... »
Sirius alzò un sopracciglio. « Non riesci a dormire? »
« No » rispose seccamente.

Non è che non andasse d'accordo con Sirius, anzi: gli era notevolmente simpatico. Però era... strano. Era strano che passasse da momenti di completo caos ad altri di silenzio che, se interrotto, causava occhiate o frecciate taglienti. Non lo capiva. Aveva sentito della famiglia ricca e strana, ma davvero non riusciva a capirlo. E ancor meno capiva la voglia di venirlo a trovare in infermeria in mezzo alla notte, vista la sua aria da principino viziato.
Sirius aggrottò la fronte, guardando un punto un po' lontano da loro e strizzando un po' gli occhi; poi li aprì, come colpito da qualcosa. «Quindi se la notte non fai quasi rumore è perché non dormi. »
Remus spalancò gli occhi, sorpreso. L'altro si girò verso di lui.

« Neanche io dormo... facilmente. Qui, almeno. A casa è molto peggio. »
Remuslo guardò più attentamente, stupito. Non riusciva ad immaginare come una casa con un fratello e in cui tuo padre non fuggiva mai al primo pub della strada potesse essere tanto inquietante da non farti dormire. Sirius continuò a parlare.

« Però c’è un modo, sai? C’è un modo per far star zitta la tua testa e dormire, io lo faccio sempre. »
« E cioè? »
« Chiudo gli occhi. »
Remus represse a stento l’impulso di sbuffare – in fondo, Sirius era più gentile di quanto non pensasse, era venuto a visitarlo e gli stava pure tenendo compagnia.
« Fin qui c’ero arrivato, ma se non riesco a dormire vuol dire che non funziona, non credi? » disse, sforzandosi di non suonare troppo seccato. Sirius ridacchiò. Evidentemente, nella Londra magica e Purosangue – qualunque cosa volesse dire – insegnavano anche a riconoscere la rabbia altrui.

« Ma il metodo non è solo questo, ovvio! Però per riuscire a dormire devi chiudere gli occhi. Stammi a sentire, e se non funziona me lo dici dopo avermi lasciato spiegare. »
Remus sospirò, abbassando le palpebre.
Il mondo si fece buio, libero da quella penombra in cui era costantemente intrappolato dalla sua mente e dalla falce bianca e impietosa fuori dalla finestra.
« Esatto, Rem, così. Lo so che non basta chiudere gli occhi, però devi almeno provarci, no? Dormire ad occhi aperti non credo sia possibile. Adesso stai calmo, che ti insegno io. Tieni gli occhi chiusi e concentrati: le vedi quelle cosine chiare che si illuminano contro le palpebre? »

Remus annuì, certo che, se avesse manifestato il proprio scetticismo, l'altro se la sarebbe presa a morte. Probabilmente nelle ricche case magiche insegnavano anche ad essere permalosi.
« Quelle sono luci, Rem. Sono le cose che ti hanno colpito di più durante il giorno. Guardale tutte, una per una. Pensa al significato di tutte quante. Come va, funziona? »
Remus aggrottò un po' la fronte: parole del genere, fuori dalla bocca di una cartomante Babbana o da quell'invasata con gli occhiali da mosca, erano decisamente strane. Però, incredibilmente, funzionava: cominciava a sentire il pensiero più pesante, come poggiato contro la voce di Sirius. « Sì, funziona. » disse, la voce lievemente impastata.
« Ecco, ora le lucine dovrebbero essere più luminose di quando hai chiuso gli occhi. »
« Beh, questo è logico » fece Remus, senza riuscire a trattenersi. Qualcosa nell'oscurità gli disse che Sirius aveva stretto le sopracciglia, e tirato le labbra all'in dentro.
« E perché? »
« Perché quando c’è molta ombra c’è anche molta luce, e adesso vedo tutto buio. » fece, citando: non gli andava di fargli notare quanto fosse normale vedere quelle luci, o quanto poco lo fosse attribuire qualche significato strano alla cosa.
« Se ti riferisci a Kettleburn, dice esattamente il contrario. »
Incredibile: Sirius ha ascoltato una lezione meglio di me.

