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Autore: Keros_    24/02/2013    5 recensioni
[Spin-off di Bikenau-Auschwitz.]
Sentì delle dita affusolate percorrergli il palmo della mano e intrecciarsi alle sue. Rispose alla stretta, accarezzando con il pollice il dorso della mano che stringeva. Chiuse gli occhi per un attimo, beandosi di quel leggero contatto, prima di girare la testa di lato e incontrare un paio di occhi verde brillante con varie sfumature azzurre.
Genere: Angst, Fluff, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Blaine Anderson, Sebastian Smythe | Coppie: Blaine/Sebastian
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Inghilterra, 1950.




Blaine si ritrovò in mezzo alla neve, senza sapere come ci fosse arrivato. Diede un'occhiata in torno, trovando un paesaggio candido, la neve ricopriva ogni cosa anche se leggermente. Il cielo e il terreno erano dello stesso colore ma Blaine riusciva a percepire dove finisse uno e dove cominciasse l'altro, grazie agli enormi alberi secolari alti parecchi metri che creavano un sentiero naturale lungo una decina di metri.

Lui, infatti, si trovava davanti a ciò che sembrava una strada spianata, completamente vuota, delineata soltanto da questi pini, costretto a percorrere un’unica via.

Faceva freddo ma non come si aspettava, per così tanta neve la temperatura doveva essere decisamente più bassa, invece Blaine non sentiva il bisogno di coprirsi e per una strana ragione quella maglia logora che portava addosso, lo infastidiva. Era stretta, gli prudeva la pelle per quanto la stoffa era rigida e di scarsa qualità. E poi c'erano quelle righe, il segno della sua schiavitù, dell'essere ritenuto inferiore agli altri e all’avere meno diritti.

C'era un vento leggero, appena percepibile, che faceva ondeggiare le cime dei pini. Ma la cosa che lo sorprendeva maggiormente, non era il paesaggio; in Polonia come quello ne esistevano a bizzeffe, ma era il silenzio, la completa mancanza di suono o di vita altre la sua. Se si concentrava, riusciva a sentire il lieve fruscio delle foglie e nulla più. Anche i leggeri fiocchi di neve che in quel momento iniziavano a sfiorare il suolo si adagiavano silenziosi.

Alzò il palmo della mano, cercando di prenderne uno, riuscendoci. Restò lì a contemplare quel piccolo fiocco di neve, prima che si sciogliesse e gli sembrasse così bello e perfetto, anche se era durato solo un secondo.

Ma perché si trovava lì ? Dov'era di preciso ? E soprattutto, perché indossava ancora quei vestiti ?

Era uscito da Birkenau da tempo, lo ricordava bene, era uscito da anni e ancora aveva un peso in gola pensando a quello che aveva lasciato lì: Elizabeth, le promesse non mantenute, la sua visione del mondo, la sua ignoranza su quanto gli uomini potessero essere crudeli gli uni con gli altri. Ma due cose aveva lasciato lì dentro di davvero importante, su cui continuava a ripetersi che non era vero, che non li aveva lasciati lì, che erano ancora con lui, parte di lui. 

Aveva lasciato Sebastian e, soprattutto, se stesso. Era come se una parte di lui fosse rimasta lì, con Sebastian, ancora in quello studio, seduta sulle lunghe gambe fasciate della divisa di quest'ultimo, che continuava a sorridergli e a chiacchierare o non dire niente, sorridendogli in silenzio o accarezzandogli il viso con il suo modo di fare.

Quella parte, Blaine lo sapeva, sarebbe rimasta per sempre in quel Lager non sarebbe importato quanto volesse che ritornasse da lui, per sentirsi di nuovo Blaine.

Quella parte di lui apparteneva a Sebastian, colui che lo aveva fatto stare bene, colui che lo rendeva se stesso al cento per cento, che non lo faceva sentire soltanto come il numero che aveva appuntato sopra la maglietta o che si nascondeva in quella mansarda umida con Juliette avvinghiata addosso.

Ma era rimasta lì, proprio il giorno in cui trovò l'agenda dentro la scrivania di legno, quando capì che non avrebbe mai più rivisto Sebastian. Come se tra le tante lacrime, Blaine avesse pianto via anche quella, allontanandosi da lui per sempre. Perché si ricordava del crollo che ebbe da quel giorno in poi, di come quella parte gli mancasse.

Di come Sebastian mancasse nella sua vita. Perché anche se aveva quell'agenda di pelle marrone sempre con sé a consolarlo ogni qualvolta che ne avesse bisogno, niente era come la sua presenza, la sua pelle e i suoi occhi, il suo sguardo; cos'avrebbe dato per rigodere di quello sguardo, anche solo per un minuto. E Blaine sapeva cosa avrebbe dato, molto probabilmente anche la sua vita stessa.

