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Autore: Mirin    23/02/2013    2 recensioni
«Quando hai intenzione di dirlo agli altri?»
«Dire cosa, Camilla?»
«Che sei lesbica. Che sei lesbica, come me.»
[presenza leggera di linguaggio scurrile, mi sembrava giusto avvertire.]
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shoujo-ai
Note: Raccolta | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago
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Lights will guide us home.

Tornando a vederli
i fiori di ciliegio, la sera,
son divenuti frutti.
-Yosa Buson, haiku.

Il giorno in cui tutto è cambiato fra noi.
Irene alzò gli occhi su Camilla e il giubbotto di pelle che aveva appena poggiato sulla sedia.
«Social nerd» ghignò lei e spostò una ciocca di lunghi capelli castani dietro l’orecchio.
Irene, offesa, posò l’iPhone sul tavolo scheggiato della cucina dopo aver twittato: “litigio con la mia migliore amica rompiballe, xoxo”
«È un controsenso: i nerd sono asociali» ribatté, incrociando le braccia al petto.
Camilla la baciò. Irene fu così scioccata da dimenticarsi di urlarle, dopo che la ragazza le ebbe infilato la lingua in bocca e una mano oltre la t-shirt dell’Hard Rock, di essere eterosessuale.


Se smetti di avere paura.
«Esco con Marco domani sera» gridò Irene dal bagno di camera sua a Camilla.
Quando entrò con un asciugamano avvolto attorno al corpo la trovò intenta a guardare il vuoto oltre la finestra con le mani giunte sotto il meno. Gli occhi verdi capitolarono sulla figura sottile di Irene, che si sentì rabbrividire.
«Quando hai intenzione di dirlo agli altri?»
«Dire cosa, Camilla?»
«Che sei lesbica. Che sei lesbica, come me.»

Per te, questo ed altro.
Il mascara sciolto tracciava una linea netta lungo il viso pallido di Irene che gridava senza sosta da mezz’ora.
Camilla entrò come una furia nella stanza semibuia, sbattendo la porta a vetri e quasi scardinandola -ma per Irene, questo ed altro.
«MI HA TRADITA! MI HA TRADITA, QUELLO SCHIFOSO FIGLIO DI PUTTANA! LUCIA GLI STAVA FACENDO UN POMPINO QUANDO SONO ARRIVATA A CASA SUA, PORCO DIO!» urlò Irene che stava lanciando pupazzi e penne da una parte all’altra della stanza. Camilla sospirò e le chiuse la mascella con una mano mentre la spingeva a forza contro il muro.
«La supereremo, Irene, non preoccuparti, ci sono qua io» mormorò e le accarezzò i lunghi boccoli scuri con un sorriso falso sul volto.

Risate arancioni.
Irene correva sulla spiaggia a piedi nudi, correva incontro a Camilla che seduta guardava l’orizzonte immersa nei suoi pensieri. Irene si slanciò in avanti e cadde di schiena  -oltre che di schianto- sulle ginocchia dell’altra ragazza e rise, allegra. Camilla, stanca, le sorrise di rimando.
«Sono la peggior migliore amica del mondo, perdonami» si scusò.
Irene le accarezzò le labbra con un dito e Camilla sentì i soliti mille brividi lungo la schiena.
«Sì lo sei. Ma non m’importa» rispose, guardandola intensamente con una strana espressione.
«Perché siamo venute qui, Irre?»
«Perché il nostro primo bacio da fidanzate deve essere bellissimo.»

Come se m’importasse.
«Il solito maschiaccio» commentò Irene. Camilla roteò gli occhi e si tamponò la ferita al labbro con lo straccio datole dalla sua ragazza.
«Come te la sei fatta, comunque?» chiese e le prese la mano con dolcezza quando posò un bacio casto sulla sua guancia.
«Uno schiaffo» commentò con noncuranza, abbracciando la vita sottile di Irene con il braccio libero.
«Chi te l’ha dato?» domandò Irene pur sapendo in cuor suo la risposta.
«Mio padre.»

Sono con te e ti giuro che non ho paura.
Irene posò la fronte contro quella di Camilla. Era il compleanno della ragazza ma Irene non aveva potuto partecipare alla festa dato che la madre, quando quel giorno si era presentata a casa loro, le aveva sbattuto la porta in faccia.
«E’ un bel compleanno» soffiò Camilla sulle sue labbra.
«Considerando che hai rovesciato la torta sul vestito nuovo di tua zia, bestemmiato in mezzo ad una folla di timorati di Dio e ti sia spolmonata nel litigio con i tuoi… beh, è stato un bel compleanno lo stesso» ponderò scherzosamente Irene, circondandole il collo con le braccia. Quel muro dietro il vecchio teatro che le aveva viste crescere, diventare grandi, ridere sguaiatamente, imprecare, fare a gara a chi urlava di più, giocare a campana lanciando pietre ruvide insieme era diventato l’unico rifugio per il loro amore proibito.
Irene si sentì finalmente completa quando baciò le labbra desiderose e screpolate di Camilla.
«Buon compleanno, Milla» sussurrò nella notte buia, con le grida della signora Spiazzi ancora nelle orecchie.
«Ti amo, Irene.»
«Ti amo anche io.»

