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Autore: MrsHousekeeper    24/02/2013    5 recensioni
« E' finita, Mrs. Hughes, » le dice.
Episodio 2x06. Mr. Carson, Mrs. Hughes, e la Grande Guerra.
Genere: Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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La guerra è finita.

La guerra è finita e le parole di Lord Grantham non fanno che risuonare fra i suoi pensieri – è finita, è finita – insieme a qualcosa cui non le riesce di dare un nome. Non è una voce, non è una frase, non è... Capisce di colpo, senza essere preparata, come quando si spalancano le imposte su un giorno di pieno sole e la luce inonda una stanza immobile e morta fino ad un istante prima. La guerra è finita e ciò che le danza fra i pensieri è quello sguardo, quel moto subitaneo delle mani a cercare le sue – quello slancio immediatamente censurato e ricondotto a misura, quell'abbraccio non concretizzato.

La guerra è finita e ciò che ora è motivo di rimpianto è ciò cui per tutta la vita ha guardato come traguardo della sua esistenza. Per quanti anni ha sognato, per quanti anni ha lavorato per diventare la governante che è? Eppure per un momento, un momento brevissimo ma così intenso da causarle vertigine, desidera di poter tornare indietro. Essere una qualsiasi delle cameriere, essere Anna, potersi rivolgere all'uomo accanto a lei senza che questo sembri inopportuno e fuori luogo. La guerra è finita e il mondo è cambiato, ma il suo mondo è rimasto lo stesso.

E lei ride e brinda e si commuove e beve eccezionalmente il secondo bicchiere di vino che Thomas le versa e si congratula con gli altri, come gli altri, congratulazioni chissà per che cosa ma figlie dell'entusiasmo e della fine di quell'incubo, risate per non pensare a quel cambiamento che non ci sarà mai. Ride con gli altri ma non con lui, che Lord Grantham si è portato via per organizzare chissà quale dettaglio della cerimonia ufficiale. Come sempre. Quel movimento delle mani, quel chinarsi trattenuto, quell'impeto domato – e l'eterno scivolare lontano da lei. Non c'è nulla che sia concesso celebrare insieme, non nel momento in cui accade. E le celebrazioni differite non hanno mai lo stesso sapore.

Poco alla volta le risate si calmano, le posate tornano a tintinnare nei piatti ma l'allegria non vuole saperne di spegnersi, com'è giusto che sia. Hanno tutti sofferto troppo, versato troppe lacrime, detto troppi addii perché ora la gioia possa esser contenibile. Carson ancora non è tornato e la sua cena ormai sarà immangiabile ma lei già sa che non ci saranno lamentele: è lei quella che si lamenterebbe, che sarebbe capace di intaccare quel momento di felicità perfetta per il mondo con un commento tagliente su quanto troppo facile sarebbe stato aspettare che almeno lui finisse di mangiare prima di coinvolgerlo in una discussione tanto lunga. Ma lui no, lui non si spingerebbe mai a tanto. Lui ama quella gente come fosse la sua famiglia. E forse è anche per quella fedeltà commovente se lei lo ama tanto, anche se quella fedeltà non le appartiene.

Carson ancora non è tornato e lei si alza, fa cenno agli uomini di restare seduti, si scusa sorridendo, un inizio di mal di testa, dice. Se ne va, con una malinconia improvvisa che le è scivolata addosso come uno scialle bagnato attorno alle spalle. Non ha senso rovinare i loro festeggiamenti con la sua sciocca malinconia. Evita sguardi preoccupati – Mrs. Patmore, la sempre attenta Anna – e infila la porta senza dire altro, percorre silenziosa il corridoio, raggiunge il porto sicuro del suo salottino. Non riesce a capire che fine abbia fatto tutta la gioia di quell'annuncio, quanto tempo sia passato dalla comparsa di Lord Grantham se adesso le sembra che sia trascorsa un'eternità.

È troppo assorta, troppo ripiegata su se stessa per ricordare che aveva chiuso la porta prima di uscire e ora invece la trova accostata. E non si rende conto che la ragione per cui il maggiordomo non è tornato a tavola è che la stava aspettando lì finché non lo vede alzarsi dal suo divanetto ed ergersi in tutta la sua statura. Neppure ci crede, in fondo, finché non lo guarda richiuderle la porta alle spalle e rivolgerle un sorriso che lo fa sembrare più giovane di anni.