Blaine aguzzò la vista, sperando di trovare qualche indizio che gli facesse capire dove si trovasse. I suoi occhi ricaddero sul paesaggio innevato e non gli bastò molto per riconoscerlo.

Adesso era diverso, c'era meno neve, non c'erano persone che bramavano la libertà intorno a lui e non c'era Juliette, ma non c'era neanche quell'uomo alto, che si distingueva da tutti gli altri, l'uomo che l'aveva aiutato a camminare e raggiungere la libertà, colui che Blaine piaceva immaginarlo come Sebastian, anche se non poteva dirlo con certezza, non aveva prove a sufficienza. Ma a lui piaceva immaginare così, come se lo avesse salvato per l'ennesima volta.

Poi Blaine decise di muoversi, non c'era motivo di rimanere immobile. Decise di andare avanti, era l'unica soluzione.
Iniziò a camminare, continuando a lanciare sguardi a destra e a sinistra, alla ricerca di qualcosa, qualcuno, che non lo facesse sentire solo. Ma ben presto gettò via le speranze, notando che a ogni metro che percorreva, la neve si faceva sempre più alta e il camminare diveniva più difficile.

Ma in quel momento non era un problema, per lo meno non grande come quando lo aveva percorso con Juliette in braccio. Quella volta sì, che fu un’impresa ardua percorrere quel terreno; c'era chi urlava, chi piangeva perché aveva perso i propri cari, chi purtroppo si accasciava a terra stremato, e poi... era più magro.

Continuò ad andare avanti, senza sosta, anche se a ogni passo il piede affondava sulla neve sempre più profonda, mentre i piccoli fiocchi diminuivano a vista d'occhio, lasciando Blaine sempre più confuso; se non nevicava, allora da dove venivano ?

All'orizzonte pareva non esserci niente ad attenderlo, per questo sgranò gli occhi quando vide qualcosa. Era troppo lontano affinché lo distinguesse con precisione, da lì sembrava soltanto una tavola posta in orizzontale sul suolo. Iniziò a correre verso di essa, arrancando un po’ per via della neve.

Ma poi, arrivato a una certa distanza, quando la figura iniziava a prendere una forma, capì. E avrebbe voluto avere un tonfo al cuore, rattristarsi, perdere le forze, accasciarsi a terra e piangere o urlare. Invece non avvenne niente di tutto ciò.
Rimase immobile per un istante, a guardare il corpo esanime, poi si avvicinò ad esso, lentamente. Si sentì male, ma non per quel corpo, per quella persona che ormai non era viva, ma per se stesso. Perché aveva perso parte della sua umanità, perché quella neve bagnata di sangue e quel viso con ancora lo spettro di una smorfia di dolore, non gli suscitava niente, nessuna emozione. Né tristezza, né rabbia, né dolore.

Superò il cadavere senza fare una piega e si giustificò pensando che, nella sua vita, aveva visto fin troppi morti e sollevato corpi senza vita, per piangere per un solo uomo caduto; ma la verità era che non gli importava, che non era un motivo valido. Perché la morte dovrebbe sempre portare tristezza a un essere umano e lui non la provava più; forse la parte di sé che apparteneva a Sebastian era la sua umanità, ciò che lo rendeva una persona, un individuo.

Camminò per diversi metri, forse una cinquantina non lo sapeva di preciso, quando all’orizzonte vide la stessa macchina nera di poco prima. Questa volta non corse, continuò a camminare con calma, fino a superarla, riuscendo solo a chiudere gli occhi dove il rosso sulla neve era più intenso.

Si accorse, con il passare del tempo e delle falcate, che più andava avanti proseguendo per quella via, più i corpi accasciati a terra si facevano più frequenti e la neve più alta, sempre più, fino a dover lottare per non affondare.

Blaine perse la cognizione del tempo e dello spazio.

Il paesaggio era sempre uguale, si ripeteva, come una pellicola sulla macchina da cinepresa che continuava ad essere girato, ininterrottamente. Il tempo non sapeva definirlo, gli sembrava di essersi ritrovato lì da qualche minuto, ma di camminare da ore, giorni, anni. Ed era strano, era sempre stato bravo a calcolare le cose e a scandire la linea temporale.

Poi, mentre guardava tra gli alberi e sollevava la gamba per metà affondata nella neve, vide qualcosa a pochi metri dal bordo della strada. Si fermò di scatto, perché era diversa da tutto ciò che aveva visto fino a quel momento. Per via della distanza sembrava una sagoma ma non era distese sul terreno, era in piedi, in verticale, che camminava in modo lento e cadenzato, un po’ come una piccola marcia e Blaine sapeva che gli unici a camminare in quel modo erano coloro che portavano la divisa, perché gli anni d’addestramento li condizionavano in ogni piccola cosa, anche nella camminata e la postura.

