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Autore: Nimueh    23/02/2013    0 recensioni
Lettrici e Lettori a voi tre storie diverse. Tre mondi differenti regolati da uguali e crudeli leggi, dove l'unico vincitore in questo campo di vinti è l'Amore.
-Scritte a 6 mani: Nimueh, Ayumu_, Viki__R-
Fanfiction già pubblicata in precedenza, cancellata e poi postata di nuovo
Genere: Drammatico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai
Note: Raccolta | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago
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Premessa

Questa è una raccolta di tre storie originali, tutte incentrate su un unico tema: l'AMORE.
Tre tentativi diversi di descrivere questo sentimento così speciale, che sconvolge dagli animi più teneri fino a quelli più duri.


 
A voi, Le Sfaccettature dell' Amore



1.   La prima neve

23 dicembre 2005

La prima neve si affrettava a coprire tutto . Avida e pura.  Creava un paesaggio suggestivo.                               
Gli occhi di ghiaccio di Diego si erano posati su di me come mai prima d’ora.  Un piccolo brivido percorse  la mia schiena.  Diego capì e tutto ad un tratto il suo sguardo si fece più affettuoso.                                                       
Quella sera mi aveva chiesto di andare a vivere da lui. Mi sono messa a piangere come una piccola bambina. Poco dopo ero immersa in uno dei suoi abbracci.                                                                                                            
Non mi sono mai sentita  tanto viva come in quel momento.      
 
Tutti dicevano che avevo un fisico perfetto . Spesso era la sua modella, la sua Musa.  Le Muse vengono invocate  e  amate con passione.  Si spreme  da loro ogni traccia di linfa vitale per poi abbandonarle  come se niente fosse.     
 
Dopo nemmeno due mesi Diego se n’era andato a Parigi, dimenticandomi  in quel appartamento così grande e così vuoto. Tutto era cambiato in un attimo, Diego non era più mio .                                                               
Faceva più male di una scottatura, della morte stessa.                                                                                                      
Lo sognavo tutte le notti nelle braccia di signorine francesi vestite con abiti disegnati su di me. Mi svegliavo urlando disperatamente il suo nome per poi sprofondare di nuovo nel dolore, nel buio.
 

23 dicembre 2015

La prima neve era caduta da un po’. Io correvo  in cerca  degli ultimi regali per mio figlio. Il freddo arrossiva le mie guance.  Ero totalmente immersa nell’allegria natalizia.
Questa strana boutique era già aperta da due mesi, c’era qualcosa di inspiegabilmente  famigliare.                                 
Entrai senza notare il nome del proprietario. Speravo di trovare un bel regalo per Carl (1). 
Tornata a casa mi sono messa a piangere come una piccola bambina.                                                                     
<< Mamma cos’hai?? >>.
<< Non ho niente! >>  finsi abbozzando un sorriso. 
Non dimenticherò mai i suoi occhi di ghiaccio ma questa volta  non ho pianto solo io.  


(1)    Il marito della protagonista.
 

Chiedo perdono per gli eventuali errori. Addio piacendo, Viki__R

 

 