« Davvero? »
« Sì, dice che dove c’è molta luce c’è anche molta ombra. »
« Beh, ma allora è uguale. Se dove c’è molta luce c’è anche molta ombra allora dove c’è molta ombra c’è anche molta luce, no? »
« No. » Sirius stava parlando seriamente; probabilmente, Remus non l'aveva mai sentito fare una conversazione tanto seria in tutti i loro due anni e mezzo di dormitorio comune.
« No? »
« No. Con tanta ombra potrebbe anche esserci buio totale. »
Remus, per lo stupore, alzò le sopracciglia, e aprì gli occhi nel buio; gli parve quasi di non aver sollevato le palpebre, dall'oscurità che lo circondava. Voltò lievemente il viso verso Sirius. Era ancora seduto nello stesso punto del materasso, ma aveva una faccia strana, pensierosa; i suoi occhi erano ancora posati su di lui. « Quindi... »
« Sì? »
« Potrebbe anche esserci tantissima luce, soltanto luce? »

Mai avuta una conversazione più strana, pensò. Né avrebbe mai pensato di farla con Sirius, che, onestamente, sembrava l'ultima persona al mondo ad avere in testa luce e buio.
« Remus, il mondo è un posto pessimo. Puoi avere buio totale, ma non vedrai mai un posto o una persona così tanto luminosa. »
« Beh, meglio. »
« E perché? »
« Le cose troppo luminose fanno male. Pensaci: non puoi fissare il fuoco o una lampadina troppo a lungo, ti fa male la testa. Pensa al sole: non bisogna mai guardarlo, no? E poi anche lui ha le macchie, o sarebbe veramente troppo luminoso. »
Sirius rimase in silenzio.
« Remus... » lo chiamò dopo un po'.
« Sì? »
« Secondo te le persone con un po’ di ombra e un po’ di luce sono migliori delle altre? »
Remus ci pensò un attimo, poi annuì. « Sì, perché sono abbastanza luminose perché tu le veda, magari così tanto da farti anche vedere dove vai, ma non ti accecano. Le persone che accecano sono uguali a quelle senza luce, non fanno vedere nulla. »
« Bene, allora insieme andiamo bene. »
« Perché? »
« Perché tu e la tua candida reputazione siete due caminetti accesi, ma io e la mia compensiamo. Insieme siamo i migliori. »
« Abbastanza scontato, se posso dire. »
« Giusto. »
Remus sentì la voce di Sirius farsi sempre più lontana, e la coscienza più pesante. L’ultima cosa che percepì fu una carezza lieve su una mano, veloce, come troppo impaurita per comunicare l’affetto delle sue intenzioni. La mattina dopo, per la prima volta fresco e riposato, non l’avrebbe ricordata.

 

***



Remus spalancò gli occhi nel buio.
Ansimava, e gli parve di sentire il suo respiro corto rimbombare nell’aria della stanza. Si mise a sedere, guardandosi intorno in modo circospetto, e fece avanzare la mano fino alla bacchetta.
Nella penombra, il mobilio appariva in tensione, quasi spaventato da quel senso di inquietudine che lo assaliva.
Dopo qualche minuto smise di scoccare sguardi minacciosi ai suoi cassetti e si accasciò contro la testiera del letto.
Insonnia.
Nessun mago oscuro nascosto fra i calzini, solo la vecchia belva amica che lo tornava a cercare.
Era strano aver faticato così tanto a riconoscere la vecchia compagna d’infanzia; il fatto era, semplicemente, che da quando nelle sue notti era arrivato Sirius l’inquietudine se n’era andata senza lasciar traccia, come un’ombra contro una lampada.

Remus alzò gli occhi verso la stoffa del baldacchino. L’avevano dimesso dall’infermeria, ma il raffreddore di Peter gli stava già facendo rimangiare le lamentele pensate contro quel silenzio asettico. Come a ribadire i suoi pensieri, James diede un calcio alla colonna del baldacchino. Remus sbuffò.
« Rem, dormi? »
Alzò lo sguardo: non si era accorto che Sirius fosse uscito dal letto. Si inchinò verso di lui, scostandogli la coperta dal petto. Remus si strinse istintivamente nel lembo rimasto, piuttosto indispettito. Da quando Sirius gli aveva insegnato il suo “metodo” era riuscito a passare altre due notti serene e riposanti, e lo guardava in modo diverso. Si era accorto di tante cose: delle ragazzine che lo fissavano nei corridoi, della smorfia pensierosa che gli corrugava la fronte e gli ritirava all'interno le guance. Non era più convinto che fosse il principino viziato che pensava. « Mi fai spazio? » gli fece. « Magari in due ci riusciamo, a dormire... » aggiunse, come giustificandosi con lo sguardo stupito dell’amico. Se Remus non fosse stato così diffidente nei confronti della luce lunare avrebbe giurato di averlo visto arrossire.
« Va bene, vieni pure... Tanto c’è uno spazio assurdo, sembra che facciano i letti per armadi. » Sirius ridacchiò, espandendosi fino a occupare tre quarti del letto.

