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Autore: Story_Teller    09/09/2007    10 recensioni
Sono passati cinquecento anni dal mondo dei pokemon come lo conosciamo, un evento imprevisto l'ha stravolto e fatto regredire la civiltà. Kanto è ormai frammentato in piccoli regni. L'erede al trono di Cerulean riesce a fuggire, per sottrarsi ad una cerimonia che le rivelerà la sua vera natura. Ad aiutarla è il vincitore della Lega, il più forte di una comunità di allenatori che si sono ritirati nelle rovine di Lavandonia. [personaggi: Ash, Brock, Misty, Vera, Max, Hikari, Drew]
Genere: Romantico, Avventura | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: Alternate Universe (AU) | Avvertimenti: nessuno
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-CAPITOLO 1-

 

 

Un grido rivolto al cielo

“Il ritorno dei leggendari”

 

-CAPITOLO 1-

“Qual è il tuo nome?”

 

Il ragazzo se ne stava acquattato fra i cespugli, oltre le mura regie, in attesa. Bastò un piccolo movimento perché la sua attenzione fosse attirata verso una massa verde chiara che si agitava sopra i rampicanti.

La mano corse alla sfera poké.

«Vai» urlò «Gotta cach’em all»

La sfera rossa colpì la massa, rimbalzò e tornò al suo legittimo proprietario.

«Ahi!» si lamentò la massa. Un attimo dopo i rampicanti cedettero e quella che era ormai evidente essere una ragazza cadde a terra.

«Stai bene?» le chiese il ragazzo dai capelli neri.

«Di nuovo tu! La vuoi smettere di girare qui intorno!» rispose lei indispettita. Non era la prima volta che il ragazzo cercava di “catturarla”.

«Io giro dove mi pare»

«Tanto non vedrai mai i pokemon del palazzo. Perché non ci sono pokemon a palazzo!»

Malgrado lei avesse raggiunto l’esasperazione nel ripeterglielo centinaia di volte, lui non le credette. Era certo che pokemon rari e mai visti prima si aggirassero oltre quelle mura, doveva solo aspettare che uno di loro uscisse allo scoperto.

«Perché sei qui fuori?» le chiese, aiutandola ad alzarsi.

La ragazza rifiutò la mano che le veniva porta «Me ne vado!» gli annunciò.

«Sai che ti dovrò fermare per l’ennesima volta!»

«Provaci» lo sfidò, richiamando il suo pokemon dalla sfera che portava al collo. Un bellissimo esemplare di Starmie fece la sua comparsa.

«Non sei in grado di combattere! Non voglio fare del male al quel povero pokemon. Tanto per battere te ci vuole poco» Il Pikachu al suo fianco fremette, certo che fosse il suo momento di entrare in azione. Ma il ragazzo gli fece cenno di stare fermo. Voleva risolvere la questione senza ricorrere alla violenza.

Un'altra sfera venne tirata fuori dalla cintura.

«Vai Caterpie»

Un innocuo pokemon coleottero dall’aria spaventata osservava triste la ragazza.

«Ah!» urlò lei, in preda al panico «Mandalo via!» La ragazza aveva il terrore degli insetti e quello ai suoi occhi era il peggiore dei mostri. Aveva trasmesso il suo terrore anche al suo pokemon che, proprio come la padrona, restò impietrito per poi tornarsene nella sua sfera.

«Caterpie, millebave

La ragazza venne avvolta dalla bava del pokemon, il suo bel vestito verde scomparve sotto una massa bianca, restava scoperto solo il viso, incorniciato dai bei capelli rossi.

«E ora principessa si torna a casa!»

La sollevò e, portandola in braccio, si avviò dove le guardie avrebbero potuto vederli e riprendere il controllo della situazione.

«Si può sapere perché mi fai questo?» Erano ormai parecchie volte che si faceva questa domanda, ogni suo tentativo di fuga negli ultimi tempi era stato sventato da quello strano ragazzo. Cominciava a credere che passasse le ore appostato sotto le mura.

Non le arrivò risposta.

«È spregevole da parte tua utilizzarmi per ottenere l’appoggio di mio padre! Ritenevo che voi allenatori foste delle persone d’onore!»

L’ultima affermazione sembrò averlo colpito. La lasciò cadere a terra, lei si lamentò con un piccolo gemito.

«Bene, sei libera!»

«E mi lasci così? Guarda che mi devi liberare! Sono la principessa, mi devi obbedienza»

«Io non devo obbedienza a nessuno oltre al mio signore!» rispose con rabbia. Lui non aveva vincoli con nessuno, non esisteva allenatore che dovesse sottostare a leggi morali o sociali. Loro appartenevano ad un pokemon, il loro signore, generatore del mondo, se si teneva fede alla leggenda. E questo pokemon non si mostrava mai. Era un signore distante, che forse nessuno di loro avrebbe mai potuto vedere.

«Perché allora cerchi sempre di fermarmi?» domandò lei nuovamente.

Il ragazzo si trovò a dover abbassare lo sguardo di fronte alla veemenza della sua protesta.

«Anch’io ho diritto ad essere libera! Proprio come te e i pokemon che ami tanto! Se adesso mi lasci qui loro mi troveranno e io non saprò mai nemmeno cosa voglia dire libertà!»

«Non ho con me un pokemon d’acqua da usare per sciogliere la bava» le gridò allontanandosi.

