Fanfic su artisti musicali > Black Veil Brides
Ricorda la storia  |       
Autore: Niagara_R    25/02/2013    7 recensioni
Aggiornamento del 23/11/2019 ***LEGGIMI, SONO IMPORTANTE***
Un nuovo cenno del capo di Sammy. Allungò le dita verso Andy e gli carezzò i capelli corti, tirandogli le punte.
«Vai a divertirti, Andy, e fingi che stia accadendo a qualcun altro» sorrise. La carezza si spostò alla spalla e svanì, con Sammy che s’incamminava lungo il sentiero sterrato.
Andy considerò che quel qualcun altro dovesse avere una gran voglia di piangere.

[Prima FF sui BVB, ovviamente Andley]
Genere: Commedia, Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Andy Biersack, Ashley Purdy, Cristian Coma, Jinxx
Note: AU, Lemon | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
1.

*Si apre il sipario*

Ta-daaaaaaaaaaaaaaaaan!

Buonciao a tutteeeeeeeeeee!

Bueno, sono nuova del fandom (quindi armatevi di carriolante di pazienza) e sono qui per ammorbarvi con la mia FF (o qualcosa che ci assomiglia)!

Passo subito a illustrare alcuni punti fondamentali:

 

1. Si tratta di una Andley. Quindi Andy e Ashley. Quindi Slash. Se non vi piace lo slash potete pure uscire e non rientrare mai più, e non dite che non vi ho avvertito.

2. I personaggi principali saranno solo loro due, ma obviously ci sarà la comparsa, più o meno importante a seconda del ruolo, di tutti gli altri. Più personaggi completamente random.

3. Sammy è Sammi Doll. Ok, lo so che Ollister non è il suo vero cognome e lo so che il suo nome non si scrive così, ma... concedetemelo come licenza poetica, dai.

4. Quattro.

5. Si tratta di una FF AU, indi per cui: niente band, niente Black Veil Brides, niente concerti, niente tour. È una FF scolastica in cui anche la differenza di età è un po’ gettata alle ortiche.

6. Andy non è poi così alto come lo faccio sembrare, ma alla storia andava così, se cambiavo poi s’offendeva.

7. Questa storia è un mio piccolo esperimento, quindi gradirei davvero sentire cos’avete da dire, i vostri pareri, le vostre impressioni, le vostre curiosità. So che può sembrare una sciocchezza, ma mi interessa sapere cosa ne pensate, anche del più piccolo dettaglio.

 

 

Bon, probabilmente mi sono dimenticata qualcosa ma va beh, lo vedremo quando sarà il momento!XD

Mi scuso immediatamente per eventuali errori o castronerie varie,

e vi chiedo di lasciarmi un commentino che ci tengo! U////U

 

E buona lettura.

 

 

 

I.

 

Teneva la mano premuta sulla bocca talmente forte che le unghie le si stavano conficcando nella guancia, disegnando quattro mezzelune perfette, profonde, il pizzicore si stava intensificando anche se Sammy non ci badava.

I suoi occhi erano fissi su quelle due linee, erano rettangolari, di pochi millimetri di spessore e di lunghezza. Due maledette lineette di un indaco spento, nel mezzo di un altro rettangolo dallo sfondo bianco, immacolato, che sembrava voler mettere in evidenza ciò che aveva davanti, una nuda verità che ogni singolo neurone di Sammy stava cercando di smontare, in pochi secondi vagliò migliaia di possibilità. Forse era un errore di fabbricazione, forse lei non aveva letto bene il bugiardino, forse non aveva fatto le cose a dovere, forse qualcosa che aveva mangiato aveva falsato il risultato.

Le ci vollero cinque minuti buoni per spostare la mano e riprendere a respirare normalmente. Sentiva quel tremito interiore che saliva a ondate, brividi che le si agitavano nel petto, nel ventre, nelle gambe rendendole molli, aveva la percezione che la sua vista fosse appannata ai lati, ma non poteva esserne certa, non le importava nemmeno di assicurarsene tanto non si sentiva  più in quella dimensione.