Remus sorrise, addolcito dal ricordo. Si alzò dal letto e aprì la finestra, per far entrare l’aria fresca della notte nella sua stanza. Quella, pensò, era stata la prima di tante notti insieme, seguita da altrettanti peregrinaggi per la scuola. A volte scoprivano nuovi passaggi segreti, altre bevevano una cioccolata nelle cucine, altre si sedevano su un gradino, a parlare.

« Ripeti, non ho capito assolutamente nulla di quello che hai detto. »
Era strano parlare così tanto con qualcuno, strano chiacchierare per ore nella penombra azzurrina delle scale d’ingresso, silenziosa e benevola alla luce di una luna che, per una volta, non faceva paura. Una volta Remus aveva sentito che, a volte, la tua anima si fermava in un posto per non spostarsi mai più. Remus era certo che la sua si fosse fermata lì, e non la biasimava affatto: anche lui, potendo, sarebbe rimasto sospeso in eterno tra il suo primo vero migliore amico e quella luce perfetta.
« La geometria è una cosa Babbana che studia le figure, le linee sottili e dritte che si chiamano rette e i punti... È come vedere dei disegni che sembrano senza sentimenti acquistare l’anima di fronte a te, e tu ti senti potente come un Dio. »
Sirius restò un attimo a guardarlo, stringendo gli occhi e inclinando il capo, mentre le parole di Remus continuavano a riecheggiare. Quei muri sembravano fatti ad arte per farti ripensare a ciò che avevi appena detto, pensò.
« Ma... Tipo? Fammi un esempio, che ci fanno con quelle figure? »
« Beh, le... Le studiano, le rigirano, scoprono delle leggi... Per esempio, prendi una linea, la linea più sottile e dritta che riesci ad immaginare, e due punti, i punti più piccoli che tu riesca ad immaginare. Quante linee sottili come quella che hai immaginato passeranno attraverso quei due punti? »
Sirius strinse di nuovo gli occhi iniziava a pensare che fosse un po' miope, ma non l'avrebbe mai detto davanti agli altri corrugò la fronte e si morse il labbro, poi diede una manata al gradino su cui erano seduti. « Non lo so, diamine! Non è possibile, le linee sottili vanno dappertutto, e quando mi sembra che siano finalmente dritte cambiano, ridacchiano, cambiano direzione... Non lo so, non c’è un modo per dare un senso a quelle... quelle cose! »
Remus scoppiò a ridere: la sua faccia corrucciata sembrava dire che no, Sirius Black non avrebbe mai amato la geometria.

Remus sospirò. Non c’era più alcun Sirius nelle notti d’estate, nelle notti d’inverno non c’era più tepore diverso dalle coperte e ricordarsene faceva male. Però si poteva ricordare; quella era la luce di Sirius, con la sua stella quasi uguale alle altre e il cielo azzurrino come le vetrate di Hogwarts. Quella era l’aurora, quella luce in cui gli uomini potevano solo sperare e lui doveva ricordare le sere felici passate. Doveva ricordare le bottiglie di firewhiskey svuotate, i momenti imbarazzati e quella specie di mal di pancia strano a sedici anni quando era vicino a Sirius. Ricordava di essersi sentito diverso, di aver capito all'improvviso che la sua faccia, vicino a Sirius, assomigliava più a quella di James vicino a Lily che non ad altro. Ricordava la prima volta in cui la sua faccia era stata troppo vicina a quella di Sirius di quanto non sarebbe piaciuto a suo padre; però in quel momento il mal di pancia se ne era andato, e Remus aveva capito di essere felice così.