Sorrise, solo sorrise.

Poteva essere chiunque, ma dentro di sé sapeva che solo una persona poteva trovarsi lì in quel momento. E senza accorgersene si ritrovò a correre.

Blaine non se ne accorse, fin quando non fu costretto a fermarsi per prendere fiato con una mano sul fianco, ma più si avvicinava a quell’uomo che camminava placidamente, più la neve sembrava diminuire e il mondo sorridergli.

Quel piccolo venticello si era finalmente placato. Prese un respiro profondo e continuò a correre, cercando di catturare l’attenzione dell’altra persona che vi era in quel luogo arido. Quando vi fu abbastanza vicino si accorse che il suo intuito non aveva sbagliato e che era davvero un soldato, in divisa nera. Faceva parte della SS, ma si sorprese però quando si accorse che questi non portava la giacca. Solo la camicia, le spille appuntate al petto, il berretto nero, i pantaloni della stessa tinta e la fascia sul braccio sinistro. 

“Ehi !” Urlò ancora una volta, ormai a meno di ventri metri di distanza. Blaine lo vide girarsi, lentamente, nel suo solito modo di fare. Le spalle larghe e muscolose, la camicia tesa che gli risaltava il fisico, il nodo della cravatta ben stretto, gli occhi di un verde smeraldo splendente, le labbra sottili, il naso leggermente arrossato, i lineamenti spigolosi, le ciocche chiare dei capelli che uscivano dal cappello. “Sebastian.”

Un sorriso spuntò sulle labbra di Blaine, di quelli che ti illuminano il viso e ti riempiono in cuore, riuscendo a far sorridere Sebastian. Gli corse incontro, senza nemmeno pensarci due volte o aver paura, perché adesso non ne aveva nessun motivo.

Sebastian era lì, aveva passato anni a pensarlo chissà dove, a pensare che fine avesse fatto. E invece adesso lo guardava, gli sorrideva persino e si era fermato ad aspettarlo, porgendogli la mano.

Ed era felice, Blaine, felice come non era mai stato. Finalmente lo aveva ritrovato. Sentì gli occhi arrossarsi, ma decise di non piangere, perché sarebbe sembrato un bambino e forse Sebastian lo avrebbe preso in giro.

Gli afferrò la mano, stringendola tra le sue; senza soffermarsi a pensare a quanto fosse strana quella scena, a quanto potesse essere poco credibile. La strinse con forza, guardando intensamente Sebastian, chiudendo gli occhi quando sentì la fronte di quest’ultimo poggiarsi sulla sua.

“Hai le mani congelate.” Disse, sfregando la mano tra le sue, quando Sebastian rialzò il capo. Desiderava ardentemente un
bacio, non gli importava se uno di quelli passionali o a fior di labbra; invece Sebastian sembrava non desiderare niente di tutto ciò, restando in silenzio.

Forse era cambiato, non era più l’uomo che conosceva una volta, il generale senza cuore. Sorrise a quel pensiero, immergendosi completamente in quelle sfumature di verde e azzurro.

Restarono lì, in silenzio e Blaine perse di nuovo la cognizione del tempo.

Poi, quando Sebastian parlò, gli sembrò di essere schiaffeggiato violentemente in viso, svegliandosi da quella specie di trance. “E le tue non tremano più.”

Perché Blaine capì. Abbassò lo sguardo con un groppo in gola e guardò le sue mani, che ormai stringevano il niente. Risalì con lo sguardo il corpo di Sebastian, notando come andava scomparendo, fino a risalire il viso e restare a guardarlo. Sparì poco dopo, non lasciando alcuna traccia di sé.

Blaine rimase a fissare il vuoto, non notando nemmeno come gli alberi andassero scomparendo, come il mondo intorno a lui iniziasse a scomparire.

Poi il cielo iniziò ad incupirsi, fino a diventare nero; contagiando pure lo spazio intorno al moro, facendolo sentire compresso. Finché non divenne tutto nero da rimanerci intrappolato.
 
 
Blaine aprì gli occhi, trovando il soffitto bianco ad accoglierlo sopra la sua testa. Si passò una mano sulla fronte pregna di sudore, socchiudendo gli occhi ed espirando fino in fondo, per poi cercare di ritornare a respirare normalmente con respiri profondi.

Sentì delle dita affusolate percorrergli il palmo della mano e intrecciarsi alle sue. Rispose alla stretta, accarezzando con il pollice il dorso della mano che stringeva. Chiuse gli occhi per un attimo, beandosi di quel leggero contatto, prima di girare la testa di lato e incontrare un paio di occhi verde brillante con varie sfumature azzurre.