Il test di gravidanza era positivo. Positivo, positivo, positivo.

Il colore delle due stanghette ora era diventato prugna, vivido, visibile da metri di distanza.

Posò il test sul mobiletto e si posò i palmi sulle cosce, respirando lentamente, a più riprese.

Non poteva essere. Dio, non poteva essere.

Con la mente tornò all’ultima volta che lei e Jeremy avevano fatto l’amore. Un mese, forse un mese e mezzo. Possibile che non si trattasse solo di un semplice ritardo? Com’era successo? Non l’avevano mai fatto senza preservativo, mai. Che si fosse rotto e nessuno dei due se ne fosse accorto?

Un vago senso di malessere le formò un grumo un gola, impedendole quasi di deglutire.

Doveva esserne certa. I test di gravidanza non erano infallibili, avevano l’1% di margine di errore, e per quanto poco fosse, poteva benissimo essere il suo caso, perché no?

Raddrizzò leggermente le spalle, sospirando a metà, come se avesse paura di attirare su di sé l’attenzione di qualcuno. Si alzò ancora malferma e afferrò la barretta bianca e leggera, alla cui estremità svettavano ancora quelle linee, e la gettò nel cestino richiudendo il coperchio, posandovi sopra un piede per essere certa che quel segreto non trapelasse.

Doveva andare al consultorio il prima possibile. Con la mente che tornava lucida, calcolò l’orario scolastico e cercò un buco nella sua agenda immaginaria che le permettesse di andare e tornare, forse oggi stesso, forse il giorno dopo, le date si accavallavano e gli impegni anche, non riusciva a fare mente locale.

Doveva chiamare Jeremy? Doveva dirgli cosa stava succedendo o era meglio non creare inutile allarmismo? E se si fosse trattata di una semplice, stupidissima inesattezza?

E se invece il test stesse dicendo la verità e Sammy fosse...

Si torturò la frangetta, scompigliandola, lisciandola, arricciandola, una sorta di intorpidimento le aveva liberato le vie respiratorie ma tutto il peso si era spostato al petto, alla base dei polmoni, e il senso di nausea svaniva e ricompariva, sentiva la testa piena di ovatta.

«Sammy? Sammy, tutto bene?»

La voce di suo padre la trapassò, la pelle d’oca la investì in pieno su ogni parte del corpo, fredda, gelida.

«Bene, bene, arrivo subito!» replicò in tono più alto del normale.

Normale. Doveva essere normale. Sembrare normale, fare finta di nulla, dimenticarsi di quel mastodontico dettaglio fino a che non avesse trovato un punto di riferimento in quel caos, e fino a quel momento l’idea della gravidanza sarebbe rimasta un fantasma, una fantasia di quelle che rimanevano nel letto dopo essersi svegliati la mattina.

Riaprì il sacchetto dal cestino mezzo vuoto - l’assenza degli assorbenti e la presenza di quella stecca le strizzò lo stomaco in una morsa - lo sfilò dal supporto e legò con il sottilissimo filo di plastica.

Normale.

Proprio in quel momento gli occhi le si riempirono di lacrime, ma le ricacciò indietro, una a una, non era il momento di frignare, non era il momento di farsi prendere dal panico. Era ora di andare a scuola.

Lanciò un’occhiata alla propria immagine riflessa nello specchio senza vederla realmente, abbassò il maglioncino fin sul ventre, ancora piatto, ancora insignificante.

La bocca si piegò in un sorriso all’etere, falso, così falso e molle che sperò non si sciogliesse in un pianto.

Girò la chiave e uscì. Suo padre era in cucina, udiva l’acqua del lavandino scorrere e il rumore delle stoviglie che venivano lavate e poi posate sulla griglia per asciugarsi alla frizzante aria di gennaio. Sammy corse in camera, posò la borsina verde menta a terra e si infilò la giacca senza perderla di vista un secondo. Assestò la tracolla sulla spalla e la riprese al volo, strinse il solco del laccio come se avesse voluto strozzarla, ucciderla, annientarla.

