Film > X-men (film)
Ricorda la storia  |      
Autore: Jo_The Ripper    21/02/2013    3 recensioni
Così Marie respirava a fondo, si sciacquava il viso con acqua fresca ripetendo un mantra:
«Andrà bene, nessuno ti toccherà, prenderai le giuste precauzioni, non succederà nulla di sbagliato»
Lo recitava come una preghiera e tornava ad affrontare il mondo, nell’attesa che qualcuno o qualcosa la salvasse da quella voragine di terrore che minacciava di inghiottirla ogni giorno. Che qualcuno la salvasse da se stessa e dalla folla. Una folla che la stava pian piano facendo scivolare nel baratro oscuro della follia.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Marie D'Ancanto/Rogue
Note: Movieverse | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
- Autore: Jo_The Ripper
- Titolo: Oclofobia
- Introduzione: Così Marie respirava a fondo, si sciacquava il viso con acqua fresca ripetendo un mantra:
«Andrà bene, nessuno ti toccherà, prenderai le giuste precauzioni, non succederà nulla di sbagliato»
Lo recitava come una preghiera e tornava ad affrontare il mondo, nell’attesa che qualcuno o qualcosa la salvasse da quella voragine di terrore che minacciava di inghiottirla ogni giorno. Che qualcuno la salvasse da se stessa e dalla folla. Una folla che la stava pian piano facendo scivolare nel baratro oscuro della follia.
- Fandom: X-Men (film)
- Personaggi: Rogue
- Rating: Giallo
- Generi: Introspettivo
- Fobia: Oclofobia
- Note: Questa fanfiction è uno scorcio di vita di Rogue tra i primi due film.
One shot partecipante al "Contest delle fobie" indetto da Dominil B.

Questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà della Marvel Comics; questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.
 

OCLOFOBIA
Paura della folla

 
Ci sono giorni in cui si è pervasi da un’insensata allegria, dove la voglia di vivere e di sorridere si esprime al massimo. Giorni splendenti, benedetti, radiosi.
Ci sono giorni, invece, coperti da una soffocante patina greve ed opprimente di tedio, dove ogni piccolezza diventa un insopportabile fardello, ogni problema un macigno.
E poi ci sono quei giorni dove, inspiegabilmente, la vita che fino ad un attimo prima sembrava perfetta, cambia drasticamente.
 
Prendiamo ad esempio un passo importante nella vita di una ragazzina adolescente: il primo bacio.
Ognuna sogna di abbracciare il ragazzo che occupa un posto speciale nel proprio cuore, cingergli il collo ed avvicinarsi socchiudendo gli occhi e schiudendo le labbra. Ognuna desidera poter sentire la morbidezza delle sue labbra, con il cuore che accelera i battiti ed il mondo intorno che piano piano si dissolve.
Lo sognano tutti ma non sempre la realtà rispecchia fedelmente la fantasia.
Non è stato così per Marie D’Acanto.
 
La prima volta che lei baciò un ragazzo provò una strana sensazione: sentì una nuova energia scorrerle nelle vene, i ricordi e le emozioni di qualcun altro mescolarsi ai suoi creando un turbinio confuso. Quando realizzò cosa stava succedendo si staccò, osservando il corpo del ragazzo scosso da fremiti e sussulti. Quell’avvenimento segnò l’inizio di una maledizione, la maledizione eterna di non poter toccare nessuno senza correre il rischio di ucciderlo. E così scappò, fuggendo lontano da coloro che amava, vivendo alla giornata. Spaventata, confusa, estranea al mondo nella sua condizione di mutante.
 
Marie cominciò ad aver paura dei luoghi troppo affollati e, durante la sua fuga, le capitò un evento analogo: in coda alla biglietteria della stazione, una signora che la precedeva ebbe un mancamento e prontamente lei la sostenne impedendole di cadere. Quando la donna rinvenne la guardò dolcemente, compiendo l’improvviso ed imprudente gesto di accarezzarle la guancia con la mano scoperta. Rovesciò gli occhi indietro, svenendo di nuovo mentre lei sentiva la sua energia nella testa.
Accadde ancora in metropolitana, quando lei credeva che quella specie di potere fosse circoscritto al suo viso, che la sua mano fosse sfiorata casualmente da quella di un distinto uomo che era in piedi di fianco a lei. L’uomo perse i sensi e nel vagone si creò una grande agitazione.
 
Fu allora che capì che tutto il suo corpo era una trappola mortale.Cominciò, quindi, ad indossare i guanti, che d’inverno erano una benedizione ma che d’estate malediceva con ogni fibra del suo essere. Guanti lunghi, di seta, di raso, di lana, di cotone. Copriva ogni centimetro del suo corpo con maglie dal collo alto, pantaloni, calze, sciarpe e cappucci.
Condannata a vivere una vita nascosta da se stessa.
 