Non disse nulla, contemplandolo nella semi oscurità. Sebastian era sdraiato su un fianco accanto a lui,  fasciato nella su divisa della SS, la testa poggiata sul cuscino candido. Teneva le labbra socchiuse, le sopracciglia chiare leggermente aggrottate, formando qualche ruga appena accennata sulla fronte, negli occhi una scintilla luminosa e sul volto un'espressione concentrata.

Chissà da quanto tempo era lì a fissarlo mentre si dimenava nel sonno. Chissà se era riuscito a capire cosa avesse sognato o alle sue orecchie fosse arrivato qualche farfuglio sconnesso.

"Brutto sogno ?" Blaine chiuse un'altra volta gli occhi, mordendosi leggermente il labbro inferiore, perdendosi nel suono della sua voce; sperando che continuasse a parlare ancora. Oh, come gli era mancata quella melodia profana.

"No, non era niente" minimizzò, cercando di cacciar via dalla sua mente le scene di quel sogno, che gli avevano messo un peso sul cuore.

Sentì  Sebastian muovere la testa sul cuscino, ma non disse niente, aveva annuito silenziosamente. Blaine sentì la presa sulla sua mano stringersi e si costrinse ad aprire gli occhi, trovandolo a fissare le loro mani intrecciate. Anche lui spostò lo sguardo su di esse, non trovando la forza di smentire la sua mente che le riteneva perfette.

Le mani candite e ben curate del Generale, facevano contrasto con quelle di Blaine che erano leggermente più scure, callose, con qualche crosticina qua e là, spellate vicino alle unghie e qualche graffio ancora rosso. Ma a renderle ancora più belle, era lo sfondo; il materasso morbido e le lenzuola bianche sgualcite, davano quel senso di giusto, di casa. Al campo non avevano mai avuto l'opportunità d'appurare le loro mani in un contesto simile; non c'era mai stata l'occasione, il tempo o semplicemente la voglia. Quando erano a Birkenau non avevano quel legame.

"Dovresti smetterla." Blaine alzò gli occhi, puntandoli sul viso di Sebastian, trovandolo a fissarlo. Non si era accorto quando aveva rialzato lo sguardo.

"Di fare cosa?" Chiese finto innocente, sapendo benissimo a cosa il suo amante si riferisse. In qualche modo era come al campo di concentramento, quando lo accusava di condividere il cibo che gli procurava con Juliette ed Elizabeth, e lui deviava il discorso, cambiandolo con qualche altro, rispondendo secco o facendo finta di non sapere a cosa si riferisse.

"Non fare finta di non sapere di cosa parlando, Blaine, sai bene a cosa mi riferisco." Rispose secco Sebastian, ma non era arrabbiato o irritato dal suo comportamento. Ma bensì apprensivo, preoccupato, forse.

"E cosa dovrei fare?" Chiese immergendosi in quegli smeraldi, adesso leggermente più profondi.

"Lasciarmi andare."

"Non ci riesco."

"Lo so." Sebastian strinse ancora di più la sua mano, rivolgendogli un sorriso amaro. "Ma dovresti provarci."

"Non posso"

"Perché non puoi, Blaine?"

Quella domanda lo lasciò senza parole, portandolo a sbarrare gli occhi, distogliendo lo sguardo e alzare le sopracciglia, non sapendo cosa rispondere. Nessuno gli aveva posto un tale quesito e nemmeno lui aveva sentito il bisogno di porselo o darsi una risposta. Perlomeno fino a quel momento.

Rimase in silenzio per parecchio tempo, cercando dentro di sé una risposta, non riuscendo a trovarne alcuna, una spiegazione. C'erano tanti motivi, ma nessuno sembrava quello giusto. Sebastian seguì il suo esempio, restando in silenzio, accarezzandogli in modo intimo la mano, anche lui a pensare una possibile risposta.

"Perché non sarebbe giusto."  Rispose in fine Blaine, non sapendo che altro dire, pensandola adeguata. Sebastian ridacchiò appena, facendogli segno di avvicinarsi.

Una volta a pochi centimetri di distanza, gli portò la mano libera sul viso e Blaine si perse a guardarlo, sorridendo a ogni piccolo dettaglio che conosceva a memoria.

Le labbra sottili erano leggermente screpolate, la barba appena accennata soprattutto sul mento e la mascella, dandogli un aspetto più adulto e forse ancora più affascinante. Le sopracciglia chiare ma folte, piegate leggermente, segno che il loro proprietario stava pensando a qualcosa da controbattere; la punta del naso era stranamente dello stesso colore candido della pelle, al campo era sempre arrossato quando non lavorava in ufficio, per via del freddo pungente della Polonia.

