Storie originali > Horror
Ricorda la storia  |      
Autore: God Of Emptiness    21/02/2013    1 recensioni
Realtà e sogno si intrecciano in una persona comune che, in una notte di magia, riuscirà a varcare la soglia di un'altra dimensione e a vedere qulacosa che sconvolgerà per sempre la sua vita e segnerà in modo indelebile le sue concezioni esistenziali.
Genere: Horror, Mistero, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

IL REGNO DAI TRE SOLI

 

Mai potrò dimenticare l’effimero attimo di smarrimento che provai al mio risveglio, misto a incredulità e incertezza. Un incertezza che, da quel momento in poi, lambisce tutte le sfere del mio essere.
Gli psichiatri e gli psicologi che mi interrogano incessantemente da quella notte, mai potranno capire, mai raggiungeranno la verità. Dicono che sono affetto da una strana forma di demenza, una specie di schizofrenia catatonica, che di solito è ereditaria, ma che nel mio caso sembra stata causata da un forte shock che ho subito e che sembra consumarmi ogni giorno di più.
Dicono che, in alcuni periodi del giorno e della notte rimango immobile per ore a fissare il vuoto, ma io gli rispondo che il corpo e solo un involucro e che la mia mente vola libera. Loro le chiamano crisi, io le vedo più come reminescenze di vaghi ricordi. Sono considerato pazzo da tutti ovviamente, ma chi può dire che cosa sia la pazzia. Non è forse solo un modo che abbiamo di etichettare i nostri simili? Io penso che siano gli altri ad essere dei pazzi, degli sprovveduti e la loro visione materialistica della vita, il loro guardare alla sola apparenza delle cose a volte mi sconvolge.
Se solo avessero visto ciò che io ebbi l’onore di vedere non parlerebbero così. Sì, perché io reputo un onore la visione titanica che mi si parò davanti quella sera di quindici anni fa.
 Al tempo ero un uomo semplice, sulla quarantina; ero un tipo introverso e con pochi, ma fidati amici e lavoravo come impiegato in una normalissima banca.
Ero soddisfatto della vita che conducevo, anche se, vista da fuori, qualcuno la poteva vedere come monotona.
Non credo che qualcuno mi reputasse strano, ma di certo alcuni miei comportamenti potevano essere visti come bizzarri.
Amavo molto fare lunghe passeggiate, quando il lavoro me lo permetteva. Durante queste passeggiate, che di solito erano mattutine, mi soffermavo a scrutare la natura che mi circondava.
Quella natura che la mano dell’uomo aveva plasmato e che dava vita ad intrecci che avevano una bellezza intrinseca che mi rapiva.
Case antiche e alberi di ogni sorta come pioppi, olmi e aceri suscitavano in me una miriade di emozioni diverse; passato, presente e futuro si intrecciavano nella mia mente.
Inoltre ero particolarmente amante della storia e grande era la mia commozione quando rimembravo le gesta degli antichi guerrieri e le civiltà che avevano saputo fondare.
A tratti desideravo essere parte di quelle imprese e con la mente calcavo virtualmente quei luoghi così importanti per il genere umano. Rivivere il passato sembra una cosa banale e per certi versi naturale, ma se ci pensiamo è questa una delle cose che ci contraddistingue dagli animali inferiori.
Per tutta la vita ero stato accompagnato dalle mie certezze: sul mondo, sulla vita e sull’anima. Certezze che, nel bene o nel male, tutti abbiamo. Certezze che non vogliamo intaccare per salvaguardare la nostra mente.
Poche sono le persone che hanno il coraggio di guardare oltre, molte infatti si sentono schiacciate dal peso dell’immensità e anch’io ero parte di questa legione di bruchi, perennemente rinchiusi nel proprio bozzolo e mai pronti a diventare crisalide, perché consci e impauriti della breve esistenza che li attenderà.
Ma ora la penso diversamente. Meglio vivere per qualche giorno da crisalide e arrivare soltanto a sfiorare l’eterno enigma piuttosto che restare chiuso per sempre nella sicura culla dell’ignoranza.
Tutte le cose importanti e degne di nota sono in sé velenose, ma è in ciò che costituisce il loro squamoso fascino.
Mille mondi e dimensioni ci attendono la fuori, resta a noi schiudere la via, ognuno possiede la sua chiave e ognuno può visitare i suoi mondi. Coraggio e incoscienza devono fondersi.
Tempo e spazio non sono le uniche compagne che ci sono fedeli; solo perché determinate cose non si palesano subito a noi,ciò non significa che non esistano, l’universo non gira esclusivamente per noi e forze di cui ignoriamo l’esistenza agiscono sempre e ovunque.
