Storie originali > Romantico
Segui la storia  |       
Autore: yoshimoto    24/02/2013    0 recensioni
Sto scrivendo dalla pochezza dei miei diciannove anni, davanti allo schermo di un computer ormai troppo vecchio per subire ulteriori sfruttamenti – spero proprio che non mi abbandoni nel mezzo del racconto.
Divoro anche un bel pezzo di torta di mele, che tra parentesi ho rubato alla mia coinquilina Julie, ma lei non se n’è accorta né se ne accorgerà per il resto della sua esistenza: è in una dieta ferrea e continua a sfornare dolci a go go come se non ci fosse un domani. Ed il bello è che anch’io dovrei seguire il suo esempio, dieta o cucina che sia. Non sono brava in nessuna delle due cose, ad ogni modo.
Poco fa ho smesso di guardare per l’ottantesima volta “Home alone” e per l’allegria sono scoppiata a piangere – o forse questo è dovuto al fatto che mi senta una vecchiaccia e che la mia adolescenza mi sembri già così lontana?
Genere: Comico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Universitario
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

I.
 



Sto scrivendo dalla pochezza dei miei diciannove anni, davanti allo schermo di un computer ormai troppo vecchio per subire ulteriori sfruttamenti – spero proprio che non mi abbandoni nel mezzo del racconto.
Divoro anche un bel pezzo di torta di mele, che tra parentesi ho rubato alla mia coinquilina Julie, ma lei non se n’è accorta né se ne accorgerà per il resto della sua esistenza: è in una dieta ferrea e continua a sfornare dolci a go go come se non ci fosse un domani. Ed il bello è che anch’io dovrei seguire il suo esempio, dieta o cucina che sia. Non sono brava in nessuna delle due cose, ad ogni modo.
Poco fa ho smesso di guardare per l’ottantesima volta “Home alone” e per l’allegria sono scoppiata a piangere – o forse questo è dovuto al fatto che mi senta una vecchiaccia?
Non so per quale arcano mistero io l’abbia visto con tanto entusiasmo chiusa nella mia stanza con la febbre che sfiorava i trentanove gradi, di certo c’è che essendo stanca e sola non avevo altro da fare se non paragonare la mia vita da neo universitaria a quella da bambina undicenne con l’acne che inseguiva il sogno di poter sposare Macaulay Culkin. Ovviamente allora non si sapeva ancora che fosse un drogato alcolista, sia chiaro: col tempo anche lui ha perso il suo fascino.
Ho pensato molto alla Elizabeth adolescente e sono giunta a due conclusioni: la prima, che madre natura ce l’ha avuta con me – e credo che sia così tuttora – e la seconda, cioè che sono stata io ad aver seguito poco gli oroscopi. Vi spiego meglio la situazione: a dodici anni ero pazza di un cantante di cui non ricordo il nome, uno riccio con un sorriso che, a mio avviso, avrebbe potuto sciogliere le pietre; a quattordici sono passata al periodo oscuro in cui qualsiasi cosa mi faceva schifo – esempio: detestavo qualsiasi cosa somigliasse al rosa e che avesse una forma a cuore, ma schifavo tante altre cose come il fish and chips; a diciassette mi ero ripresa mentalmente ed avevo iniziato a dare vita alla vera me. E per vera non intendo una ragazza che prima fingeva una vita e ora la viveva come se i fiori fossero adorabili, o come se gli arcobaleni fossero attraversati dagli unicorni e Babbo Natale in realtà fosse un mio amico di vecchia data. No, assolutamente no.
Ascoltavo musica seria, sapevo destreggiarmi nell’arte della retorica, ero amica di molte persone e, soprattutto, accettavo con più entusiasmo – specifichiamo: non troppo! – il rosa e i fiocchettini.
Non amavo più Culkin, che a quei tempi si diceva drogato, o il cantante senza nome: non amavo per niente, tanto non mi sarebbe servito a nulla.
Mamma diceva che era orgogliosa di me e cercava ogni giorno di affibbiarmi un abitino troppo femminile, finendo col pentirsi perché “magari sono io che voglio troppo, ma i ragazzi non ti vedranno mai se non metti una maglia un po’ più colorata”, papà sorrideva più spesso ed era contento di poter parlare di politica con me e mio fratello, be’, lui viveva sotto il mio stesso tetto.
E la mia vita andava a gonfie vele. Avevo – ed ho – una migliore amica fantastica, Claire, con la quale condividevo tutto, dal bagno al letto, dal cibo agli apprezzamenti per i ragazzi.
Tutto filava liscio, qualsiasi cosa andava a gonfie vele. Ma, come ho detto, madre natura ce l’aveva con me e io non aiutavo granché ignorando gli oroscopi che, a proposito, oggi non ho letto.
 