Poi era arrivato Logan. E poi la scuola e il professore.
Il canadese era stato il suo primo amico, la persona alla quale avrebbe affidato ciecamente la sua vita. Lui aveva promesso di prendersi cura di lei nonostante avesse rischiato di restare ucciso. Una notte si era recata in camera sua per parlargli, lo aveva chiamato ripetutamente chiedendogli di svegliarsi e lui, destatosi di soprassalto a causa di un incubo, l’aveva trafitta con i suoi artigli d’adamantio. Accortosi subito dell’azione commessa, aveva ritratto le lame guardandola con sgomento. Lei boccheggiava dal dolore causato dalle tre ferite che avevano squarciato la sua tenera pelle. E così lo aveva toccato. Lo aveva privato della sua energia e del suo potere mutante rigenerante per salvarsi la vita. Quando lo aveva visto svenire ai suoi piedi, il senso di colpa l’aveva sovrastata. Era fuggita dalla stanza in lacrime, scansando tutti, vergognandosi delle sue azioni.
Era stato un incidente.
 
La scuola era un bel posto.
Ma era affollata. Troppo.
Ragazzi che sarebbero potuti spuntare da tutte le parti, avrebbero potuto casualmente toccarla senza sapere quale rischio correvano.
Quando incrociava più persone nel corridoio, Marie si appiattiva contro la parete, chiudendo gli occhi stretti, sperando che andassero via presto.
Lei non poteva fare sport di squadra, non avrebbe corso il rischio di strappare uno dei guanti e sfiorare accidentalmente qualcuno.
Non poteva andare in piscina: cosa sarebbe successo se qualcuno avesse deciso di spingerla per gioco per farla cadere in acqua?
Aveva il terrore delle discoteche.
Ogni volta che Bobby, Kitty e Jubilee decidevano di uscire per andare a ballare, per lei cominciava una lenta agonia. Dovevano trascinarcela a forza ma quella folla brulicante che spintonava, si scatenava in pista, ubriaca e incontrollabile, veniva percepita dalla ragazza solo come un oceano di mani che si tendevano verso di lei e cercavano sconsideratamente di toccarla.
Sentiva quasi di impazzire lì dentro e correva il rischio perdere il controllo sulle sue emozioni. Non appena arrivava, provava il forte bisogno di scappare da quel posto. Mentre gli altri si divertivano lei avvertiva l’ansia crescere, il petto dolere, i battiti del suo cuore accelerare freneticamente. Il respiro si faceva affannoso e superficiale, le punte delle dita si congelavano, la bocca diventava asciutta. Poi subentravano le vertigini, la nausea, lo stordimento ed il terrore. Il terrore, quel subdolo ed infido nemico, si acuiva fino ad instillarle dentro la paura che qualcosa di inimmaginabilmente orribile stesse per succedere e che lei fosse del tutto impotente per prevenirlo. Era in quei frangenti, quando la pressione era troppa e minacciava di sopraffarla, che scappava verso l’esterno, annaspando alla ricerca di aria, con la pelle al di sotto dei vestiti coperta da una lucida patina di sudore. In quel momento odiava quei guanti che le si attaccavano addosso, quasi bloccandole la circolazione. Non riusciva a controllare la sua paura quando c’erano tutte quelle masse brulicanti intorno.
 
Temeva la mensa scolastica, i supermercati, le caffetterie. Qualsiasi invasione, anche la minima, del suo spazio personale, la destabilizzava.
I suoi primi appuntamenti con Bobby si erano svolti sull’erba tenera del parco intorno alla scuola, all’ombra della grande quercia. Cosa spingesse l’Uomo di ghiaccio ad interessarsi a lei non lo sapeva. Forse gli faceva solo pena. Forse era semplicemente un masochista con qualche strano complesso che si precludeva ogni tipo di esperienza con una ragazza intoccabile. Forse lei rappresentava solo una sfida per il suo ego. Lui non le aveva promesso niente.
E Rogue - perché era quello il nome della maledetta creatura che aveva preso il posto di Marie- sapeva che non sarebbe durata. E aveva paura.
 
Di notte, quando i suoi incubi si fondevano con quelli delle persone che aveva toccato, sognava di essere chiusa in un laboratorio, con grandi luci bianche e accecanti che provenivano da ogni direzione. Correva a perdifiato, inseguita da una folla inferocita.
Poteva vedere i visi prosciugati dell’essenza vitale di coloro che conosceva.
Le labbra esangui, la pelle cadente, lo sguardo appannato e feroce.
«Tu ci hai uccisi, Rogue!»
«No, io non volevo toccarvi, non è colpa mia! È stato un incidente!» piangeva lei, sgolandosi e urlando.
E poi si avvicinavano, sempre di più, fino a sfiorarle il viso. Le strappavano i vestiti di dosso, la palpavano. E lei gridava dal dolore mentre loro la privavano della vita, succhiandogliela, come lei aveva fatto con loro.
Il potere assorbito di coloro che aveva toccato le si era ritorto contro. Poteva avere chiare visioni di ciò che turbava i sogni di Logan. Immersa totalmente in una vasca d’acqua gelida, sentiva le cinghie di cuoio stringersi attorno a polsi e caviglie. Poi il sibilo dei trapani che aprivano piccoli varchi nella pelle, il caldo adamantio che veniva iniettato, prendendo il posto del normale osso. E gridava convulsamente per un male che mai, prima di allora, aveva provato. Poi c’erano gli incubi di Erik: la pioggia fitta che cadeva dal cielo plumbeo della Polonia, i passi strascicati di scarpe consunte su un terreno melmoso e fangoso. E poi c’era un bambino avvolto in un cappotto che gli pendeva largo sull’esile corpo, chiamava a gran voce i suoi genitori. Il suo unico peccato era quello di essere diverso; portava quel marchio impresso sui vestiti: una stella gialla a sei punte. Poi fu la volta della pelle: marchiato come una bestia da macello, torturato, privato dell’innocenza, intrappolato nelle atrocità del lager.
Dopo quegli incubi, da cui Marie si svegliava sussultando, il mondo le appariva confuso e distante.
 