 

« Sirius, smettila, c'è mio padre, oltre a tutta la scuola, smettila-»
« E dai, Moony! Davvero sei una persona così tanto noiosa da non voler provare l'ebbrezza del rischio? »
« Sirius- »
« Chiedo scusa, hai perfettamente ragione: lo sei. »
Remus sbuffò, dandogli uno strattone e fermandosi a rassettarsi la giacca. A qualche decina di metri da loro, James si faceva scaricare le sei valige da un paio di ragazzini del primo anno; doveva aver attirato l'attenzione di Lily, vista la furia cieca che aveva dilagava nei suoi occhi mentre si dirigeva a passo spedito verso la stiva. Non lontano, Peter parlava coi suoi genitori, probabilmente facendo un resoconto dettagliato dei suoi esami. Era incredibile quanto Peter fosse in grado di trasformarsi: buffone attento e discreto con loro, lievemente subdolo coi più piccoli e pacatamente remissivo con gli adulti. Erano gli unici sulla banchina ad essersi allontanati di così poco dal treno, notò Remus guardandosi intorno. Suo padre non veniva mai a prenderlo al binario, e sia lui che Sirius lo sapevano benissimo: Lyall Lupin era stato uno studioso piuttosto affermato, e non era impossibile che, riconoscendolo, qualche Purosangue riconoscesse in Remus il figlio affetto dalla “tremenda sciagura”. Preferiva attenderlo nella sua Ford Fiesta alla stazione, in mezzo ai Babbani.
« Allora? Hai trovato qualche mago oscuro che ci tiene sotto tiro, signor Prefetto? »
« Al momento solo un cane pulcioso, ma non sono sicuro; potrebbero essercene altri. »
Sirius ridacchiò, avvicinandosi a lui. Si appoggiò alla parte della colonna lasciata libera da Remus, tirò fuori dalla tasca un pacchetto di sigarette e, dopo averne infilata una tra le labbra, la accese. « E dai, non fare il permaloso! Volevo salutarti decentemente, sai, visto che non so quando ti rivedrò. Da quel che so in questo momento potrei pure rivederti fra due mesi. »
Era una sensazione strana, destabilizzante, come sentirsi la terra ritirata da sotto i piedi. Un momento le cose con Sirius sembravano quasi normali, e quello dopo se ne usciva con qualcosa di assolutamente possessivo, o dolce, o assolutamente non da Sirius, e ricordava che era il suo ragazzo, ed era lui il malcapitato ad esser tirato nei passaggi segreti per qualche bacio rubato. Da mal di mare, ma non poteva dire che gli dispiacesse vedere quei sorrisi strani e nuovi comparire all'improvviso sul volto di Sirius mentre parlavano. Sentì un soffio caldo sul collo: perso com'era nei suoi pensieri non si era accorto che la testa dell'altro avesse preso posto sulla sua clavicola. « Smettila subito » sibilò, scansandosi. « C'è un sacco di gente, non lo vedi? » Sirius ridacchiò di nuovo, mentre Remus arrossiva alla mano che gli scompigliava i capelli « Certo che lo so, lo vedo! Ma è proprio questa la cosa divertente! »

Spostò lo sguardo verso il treno; un velo di rabbia velata gli oscurò gli occhi. « Beh, mio caro e riottoso amante, devo abbandonarti: vedo la fulgida Walburga e il radioso Orion Black gioire alla vista del mio fratello ignobile, e non voglio che abbia tutte le attenzioni per sé. » Remus sospirò, mentre si metteva nuovamente a posto la camicia e l'altro raccattava le sue cose. « Vuoi che ti prenda la sigaretta? » Sirius ghignò. « Nah, credo che la offrirò alla mia meravigliosa madre. Ci sentiamo, va bene? » fece, prima di stampargli furtivamente un bacio sulle labbra.

Remus si sedette a cavalcioni dello schienale, accendendo una sigaretta. Era da un po' che si sforzava di non ripensare ai suoi trascorsi: esattamente, da quando si era reso conto che non poteva passare più tempo col suo cuore infranto che con l'Ordine. Però faceva bene, ripensare a loro. Per un po' aveva pure funzionato: era andata bene per quei due anni ad Hogwarts nascosti dietro agli arazzi dei corridoi, era andata bene quegli anni sotto i fumi di Londra, a cercar lavoro e a cercare qualcosa per rendere bella la loro vita pur trovando spesso solo alcool, risate e poco altro. A Remus pesava: gli pesava non poter più avere ambizioni degne di questo nome come gli era pesato non poter far altro che gli incarichi più stupidi dell'Ordine, gli pesava non poter provvedere da solo alla sua vita. Ma c'era Sirius, c'erano le notti insieme, c'erano un migliaio di cose che, grammo dopo grammo, alleggerivano la tonnellata di pesi sulla sua schiena. Poi avevano iniziato a sentirsi utili, davvero utili, e Remus non sapeva se da lì le cose fossero migliorate o peggiorate.