 
Il pezzo di torta oramai è terminato, ma magari ne andrò a prendere un altro pezzo dopo. O magari Julie me ne porterà uno pensando che non l’abbia ancora assaggiata.
Ho scritto ancora poco, o meglio ho scritto relativamente qualcosa circa la mia inutile adolescenza che, diciamocelo, è stata più emozionante della vita da maggiorenne che sto vivendo adesso. Se esco nel weekend è già tanto, perché lo studio non mi permette nemmeno di andare in bagno per più di cinque minuti – Julie ha risolto la questione mettendo un orologio davanti al gabinetto così da mettere ancora più pressione – o mangiare qualcosa di pesante che faccia addormentare. E, ovviamente, è plausibile che vada a dormire entro le dieci, non sono una vecchia come dicono le altre mie coinquiline. Sono stanca, tutto qui.
Un giorno Caroline, la ragazza punk che ha la stanza accanto alla mia, corse da me e urlò a squarciagola: «Stasera sono con il mio ragazzo, o smammi o smammi!»
Le risposi con calma che sarei rimasta chiusa in camera e che non avrei dato fastidio, che avrei dormito come un ghiro. La sua risposta fu talmente chiara che rimasi scandalizzata al solo pensiero di due ragazzi vestiti di nero che durante la notte urlano come Tarzan e fanno rumori molesti.
Inevitabilmente uscii.
Chiesi alle altre mie coinquiline che avrebbero fatto quella sera e mi autoinvitai ovunque fossero dirette. Non avevo – ho – una vita sociale sviluppata, a quanto avrete capito.
Sarah fu talmente entusiasta della mia sorpresa che non esitò un attimo a miagolare come un gatto trascinandomi nella sua stanza per “renderti presentabile”. La insultai con molta disinvoltura.
Non sto qui ad elencarvi tutto quello che mi fece passare perché potreste immaginare da voi quanto possa essere orribile essere privata del proprio stile non esistente e sradicate dalla vostra stanza con un motivo non del tutto valido. Anch’io avrei voluto starmene nel letto come quei due, ma magari senza versi animaleschi o altro.
 