Aveva già perso troppo tempo con lei. In un mese ben tre volte aveva dovuto riportarla a casa e lo faceva soltanto per riguardo al re e ad un vecchio debito d’onore che aveva legato per gli ultimi anni della sua vita suo padre al signore di Cerulean. Ma ora quel patto avrebbe smesso di significare qualcosa per lui. Suo padre aveva perso l’onore, non sarebbe successo anche a lui. E forse la principessa aveva ragione, anche lei aveva diritto al suo momento di libertà. Ma che se lo godesse da sola, senza costringerlo a farne parte.

«Usa il mio!» fu la sua risposta.

Il ragazzo si voltò. La principessa stava strisciando, imitando il moto di quel pokemon che tanto odiava. Per la verità non aveva fatto neanche un metro ma quel tentativo goffo di sottrarsi al suo destino aveva messo improvvisamente di buon umore il giovane allenatore, strappandogli una risata.

«Se l’altera principessa di Cerulean si è ridotta a strisciare come un verme, allora vuol dire che ha proprio bisogno di aiuto» le disse con aria di scherno.

La principessa sentiva gli occhi bruciare: tra la terra, le sue parole cattive e la situazione in genere sentiva il desiderio di piangere. Le sue sorelle l’avevano sempre schernita per le sue repentine fughe in lacrime, non avrebbe dato ad un allenatore la possibilità di fare altrettanto.

Vedendo che la principessa non aveva preso tanto bene le sue parole, abbozzò un sorriso di scuse. Sentiva di non volerla offendere. Gli avevano sempre raccomandato di non mischiarsi con gli altri ma, nell’osservazione dei pokemon, era stato inevitabile giungere a contatto con loro. Si era riproposto di essere brusco, scostante, ma per quella ragazza provava solo una gran simpatia.

«Non posso usare il tuo pokemon» le comunicò con un certo dispiacere «Ora è troppo spaventato. Avresti dovuto allenarlo meglio, non trasmettergli le tue paure!»

Per un attimo, sentendo il mutamento nel tono di voce, aveva pensato di averlo convinto, ma subito dopo aver sentito la critica perse nuovamente le speranze.

«Io non ho allenato il mio starmie. A palazzo non è permesso allenare pokemon. Non è permesso neanche tenerli, solo i membri della famiglia reale possono averne uno per compagnia» sperava che rivelandogli delle informazioni si sarebbe convinto ad aiutarla, in più l’avrebbe dissolto dal passare le ore sotto le mura del palazzo.

Si rassegnò e la sollevò di nuovo.

«Poco più in là c’è un laghetto. Ti lascerò lì»

La ragazza si sentiva bruciare dalla rabbia. Odiava dover dipendere da quel presuntuoso.

 

Oltre il bosco che circondava le mura, il lago luccicava sotto i raggi del sole. Alcuni pokemon si abbeveravano. L’allenatore li osservò per bene. Si sentiva felice a contatto con i suoi fratelli. Controllò se ce ne fosse qualcuno di suo interesse, possedeva già tutti quegli esemplari.

«Pika»

«Eh-ehm»

Sia il suo pokemon che la principessa lo distolsero da quella piccola distrazione.

«Eccoci a destinazione» annunciò «Certo è stata dura trasportarti fin qui» la lasciò scivolare in acqua «Mai pensato di metterti a dieta, principessa?»

La ragazza si disinteressò a quel commento antipatico, si curò soltanto di liberarsi da quella bava. Tentò di nuotare ma il suo ingombrante vestito verde le impediva i movimenti. Se ne sarebbe liberata se non fosse stato per la presenza di quel saccente ragazzo.

Era molto buffa, osservata dalla riva.

«Ehi principessa, quando si scappa non ci si veste come per andare ad un ballo!»

Aveva colto nel segno ma lei neanche sapeva cosa volesse dire indossare un vestito normale. Le governanti di corte l’avevano sempre fatta vestire da bambola. A malapena sopportavano quel codino laterale che era solita portare. Avrebbero voluto vedere la principessa reale con i capelli sciolti, come facevano le sue sorelle, ma lei non li aveva mai lasciati slegati. Chiudeva gli occhi quando li pettinava, non voleva vedere l’immagine di se stessa completamente assoggettata alle regole di corte. Ora che era libera forse avrebbe potuto vedere la sua immagine ma ancora una volta si ricordò della sua presenza.

«Sai» disse, volgendosi verso la riva «nonostante in quest’ultimo mese ci sia stata più di un’occasione per darci sui nervi a vicenda, io non so il tuo nome» E improvvisamente capì di volerlo sapere, in fondo gli doveva la libertà. Aveva detto che il laghetto era vicino, ma lei si era resa conto che l’aveva portata piuttosto distante dalla sua prigione, quindi aveva un po’ di vantaggio sulle guardie. Con un po’ di fortuna forse ancora non avevano notato la sua scomparsa.

«Ash Ketchum»

Quel nome le diceva qualcosa, forse l’aveva già sentito mormorare a palazzo.

«Non mi dici il tuo?»

«Lo conosci già» rispose lei.

«No, non lo conosco» replicò con uno strano sorriso.

«Ah sì?» era incredula «Non sai il nome della principessa?»

«So bene il nome della principessa»

Non capiva, cosa voleva sapere allora?

«Adesso sei libera, no? Non devi più usare quel nome» le spiegò «Puoi sceglierne un altro. Allora, qual è il tuo nome?»

«Misty» rispose lei di getto.

«Allora ciao, Misty. Ci si vede!»

 

 

 

è da tanto che penso a questa fanfiction e da tanto che voglio pubblicarla. Alla fine mi sono decisa pur non avendo scritto altro che i primi capitoli (il resto è ancora tutto in testa!). Per i primi tempi aggiornerò settimanalmente, poi probabilmente i tempi si allungheranno.

Spero vi piaccia!

*StoryTeller*

  
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