«Sammy, vuoi i muffin di ieri? Ne sono rimasti due al limone e uno al cioccolato.» Suo padre era sorridente, radioso come sempre, biondo e assolutamente all’oscuro di cosa la stava rodendo dall’interno.

«No, grazie, li lascio per la mamma.» Si fermò sulla soglia della cucina, a osservare le sue spalle ampie, le scapole che si muovevano sotto una maglietta troppo leggera per l’inverno. Brett si voltò, non si era ancora fatto la barba, e le rivolse un sorriso interrogativo.

«Cosa c’è?»

La verità le risalì l’esofago, traditrice e devastante, il desiderio di dire tutto quanto, di sfogarsi, di ridare ad alta voce quanto quella cosa la stesse terrorizzando.

Irrigidì la mascella e il sorriso finto svanì dalle sue labbra, sentì freddo alle guance.

«Niente. Vado. Ciao.»

Non incrociò il suo sguardo, si avviò alla porta con un passo troppo lungo per lei e uscì di fretta, sentendosi un blocco di ghiaccio.

 

Più in alto del grande portone dell’entrata principale campeggiava la scritta a lettere cubitali, in rilievo di almeno quattro centimetri, di un color marrone scuro e lucido, quasi ci passassero la cera tutti i giorni. C’era scritto Franklin Gooding Valley High School, e ogni volta che lo si rileggeva pareva che dalle due finestre poste proprio sopra Gooding e High uscissero folate di brillantini glitterati, come enormi sospiri d’orgoglio.

Andy aspirò una boccata dalla sigaretta, col naso all’insù a osservare l’innegabile presenza scenica della facciata del suo nuovo liceo. L’edificio aveva un che di antico che gli ricordava collegi inglesi, forse per via dei mattoni accuratamente incastrati l’uno sull’altro e delimitati da sottili strisce di cemento dipinto di un professionale color cacao, e allo stesso tempo era moderna, lussuosa, rigida ma al passo coi tempi.

Le ampie ante esterne del portone erano di vetro spesso, zigrinate al centro fino a formare l’acronimo di ciò che stava scritto qualche metro più su. Come se qualcuno per sbadataggine se lo dimenticasse.

Aspirò di nuovo ed espirò il fumo dalle narici, col collo che doleva un poco per la posizione scomoda. Infilò una mano guantata nella tasca della giacca ed estrasse l’iPhone quel tanto che bastava per controllare l’orario. Era in ritardo di quaranta minuti.

Non male come primo giorno.

Aveva acidità di stomaco, come tutti i primi giorni, e probabilmente il caffè che aveva ingoiato bollente venti minuti prima non lo stava aiutando.

Un’altra boccata e gettò a terra il mozzicone, calpestandolo e riducendolo in trucioli nocciola, decidendosi a entrare. Abbassò la maniglia laccata in argento e spinse.

All’interno c’era caldo, un piacevole tepore un po’ umidiccio che però profumava di vaniglia non troppo dolce, le pareti erano bianche, un po’ macchiate verso il soffitto, c’erano appesi fogli, attestati, fotografie, poster contro l’anoressia e contro il bullismo, e un’enorme bacheca di sughero con gli annunci più disparati, che andavano dal cercare un bassista per una band all’appello per qualcuno che vendesse appunti di biologia.

Andy sarebbe rimasto volentieri lì davanti a leggerli tutti, ma la sua parte razionale decise che era arrivato il momento di fare il bravo. Imboccò il corridoio di sinistra mentre si sfilava i guanti e li gettava in una tasca qualsiasi della tracolla, lo percorse per qualche metro, poi di nuovo a sinistra. Di tanto in tanto udiva rumori di passi o suoni di voci, professori che spiegavano o studenti che stridevano, ma dovette ammettere che l’ambiente era tranquillo, emanava un’aura di serenità, così calmo, così insolitamente quieto per una scuola americana. Ma d’altronde quella era la Franklin Gooding Valley High School, chi mai si sarebbe immaginato qualcosa di diverso?