Ho deciso di mettere su carta questi pensieri perché so che non resisterò ancora per molto alla malattia. Forse è più corretto dire che non voglio oppormi ad essa perché là fuori, gli eoni mi attendono e molte spiagge cosmiche voglio attraccare con la mia mente. Confido che chi legga quello che voglio raccontare possa spingersi dove io mi sto per spingere e che altri in futuro mi seguano. Questa è la dettagliata descrizione della mia vicenda; nulla ho tralasciato. E loro, “gli altri”, la chiamano follia…
Come ho già detto, lavoravo per una banca locale e di solito alle 18:00 terminavo il mio orario, ma quella sera le cose si erano prolungate perché dovevo finire di sbrigare alcune pratiche ed ero rimasto in ufficio fino a tarda ora. Il mio orologio da polso segnava le 21:00.
Quando uscii alle luci della sera mi rasserenai molto della fresca brezza estiva di quel caldo agosto che mi accarezzava i neri capelli.
Ragione in più era un venerdì, la mia settimana lavorativa era giunta al termine e un meritato weekend di riposo mi attendeva.
Presi stancamente le chiavi della macchina dalla tasca interna della giacca e mi soffermai ad osservare la falce di luna che pendeva sulla mia testa e che, come uno splendido sorriso, si incastonava nella nera tenebra.
Il posto dove lavoravo non era molto distante dalla mia abitazione e dieci minuti di macchina erano sufficienti.
Ero un tipo abitudinario e non amavo cambiare il breve tragitto che mi separava dal paese in cui vivevo. Ma quella sera, mentre guidavo e compivo con stereotipata meccanica le normali azioni di guida, a fatica riuscivo a distogliere lo sguardo da quel bellissimo cielo nero-bluastro stellato e notavo ancora una volta la splendente luna che mi ammiccava con grazia.
Come per l’effetto di una strana influenza proveniente dal fedele satellite la mia mente vagava e io volavo con lei come se cavalcassi una cometa che viaggia indisturbata nel cosmo. Pensieri di ogni sorta mi passavano accanto veloci e come un raro pesce d’orato si lasciavano scorgere solo per un istante per poi inabissarsi nuovamente nei neri flutti del mio inconscio.   
Il tempo che trascorsi in questo stato contemplativo e magico mi è ignoto, non so per quanto guidai, ma fu il lento rallentare della mia macchina a riportarmi fuori dalla corrente di pensieri che mi aveva sommerso.
La prima cosa che notai fu la spia rossa accesa sul cruscotto che mi indicava che avevo consumato il pieno di benzina, che solo alla mattina avevo fatto. Mi convinsi che il tragitto da me percorso era stato di sicuro molto lungo e quando aprii lo sportello per uscire all’aperto mi trovai in aperta campagna, in un luogo a me assolutamente nuovo.
La notte incombeva ancora e nonostante mi sforzassi non riuscivo a richiamare alla mente il percorso fatto.
Cominciai a guardarmi attorno, nella speranza di trovare qualche punto di riferimento familiare, ma invano.
A differenza di quanto si può pensare non mi persi d’animo e non avendo altra soluzione, cominciai a camminare. I miei piedi calpestavano l’erba alta e umida color smeraldo che mi circondava.
Non ero per nulla spaventato della situazione di solitario vagabondo che quella notte avrei dovuto affrontare e i miei cinque sensi carpivano la bellezza della natura.
Pensavo che dopo tutto non c’era niente di male nella bizzarra avventura che mi attendeva. Le luci del giorno avrebbero portato a termine la mia peregrinazione e facendo l’autostop sarei presto tornato a casa.
Una cosa che mi saltò subito all’occhio però, era la totale assenza di anima viva, non vi era traccia di case o alberi, e strade per raggiungere quel luogo non si vedevano.
Solo una fitta e interminabile distesa d’erba padroneggiava la scena e le stelle mi osservavano incuriosite.
Dopo aver fatto qualche metro mi chiesi che ore fossero e con stupore notai che l’orologio segnava le 4:50. Molto tempo era trascorso ed ero incredulo nel pensare di aver speso tutto quel tempo a fantasticare.
D’altro canto però non mancava molto per l’arrivo delle primi luci dell’alba e questo mi diede un po’di sollievo.
Ripresi fiducioso la mia marcia e con la luce elettrica della torcia che avevo preso dalla macchina fendevo il buio che mi circondava.
Camminai, vagai per un tempo indeterminato, ma la situazione pareva non mutare mai e io cominciavo a sentire la stanchezza che colpiva le mie membra.
Riguardai nuovamente l’ora. Ancora le 4:50. Di sicuro l’orologio aveva smesso di funzionare e questo mi suscitò un normale senso di inquietudine.