« È finita, Mrs. Hughes, » le dice, e c'è come un canto nella sua voce, una nota diversa, preziosa, un accento che – se ne rende conto soltanto adesso – avrebbe voluto sentire più spesso, in tanti anni passati insieme. Quel canto inespresso e la sua presenza lì stranamente la turbano, non in modo negativo, naturalmente, ma acuiscono la sua vertigine. Guariscono in un attimo il suo mal di testa e curano la sua malinconia, le restituiscono la voglia di sorridere, ma le danno, insieme, la sensazione che il pavimento stia per sgretolarsi sotto i suoi piedi. Come spesso le accade di fare, decide di difendersi. Non è brava, lei, ad affrontare il turbamento.

« Non è la frase migliore da rivolgere ad una donna, Mr. Carson, sapete? Ha un suono piuttosto fraintendibile, » scherza. Lui non recepisce subito, impiega un attimo a reagire quindi, come previsto, distoglie lo sguardo. Ma contrariamente al previsto non risponde – in altre circostanze, e lo sanno entrambi, avrebbe raccolto la provocazione, precisato, non foss'altro che per sottrarsi a quell'istante di imbarazzo, che a ben guardare non ci sarebbe niente di cui temere la fine. L'avrebbe certo buttata sul lavoro e lei avrebbe riso e sarebbero finiti a condividere un bicchiere di liquore brindando, sobriamente, alla fine del conflitto che ha ferito, come tante, troppe altre, anche la loro famiglia.

Lui invece non risponde e lei si sorprende a pensare che forse non è un brutto segno, se non è riuscita a prevedere quel silenzio. Forse è segno che perfino nel suo mondo sempre immobile qualcosa può ancora cambiare e si scopre scioccamente sollevata. Sente il suono della sua voce nascere ancor prima che le parole prendano forma e anche se non può vederlo in volto sa – questa volta lo sa, questa volta non sbaglia – che lui ha gli occhi chiusi.

« La guerra è finita, Mrs. Hughes, » mormora, e lei sarebbe intenerita da quella precisazione se lui non si fosse voltato con un'espressione colpevole sul viso. Come possa essere tanto svelto un uomo così imponente resterà per sempre un mistero, ai suoi occhi, ma è troppo preoccupata da quelle sopracciglia aggrottate e da quello sguardo basso per perdersi in teorie.

« Cosa c'è, Mr. Carson? Dovreste esserne felice... »

« Stavo per abbracciarvi, prima. Quando Sua Signoria... Per un attimo ho visto me stesso stringervi e sollevarvi da terra e farvi girare come se... » Tace. Non può concludere quella frase, non senza rischiare di offenderla, e lei lo sa, sa quello che passa per la sua testa, conosce quei pensieri e gli viene incontro, dà loro voce al posto suo.

« Come se fossimo ancora giovani? Liberi da tutte queste responsabilità? »

E quel sorriso ricompare, gli stropiccia gli angoli degli occhi ed è quasi come se ne fosse illuminato – lei capisce, capisce sempre, lei gli legge dentro e lui sa che sarebbe perso se così non fosse.

« Come se non ci fosse nessun altro nella stanza, » ammette, quasi timoroso di quelle parole, ed è commovente che un uomo come lui sia capace di tanta dolcezza. Il turbamento di lei scolorisce, si appanna; si confonde in qualcosa di nuovo e mai provato, non in sua presenza almeno, un coraggio che mai in tutta la sua vita ha creduto di possedere. Ha mostrato tanti tipo di coraggio, nel corso degli anni, e ne è consapevole ed orgogliosa, ma quello – quello è del tutto nuovo e non è sicura di saperlo usare e le trema la voce quando decide di rispondere con il cuore.

« Qui non c'è nessun altro... »

Curiosamente, non c'è bisogno d'altro perché tutto esploda. È tutto immediato, perfetto, pieno, e lei si chiede perché mai non abbia mai pronunciato prima una frase così semplice se il premio è quello. Si ritrova stretta in un abbraccio forte, sicuro, si abbandona all'unica persona al mondo che, ed è ciò che le dicono quelle braccia e quel sorriso, non la lascerà mai finché questo dipenderà da una sua scelta. Si riempie gli occhi e la pelle e i polmoni di quell'abbraccio e tutto le ritorna in mente, la guerra appena finita, la gioia di essere vivi, l'incontenibile, improvvisa allegria che le riempie la gola di risate.

« È finita, » ride mentre lui la solleva da terra, « è finita, » mormora, incantata dalle proprie mani che scivolano sulle sue spalle fino ad allacciarsi alla sua nuca. « È finita, » e non ha più fiato quando si ritrova con la schiena contro il muro e le mani gentili di lui a sfiorarle gli zigomi.

« È appena cominciata, » la corregge lui, e per una volta è felice di lasciargli l'ultima parola.

  
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