Trovò l’ufficio del consulente scolastico senza problemi. Porta di vetro spesso e insonoro - neanche a dirlo con su zigrinata l’immancabile sigla - e accanto a essa un’altra bacheca di sughero, dove però erano appesi fogli e cartoncini per ogni tipo di aiuto di cui chiunque avesse avuto bisogno. Sostegno psicologico per gli studenti, e per i genitori, numeri utili per chi avesse subito maltrattamenti a casa, o a scuola, brevi vademecum su cosa occorreva fare quando qualcuno si sentiva male, indirizzi di consultori e dipartimenti sanitari che Andy non aveva mai saputo esistessero.

Tenevano anche sedute degli alcolisti anonimi?

Bussò due volte, con garbo, evitando di indovinare le sagome di cosa ci fosse oltre. Attese cinque secondi, al settimo una voce femminile gli diede il permesso di entrare.

«Salve.» salutò con un sorriso rassegnato, quello del buon viso a cattivo gioco che ormai faceva parte di lui. Si stupì di ciò che vide.

Di solito i consulenti erano di mezza età, tracagnotti, ben messi e perennemente sorridenti, indossavano abiti di una marca mediamente costosa e ai polsi avevano quasi sempre orologi o bracciali enormi.

Quella che si trovò davanti, invece, era una ragazza bellissima. Bionda, i capelli mossi che le cadevano sulle spalle come acqua increspata, snella, un seno piccolo, proporzionato, e un viso grazioso, due piccoli occhi da cerbiatta e le labbra dolci. Giovane. E pallidissima.

«Ciao, accomodati pure.» lo salutò alzando la testa dal foglio che stava compilando, indicandogli con la mano la sedia di plastica arancione di fronte alla scrivania «Tu sei il ragazzo nuovo, vero? Sei... Sei...» Frugò tra gli incartamenti e i post-it con la fronte aggrottata nascosta da una frangetta perfetta.

«Andy.» terminò per lei «Andrew Biersack.» Si accomodò poggiando la borsa accanto a sé e accavallò le gambe «Andrew Denis Biersack

«Andrew, sì...» confermò la ragazza. Parve spaesata per un attimo, poi si ricordò di sorridergli e di tendergli la mano. Era davvero graziosa «Scusami per il caos... Io sono Samantha Ollister, ma per tutti a scuola sono Sammy

«Piacere di conoscerti.» le sorrise «Non avevo idea che gli studenti potessero fare da consulenti.»

Sammy rise, una risatina sensuale, delicata, mentre apriva un cassetto e ne tirava fuori una cartelletta rossa che si aprì davanti.

«I primi anni sono stata l’assistente del consulente, e quando lui è andato in pensione hanno pensato bene di evitare di spendere soldi e ci hanno messo me in cambio di qualche credito e una bella lettera di raccomandazione per il college. Adesso sono all’ultimo anno.» cinguettò con le guance che riacquistavano un po’ di colore.

«Wow.» commentò dandosi un’occhiata in giro. Rosso, arancio, giallo, verde e blu ovunque, scaffali brillanti, libri dalle copertine incellofanate. Un posto studiato per mettere a proprio agio la gente. Oppure per stordirla.

«Dunque, Andrew...»

«Andy.» precisò d’istinto. Si aspettò la doverosa ramanzina per essere entrato in ritardo, ma anche dopo qualche minuto non arrivò.

Sammy lo squadrava ogni tanto con occhio clinico, e poi spuntava delle caselle nei fogli nella cartelletta. Andy sapeva cosa stava facendo. Valutazione di primo impatto.

Era un espediente che i licei avevano adottato nell’ultimo anno, quello di compilare una scheda affidandosi alle prime impressioni che si avevano di uno studente nuovo, appena arrivato, da integrare poi coi documenti ufficiali scolastici. La micro-criminalità e il bullismo erano diventati una vera e propria piaga, per non parlare del pericolo mai nominato davvero ma sempre presente di portarsi entro le mura uno psicotico armato che avrebbe potuto freddare venti persone in un attimo.

«Come mai hai cambiato scuola a inizio semestre?» gli chiese, sempre guardando il foglio.

«I miei viaggiano parecchio, per lavoro, e stavolta si sono fermati qui.» spiegò con semplicità.