2.   L'odio nato dall'amore
 

Era il 22 dicembre, una giornata nebulosa, piena di vento, con bambini infagottati dai giacchetti invernali, che strillavano nelle gelide piazze alla vista di un uomo grasso e barbuto. Amavo il natale, la neve e i regali sotto l'albero; amavo ogni tipo di festa che non fosse il compleanno.
Avevo diciassette anni, frequentavo il liceo scientifico, ed ero stufo della solita routine, dei compagni di classe troppo bigotti, e di quei professori alquanto esigenti. Ma mi accontentavo, subivo ogni discriminazione dagli omofobi repressi, e aspiravo a un futuro migliore, colmo di felicità e soddisfazioni. 
Mi trovavo in camera, segregato da coloro che avevo amato di più al mondo. 
Ero di fronte alla finestra, seduto su una vecchia sedia scricchiolante, e a causa della fioca luce emanata da una lampada economica, riuscivo con fatica a vedere i fiocchi di neve appoggiarsi dolcemente sul terreno. Avvolto da una lunga coperta, avevo pianto per non so quanto tempo: gli occhi si erano arrossati e le guancie divennero più idratate che mai. Non mi vergognavo di piangere, anzi, mi rendeva fiero e stranamente spensierato. 
Quel giorno però qualcosa era diverso. La neve, i regali, le belle aspirazioni per il futuro, le lacrime che inebriavano gli occhi: niente riusciva a strappare quell'angoscia che mi strozzava.
Avevo la testa che scoppiava, ero impaurito dal mondo che mi indicava con disprezzo. Mi sentivo solo.
Certo, avevo degli amici, e li adoravo con tutto me stesso, stavo con un ragazzo, o meglio, con un falso etero, ma dopo tutto mi sentivo incompreso, depresso.
Pochi giorni prima avevo confessato ai miei il mio orientamento sessuale, lo avevo riferito implicitamente o esplicitamente anche alle mie amiche, che l'avevano presa da vere gayofile.  Mia madre aveva delirato, strillava a destra e a manca, picchiava il muro come se fosse il problema della mia disgrazia. Più volte mi ha ripetuto questa cantilena vomitevole : - Non dire cazzate, alla tua età molti sono confusi... tu sei etero e lo sarai per sempre! Al massimo ti cureremo, la nostra famiglia non deve essere macchiata da un anticattolico. Ricordatelo. - Per non parlare di mio padre, che stava cercando uno psicologo in grado di curare questa grave malattia. Quando poi gli ho parlato di Marco, l'amore che ho sempre sognato, mi ha addirittura messo le mani addosso.. dovevate vedere la scena: un adolescente accasciato per terra, con il sangue che colava dalla testa, e lo sguardo dei genitori distrutto per la delusione e fiero di combattere il male. 
Come se fossi contagioso mi chiusero in camera, portandomi il cibo solo due volte al giorno.
Questa mattina mi ero svegliato presto per leggere "Ragazzi che amano i ragazzi", un libro che mi faceva sentire parte di un gruppo, e cercai invano di contattare Marco. Ebbene sì, era scompraso dalla circolazione proprio quando ne avevo bisogno. La nostra relazione era alquanto strana.. non sapevo se gli piacessi davvero, tanto meno se mi stesse prendendo in giro. 
Cercai di distrarmi con la lettura, e poco dopo entrò mia madre (se ancora così si poteva chiamare) con il solito vassoio mezzo vuoto. Questa volta però non fuggì via come se avessi la peste, si sedette rigida sul letto, e fissò il pavimento.
- Perché Dio ci ha fatto questo... perché sei... così? Ti sei scelto gusti sbagliati. - fece una pausa, come se aspettasse la mia inesistente risposta - C'è una clinica in Spagna, forse potrebbe aiutarti. -
Una clinica? Una cazzo di clinica!? Ma era impazzita? Di sicuro quello malato non ero io!
- Carla, vaffanculo! - non so cosa avesse pensato, la mia voce era ferma, distrutta. Fatto sta uscì dalla stanza all'istante, senza cambiare per un solo istante l'espressione da cogliona che si trovava. 
Rimasi lì, nuovamente solo, pensando che forse un giorno qualcuno mi avrebbe salvato, e di sicuro quel qualcuno non doveva essere un medico o addirittura un esorcista! A fanculo il mondo, mi chiusi in bagno e cominciai a tagliarmi. Che senso aveva provare tutto quel cazzo di dolore?! Dovevo liberarlo.. dovevo trasformare quelle fastidiose voci che avevo nella  testa. E sì, tagliandomi e tagliandomi ancora riuscii a pensare ad altro, a dimenticare il mio essere, a viaggiare in un nuovo mondo, doloroso ma spensierato. Quando riaprii gli occhi e vidi tutto quel sangue mi venne quasi un infarto. Ero debole, ma in un certo senso ero soddisfatto di averlo fatto.
 Mi chiesi se veramente valeva la pena rialzarmi. Perché dovevo sopportare tanto? Perché io dovevo vivere, e allo stesso tempo essere odiato da tutti? Chiusi nuovamente gli occhi e conficcai la lama del taglierino mirando le vene che riuscivo a vedere dal sottile strato di pelle. Ci ero quasi riuscito, con fatica, ma ce l'avevo quasi fatta, finché uno squillo del telefono non rimbombò nella stanza.
"Scusa.. me l'ero dimenticato a casa. E' successo qualcosa? Come è andata la "rivelazione"? :P Rispondimi presto, mi manchi da impazzire."

 

***
 

- Non so se ce la faccio. -
- Ma certo che ce la fai! Non preoccuparti, andrà tutto bene! - 
- E' facile a dirsi.. -
Eravamo seduti su una panchina al parco, e la sua voce mi rincuorava, mi faceva sentire fottutamente meglio! 
- I tuoi genitori devono saperlo... lo dirò anch'io ai miei, ok? - 
Ed è così che mi convinse a farlo, ed è così che lo amai più di me stesso. 
- Ti amo.- e come al solito, alla fine di ogni mini discorsi, ci abbracciammo forte, proteggendoci a vicenda dalle accuse dei passanti. Quando ci allontanammo l'uno dall'altro per un solo istante, vidi i suoi occhi, così profondi. Occhi che mi facevano conoscere tutto quello che desideravo. Occhi che mi rassicuravano, mi rendevano felice.
- Ti amo anch'io. - disse con un leggero sorrisetto da bastardo. 