Quel dedalo d’erba senza fine dove mi avrebbe condotto? Quale Minotauro mi attendeva?
Mi lasciai cadere su quel manto erboso per riposarmi e restai ad ascoltare. Nessun rumore giungeva al mio orecchio, non un alito di vento mi sfiorava e quel luogo era intriso di mistero come solo i mondi incantanti delle leggende possono essere.
Fu così che guardando il manto nerastro dell’universo mi addormentai.
Quando mi destai dal torpore rigenerante di quella dormita e mi alzai dal mio vegetale giaciglio rimasi incredulo.
Non un normale azzurro chiaro si presentava davanti ai miei occhi nel cielo, ma una miscela di colori impossibili. Il colore predominante era un rosa che passava al porpora e al violaceo in mille sfumature.
Un numero infinito di saette e fulmini blu passavano in continuazione attraversavano la volta e l’apocalisse pareva essere giunta in quel luogo così maledettamente reale.
E nonostante ciò una luce di ghiaccio abbagliante arrivava da tutte le direzioni.
Oltretutto all’orizzonte qualcosa si stagliava di immenso e ciclopico, qualcosa si ergeva a perdita d’occhio nel cielo e tuttora un brivido mi pervade quando ricordo quella visione.
Un’infinità di torri, colonne e cupole trafiggevano quel cielo alieno, che nulla aveva di terrestre.
Dove ero capitato? Stavo sognando? Com’era possibile che alla notte non avessi notato l’immane città che ora mi si parava davanti in tutta la sua magnificenza? Come poteva essere reale quel luogo?
Questi e altri mille quesiti mi passavano per la testa in quegli attimi che mai scorderò.
Non so dire se quello che provavo era terrore o un’incredibile estasi; doveva essere, credo, un insieme di entrambe, perché si fondevano in me in un’emozione del tutto nuova.
Quando riuscii a liberarmi dall’impatto visivo iniziale mi decisi che, sogno o realtà che fosse, avrei visitato quel luogo incredibile e con passo incerto mi avviai verso la città.
Camminai a lungo e la città pareva non avvicinarsi mai; come un miraggio mi guardava beffarda e ancora tutta quella luce a fatica mi faceva tenere aperti gli occhi.
Il tempo pareva essersi fermato in quel luogo e per la terza volta riguardai l’ora: ancora le 4:50. Era sicuramente rotto continuavo a ripetermi.
Ma alla fine giunsi davanti a quella che doveva essere la porta d’ingresso principale di quello strano reame che come una fauce enorme si incastonava in quelle mura infinite che recintavano quel luogo. Una porta che poteva essere stata costruita soltanto da giganti date le dimensioni perché nulla di così imponente avevo visto prima d’ora.
Cominciavo a chiedermi come sarei riuscito ad entrare, ma mentre pensavo a ciò, l’immenso portone d’avorio che recava incisioni innominabili e figure di creature abominevoli, si aprì come d’incanto.
Un cigolio impressionante dei cardini mi rendeva l’idea della pesantezza e dell’antichità del portone e più lo osservavo, più mi rendevo conto che quello che stavo per vedere mi avrebbe cambiato per sempre, avrebbe modificato il mio modo di pensare e avrebbe inciso profondamente il mio spirito.
Finche scrivo queste righe, a fatica riesco a tenere in mano la penna, perché quel che mi si parò davanti fu incredibile.
Il fascino del male avvolgeva quella città proibita.
Davanti a me si apriva un enorme strada color blu zaffiro.
Mentre procedevo e i miei piedi calcavano quel suolo ombre infinite mi strisciavano accanto e sentivo che la mia mente era invasa da una moltitudine di pensieri indistinti che sembravano provenire da tutto l’universo e parevano concentrarsi in quel luogo.
Alla mia destra e alla mia sinistra si alzavano le colonne e le torri nivee che avevo visto da fuori e di cui a stento riuscivo a vedere la fine.
All’ombra di esse scorgevo figure di ogni sorta che non riuscivo a identificare e che con risate blasfeme mi schernivano.
E dritto davanti a me, al culmine di una scalinata interminabile si ergeva un grande tempio. Una forza magnetica mi attirava ad esso.
Quali segreti millenari mi avrebbe rivelato?
Non più incerto, ma con passo costante ora avanzavo e alle mie orecchie giungevano una litania di suoni, provenienti da mille arpe e lire diaboliche. E una perenne luce d’inferno mi avvolgeva.
Giunto al centro di quella Città di Dite dell’altrove mi misi ad ascendere quella lunghissima gradinata e su ogni gradino si ergevano ai lati idoli e statue di ogni sorta, raffiguranti orrori indicibili e figure di una geometria illogica e non terrestre.
