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Autore: AryYuna    11/09/2007    1 recensioni
La vita di Roxas fin dal suo risveglio a Twilight Town e la sua entrata nell’Organizzazione XIII.
INCOMPIUTA!
Genere: Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Organizzazione XIII, Roxas
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta | Contesto: Kingdom Hearts
Capitoli:
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Disclaimer: Kingdom Hearts e i suoi personaggi, luoghi e situazioni appartengono alla Square Enix. Mia è solo questa fanfiction, realizzata senza alcuno scopo di lucro


Nessuno




ATTENZIONE: FANFICTION INCOMPIUTA

Premessa
Questa fanfiction parla di Roxas, da quando è nato alla fine del prologo di KHII.
C’è la possibilità che mi venga l’idea di continuarla fino alla fine di KHII, in effetti... chissà
Ultima cosa: questa fic sarebbe nata come one-shot, ma poi ho pensato funzionasse meglio divisa in capitoli
Buona lettura e lasciate tanti commenti^^


PS: No, non ci sono storie d'amore!





Capitolo-1-Risveglio

         –Eccolo– mormorò. –Il numero XIII.
         Solo nella grande sala, lo sentì.
         Rise.
         –Presto saremo pronti.

Quando si svegliò, sentì freddo.
Il vento era gelido.
Aprì gli occhi, e fu aggredito dalla luce di un sole strano, rosso.
Forse era il tramonto.
Si accorse di non indossare nulla, e di essere in un angolo buio di una stradina.
Si alzò tremando, e subito ricadde, troppo debole.
Il suo cervello lavorava tanto da fargli male, come se tutte le sue funzioni fossero state attivate allo stesso momento.
Aveva un gran mal di testa.
Riprovò ad alzarsi, lentamente.
Provò a fare un passo, poi un altro.
Una porticina semiaperta di fronte a lui.
Entrò.
Si avvicinò d una parete.
Un disco verde, a caselle, infilzato da piccole bacchette colorate.
Accanto, un pouf rosso.
A destra, un mobiletto basso.
Un pallone.
Scatole.
Una foto alla parete.
Si avvicinò lentamente.
Due ragazzi e una ragazza.
Gli balenò improvvisamente davanti un viso.
occhi di un blu profondo, capelli spettinati.
Accanto a lui, un ragazzo e una ragazza.
E poi un fischio improvviso alle orecchie.
Forte doloroso.
Doveva allontanarsi, ma non poteva andare in giro così, nudo.
Iniziò a frugare nel mobiletto - qualcosa doveva esserci, qualunque cosa.
Trovò un golfino femminile e un impermeabile.
Lo indossò.
Era di un paio di taglie più grende, ma almeno lo copriva.
Uscì.
Il vento lo aggredì di nuovo.
rabbrividì.
I piedi nudi a terra erano pezzi di ghiaccio.
Era passato abbastanza tempo da quando si era svegliato per iniziare a farsi domande.
Dove sono? Perché?
Quando percorrendo una breve strada in discesa costeggiata da negozi e, avvicinatosi ad uno di essi, la prima cosa che gli chiese la signorina dietro il bancone fu –Non ti avevo mai visto prima: sei straniero? Come ti chiami?– un improvviso tac nella testa innescò la seconda serie di domande.
Chi sono? Come mi chiamo? Da dove vengo? Come ci sono arrivato qui, e perché? E cos’è qui?
Si allontanò, spaventato, stringendosi addosso il lungo impermeabile addosso, frustato dal forte vento gelido.
Il tramonto non era ancora terminato, e l’enorme folla delle strade gli suggerì che probabilmente non era affatto un tramonto.
Tramonto.
Gli balenò di nuovo davanti un’immagine opaca, remota.
Mare, tramonto.
Un’isolotto, un albero con frutti a stella.
E di nuovo quel fischio.
Si premette le mani sulle orecchie iniziando a correre, per dove non ne aveva idea, ma non aveva importanza.
Attraversò una piazza, passò davanti al tram che compiva il suo giro, dritto davanti a sé, attraverso un buco in un muro, si ritrovò in un bosco quando il fischio si affievolì.
Crollò a terra, affannando.
Chi sono, dove sono…
Quelle domande continuavano a ripetersi.
Cos’erano quelle immagini, quei fischi?
Chi sono?
Chi sono?
Chi sono?
Roxas sussurrò una voce al suo orecchio, sconosciuta, ma anche incredibilmente familiare.
–Roxas– ripeté.
Era il suo nome.
Lo seppe con certezza.
Roxas.
Respirò profondamente, cercando di capire qualcos’altro.
Non ricordava nulla.
Aveva una serie di conoscenze - le parole, i suoni, i colori, gli oggetti - ma nessun ricordo.
D’improvviso, piccoli vortici intorno a lui materiallizzarono strane figure bianche dalle lunghe gambe.
–Chi siete?
Le figure non risposero, ma iniziarono ad allungare le lunghe e sottili gambe accerchiandolo, muovendosi in tondo intorno a lui.
Quando iniziarono a colpirlo alle spalle, schivando ogni suo tentativo di reazione, Roxas ebbe paura.
Non sapeva nulla e ora era anche costretto a combattere senza esito.
Si portesse istintivamente il viso, incrociando le braccia all’altezza degli occhi chiusi, e li sentì allontanarsi come respinti da qualcosa.
Tra le sue mani, qualcosa di freddo.
Aprì gli occhi.
Reggeva una chiave, una grossa chiave.
La punta era d’argento, la testa d’oro, e vi pendeva una strana catetina.