Un’ altra volta l’incubo era stato particolarmente agghiacciante, tanto da renderla insonne nonostante vari tentativi. Aveva deciso quindi di scendere in cucina a prepararsi una tisana calda e rilassante. Aveva incrociato Logan, intento a fumare un sigaro in terrazza. Lui l’aveva seguita in cucina, portandosi dietro una birra. Notando il suo mutismo, le aveva rivolto uno sguardo preoccupato.
«Tutto bene ragazzina?»
La mutante aveva abbozzato un sorriso. «Certo»
Ogni volta lei credeva di ingannarlo, ma lui fiutava sempre il suo malessere. Eppure non le faceva mai pressioni.
«Ti conviene tornare a dormire: ricorda che domani c’è la gita al museo»
Lei aveva deglutito, un brivido di freddo le era corso lungo la schiena. La tazza contenente la tisana era caduta al suolo infrangendosi e spargendo il suo contenuto liquido sul lucido pavimento.
«Accidenti…»
«Sei sicura di stare bene?» lui le si era subito affiancato, aiutandola a raccogliere i cocci.
Lei aveva annuito. «Sì, sono solo un po’ distratta in questo periodo. Pensa che avevo totalmente dimenticato la gita, tutto qui»
«Ragazzina, cosa diavolo ti sta succedendo?»
Lei aveva abbassato lo sguardo, sospirando. «Non stasera Logan. Ti prego»
Lo aveva visto bloccarsi, ma poi le aveva fatto un cenno di assenso.
«Buonanotte Logan» gli aveva detto tutto d’un fiato prima di scappare a rifugiarsi in camera.
«Buonanotte Marie» era stata la risposta che non riuscì a sentire.
Una gita. Un museo. Altre scuole, comitive, turisti.
Folla.
Pericolosa, temuta, odiata.
 
Altre volte invece il bisogno di sfuggire a quelle aggregazioni di persone era così forte che spariva a rintanarsi nella sua stanza. Si portava le mani al capo, cercando di scacciare la paura radicata nel suo cuore.
Forse avrebbe potuto chiedere al professore di aiutarla.
Forse, semplicemente, per lei non c’era alcuna speranza.
Come poteva sconfiggere quel timore? Ci sarebbero sempre stati luoghi gremiti di persone, non poteva certo rinchiudersi in una stanza e fuggire per sempre il contatto con il mondo. Avrebbe, però, potuto sterminarli tutti con il suo potere distruttivo…o più semplicemente avrebbe potuto porre fine alla propria vita.
Ma era troppo vigliacca persino per quel gesto. Temeva la folla ma temeva anche l’ignoto abisso. Era una mutante con un potere sbagliato. Era detestata persino da quelli della sua razza.
Folla su folla che la odiava, folla su folla che lei avrebbe potuto facilmente cancellare dalla faccia della terra con un semplice tocco.
E poi, probabilmente, sarebbe impazzita a causa delle molteplici personalità che si sarebbero date battaglia per contendersi la supremazia nella sua mente, come già stava accadendo.
Così Marie respirava a fondo, si sciacquava il viso con acqua fresca ripetendo un mantra:
«Andrà bene, nessuno ti toccherà, prenderai le giuste precauzioni, non succederà nulla di sbagliato»
Lo recitava come una preghiera e tornava ad affrontare il mondo, nell’attesa che qualcuno o qualcosa la salvasse da quella voragine di terrore che minacciava di inghiottirla ogni giorno. Che qualcuno la salvasse da se stessa e dalla folla. Una folla che la stava pian piano facendo scivolare nel baratro oscuro della follia.
“La folla: quella mostruosità molteplice che, presa un pezzo alla volta, sembra uomini, ragionevoli creature di Dio; ma, confusa insieme, fa una sola grande belva, un mostro più tremendo dell'Idra.”
 
(*) La frase finale in corsivo è una citazione di Thomas Browne, Religio Medici, 1643. Questa è la mia prima fanfiction in questo fandom, spero vi piaccia, e ringrazio tutti coloro che leggeranno e vorranno lasciare una propria impressione. Baci! ^^

 



  
Leggi le 3 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Film > X-men (film) / Vai alla pagina dell'autore: Jo_The Ripper