 Le gote erano leggermente imporporate, ma Blaine dubitava che fosse un colore dominato dall'emozione perché era una tinta diversa, più marcata e omogenea, che si estendeva un po’ per tutte le guance, come se avesse appena finito uno sforzo fisico.

E poi c'erano i nei e sorrise tra sé e sé, trovandoli affascinanti e costringendosi a non unirli con i polpastrelli. Era un gesto che aveva fatto una sola volta, quando Sebastian gli aveva dimostrato di essere umano. Non ne aveva mai trovato il coraggio di rifarlo e una parte di lui sapeva che Sebastian non avrebbe acconsentito. Molte volte gli scostava la mano quando giocherellava con quelli numerosi che aveva sul petto e sull'addome, canzonandolo con qualche battuta, persino. 

Gli sarebbe tanto piaciuto unire cinque nei che all'apparenza formavano un pentagono, ma non lo fece, venendo riportato alla realtà dalla voce di Sebastian.

“E’ la cosa più stupida che abbia mai sentito. Dovresti andare da un dottore.”

Il moro alzò le sopracciglia a quelle parole. Non lo trovava un motivo stupido, anzi gli sembrava il più adatto, Sebastian era stato una parte fondamentale della sua vita e per quanti errori nella sua vita avesse fatto, restava una delle persone più importanti della sua, se non la persona più importante.  Ma decise di non calcare la mano su quell’argomento, almeno su quello poteva andare avanti. “Sono un medico, te lo sei dimenticato?”

Il nazista sollevò appena gli angoli delle labbra in un sorriso amaro e Blaine capì a cosa stava pensando e si rispose in mente, da solo. Sebastian non avrebbe mai dimenticato la sua professione, tutto era iniziato proprio per colpa di essa, quel giorno in cui aveva iniziato a lavorare nei laboratori nazisti dove si compievano esperimenti scientifici, basati sul nulla.

Ma adesso l’ariano stava pensando a qualcosa che lo lasciava interdetto, visto il modo in cui serrò le labbra prima di porre la domanda. “Allora perché non ti curi?”

Quelle parole arrivarono alle sue orecchie come proiettili, spiazzandolo del tutto e aprendo qualche spiraglio di lucidità e consapevolezza nella sua mente. Un parte di lui non sapeva  a cosa alludeva Sebastian, l’altra le capiva fin troppo bene, e
Blaine non riuscì a tenerla a freno; portandolo a dire ciò che era più vero in assoluto, ma anche qualcosa che gli sembrò superfluo. “Preferisco stare con te.”

Sebastian alzò le sopracciglia a quella affermazione, mentre una smorfia di stupore gli oltrepassò il viso. Non disse niente al riguardo, soltanto poggiò la mano oltre al fianco di Blaine, sul materasso, poggiandoci il braccio, stringendolo in uno pseudo-abbraccio, prima di cambiare discorso.

“Sei ingrassato,” disse per smorzare la tensione, riuscendoci. Blaine ridacchiò a quella affermazione, notando come quella fosse la sua unica preoccupazione, anche ad anni ed anni di distanza. Sebastian spostò il piumone sotto cui era steso, per costatare quanto fosse vera la sua affermazione. Blaine si distese supino.

 “Sarai felice finalmente.”  Disse con tono ironico.

Ma Sebastian si sporse su di lui, guardandolo dritto negli occhi, accarezzandogli gli zigomi con una mano. Il moro rabbrividì nel vedere quanto fossero intensi quegli  smeraldi e quanto fosse serio. Solitamente non reagiva in quel modo ai suoi commenti, faceva finta di non sentirli o gli dava spiegazioni, anche se la maggior parte delle volte ci sorrideva su’. Si distese sopra il moro, avvicinando i loro visi, poi disse:

“Più di quanto pensi.”

Blaine trattenne il fiato, cercando di memorizzare bene il tono che aveva utilizzato per dire quelle parole. Era serio e deciso, come quando dava un comando importante a qualche suo co-militare, ma con qualcosa in più, un esitazione durata qualche frazione di secondo; come se avesse cercato di far trasparire qualcosa che allo stesso tempo aveva cercato di nascondere, ma  volendo mantenere la sua autorità.

 Ed era così se stesso pronunciando quelle parole, che Blaine si alzò di poco, facendo congiungere le loro labbra, sentendosi appagato nel sentirle così morbide e sottili. Non ebbe nemmeno il bisogno di chiedere il permesso pe entrare, che Sebastian le schiuse quel tanto che bastava per dargli libero accesso.

