Un grido rivolto al
cielo
“Il ritorno dei
leggendari”
-CAPITOLO 1-
“Qual è il tuo
nome?”
Il ragazzo se ne stava acquattato
fra i cespugli, oltre le mura regie, in attesa. Bastò
un piccolo movimento perché la sua attenzione fosse attirata verso una massa
verde chiara che si agitava sopra i rampicanti.
La mano corse alla sfera poké.
«Vai» urlò «Gotta cach’em all»
La sfera rossa colpì la massa,
rimbalzò e tornò al suo legittimo proprietario.
«Ahi!» si lamentò la massa. Un
attimo dopo i rampicanti cedettero e quella che era ormai evidente essere una
ragazza cadde a terra.
«Stai bene?» le chiese il ragazzo
dai capelli neri.
«Di nuovo tu! La vuoi smettere di
girare qui intorno!» rispose lei indispettita. Non era la prima volta che il
ragazzo cercava di “catturarla”.
«Io giro dove mi pare»
«Tanto non vedrai mai i pokemon del palazzo. Perché non ci
sono pokemon a palazzo!»
Malgrado lei avesse
raggiunto l’esasperazione nel ripeterglielo centinaia di volte, lui non le credette. Era certo che pokemon
rari e mai visti prima si aggirassero oltre quelle mura, doveva solo aspettare
che uno di loro uscisse allo scoperto.
«Perché sei
qui fuori?» le chiese, aiutandola ad alzarsi.
La ragazza rifiutò la mano che le veniva porta «Me ne vado!» gli annunciò.
«Sai che ti dovrò fermare per
l’ennesima volta!»
«Provaci» lo sfidò, richiamando il
suo pokemon dalla sfera che portava al collo. Un
bellissimo esemplare di Starmie fece la sua comparsa.
«Non sei in grado di combattere! Non
voglio fare del male al quel povero pokemon. Tanto per
battere te ci vuole poco» Il Pikachu al suo fianco
fremette, certo che fosse il suo momento di entrare in azione. Ma il ragazzo gli fece cenno di stare fermo. Voleva
risolvere la questione senza ricorrere alla violenza.
Un'altra sfera venne
tirata fuori dalla cintura.
«Vai Caterpie»
Un innocuo pokemon
coleottero dall’aria spaventata osservava triste la ragazza.
«Ah!» urlò lei, in preda al panico
«Mandalo via!» La ragazza aveva il terrore degli insetti e quello ai suoi occhi
era il peggiore dei mostri. Aveva trasmesso il suo terrore anche al suo pokemon che, proprio come la padrona, restò
impietrito per poi tornarsene nella sua sfera.
«Caterpie,
millebave!»
La ragazza venne
avvolta dalla bava del pokemon, il suo bel vestito
verde scomparve sotto una massa bianca, restava scoperto solo il viso,
incorniciato dai bei capelli rossi.
«E ora
principessa si torna a casa!»
La sollevò e, portandola in braccio,
si avviò dove le guardie avrebbero potuto vederli e riprendere il controllo
della situazione.
«Si può sapere perché mi fai
questo?» Erano ormai parecchie volte che si faceva questa domanda, ogni suo
tentativo di fuga negli ultimi tempi era stato sventato da quello strano
ragazzo. Cominciava a credere che passasse le ore appostato
sotto le mura.
Non le arrivò risposta.
«È spregevole da parte tua
utilizzarmi per ottenere l’appoggio di mio padre! Ritenevo che voi allenatori
foste delle persone d’onore!»
L’ultima affermazione sembrò averlo
colpito. La lasciò cadere a terra, lei si lamentò con
un piccolo gemito.
«Bene, sei libera!»
«E mi lasci
così? Guarda che mi devi liberare! Sono la principessa, mi
devi obbedienza»
«Io non devo obbedienza a nessuno
oltre al mio signore!» rispose con rabbia. Lui non aveva vincoli con nessuno,
non esisteva allenatore che dovesse sottostare a leggi
morali o sociali. Loro appartenevano ad un pokemon,
il loro signore, generatore del mondo, se si teneva
fede alla leggenda. E questo pokemon
non si mostrava mai. Era un signore distante, che forse nessuno di loro avrebbe
mai potuto vedere.
«Perché allora
cerchi sempre di fermarmi?» domandò lei nuovamente.
Il ragazzo si trovò a dover
abbassare lo sguardo di fronte alla veemenza della sua protesta.
«Anch’io ho
diritto ad essere libera! Proprio come te e i pokemon
che ami tanto! Se adesso mi lasci qui loro mi
troveranno e io non saprò mai nemmeno cosa voglia dire libertà!»
«Non ho con me un pokemon d’acqua da usare per sciogliere la bava» le gridò
allontanandosi.
Aveva già perso troppo tempo con
lei. In un mese ben tre volte aveva dovuto riportarla a casa e lo faceva
soltanto per riguardo al re e ad un vecchio debito d’onore che aveva legato per
gli ultimi anni della sua vita suo padre al signore di Cerulean.
Ma ora quel patto avrebbe smesso di significare
qualcosa per lui. Suo padre aveva perso l’onore, non sarebbe
successo anche a lui. E forse la principessa aveva
ragione, anche lei aveva diritto al suo momento di libertà. Ma
che se lo godesse da sola, senza costringerlo a farne parte.
«Usa il mio!» fu la sua risposta.