 
Ebbene, giunte alla festa alla quale mi autoinvitai, i miei piedi non ce la facevano già più. Ero abituata ad un massimo di camminata casa-università con le scarpe di tela o un bel paio di sneakers comodissime, camminare con un tacco di sette centimetri – “Sono solo sette centimetri! Nemmeno fossero dodici come i miei, non ti lamentare!” – non era per niente divertente. Specie se ci aggiungiamo i sassolini della strada sterrata dove mi portarono. Stupide donne.
C’era gente e, vi dirò, non fui mai più spaventata di quella sera: non vedevo così tante persone chiuse in una grande stanza da un bel po’ di tempo – circa il trasferimento nella nuova casa da quella dei miei – e non era una bella sensazione. Avevo vissuto serate allegre con la compagnia di me stessa o al massimo delle mie amiche e dei loro fidanzati quotidiani prima che si chiudessero nelle proprie stanze a fare Tarzan e Jane. E tutti insieme erano l’antonomasia dello schifo, ma ero io che mi ero cacciata in quella situazione, quindi cuffie nelle orecchie e sonno pesantissimo erano più che utili.
«Conosci qualcuno?» domanda da un milione di dollari.
Scrutai la sala quel che potevo – senza occhiali non ci vedevo molto – e riconobbi i visi di qualche compagno di corso dell’università, ma ovviamente i loro nomi mi erano ignoti.
Annuii rapidamente sperando che mi tenessero con loro un altro po’. Ma, ricordo, la sfiga era con me.
Julie mi abbandonò con un bel «Allora vai e parlaci» e Sarah fuggì ancor prima che me ne accorgessi.
Cosa pensereste di una ragazza immobile all’entrata di una casa sconosciuta, con dei tacchi altissimi – Sarah, non me ne volere – e una cera che nemmeno i morti hanno? Io avrei riso di lei, sinceramente. Ma ci rendiamo conto? Sono arrivata a odiare il mio modo di essere!
Un paio di ragazzi mi guardarono scombussolato, o magari spaventato, finchè non venni spintonata verso l’ammasso di gente che ballava e beveva sudando a destra e a manca, con un odore insopportabile che solleticava il naso. Facevo bene a rimanere chiusa nella mia camera profumata alla lavanda del profumo che spruzzavo giornalmente per aiutare il mio karma nel rilassarsi nel periodo di studio.
Non so come né perché, mi ritrovai all’angolino di una cucina stretta e piena di cibo che Julie avrebbe battezzato come «Poco salutare, troppo amico della pancetta» e mi venne il voltastomaco nel vedere due tizi che si addentravano nella foresta dell’amore. Ero più che certa che avrebbero messo in scena il film di Tarzan anche loro.
Il mio buon senso mi portò ad andare fuori da quel posto, ammesso che ci fosse un giardino o qualcosa del genere: eravamo entrate in una casa di stile Vittoriano inglese che dava direttamente sulla strada, poteva esserci un giardino all’ottanta percento: i miei studi sull’architettura avrebbero dato qualche frutto.
Ed effettivamente un giardinetto c’era. Piccolo ed essenziale. Non vi nascondo che per raggiungerlo abbia spintonato più di qualcuno e che più di una volta quel qualcuno aveva osato ricambiare il favore, rischiando di farmi cadere. Ancora non mi capacito di come sia arrivata sana e salva in quella piccola oasi di pace, silenzioso e vuoto: dopotutto era inverno.
Mi sedetti sui gradini che portavano sul prato inglese e volsi lo sguardo indietro, provando a pensare come una normale ragazza di diciannove anni che deve divertirsi, ma nella mia mente si susseguirono una serie di pensieri come: disegno tecnico, belle colonne, fa freddo, quel tizio sta vomitando, avrei colorato un po’ di più i muri. Se le mie amiche avessero saputo i miei pensieri mi avrebbero presa a calci nel sedere con i loro tacchi alti “dodici centimetri”. E allora forse avrei cambiato idea. Ma solo per non provare ancora il dolore lancinante.
Posso ribadire il concetto di prima? L’oroscopo quella mattina doveva essere stato pessimo, per questo una disgrazia tira l’altra. Presa dai miei pensieri non mi ero accorta che un paio di ragazzi erano usciti a parlare e fumare una sigaretta proprio dietro di me. Ignorandoli bellamente continuai ad analizzare il poco esteso prato davanti a me, provando a immaginare una bella fontanella nel centro ed un gazebo in legno chiaro nel fondo.
La voce di uno dei due ragazzi si sovrappose a quella dei miei pensieri, dicendo ad alta voce c’ho che stava circolando nel mio cervello. Mi scossi e mi misi più dritta, provando a sentire quel tizio che la pensava al mio stesso modo. Ad una festa, per di più.
«E un paio di lampioncini ai lati. È un po’ scuro qui»
Fermi tutti. Aveva ragione. E ci voleva anche una bella casetta per gli attrezzi.
Tossicchiando per la sigaretta lui aggiunse «E una casetta per gli attrezzi».
Spalancai la bocca. Magari dirà anche «rossa»!
«Rossa»
Non ce la feci più. Troppe coincidenze per il mio povero cervello catapultato in una nuova realtà: mi sarei presentata al ragazzo con quanta più spontaneità possibile e avrei tenuto uno di quei discorsi che solo io sapevo mettere insieme.
Mi voltai sorpresa, ma la mia espressione cambiò da emozionata a sconvolta: riccio, alto, sguardo superbo e un ghigno divertito. Non poteva essere. Non doveva essere. Non volevo che lo fosse.
«Lizbeth!»
No. No. No.
Il rischio di cadere dall’alto dei miei sette centimetri diventò altissimo, tanto che mi mantenni stretta alla ringhiera accanto a me, provando a non arrossire o balbettare, cosa che non accadeva da circa otto mesi.
«Francis» risposi, purtroppo, balbettando.
I ricordi tornarono alla mente e lui non aveva permesso nemmeno per un solo attimo di farli scomparire.
E da lì la mia autostima cadde ancor di più, insieme al mio coraggio e al mio discorso sull’architettura.
Ma almeno quello mi spinse a tornare a casa, anche se in lacrime, facendomi litigare per un bel po’ di tempo con Caroline per averla disturbata. Ma almeno mi rifugiai nella mia calda stanza, nel mio nido pieno di karma alla lavanda.
Oroscopo o Madre natura che fossero, qualcuno da lassù mi voleva davvero male.


E nel frattempo Julie non mi ha portato un altro pezzo di torta. Ma oggi l'ho letto l'oroscopo!



  
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: yoshimoto