Da quel bacio, però, capì che non ci sarebbe stato nulla di più, almeno per quella sera. Era quel tipo di bacio che si scambiavano quando non poteva esserci nient’altro dopo, intenso e passionale, ma non troppo. Dopo solitamente Blaine si sedeva sullo sgabello del pianoforte, incominciando a suonare e Sebastian tornava alle sue scartoffie, guardandolo di sottecchi di tanto in tanto; oppure si allontanavano l’un l’altro, prima di continuare le rispettive mansioni.  

Però gli portò ugualmente una mano tra i capelli dietro la nuca, facendogli ruzzolare sul materasso il cappello nero in pelle, avvicinandolo un po’ di più; si sorprese per come l’uomo cadde quasi su’ di lui, sorridendo nel bacio nel constatare di quanto adesso fosse forte fisicamente. Se prima avesse fatto un gesto del genere, Sebastian non se ne sarebbe nemmeno accorto.

Come aveva immaginato, quest’ultimo si staccò poco dopo da lui, portando la sua mano dal suo viso ai riccioli folti e disparati. Prese una ciocca tra le dita, giocherellandoci, mentre Blaine faceva lo stesso con i suoi capelli corti sulla nuca, sollevandoli e abbassandoli ritmicamente, solleticandosi i polpastrelli.

“Hai i capelli lunghi.” Sebastian lasciò scivolare via la ciocca di capelli e questa ricadde sulla fronte del moro. Poi portò la mano sotto la maglia del pigiama, accarezzandogli l’addome e Blaine rabbrividì a quel tocco caldo, sospirando appena. Poi la mano salì tracciandogli i muscoli e un fianco.

“Le costole non sporgono più,” mormorò, passandoci sopra i polpastrelli.

 “E tu porti sempre la divisa.” Gli face notare Blaine, facendo passare la mano sulla stoffa nera, percorrendo la spalla.

“Non sono qui per parlare di me.” Sebastian si spostò da sopra di luì, sdraiandosi al suo fianco. Blaine rimase in quella posizione, girando leggermente la testa di lato per continuare a guardarlo.

 “Dovresti andare avanti.” Aggiunse Sebastian.

Blaine sbuffò leggermente e aprì la bocca per ribattere, ma l’altro lo precedette. “E dovresti iniziare con l’agenda.” Disse,
facendo cenno col capo al taccuino in pelle scura poggiata sul comodino, accanto al letto.

Il moro restò per un attimo confuso a quella affermazione, non riuscendo a capire come ne fosse a conoscenza, notando come sapesse cose che lui non gli aveva mai detto. Ma lasciò perdere, in quel momento voleva capire perché Sebastian parlasse in quel modo, perché di dicesse quelle parole. Ma soprattutto voleva fargli capire che non gli era possibile e che quella agenda, per lui, era molto di più di alcuni fogli rilegati insieme con su scritto qualche pensiero, parola o ricordo.
“E’ l’unica cosa che mi rimane di te.” 

“No, non è vero.” Rispose prontamente Sebastian, scuotendo leggermente la testa. “Hai i segni del mio passaggio sul tuo corpo,” gli tracciò da sopra la maglia il cicatrice che si estendeva sul fianco sinistro, che si era procurato il giorno della morte di Elizabeth, quando fu’ picchiato dai nazisti. L’uomo in divisa fece una pausa prima di aggiungere: “E, inoltre, hai sempre i nostri ricordi.”

“Ma con la vecchiaia li andrò perdendo” ribatté Blaine, sdraiandosi su un fianco, per essere più vicino a Sebastian.

“Ma avrai sempre i sogni.”

Il mondo gli sembrò crollargli a dosso, sentendo gli occhi bruciare ed inondarsi di lacrime. Era bastata una frase, ma decise che non avrebbe pianto e in un flebile sussurro chiese: “Come in questo momento?”

Sebastian non rispose, gli accarezzò lo zigomo con una mano, pronto ad asciugare un eventuale lacrima; ma Blaine aveva deciso, non si sarebbe lasciato andare, non in quel momento almeno. Poi cambiò il discorso, tornando a quello di prima; e il moro sapeva che quando si comportava in quel modo, lo faceva soltanto per risparmiargli una verità scomoda.

“Dimentichi che c’è un mondo la fuori, oltre quella porta, aldilà di quella finestra. Al difuori di quell’agenda.”

Poi Sebastian fece un pausa prima di continuare. “Il mondo è pieno di novità, ci sono tante cose da scoprire, segreti  che vengono a galla e dubbi che vengono a farsi chiarezza.  Si sta riprendendo dalla guerra e tu continui a non volerlo vivere. ”

“Non è così facile.” Replicò lui, sentendosi rimproverare.

“So’ che Birkenau non è semplice da superare, ma tu non ci provi neanche.”