 

« Dunque voi pensate che anche Rosier sia stato complice nell’assassinio dei coniugi Stoner? »
« Esattamente, signore, ne siamo quasi certi. Rosier ha uno strano modo di parlare: strascica le r e tende ad arrochire un po’ tutte le consonanti, e l’ho udito imprecare quando un piccione l’ha... Adornato. »
« Molto bene, Signor Lupin: probabilmente stanotte sono state salvate molte vite, grazie al vostro intervento. Ora la questione acquista un senso: Rosier sta facendo pressione perché Mulciber venga rilasciato, e un assassinio così vicino al Ministro potrebbe essere... Sì, credo che lo potremmo chiamare avvertimento. Bene, possiamo supporre che la sua prossima mossa sarà decisamente più diretta, dunque è necessario organizzarsi per le ronde intorno alla sua abitazione.
Inoltre, Paciock, vorrei che avesse un nuovo colloquio col Primo Ministro Babbano e gli garantisse completa protezione, e sarebbe utile fornire questa sede di un telefono per le comunicazioni fra noi e loro. Le vie magiche sono controllate, la cosa più sicura è usarne una Babbana, a cui loro non penseranno mai. Evans... »
Lily annuì al vecchio preside, che le sorrise quieto. « Bene, direi che per stasera può essere tutto. Buonanotte, miei signori » disse, infine, prima di infilarsi nel camino e tornare ad Hogwarts.
« Continuo a non capire perché questo lavoro non lo possono fare gli Auror » fece James, spingendo rumorosamente la sedia lontano dal tavolo.
« Gli Auror si devono attenere alle prove, James; possono fare retate, Cruciare, ammazzare i Mangiamorte, ma non è loro compito cercare di entrare nella mente di Voldemort e prevederne le mosse. Quello, ovvero la cosa più utile, è compito nostro. »
Sirius scoppiò in una risata, sempre più simile ad un latrato da quando i peli di Felpato gli restavano attaccati alla gola. « Ramoso, potrai anche essertela sposata, ma quella è una Prefetto Perfetto! » Remus rise con lui, quando Lily arrossì e gli colpì lievemente il braccio. Remus la conosceva bene, ormai: sapeva che dietro il broncio per chi lo voleva cercare c'era un sorriso ben più ampio di quanto non ci si aspettasse, e James non aveva fatto altro che metterlo più in vista.
« Sempre meglio di chi non capisce il senso di quello che fa, cagnaccio che non sei altro! James, andiamo a casa, stasera non voglio fare di nuovo da baby-sitter mentre voi ordinate troppe birre babbane! »

« Ma dai, amore, sei crudele! »
« Assolutamente no, preservo la mia sanità mentale! Rem, buona fortuna! » Fece, strizzandogli l'occhio. Estrasse la bacchetta, e dopo aver afferrato il mantello di James – ancora impegnato a discutere dei benefici della birra babbana – si smaterializzarono.
« Sentiamo, Moony, perché la Evans non ti dovrebbe invidiare? » Fece Sirius, voltandosi a guardarlo.
« Immagino che lo dica perché sei ingestibile, Felpato » rispose Remus, mentre incurvava le labbra in un ghigno. Sirius vi rispose, facendo scivolare la sua mano sul fianco di Remus.
« Ah, io sarei ingestibile? Che cosa poco gentile, da dire... Tu e la Evans state diventando troppo empatici, sai? »
« Oh, stai tranquillo » mormorò Remus, soffiando le parole contro il suo orecchio « Lily non può neanche immaginare i lati positivi dell'ingestibilità. »

Remus sorrise di nuovo, ma stavolta con una fitta di dolore tra le costole. Era difficile, cercare di ricordare, doloroso. La luce cresceva, fuori, si incrostava di luce e faceva male, feriva gli occhi.