Il ragazzo si voltò. La principessa
stava strisciando, imitando il moto di quel pokemon
che tanto odiava. Per la verità non aveva fatto neanche un metro ma quel
tentativo goffo di sottrarsi al suo destino aveva messo improvvisamente di buon
umore il giovane allenatore, strappandogli una risata.
«Se l’altera principessa di Cerulean si è ridotta a strisciare come un verme, allora
vuol dire che ha proprio bisogno di aiuto» le disse
con aria di scherno.
La principessa sentiva gli occhi
bruciare: tra la terra, le sue parole cattive e la situazione in genere sentiva il desiderio di piangere. Le sue sorelle l’avevano sempre schernita per le sue repentine fughe in lacrime, non
avrebbe dato ad un allenatore la possibilità di fare altrettanto.
Vedendo che la principessa non aveva
preso tanto bene le sue parole, abbozzò un sorriso di scuse. Sentiva di non volerla
offendere. Gli avevano sempre raccomandato di non mischiarsi con gli altri ma,
nell’osservazione dei pokemon, era stato inevitabile
giungere a contatto con loro. Si era riproposto di essere
brusco, scostante, ma per quella ragazza provava solo una gran simpatia.
«Non posso usare il tuo pokemon» le comunicò con un certo dispiacere «Ora è troppo
spaventato. Avresti dovuto allenarlo meglio, non trasmettergli le tue paure!»
Per un attimo, sentendo il mutamento
nel tono di voce, aveva pensato di averlo convinto, ma subito dopo aver sentito
la critica perse nuovamente le speranze.
«Io non ho allenato il mio starmie. A palazzo non è permesso allenare pokemon. Non è permesso neanche tenerli,
solo i membri della famiglia reale possono averne uno per compagnia»
sperava che rivelandogli delle informazioni si sarebbe convinto ad aiutarla, in
più l’avrebbe dissolto dal passare le ore sotto le mura del palazzo.
Si rassegnò e la sollevò di nuovo.
«Poco più in là c’è un laghetto. Ti
lascerò lì»
La ragazza si sentiva bruciare dalla
rabbia. Odiava dover dipendere da quel presuntuoso.
Oltre il bosco che circondava le
mura, il lago luccicava sotto i raggi del sole. Alcuni pokemon
si abbeveravano. L’allenatore li osservò per bene. Si sentiva felice a contatto
con i suoi fratelli. Controllò se ce ne fosse qualcuno di suo interesse,
possedeva già tutti quegli esemplari.
«Pika»
«Eh-ehm»
Sia il suo pokemon
che la principessa lo distolsero da quella piccola distrazione.
«Eccoci a
destinazione» annunciò «Certo è stata dura trasportarti fin qui» la lasciò
scivolare in acqua «Mai pensato di metterti a dieta, principessa?»
La ragazza si disinteressò
a quel commento antipatico, si curò soltanto di liberarsi da quella bava.
Tentò di nuotare ma il suo ingombrante vestito verde le impediva i movimenti.
Se ne sarebbe liberata se non fosse stato per la presenza di quel saccente
ragazzo.
Era molto buffa, osservata dalla
riva.
«Ehi principessa, quando si scappa
non ci si veste come per andare ad un ballo!»
Aveva colto nel segno ma lei neanche
sapeva cosa volesse dire indossare un vestito normale.
Le governanti di corte l’avevano sempre fatta vestire da bambola. A malapena
sopportavano quel codino laterale che era solita
portare. Avrebbero voluto vedere la principessa reale con i capelli sciolti,
come facevano le sue sorelle, ma lei non li aveva mai
lasciati slegati. Chiudeva gli occhi quando li pettinava, non voleva
vedere l’immagine di se stessa completamente assoggettata alle regole di corte.
Ora che era libera forse avrebbe potuto vedere la sua immagine ma ancora una
volta si ricordò della sua presenza.
«Sai» disse, volgendosi verso la
riva «nonostante in quest’ultimo
mese ci sia stata più di un’occasione per darci sui nervi a vicenda, io non so
il tuo nome» E improvvisamente capì di volerlo sapere, in fondo gli doveva la
libertà. Aveva detto che il laghetto era vicino, ma lei si era resa conto che
l’aveva portata piuttosto distante dalla sua prigione, quindi aveva un po’ di
vantaggio sulle guardie. Con un po’ di fortuna forse ancora non avevano notato
la sua scomparsa.
«Ash Ketchum»
Quel nome le diceva
qualcosa, forse l’aveva già sentito mormorare a palazzo.
«Non mi dici il tuo?»
«Lo conosci già» rispose lei.
«No, non lo conosco» replicò con uno
strano sorriso.
«Ah sì?» era incredula «Non sai il
nome della principessa?»
«So bene il nome della principessa»
Non capiva, cosa voleva sapere
allora?
«Adesso sei libera, no? Non devi più
usare quel nome» le spiegò «Puoi sceglierne un altro. Allora, qual è il tuo
nome?»
«Misty»
rispose lei di getto.
«Allora ciao, Misty.
Ci si vede!»
è da tanto
che penso a questa fanfiction e da tanto che voglio
pubblicarla. Alla fine mi sono decisa pur non avendo scritto altro che i primi
capitoli (il resto è ancora tutto in testa!). Per i primi tempi aggiornerò settimanalmente, poi probabilmente i tempi si
allungheranno.
Spero vi piaccia!
*StoryTeller*