Mentre percorrevo quei gradini sentivo ad ogni passo il mistero di quel luogo che si avviluppava dentro me e una metamorfosi pareva essersi impadronita del mio corpo e della mia mente.
Grande era il potere che quel luogo sprigionava, non potevo sottrarmi ad esso.
Ancora oggi mi chiedo come riuscii a sopportare quelle visioni senza stramazzare al suolo, ma la forza del cosmo mi sorreggeva e non potevo più tornare indietro. Il tempio mi attendeva e con voce suadente e balsamica mi richiamava.
Tutto era di un bianco reso ancora più forte dalla luce che penetrava e solo la strada ai miei piedi contrastava con il suo blu intenso, tanto che sembrava un Acheronte dantesco in quel mondo ultraterreno.
Tempo e spazio si fondevano dando ulteriore magia a quel posto e alla fine raggiunsi la mia meta.
Il tempio si presentava maestoso davanti a me e all’interno dei suoi colonnati nulla era possibile scorgere perché la tenebra era padrona di quel luogo e neanche quella forte luce era in grado di penetrarvi. Una nebbia mefitica e grigiastra aleggiava sulla cima della costruzione.
Mi voltai ad ammirare il panorama che da quell’altezza mi era concesso e, come per magia, si svelò il mistero di quella luce onnipresente.
Non uno, non due, ma ben tre soli ardevano alla mia destra, alla mia sinistra e di fronte a me. Con la loro luce mi abbagliavano, ma ora potevo distinguerli.
Ardevano come fuochi fatui e completavano con il solito cielo rosa-violaceo quell’affresco surrealista.
E mentre ero rapito da quello spettacolo tanto insolito sentii che un rumore crescente veniva dall’interna oscurità del tempio alle mie spalle.
Un rumore che sembrava giungere da migliaia di anime dannate di ogni parte del cosmo. Grida disperate, risate immonde e una babele di lingue si mischiavano alle arpe e alle lire di sottofondo e un crescente rullare di tamburi formavano quella straziante musica d’inferno.
Mi voltai terrorizzato e la macabra melodia continuava a crescere d’intensità, ormai era assordante e dal tempio cominciai a intravedere qualcosa. Dall’ombra qualcosa stava filtrando con mio immenso stupore, angoscia e attesa. Era impossibile e fatalmente reale al tempo stesso.
Incredibile ed enorme quante le colonne del tempio, una mano demoniaca e antropomorfa stava uscendo fuori da quel tempio perduto per ghermirmi con i suoi artigli d’acciaio.
Non era una normale mano e più di cinque erano le sue falangi.
Era coperta di scaglie e verdastra come fosse un rettile gigantesco o il figlio di Medusa.
Frastornato da quella musica insopportabile che come il canto di una sirena mi aveva attratto e colmo di terrore per quella vista cominciai a indietreggiare sempre più e persi l’equilibrio, precipitando da quella interminabile gradinata e l’ultima cosa che vidi furono i tre astri che immobili ardevano perenni e incorniciavano quel luogo toccato dal male.
Poi il mantello nero dell’oblio avvolse i miei sensi.
Quando mi risvegliai, mi trovavo disteso nel letto dell’istituto mentale dove tuttora sono.
I medici mi dissero che era stato un automobilista a trovarmi mentre vagavo barcollando in evidente stato di shock sul bordo di una strada di periferia del mio paese. La mia macchina non venne mai ritrovata e del luogo da me descritto, intendo l’infinita distesa d’erba dove per ore avevo vagato quella notte, non venne mai rintracciato. L’orologio da polso è ancora fermo alle 4:50, ma ho deciso di tenerlo ugualmente.
L’idea personale che mi sono fatto sull’accaduto è che, certe persone, dotate di particolare sensibilità, possano fondere col la forza psichica del pensiero il mondo reale con il mondo onirico, per dare vita ad un numero illimitato di altre dimensioni. Se vi lasciate intimorire da ciò allora sarete perduti. Non accontentatevi delle apparenze.
Ora mi congedo per sempre da questa terra per andare dove segreti millenari mi attendono. Sono sicuro che la prossimi “crisi”, come la chiamano loro, sarà anche l’ultima.
Ma il corpo è solo un involucro e la mia mente vola libera.
Devo farmi forza e penetrare nel tempio che rivedo sempre quando sono assorto e che quella volta non ebbi il coraggio di varcare.
Senza paura mi farò avvolgere dalle spire di quella mano arcana che mi porterà con se nel profondo del regno dai tre soli.
 

  
Leggi le 1 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Horror / Vai alla pagina dell'autore: God Of Emptiness