Non ce l'avevano più fatta. Remus non sapeva se fosse stato un gioco immaturo o no. Ci aveva creduto, ci aveva creduto tanto. Aveva creduto nelle notti passate a guardare il piercing nell'orecchio di Sirius e a pregare che davvero, non li buttasse giù nulla, ma più ci pensava e più gli sembrava difficile e strano; più ci pensava e più si sentiva un vecchio che guarda agli amori adolescenziali come a stupidaggini dense di significato. Non poteva e non avrebbe dovuto prendere in giro nessuno: Sirius non era una cotta, né si meritava che venisse pensato a loro in quel modo. Erano troppo giovani, però. Dei diciassettenni non dovrebbero giocare alla coppia sposata, e non dovrebbero avere troppe vite sulle loro spalle; dei ventenni non dovrebbero guardarsi allo specchio e capire di esser cresciuti troppo per giocare, non dovrebbero fare i conti con vecchie scelte più grandi di loro e non dovrebbero fingere di scambiarne le conseguenze con cose futili, stupide.

« Dimmi cosa ci facevi lì » soffiò Sirius, infuriato.
« Ero con Harry, Lily e James non dormivano da giorni...»
« Non è vero e lo sai, James dormiva quando sono passato io e tu non c’eri, come non c’era Lily! Cosa diamine stai facendo, Remus? »
« Ero da Harry, te l’ho già detto... »
Sirius si fermò, ansimante dalla rabbia. « Bene » disse. « Bene. Continua pure a mentirmi, ma sappi che non mi prendi più per il culo » disse, prima di Smaterializzarsi. Remus si sedette, accasciato contro la sedia. Cos’ho fatto?, si chiese, mentre le lacrime cominciavano a scendere.

Faceva male, dannatamente male. Era tanto doloroso che Remus dovette prendere un respiro, pur di continuare a pensarci. Non poteva dire a Sirius dei dubbi suoi e di Lily, non poteva dirgli delle loro ricerche sui membri dell'Ordine e sugli auror alla ricerca di quella dannatissima talpa che li stava divorando tutti, uno dopo l'altro. Ne avevano parlato più e più volte, lui e Lily: era pericoloso. Lily non voleva mettere in pericolo la sua famiglia, e Remus non voleva mettere in pericolo Sirius, anche a costo di allontanarlo da sé.

Sirius era tornato, quella notte. Era tornato per l’ultima volta, perché Moony e Padfoot passassero un’ultima Luna Piena assieme. Lo sapevano tutti e due, in fondo, che non era stata colpa loro, non sul serio. Forse, sperava Remus, un giorno avrebbero messo le cose a posto, avrebbero fatto pace con tutta Londra, con le loro stupidaggini da ragazzini con le unghie mangiucchiate. A Remus facevano male, le notti senza Sirius: erano fredde e tristi, lo coglievano addormentato in mezzo alle sue lacrime, lo tormentavano fino a tardi mettendogli in mano un telefono che non avrebbe usato e se ne andavano ogni giorno più crudelmente, nella luce beffarda del sole e nelle stille di pioggia, coltelli sulla pelle.
Il campanello del suo appartamento nella periferia della Londra Babbana suonò, insistentemente.
Remus si riscosse. Salutò con un ultimo sguardo l’aurora, già sfumata nella luce cruda del nuovo giorno. Registrò da qualche parte fra i suoi polmoni e la gola un po' annodata nelle lacrime, per l'ennesima volta, che quel momento non avrebbe più avuto, di contorno, l'odore di Sirius e i suoi ricci corti e scuri, né il suo braccio sull'addome. Forse era davvero meglio così.
Il campanello suonò di nuovo. Si rivestì con le prime cose trovate nell’armadio, ancora scosso per i pensieri di quella notte, poi andò ad aprire.
« Elphias, che succede? »
« Remus, il... Voldemort è caduto, Remus! È finito tutto! »
« No! Non può essere vero, come... »
« E invece sì, Remus, è caduto! »
« Mio Dio, aveva ragione James, che saremmo tutti usciti vivi da questa guerra, aveva ragione!...
Phis, perché fai quella faccia? »
Elphias Doge si morse il labbro.
« Rem... I Potter sono morti, il loro Custode Segreto li ha traditi. Solo Harry Potter è sopravvissuto. »

  
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