“Io ci ho provato.”  Blaine semplicemente mentì, distogliendo lo sguardo. Perché non era vero, aveva fatto proprio come aveva detto Sebastian. Si era soltanto chiuso in se stesso e stretto a sé quella agenda marrone scuro, con le pagine ormai giallognole, poi nulla più.

“Sei troppo attaccato a me. Non ne hai più bisogno, non lo capisco.”

In un altro momento, Blaine avrebbe riso per quella mancanza cognitiva. Era da Sebastian non riuscire a capire certi sentimenti,  lo sapeva ed era del tutto normale per lui, ma in quel momento si sentì soltanto più vulnerabile, perché si sentì il dovere di dargli una spiegazione e di certo parlandogli a cuore aperto.

“Sei stato ciò che è riuscito a farmi superare tutti quegli anni.”

“Ma adesso sono finiti.” Gli fece notare l’altro, sembrando determinato a non prendere in considerazione la sua motivazione.

“Per me non finiranno mai. E’ come se fossi ancora lì e tu fossi l’unica cosa che riesce a farmi stare bene.”  

“Ma potresti riuscirci, se vorresti. “

Ma sembrava non volerlo ascoltare, voleva rimanere nella sua convinzione, e Blaine capì che se restava tale, allora c’era un motivo non tralasciabile dietro. “Come lo sai?”

“Perché tu sei unico.” La risposta di Sebastian arrivò alle sue orecchie lineare, semplice e coincisa. 

Blaine sorrise, perché adesso tutto aveva più senso. Sebastian credeva in lui, pensava questo di lui. Non lo credeva diverso, ma unico. E non gli servì chiederlo per capire, che quella volta in cui gli chiese quale differenza  ci fosse tra lui ed Elizabeth o gli altri ebrei,  era che lui lo riteneva unico. La parole che susseguiva quel “Tu sei” interrotto da lui, era la stessa dell’ultima frase pronunciata poco prima.

“L’unico che mi abbia mai fatto venire dubbi in ciò che ho sempre creduto, in quello che mi hanno insegnato e che mi hanno sempre impartito.” Sebastian gli lasciò un bacio a fuori di labbra, il loro solito bacio intimo, “Mi dispiace per tutto quello che ti ho fatto passare.”

“Non è colpa tua, come tutti gli altri eri sottomesso alla legge.” Anche se ciò che disse Blaine era vero, lo era solo a metà, un piccola parte. Aveva minimizzato la cosa e lo sapeva bene, così come Sebastian che continuò a prendersi le sue responsabilità.

“Ciò nonostante, non avrei dovuto abusare di te.”

“E’ passato.” Rispose il moro, sapendo che non si riferiva soltanto al livello fisico di ciò che c’era stato, ma anche a livello psicologico ed emotivo. “ Sembra stupido adesso da dire, perché prima ne ero terrorizzato, ma.. ma sono felice che tu l’abbia fatto e permesso di avvicinarmi a te.”

Sebastian non rispose, perlomeno non verbalmente, semplicemente lo strinse in un abbraccio, che Blaine ricambiò con calore, respirando a pieni polmoni il suo profumo. Rimasero così per molto tempo, fino a perdere la cognizione.

E proprio durante uno dei tanti respiri si accorse che colonia naturale della pelle del biondo, iniziava a perdere la sua intensità, affievolendosi sempre di più, fino a non sentirsi più. Blaine capì cosa stava a significare e per convincersi di aver torto, lo strinse ancora di più, sentendo perdere di compattezza, diventando sempre più morbido e piccolo, come un cuscino.
Non ebbe la forza di guardarlo in viso, così chiuse gli occhi e gli chi chiese, ormai quasi sicuro della risposta:

“Questo è un sogno, vero?”

“Si.”

E proprio in quel momento, aprì gli occhi, ma questa volta per davvero in tutta quella lunga nottata, trovandosi disteso su un fianco, abbracciato ad un cuscino bagnato di lacrime, trovando la porta aperta che dava sul corridoio, guardano il materasso nel punto in cui doveva esserci il corpo di Sebastian.

E non c’era niente da dire, nulla da aggiungere. Perché quella notte non c’era stato Sebastian con lui, non l’aveva né baciato, né sfiorato. Quella notte l’aveva solo sognato, ma dubitava che quelle parole fossero soltanto frutto della sua immaginazione; perché lui credeva davvero che Sebastian lo ritenesse unico. Perché infondo sapeva che era la verità e che, comunque, aveva ragione e che avrebbe voluto quelle cose.

Ma non l’avrebbe fatto, non sarebbe andato avanti.
 