         Solo nella grande sala, sorrise.

Le figure bianche ripresero ad accerchiarlo.
Iniziò allora ad agitare la chiave intorno a sé - era disperato, avrebbe combattuto anche con un lecca-lecca alla fragola, se gli fosse capitato - e inaspettatamente la chiave finzionò.
Le figure erano respinte, e poi sconfitte dai suoi colpi.
Prendendo confidenza con la strana arma, Roxas sconfisse le strane creature.
La chiave sparì poi non appena colpì l’ultimo di quegli esseri.
Si guardò le mani.
Una chiave gigante era apparsa tra di esse… o lo aveva sognato?
Era stato tutto troppo veloce per poterlo stabilire.

         –Numero XIII, Roxas– mormorò solo nella grande sala. –Il prescelto del Keyblade.

Tornata la calma, le domande tornarono ad affollare la sua mente, aumentate dopo quegli strani eventi.
Altre immagini gli lampeggiarono davanti.
Ancora quel ragazzo dagli occhi azzurri.
Ancora i suoi amici.
E poi… la chiave il ragazzo la stringeva tra le mani.
Il fischio tornò, cancellando le immagini, e Roxas urlò, mentre quello cresceva fino a diventare tanto forte da coprire ogni altro suono intorno a lui, comprese le proprie urla.
Cadde in ginocchio, le mani premute con forza sulle orecchie tentando invano di allontanarlo.
–Roxas– lo chiamò una voce.
La sentì distintamente nonostante il fischio non accennasse a diminuire.
–Vuoi che finisca, vero?
Roxas alzò lo sguardo.
Da dove veniva quella voce?
Era troppo distinta perché venissa dal bosco intorno a lui… veniva dalla sua stessa testa?
Allontanò comunque le mani dalle orecchie per non rischiare di perdere nemmeno una sillaba di quanto - qualunque cosa riguardasse - quella stana voce avesse da dire.
Qualunque cosa volesse, sembrava conoscerlo, o comunque sembrava in grado di aiutarlo in qualche modo… forse…
–Vuoi sapere chi sei, capire cosa ti succede– proseguì la voce.
Roxas annuì debolmente, mentre il fischio si affievoliva.
Il cancello dell’imponente villa di fronte a lui si spalancò.
Roxas si alzò e iniziò ad avanzare.
Il cancello si richiuse alle sue spalle.