«Davvero?» Sammy gli fece un sorriso di circostanza «Che lavoro fanno?»

«Manager. Mia madre si occupa dell’organizzazione di eventi di beneficenza, sportivi, fiere, mio padre invece di concerti, party, presentazioni... Roba così.»

«Mh-mh.» annuì la ragazza, stringendo le labbra e tornando a scribacchiare qualche parola a penna blu.

Andy lo trovava piacevole. La consulente era una studentessa, e non una di quelle appiccicose e zuccherose che facevano i salti mortali per accaparrarsi la sua simpatia, e non lo fissava nemmeno come se avesse dovuto mangiarlo, o ucciderlo, a seconda del carattere che aveva. Sammy si manteneva a distanza e sembrava non giudicare né il suo piercing, né i suoi capelli né il suo abbigliamento, il che gli piacque.

Cominciava inaspettatamente bene.

«Ok.» Sammy chiuse la cartelletta, alzando la testa «Probabilmente ti ci vorrà un po’ per ambientarti, ma vedrai che qui starai bene.» Si alzò e andò a uno degli scaffali, quello rosso vivo, facendo scorrere un’anta e ficcando le dita tra grossi raccoglitori ed enormi buste di plastica trasparente «Non abbiamo ancora ricevuto i tuoi documenti dalla scuola precedente, ma immagino che siano stati in vacanza anche loro, quindi probabilmente arriveranno entro questa settimana. Intanto ti do...» Posò sulla scrivania una risma di fogli e plichi graffettati «... i programmi delle materie, i libri di testo che puoi trovare usati cercando bene nella bacheca all’entrata, gli orari, le tabelle dei corsi extra-curricolari, il calendario degli esami, la lista dei club nel caso ti voglia iscrivere a qualcuno di loro...»

Ecco, quella era la parte che peggiorava l’acidità di stomaco di Andy. Informazioni, troppe, troppe informazioni in cui doveva orientarsi ogni dannata volta, tra nomi diversi e professori che non avrebbe mai ricordato, aule che non avrebbe trovato, club che non aveva mai sentito. Ma li prese e li allineò docile, sospirando internamente. In fondo la colpa non era nemmeno della scuola.

«Le squadre ormai sono già al completo, ma se tu volessi provare a entrare in qualcuna fammelo sapere, potrei riuscire a farti avere qualche aggancio.» continuò Sammy, gentile «Immagino che con alcune materie avrai bisogno di qualche aiuto in più visto che il programma statale è diverso da quello che hai fatto nell’altra scuola, vero?»

Andy le fece un sorriso che rasentò la gratitudine. Era la prima consulente che affrontava l’argomento senza farlo sembrare un idiota.

«Abbiamo diversi aiutanti che si occupano di tutti quanti, Freshman, Sophomore e Junior, e anche Senior quando hanno bisogno dell’ultima spintarella, ma non si tratta di veri e propri gruppi di studio. Se hai qualche problema con una materia comunicamelo, e ti farò avere un appuntamento con un supporter, ok?» Attese che Andy scuotesse la testa per proseguire «E, oh... tra due settimane c’è il Sadie’s Hoaks*.» Gli porse il volantino con su stampata una tremenda fantasia di colori confetto che raffiguravano una ninfa, o una fata, o qualcosa del genere.

«Grazie, anche se non penso proprio di partecipare.» rise scuotendo un poco la testa.

«Le ragazze della Franklin sono molto intraprendenti, e tu sei un bel ragazzo.» Sammy gli fece l’occhiolino «Secondo me di proposte ne avrai eccome.»

Andy si limitò a fare un sorriso a metà tra la perplessità e il divertimento. Allora Sammy un’analisi attenta l’aveva fatta.

«Allora... il tuo armadietto è il 34A8.» disse ricontrollando uno dei post-it, che incollò alla cartella rossa «Se vieni con me andiamo alla portineria e ci facciamo dare la combinazione, e poi ti spiego qual è il tuo corridoio.»

«Stupendo.»

