Orgoglio
Quando si
svegliò era in ospedale. Non ricordava di esserci andata, ma dato che aveva più
o meno perso i sensi in un’ambulanza era plausibile che lei lì non ci fosse mai
andata coscientemente.
Si mise
seduta e sentì subito il fastidio della fasciatura stretta al collo.
“Maledette bende” si lamentò.
Sentì una
specie di basso ronzio e si voltò, deglutendo a fatica quando vide suo padre
che dormiva su una poltrona. Era messo con la testa ricurva verso il basso,
tutto piegato e torto. Non doveva essere una posizione comoda.
Allungò una
mano un po’ esitante, poi lo sfiorò.
“Papà?” lo chiamò. Quando pronunciò quella parola
si rese conto di quanto le fosse mancato dirla.
L’uomo
sussultò e si guardò intorno spaesato, poi la vide e si tranquillizzò.
“Buongiorno” la salutò, stiracchiandosi.
“Mi fa male una spalla” si lamentò.
“Per forza, hai dormito piegato come un compasso”
lo sgridò lei.
“Non avevano un altro letto da prestarmi!” si scusò
Jason. Rea rise.
“Ma tu fossi cambiato di una virgola, negli ultimi giorni,
eh?” lo prese in giro.
Nonostante
la sua frase volesse essere allegra e tranquilla, si rese subito conto che
aveva invece premuto un tasto dolente.
“Scusa” disse subito.
“No, io sono qui per risolvere, non scusarti” la
tranquillizzò. La ragazza sospirò.
“Che vuoi risolvere? Vai a letto con Emma!” gli
fece presente.
Jason annuì.
“Lo so, sono un padre orrendo, me ne rendo conto. E ti
giuro che ho provato ad essere mille volte migliore rispetto a come non sarò
mai, ma il problema è che non l’ho fatto apposta! Non volevo ferirti, non lo
vorrei mai, io vorrei che tu fossi felice per sempre, vorrei renderti felice e
invece ti ho portata a questo. Mi odi, vero?” le chiese. Rea ci pensò un
po’, in silenzio.
“No” rispose alla fine. Jason la guardò sorpreso.
“No?”
“No, non ti odio, affatto. Io odiavo solo il fatto che tu
non ti fidassi abbastanza di me, che tu non mi abbia mai detto cos’era a farti
stare male” spiegò.
“Ma…”
“Fammi finire, papà. Tu ed io siamo soli da una vita,
ormai, siamo sempre stati soli praticamente. La mamma se n’è andata troppo
presto per quanto mi riguarda e tu non hai mai voluto nessun’altra. Non
fraintendermi, sono felice se tu sei felice, però speravo che dopo tredici anni
ti saresti fidato a dirmi ciò che ti passa per la testa. Invece hai preferito
tenerti tutto dentro, stare male da solo e poi fare le cose alle mie spalle.
Hai presente come ti sei sentito tu quando hai scoperto che stavo con Fabio?
Ecco, io sono stata dieci volte peggio, mi sentivo una nullità perché nemmeno
mio padre si fidava a dirmi le cose” raccontò.
“Non sapevo che altro fare quando ho visto che baciavi
Emma, ero nel panico: ho odiato te e lei e ho sperato che vi capitasse qualcosa
affinché capiste come mi sentivo, perché questo proprio non dovevate farmelo. Ma
poi dopo ho capito” ammise.
Jason, che
era stato zitto per tutto il tempo, cercò di non commuoversi.
“Cosa?” chiese.
“Sono stata in quella cantina non per molto, anzi a dirla
tutto mi è andata piuttosto bene: se avevo sfortuna, potevo essere ancora lì, chissà.
Comunque, nonostante ciò, quando sono uscita mi sono chiesta cosa sarebbe
successo se al mio ritorno a casa tu non ci fossi stato perché avevamo litigato
o se, peggio ancora, io non ne fossi uscita viva. Davvero volevo andarmene col
ricordo di te che mi facevi stare male o preferivo risolvere? Era inutile
starci male, sono sicura che se tu ed Emma avete iniziato una qualche relazione
sicuramente non sarà qualcosa di passeggero e che, volenti o nolenti, non
riuscirete a fermare ciò che provate, è inutile. Quindi io non dovrò essere
quella che vi mette i bastoni tra le ruote, non me lo perdonerei mai: e se la
tua felicità fosse proprio lei? Se fosse Emma colei che ti farà ritrovare il
sorriso? Non voglio essere io a toglierti la felicità” ammise.