Anche noi meritiamo la felicità…
«TI VUOI MUOVERE, STRONZA?» gridò Irene ridente ad una Camilla intenta a rincorrerla per tutta la casa.
La loro casa, maledizione.
«CI STO PROVANDO MA VAI TROPPO VELOCE, DANNATA!» strepitò lei di rimando, saltellando sui cuscini che avevano sparpagliato nella camera da letto come bambine.
Finalmente la acchiappò per la vita e la gettò di peso sul letto e si stese carponi su di lei. Avrebbero fatto l’amore per tutta la mattina e poi si sarebbero alzate per ora di pranzo e sarebbero andare a mangiare fuori, perché era domenica ed era giusto così -disse Camilla.
«Paghi tu» la minacciò Irene «e mi comprerai anche delle rose rosse.»
Camilla rise contro la bocca di Irene e mugolò quando lei le infilò la mano fredda sotto la felpa per accarezzarle la schiena.
Irene vinceva sempre.


…ma nessuno sembra capirlo.
Camilla, scura in volto, poso il telefono sul tavolo della cucina. Irene la osservava, gli occhi lucidi che avevano troppa paura per piangere.
«Chi era?» chiese, con la voce tremante e roca. Camilla replicò senza guardarla.
«Il signor Mariga.»
«L’affittuario? E che voleva?» mormorò flebile.
«Metti tutto in valigia, Irre. Ce ne dobbiamo andare» disse Camilla sospirando ed asciugandosi una lacrima furtiva. Si alzò e si diresse verso la loro camera, pronta a svuotare l’armadio.
«Ma abbiamo pagato! Gli abbiamo versato la quota tre giorni fa!» protestò lei nonostante tutto, impuntandosi come una bambina. Camilla, per tutta risposta, virò e l’abbracciò stretta.
«Milla, non può cacciarci fuori. Non abbiamo fatto niente, abbiamo sempre pagato e la casa è in ottime condizioni, non abbiamo fatto niente» continuava a ribellarsi lei con il pianto che scorreva sul petto della sua fidanzata storica.
«Lo so Irre, lo so. Ma dirlo agli altri non sempre porta benefici.»
Irene capì e pianse più forte.

Le luci (dell'aeroporto) ci guideranno a casa (nostra).
«Guarda, Milla! Dio, non pensavo che la Statua della Libertà fosse così alta!» Irene era eccitata come un bambino a Natale. Camilla le cinse le spalle con un braccio. Si sentiva proprio come un’immigrata italiana negli anni del Dopoguerra, dove l’America era l’unico punto di salvezza ancora saldato al terreno,  solo che lei stava arrivando a New York con un volo di linea e non con un barcone.
«Benvenuta a casa, amore mio» la baciò in fronte, fin troppo felice. Avrebbe potuto sposare Irene, essere sua moglie, addirittura adottare un bambino, poco le importava che avrebbe dovuto imparare un’altra lingua e farsi altri amici.
«Dopo ventiquattro anni di vita assieme, di cui sei come coppia, ci meritiamo di essere a casa, non trovi?» esclamò Irene. Piangeva di gioia. Camilla rifletté che quella ragazza piangeva troppo. Sì, piangeva decisamente troppo –pensò Camilla, passandosi la manica del maglione sugli occhi per asciugarli dalle lacrime- la stava influenzando.
«Era ora, hai ragione tu» accettò Camilla con un sorriso da fare invidia al sole che pascolava accanto a loro.
«E quando mai?» rilanciò Irene prima di scuotere le spalle, snob.
«Maledetta!» strepitò Camilla, scatenando la risata cristallina di Irene.
«Ti amo, stronza maschiaccio
«Ti amo, maledetta social nerd

Ladie's noTH:
Boh. Erano mesi che volevo scrivere una storia così, ma solo in questi giorni ho avuto un'idea abbastanza concreta della "pseudotrama". Volevo parlare di ragazze innamorate, ostacolate dall'ignoranza delle persone che le circondano, costrette a lottare contro mille nemici mostruosi e spesso più grandi di loro. Il fatto che Camilla abbia il mio nome è una cosa del tutto casuale, avevo bisogno di un nome forte da affibbiare ad una persona forte e mi è venuto in mente solo quello. Un ringraziamento speciale a Giulia/Hayley Black, che mi ha betato la storia e che merita sempre una citazione. (L)
Kiss,
la solita Ladie rompiballe.
   
 
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