 

 ***

 
Eravamo fatti l'uno per l'altro, e l'amore che traspariva dai nostri cuori era forte come una leonessa in cerca dei suoi piccoli. 
Non dissi niente alle mie amiche.. non fatemi domande, in quel momento credetti fossi la soluzione migliore. 
Presi il borsone della palestra, ci buttai dentro libri, vestiti e tanta speranza. Aspettai sera e scappai via, lontano da tutti. 

 

 -----  Spero vi sia piaciuto, Ayumu_

 

3.  Amor Condusse Noi Ad Una Morte

 
Il sole era alto nel cielo e rischiarava con il suo calore e il suo splendore tutto ciò che sfiorava: tutto sembrava rifiorire. La stella madre del nostro universo sembrava nutrire tutto ciò che accarezzava. Ma ai bordi della mia vista delle nubi sembravano minacciare quella quiete. Come presagio di una grande sventura, tutto ciò mi angosciava: non ero pronta ad abbandonare il dolce tepore di quel calore grondante di vita.
-Siete pensierosa Clorinda*... cosa affligge i vostri pensieri?- mi domandò cortese il marchese seduto al mio fianco, rimirandomi attentamente. Nei suoi modi potevo ben avvertire l’interesse che provava nei miei confronti, ma niente poteva offuscare il mio vero amore.
-Voi siete in errore, mio signore. I miei pensieri volano leggeri nell’aere, lieti, tutt’altro che afflitti- risposi serena, accantonando quella sensazione di disagio che la sua presenza mi infliggeva.
-Ciò mi acquieta, mia dolce Clorinda. Siete così bella che le tenebre provano ribrezzo al sol pensar di farvi del male!- mormorò suadente al mio orecchio, sfiorando rispettoso e delicato la mia guancia.
Ero profondamente lusingata da cotanti complimenti, ma quelle nuvole così vicine, così minacciose incombevano sul mio animo, rendendolo pesante.
-Signore, voi mi lusingate troppo. Questo volto e questo corpo non sono e né potranno mai esserlo. Tutto questo svanirà e di me rimarrà l’orrido sostegno del mio corpo. La leggiadria che voi tanto declamate non è altro che un mero sogno, se non un incubo-.
 
Il sole era scomparso. Tutto intorno a me, dentro di me, stava morendo.
Quelle nuvole ero arrivate e avevano spazzato l’effimera felicità, la dolce serenità e la quiete dolcezza di una vita, della mia vita.
-Tancredi*!- strillai. Che le mia labbra accarezzassero la dolce perfezione del nome del mio amato per un’ultima volta.
Il pugnale trafitto nel mio ventre, nido mancato del nostro amore, stava velocemente prosciugandomi la mia linfa vitale.
-Clorinda! Mia amata! Voi non potete abbandonarmi...- esclamò invano il mio amato, il mio amatissimo. I battiti mancati del mio cuore e il respiro mozzato e tremante erano la mia triste profezia; così, avvinto dal furore, si chinò veloce su di me e le sue labbra si unirono alle mie suggellando un patto, che nemmeno la morte avrebbe potuto mai spezzare.
Che fossero suoi i miei ultimi respiri. Che prendesse da me quel che poteva ancor esigere.
Il marchese troneggiava alle spalle del mio diletto, pronto a far strage di quel corpo, così amato e così venerato, ma Tancredi fu più veloce. Alzatosi dal mio volto, agile sguainò la spada e rapido la piantò nella suo ventre, covo di cattiverie e malignità.
-Io non posso abitar un mondo che non vi appartiene. E’ vostro il mio cuore, mia fulgida Clorinda, regina del mio cuore, tormento dei miei giorni! Tieni, prendi nella tua pallida mano questo stiletto! Riprendi questa mia vita che è tua di diritto!- mi disse sicuro posizionando nella mia mano poggiata sul mio petto un prezioso ferro.
Prima che potessi tirar indietro il perfido strumento, il corpo del mio amato calò sul mio accogliendo in sé l’orrido mezzo.
Prima che le nostre anime dannate lasciassero questi corpi morti, le sue labbra furono sulle mie affermando quel che in vita ci negarono. 

Amor condusse noi ad una morte
Caina attende chi a vita ci spense**.

 

* Tancredi e Clorinda non sono i personaggi della Gerusalemme Liberata, ma qualsiasi coppia di aristocratici dei tempi andati. 
**Divina Commedia, Canto V dell'Inferno, vv. 106-107 

Con Affetto Nimueh

   
 
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