Piangeva
silenziosamente, ma sorrideva.
“Io sarò felice qualsiasi cosa tu decida, papà” gli
promise.
Jason la
abbracciò senza sapere cosa dirle, tenendo stretta tra le braccia quella
bambina che poche ore prima aveva rischiato la vita. Senza non sarebbe riuscito
a stare, questo era sicuro.
“Ti voglio bene” le disse solamente. Altre parole
sarebbero state inutili, lo sapeva.
“Anche io, papà”
Una volta
fuori di lì, Rea e Jason andarono a prendere un gelato. Rimasero in silenzio
per quasi tutto il tempo, godendosi quei minuti di tranquillità.
“Quindi tu e Fabio siete affermati ora?” chiese
l’uomo, incuriosito.
“Sì, decisamente sì. Credo… credo di amarlo, sai?”
confessò la ragazza, avvampando.
“E lui ti fa felice?”
“Come nessuno mai”
Lui la
strinse forte.
“Allora è giusto così” le assicurò.
Rea
tergiversò un po’, poi sospirò.
“Tu ed Emma, invece?” domandò infine. Jason temeva
quella domanda, ma sapeva che sarebbe arrivata. Sospirò.
“Non lo so, a me lei piace e basta. Che ti devo dire? Non
riesco a starle lontano ma so che è sbagliato starle vicino” rispose.
“Non sono ancora pronta a parlarle, ma secondo me dovreste
conoscervi un po’ meglio” gli suggerì.
“Oh, ma lo so. L’unico problema nato eri tu” la
prese in giro.
“Ah, grazie eh!” fece finta di arrabbiarsi lei,
ridendo.
Anche l’uomo
rise, poi si fermò a guardarla.
“Secondo te è giusto che uno della mia età esca con una
liceale?” le chiese.
“Secondo me è giusto seguire il proprio cuore”
spiegò Rea, facendo spallucce.
“Fosse facile”
“Ma lo è! Insomma, se non te la togli di testa e lei non
si toglie di testa te tanto vale che vi vediate! I problemi nasceranno dopo!”
esclamò lei.
“Forse il mio è solo orgoglio, in fin dei conti”
“Ne uccide più l’orgoglio della spada”
“Quand’è che sei diventata così saggia?”
“Ho un buon maestro, che vuoi farci?” rispose la
ragazza, continuando a ridere.
Poi tornò
seria tutto insieme.
“Anche se adesso dovrò tornare a non fare niente per
chissà quanto tempo” sospirò. Lui la fissò.
“Che intendi dire?”
“Avrei dovuto portare la domanda per entrare in polizia
alcuni giorni fa, ora sono fuori tempo massimo per l’iscrizione, il che
significa che devo aspettare un anno per poter fare il corso” gli disse.
Jason
sorrise.
“Già, a proposito di quella… ho parlato con Bearne qualche
giorno fa” la informò.
“Per cosa?”
“So di essere stato un idiota e che devi fare le tue
scelte, così gli ho chiesto se aveva intenzione di farti entrare nella squadra
e che io avrei dato le referenze per accelerare l’assunzione. Ho firmato le
carte al posto tuo” le annunciò, tirando fuori dalla tasca della giacca
un foglio con su scritto “Approvato” a caratteri cubitali.
Rea prese il
foglio e lo guardò con occhi sgranati, senza sapere cosa dire.
“Ma tu non volevi!” esclamò.
“Io avevo solo paura che tu non ce la potessi fare, ma so
che sei una ragazza meravigliosa e che riuscirai a rendermi fiero di te. E poi
non sarai sola, io sarò sempre con te, ogni volta che ne avrai bisogno”
le promise.
Lei si
lanciò verso di lui e lo strinse con l’unica mano libera che aveva.
“Grazie, grazie, grazie, grazie!” gli disse.
Jason rise.
“Però vedi di impegnarti!” si raccomandò.
“Sarò la poliziotta migliore che tu abbia mai conosciuto,
te lo giuro!” disse lei, asciugandosi gli occhi.
L’uomo la
abbracciò di nuovo e sorrise.
“So che lo sarai, io ho fiducia in te” le assicurò.
E stavolta
era sincero.