Andy raccattò tutto quello che Sammy gli aveva dato e lo ficcò nella tracolla, poco importava se si fosse piegato qualche angolo. Prima di allontanarsi, Sammy infilò nella maniglia un piccolo cartello con su scritto Torno subito. Non si facevano mancare davvero nulla.

«Anche qui abbiamo qualche problema coi bulli e con il nonnismo, purtroppo.» esplicò mentre camminavano fianco a fianco. Si voltò verso di lui con un sorrisino ironico «Ma di solito con quelli alti e con le spalle quadrate non se la prende mai nessuno.»

Andy rise.

«Almeno mi terrò fuori dai guai per un po’.»

«Sei uno che di solito combina casini?» Lo chiese con aria divertita, da sorella maggiore.

«Di solito sono loro a combinarsi intorno a me.» sorrise. Sammy rise di nuovo.

«Tu sei uno di quelli furbetti.» commentò quando furono tornati all’entrata, giungendo alla porta laterale che dava su un grande ufficio arredato esattamente da ufficio, al cui interno diverse persone stavano di fronte a schermi di pc o parlando tra loro «Sì, scommetto che riceverai un sacco di inviti.» confermò a se stessa.

Andy annuì senza replicare, seguendola dentro.

Chissà se avrebbe ricevuto qualche invito anche dall’altra metà del cielo.

 

«Gli italiani dovrebbero farsi meno seghe mentali.» fu il commento di Jake mentre frugava nel proprio armadietto «Non bastava lo Spleen di Baudelaire, ci servivano anche le tre fasi del pessimismo.»

Ashley sorrise nel sistemare i libri di lingua, imprecando sottovoce perché lo spazio lì dentro non era mai abbastanza. Un Senior non ne poteva chiedere uno più grande?

Qualcuno sferrò un pugno all’armadietto accanto al suo, provocando un gran sferragliare.

«Ehi, latin lover, perché non dici alla Paris Hilton bruna di dare una calmata agli ormoni?»

Sandra come al solito stava masticando una gomma, il ciuffo tinto di nero le cadeva sull’occhio sinistro facendola sembrare una emo.

«Ti sta ancora tormentando?» ridacchiò Jake.

«Si è seduta vicino a me a civica e ha passato l’intera ora a chiedermi di te.» Ficcò l’indice con l’unghia laccata nella spalla di Ashley, punzecchiandolo più volte «Non eri tu quello che metteva subito in chiaro le cose come stavano?»

«È esattamente quello che ho fatto anche con lei.» replicò tranquillo, infilando nella borsa il tomo di matematica avanzata «Se sono talmente tanto figo che non mi ascoltano mentre parlo non è colpa mia.» Si passò una mano tra i capelli con fare teatrale. Sandra inarcò le sopracciglia, esasperata, ma tempo qualche attimo e si sciolse in un sorriso.

«La prossima volta le dico che sei andato a letto con la sua migliore amica, è probabile che vi odierà entrambi.»

«La sua amica non è quella che ha un neo sotto il capezzolo destro?» Sia lui che Sandra si misero a ridere.

«Ehi, c’è uno nuovo.» disse Jake.

Ashley e Sandra si voltarono verso l’altra parte del corridoio, dove c’erano gli armadietti delle quarte.

«Porcatroiachefigo.» sibilò Sandra, affrettandosi a portarsi la ciocca dietro l’orecchio per avere la visuale completa.

Quello nuovo si notava alla prima occhiata, anche tra il mare di studenti che andavano avanti e indietro che li dividevano.

Era alto, uno stangone probabilmente di un metro e novanta - o anche di più - con un taglio di capelli stranissimo e con dei jeans talmente aderenti che Ashley non fece fatica a dare una squadrata completa al sedere rotondo e alto; indossava una giacca di denim pesante che lo fasciava come se l’avesse fatta fare su misura, né un millimetro di meno né uno di più. Accanto a lui c’era Sammy che era tutta un sorriso, che non gli arrivava nemmeno alla spalla.

Ashley tornò a concentrarsi sulla scelta dei libri per l’ora successiva, dando prima una rassicurante occhiata alla stampa di una pin-up dalle labbra scarlatte che aveva appesa all’anta dell’armadietto, che ammiccava maliziosa con un dito candidamente posato sul mento e i seni messi in bellavista da una maglietta rosso fuoco.