 








Significato della prima parte del sogno:
·         Il fiocco di neve sulla mano di Blaine è lo sguardo intimo di Sebastian che questi era solito rivolgergli.

·         Il paesaggio è li per due motivi: il primo, perché è dove vide Seb; il secondo, rappresenta il suo stato d’animo appena arrivato al campo, vuoto e solo, nonostante Elizabeth e Juliette.

·         La neve rappresenta le difficoltà che Blaine si ritrovò ad affrontare, e i morti le persone che perdevano la vita all’interno del campo.

·         Molti ebrei, durante il periodo di deportazione  perdevano la cognizione del tempo e del passare degli anni. Tipo me in estate.

·         Quando Blaine stava con Sebastian si sentiva bene e gli sembrava tutto più facile, per questo più si avvicina più le difficoltà sembrano comparire.

·         Il motivo per cui è Blaine ad avvicinarsi sono due: Il primo perché “Sebastian” non si era accorto di lui quando vennero liberati gli ebrei e poi perché quella parte del sogno è “semi cosciente.”

·         “Sebastian, nei momenti di intimità, si toglieva la divisa quand'era possibile o se ne sbottonava la maggior parte “ [Birkenau-Aushwitz.]

·         A Blaine, durante il periodo di detenzione e dopo il campo di concentramento iniziarono a tremare le mani. E quando Sebastian gli fa notare che non gli tremano capisce di star sognando.

·         Sebastian sparisce come nel campo, in modo inaspettato e senza dare il tempo a Blaine di salutarlo.

·         Il nero e il grigio, simboleggiano la depressionecrollo di salute, di Blaine dopo quel momento e l’uscita da Birkenau.
 
Sogno due:

·         Blaine non si rende conto di vivere un sogno, da lì la sua reazione.

·         L’immagine di Sebastian sul letto è quella di cui Blaine si impregnò gli occhi quando lo “toccò” per la prima volta.

·         “In alcuni sogni parlavano e basta, in altri Blaine suonava il pianoforte e Sebastian ascoltava. In altri sogni più bizzarri, Sebastian era sdraiato accanto a lui sul letto e faceva commenti acidi su ciò che aveva sentito alla televisione; altre volte stavano in cucina o passeggiavano per la città e sorridevano entrambi.”









Adesso che siete arrivati fino a  qui potete benissimo dire d’aver letto quel famoso “Lo devi scrivere Mirma,” perché si, io creo duemila file per  scrivere una sola storia.

Questo doveva essere il mio regalo di compleanno, ma poi ho cambiato idea, pubblicando oggi anziché il 28 perché questa storia (insieme a Birkanau-Auschwitz) appartiene a chi l’ha letta, a chi ha seguito i miei scleri in pagina, a chi ho rotto le scatole mentre scrivevo e mi coccolava virtualmente o cercava di farmi alzare il morale in tutti i modi possibili ed inimmaginabili, a chi sono venuti gli occhi lucidi mentre leggevo le battute del dialogo e gli raccontavo come volevo la cena e poi, alla fine, appartiene anche a me.

Non so che effetto abbia avuto su di voi, ma io ho pianto ogni parola, virgola, riga e  spazio. Mentre scrivevo sono diventata “Mirma la fontanella”, QUINDI il primo che mi chiede un terzo capitolospin-off “raccontami qualcosa su di loro che non hai inserito” o qualcos’altro, verrà preso VIOLENTEMENTE a calci in culo.

Adesso mi difendo dicendo addossando la colpa Anche a qualcun’alto, nel senso che io non avevo nemmeno pensato a uno spin-off, ma Qualcuno di cui non faccio il nome (Andrea) dopo aver letto la storia è venuto da me tutto sorridente mi ha chiesto di scrivere un seguito (quindi piacciate lui) e anche se in un primo momento l’ho mandato allegramente a quel paese, le notti insonni hanno fatto il resto.

Un Grazie speciale va a Ninnicicci aka _Fighter che mi ha betato e seguito giorno dopo giorno, leggendo i miei spoiler buttati lì mentre parlavamo e soprattutto, perché è la dolcezza fatta persona che l’ha letta 10 volte e pianto ogni volta alle 34 di notte. I Love YOU <3

E un Ringraziamento anche quella Banana dolcissima che mi voleva uccidere e abbracciare tutto il tempo <3
Detto questo di cui non v’importa un bel niente, il 28 al posto di farmi un regalo da sola e fare l’egoista, ho fatto un regalo a voi, che serve anche per farmi perdonale, e sarà una *rullo di tamburo* SEBLANO. :D

Baci a tutti,

Mirma :3
 
P.s. per insulti, chiarimenti, schiaffi virtuali in pieno viso, vi ricordo che potete farlo nella mia pagina autore.
   
 
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