Un’ampia sala lo accolse calda all’interno dell’imponente abitazione.
Numerosi cocci e vetri rotti, un tavolo spaccato, due poltrone consumate gli fecero pensare che fosse disabitata da parecchio.
Roxas si guardò intorno.
Quella villa lo avrebbe aiutato a capire?
Al momento non vedeva come.
Un guizzo come di inchiostro nero alla sua destra lo fece sobbalzare, e facendo un passo indietro si ferì i piedi nudi coi vetri.
Un passaggio nero si aprì e poi si richiuse davanti ai suoi occhi.
–Non avere paura– disse l’uomo che ne uscì.
Era coperto fino ai piedi da un’impermeabile nero, e il cappuccio era calato sugli occhi.
–Chi sei?– chiese Roxas.
L’uomo non rispose.
Avanzò lentamente, mentre Roxas continuava a ritrarsi, incurante dei vetri rotti che gli ferivano i piedi nudi.
–Quel ragazzo– disse l’uomo diretto –che vedi come in un ricordo sfocato… Non te lo ricordi?– gli chiese fissando - o almeno così sembrava, era difficile dirlo - la scalinata che conduceva al piano superiore.
–Dovrei?
L’uomo ridacchiò.
–Capirai– disse. –Avrai tutte le risposte che cerchi se accetterai di unirti all’Organizzazione.
–L’Organizzazione?
L’uomo annuì, sempre apparentemente concentrato sulla scalinata.
–Se lo vorrai– disse.
Si voltò, dando le spalle a Roxas.
–Vestiti, o prenderai freddo– disse e un nuovo guizzo di nero inchiostro decretò la comparsa di un lungo soprabito con cappuccio, pantaloni, maglia e stivali. Tutto nero.
–Se lo vorrai veramente, portai anche tu aprire uno di questi corridoi, e spostarti a tuo piacimento, anche se ti ci vorrà del tempo a controllarli bene.
–Aspetta. Come dovrei fare, se volessi entrare in questa Organizzazione?
L’uomo gli si avvicinò e gli pose una mano sulla fronte.
Gli occhi, dentro il cappuccio, luccicarono per un attimo, e Roxas si sentì impietrito sotto quello sguardo rosso sangue, ma poi l’uomo parlò, e il luccichio sparì.
–Verrai in questo posto– gli disse stringendo la mano sulla testa fino a fargli male.
Davanti agli occhi di Roxas balenò un’immagine, ma fu un attimo, troppo poco perché capisse cosa fosse.
L’uomo, intanto, si era scostato.
–Chi sei?– chiese allora di nuovo Roxas.
L’uomo non rispose.
Aprì un corridoio e vi entrò, sparendo nel nulla da cui era arrivato.
Roxas rimase lì, fermo, senza capire.
Era successo davvero?
Era davvero apparso di fronte a lui un uomo misterioso aprendo un passaggio nero nel vuoto?
Beh, i vestiti che gli aveva dato erano ancora lì, di fronte a lui.
Si chinò a raccoglierli, e decise che anche se avesse scelto di non seguire quell’uomo avrebbe comunque messo quei vestiti: aveva freddo.
Si sfilò il largo impermeabile, e iniziò ad infilarsi i vari capi (NdA. Immaginate che ci siano anche delle mutande, please, perché a lasciarlo senza mi fa pena^^) e infine il lungo soprabito nero.
Era una sensazione così piacevole.
Gli sembrava di non essersi mai sentito così bene, caldo…
Uscì dalla villa, indeciso su cosa fare.
Seguire qull’uomo o continuare a vagare per la città in cerca di risposte da solo?
Riattraversò il bosco in fretta, spaventato all’indea di dover affrontare di nuovo quegli esseri bianchi, ma questi non apparvero, stavolta.
Rientrato in città, sotto quell’eterno tramonto che sembrava ancora più caldo a causa dei mattoni rossi della strada e delle case, Roxas tornò alla piccola stanzetta in cui aveva preso l’impermeabile troppo largo, ma si bloccò sull’ingresso.
Dentro c’erano i tre ragazzi che aveva visto in foto proprio nella stanzetta.
Avrebbe voluto restituire l’impermeabile, ma come?
Rimase un po’ lì, a spiarli, curioso.
Li sentì parlare, ridere, vide la ragazza tirare fuori dei ghiaccioli azzurri, vide il ragazzo magro sfidare l’altro a freccette, vide l’altro ragazzo, quello a cui apparteneva l’ipermeabile, probabilmente, colpire la seconda fascia di punteggio…
Non capiva perché fosse così interessato a quei tre, ma non riusciva a staccarsene.
Le immagini davanti ai suoi occhi si intervallavano ai ricordi sfocati di quel ragazzo dai capelli castani.
Chi era, perché lo ricordava così?
Forse quell’uomo aveva la risposta.
Si costrinse a staccarsi dai tre ragazzi, lasciando il largo impermeabile a terra fuori dalla stanza, e tornò nel bosco.
Quel posto che gli aveva mostrato l’uomo in nero… Come ci sarebbe andato? Come si aprivano quei corridoi?
“Se lo vorrai veramente”.
Sollevò la mano davanti a sé, concentrandosi su quell’immagine troppo fugace per ricordarla bene, eppure vivida nella sua mente.
Voleva andarci.
Lo voleva, sì.
Un guizzo d’inchiostro nero davanti a lui, e il corridoio fu aperto.
Roxas si alzò il cappuccio sulla testa, respirò profondamente ed entrò nel buco nero.
Fu una strana sensazione.
Fu breve come se avesse fatto solo un passo, eppure fu sgradevole come se fosse dutaro ore.
Attraversato il corridoio, esso si chiuse alle sue spalle.
Di fronte a lui, una spiaggia.
Era notte, ma non c’erano stelle in cielo, solo una grande luna lucente sul mare alla sua destra.
Era bellissimo.
Seduto su uno scoglio, l’uomo incappucciato.
–Sei arrivato– disse.
Roxas gli si avvicinò in silenzio.
–Sono stato a vederlo– disse ancora –Ti assomiglia molto– concluse voltandosi verso di lui, ma il suo volto rimase sempre nascosto.
Certamente si riferiva a quel ragazzo coi capelli castani, quello con la chiave.
–Tu chi sei?– gli chiese Roxas.
–Sono quel che rimane. O, forse, sono tutto ciò che c’è sempre stato.
–Intendevo il tuo nome.
–Il mio nome non ha importanza– rispose l’uomo. –E tu? Ricordi il tuo vero nome? Vero nome?
Che significava?
–Il mio vero nome è…– iniziò, ma poi l’immagine di quel ragazzo gli balenò davanti agli occhi ancora una volta.
Fu un attimo.
La bocca di Roxas si schiuse involontariamente, e una voce a lui estranea, che però gli suanava così familiare disse –Sora.
L’uomo sorrise sotto al cappuccio.
   
 
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