«Potrei chiedere a lui di venire al Sadie’s Hoaks.» rise Sandra «È proprio il mio tipo!»

«Ma il tuo tipo non era quello sfigato dell’altr...»

«Jake, sei rimasto indietro, quello è già andato!» replicò la ragazza con un gesto ampio.

«Ah...»

Ashley richiuse l’armadietto con un sospiro.

«Ci vediamo oggi, ragazzi.» li salutò avviandosi verso le scale che portavano al secondo piano, senza voltarsi a guardarli.

Gli studenti si stavano già dirigendo verso le proprie aule in un chiacchiericcio che si andava smorzando, scese le scale con calma, conscio che la professoressa Insky sarebbe arrivata col solito quarto d’ora di ritardo, quindi non c’era bisogno di mettersi fretta. Alle spalle udì passi che scendevano frettolosamente, gli ci volle solo qualche secondo per capire di chi si trattasse.

«AshSammy lo abbracciò alle spalle, congiungendo le mani contro il suo petto «Sei scappato e non mi hai neanche salutato!» lo rimproverò spettinandogli i capelli.

«Eri impegnata a mostrare la scuola a quella pertica, non volevo distrarvi.» sorrise rendendole lo stesso trattamento, a cui lei cercò di sottrarsi dandogli degli schiaffetti sulle braccia.

«Andy è molto carino!» sbottò rimettendosi a posto l’acconciatura «Non appena l’ho visto ho pensato che fosse il classico che se la tira, però... Però no, tutt’altro, è molto simpatico.» sorrise «Potresti fargli vedere qualcosa uno di questi giorni. Lo porti a una partita, o gli mostri i laboratori e la biblioteca...»

«Sammy, lo sai che non mi faccio problemi con le nuove leve, ma lui non è esattamente il mio genere preferito.» precisò fermandosi nei pressi della porta, aperta, dl cui interno proveniva un brusio allegro, e di tanto in tanto un aeroplanino di carta fendeva l’aria «E mi pare che stesse bene in tua compagnia.» la punzecchiò.

Sammy, tutt’un tratto, smise di sorridere. Ashley ebbe l’impressione che il sangue le fosse defluito dalla faccia nell’arco di un istante, rendendo il suo viso una maschera di cera.

«Stai bene?» domandò toccandole la spalla, pensando di aver detto qualcosa di sbagliato «Tu e Jeremy avete litigato?»

«No...» soffiò lei. Scosse la testa con energia «No, non ti preoccupare. Oggi non sto molto bene...» Si passò le dita nella frangia e l’arricciò. Ashley la osservò dubbioso. Negli anni aveva imparato a capire che quella frangia era l’indicatore esterno di Sammy, e ogni volta che lo toccava significava che c’era qualcosa che le dava dei pensieri.

«Sul serio, Sammy?» Marcò l’ultima parola, un piccolo espediente che di solito la convinceva «Cos’è successo?»

«Purdy, che fa ancora fuori dalla classe?» La Insky arrivò nel momento meno appropriato «Non è l’ora delle chiacchiere, si sbrighi o la metto assente.» Ed entrò con le scarpe tacco dieci che ticchettavano lucide, laccate della vernice verde pisello in tinta coi collant menta ricamati.

«Vai, è meglio.» annuì Sammy, che sembrò sollevata.

«Lo voglio sapere, intesi?» sussurrò sulla soglia «Ci vediamo all’uscita?»

Sammy fece di no con la testa e gli mimò un gesto con entrambe le mani, che significava che gli avrebbe scritto un sms. Poi si voltò e scappò via come un coniglietto, scomparendo oltre l’angolo a est.

«Purdy, vuole rimanere fuori?» lo riprese la Insky.

Ashley andò a sedersi in uno dei banchi della prima fila, vuoti come al solito, chiedendosi che diavolo fosse preso a Sammy così all’improvviso. Che avesse davvero litigato con Jeremy? Impossibile, la notte prima si erano sentiti fino alle due e lui non aveva accennato a niente di simile, e Ashley dubitava che i due avessero potuto discutere di prima mattina.

La lavagna iniziò quasi immediatamente a riempirsi di calcoli, cifre, incognite e simboli, si udì lo sfogliare delle copertine dei quaderni e delle pagine, e poi l’unica voce fu quella della professoressa che teneva una lezione monocorde sulla matematica avanzata.

Ad Ashley la Insky non piaceva. La trovava fredda, sgarbata e noiosa, incapace di insegnare e di coinvolgere gli studenti, col risultato di arrivare alla fine dei semestri con valanghe di insufficienze per cui non faceva altro che lamentarsi di fronte alla macchinetta del caffè, e se possibile le lezioni supplementari erano ancora peggio.

Lui e un’altra dozzina di studenti erano gli unici tra tutti i Senior a essere giunti al livello avanzato, e nessuno grazie alle capacità uditorie della Insky. Tranne forse Markus, che essendo un leccapiedi di professione era ovvio che passasse ogni esame che gli si presentasse davanti.

Ashley sospirò, grattandosi la fronte con la gomma della portamine, ripensando a Sammy e a quanto fosse stata strana, al suo cambiamento radicale quando le aveva nominato Jeremy.

La sua mente vagò ancora un po’ più indietro, a qualche minuto precedente, quando l’aveva vista accanto al nuovo studente proveniente dalla California come le aveva accennato qualche settimana prima.

Aggrottò la fronte, risolvendo distrattamente una funzione differenziabile. Non ce la vedeva affatto Sammy a tradire Jeremy con l’ultimo arrivato, per quanto bello fosse, né se la immaginava prendersi una cotta per un diciassettenne, così a caldo.

Si trattava di una delle loro faccende private in cui nessuno doveva ficcare il naso? Forse, anche se non era mai capitato che nessuno dei due non si confidasse con lui.

Sospirò alzando gli occhi, vedendo sulla lastra di ardesia una serie di passaggi totalmente inutili che sul suo foglio erano stati sintetizzati e dimezzati.

Si chiamava Andy. Aveva dei capelli del cazzo. Un bel fisico. Un bel culo. E gli pareva di aver intravisto anche una bella bocca e lo scintillio di un piercing.

Si batté il portamine sulla fronte, facendo uscire altri tre millimetri di grafite.

Non doveva pensarci. Fortunatamente si sarebbero incrociati solo durante i cambi d’ora - e forse neanche in tutti - quindi i loro contatti sarebbero rimasti debitamente limitati, non c’era da preoccuparsi.

Chinò la testa per scrivere un’altra funzione, e un biglietto ripiegato fino a diventare un quadratino rotolò sul suo banco. Lanciò un’occhiata alla sua destra, appena più indietro, dove Maggie Winter gli stava facendo l’occhiolino, arrotolandosi una ciocca intorno alla biro. Ashley le sorrise e sbirciò il bigliettino.

Rise senza rumore per la proposta esplicita che vi era scritta, e di nuovo si voltò verso di lei, con in sottofondo una voce roca e sgraziata   che spiegava che il limite era inteso in relazione alla topologia del piano. Le lanciò uno sguardo d’intesa, rapido, essenziale, che quasi non trasmetteva nessuna emozione, che le faceva impazzire. Infatti Maggie squittì avvampando sulle gote, guadagnandosi un richiamo dalla Insky.

Ashley tornò alla sua funzione con un sorrisetto sulle labbra, col buonumore che montava e riponeva in un cassetto temporaneamente chiuso Sammy, il nuovo venuto, e un’altra tremenda ora di inutili spiegazioni mal gestite. Si prospettava un pranzo piuttosto movimentato.

 

 

*Continua*

 

 

 

* Il Sadie's Hoaks è un ballo scolastico liceale che si svolge in gennaio, ed è tradizione che siano le ragazze ad invitare i ragazzi.

   
 
Leggi le 7 recensioni
Ricorda la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > Black Veil Brides / Vai alla pagina dell'autore: Niagara_R