*Si apre il sipario*
Ta-daaaaaaaaaaaaaaaaan!
Buonciao a tutteeeeeeeeeee!
Bueno, sono nuova del fandom (quindi armatevi di carriolante di pazienza) e sono
qui per ammorbarvi con la mia FF (o qualcosa che ci assomiglia)!
Passo subito a
illustrare alcuni punti fondamentali:
1. Si tratta
di una Andley.
Quindi Andy e Ashley. Quindi Slash. Se non vi piace lo slash
potete pure uscire e non rientrare mai più, e non dite che non vi ho avvertito.
2. I
personaggi principali saranno solo loro due, ma obviously
ci sarà la comparsa, più o meno importante a seconda del ruolo, di tutti gli
altri. Più personaggi completamente random.
3. Sammy è Sammi Doll.
Ok, lo so che Ollister non è il suo vero cognome e lo
so che il suo nome non si scrive così, ma... concedetemelo come licenza
poetica, dai.
4. Quattro.
5. Si
tratta di una FF AU, indi per cui:
niente band, niente Black Veil
Brides, niente concerti, niente tour. È una FF
scolastica in cui anche la differenza di età è un po’ gettata alle ortiche.
6. Andy non è poi così
alto come lo faccio sembrare, ma alla storia andava così, se cambiavo poi s’offendeva.
7. Questa
storia è un mio piccolo esperimento, quindi gradirei davvero sentire cos’avete
da dire, i vostri pareri, le vostre impressioni, le vostre curiosità. So che
può sembrare una sciocchezza, ma mi interessa sapere cosa ne pensate, anche del
più piccolo dettaglio.
Bon, probabilmente mi
sono dimenticata qualcosa ma va beh, lo vedremo quando sarà il momento!XD
Mi scuso immediatamente
per eventuali errori o castronerie varie,
e vi chiedo di
lasciarmi un commentino che ci tengo! U////U
E buona lettura.
I.
Teneva la mano premuta sulla bocca
talmente forte che le unghie le si stavano conficcando nella guancia,
disegnando quattro mezzelune perfette, profonde, il pizzicore si stava
intensificando anche se Sammy non ci badava.
I suoi occhi erano fissi su quelle due
linee, erano rettangolari, di pochi millimetri di spessore e di lunghezza. Due
maledette lineette di un indaco spento, nel mezzo di un altro rettangolo dallo
sfondo bianco, immacolato, che sembrava voler mettere in evidenza ciò che aveva
davanti, una nuda verità che ogni singolo neurone di Sammy
stava cercando di smontare, in pochi secondi vagliò migliaia di possibilità.
Forse era un errore di fabbricazione, forse lei non aveva letto bene il
bugiardino, forse non aveva fatto le cose a dovere, forse qualcosa che aveva
mangiato aveva falsato il risultato.
Le ci vollero cinque minuti buoni per
spostare la mano e riprendere a respirare normalmente. Sentiva quel tremito
interiore che saliva a ondate, brividi che le si agitavano nel petto, nel
ventre, nelle gambe rendendole molli, aveva la percezione che la sua vista
fosse appannata ai lati, ma non poteva esserne certa, non le importava nemmeno
di assicurarsene tanto non si sentiva più in quella dimensione.
Il test di gravidanza era positivo.
Positivo, positivo, positivo.
Il colore delle due stanghette ora era
diventato prugna, vivido, visibile da metri di distanza.
Posò il test sul mobiletto e si posò i
palmi sulle cosce, respirando lentamente, a più riprese.
Non poteva essere. Dio, non poteva
essere.
Con la mente tornò all’ultima volta che
lei e Jeremy avevano fatto l’amore. Un mese, forse un mese e mezzo. Possibile
che non si trattasse solo di un semplice ritardo? Com’era successo? Non
l’avevano mai fatto senza preservativo, mai. Che si fosse rotto e nessuno dei
due se ne fosse accorto?
Un vago senso di malessere le formò un
grumo un gola, impedendole quasi di deglutire.
Doveva esserne certa. I test di
gravidanza non erano infallibili, avevano l’1% di margine di errore, e per
quanto poco fosse, poteva benissimo essere il suo caso, perché no?
Raddrizzò leggermente le spalle,
sospirando a metà, come se avesse paura di attirare su di sé l’attenzione di
qualcuno. Si alzò ancora malferma e afferrò la barretta bianca e leggera, alla
cui estremità svettavano ancora quelle linee, e la gettò nel cestino
richiudendo il coperchio, posandovi sopra un piede per essere certa che quel
segreto non trapelasse.
Doveva andare al consultorio il prima
possibile. Con la mente che tornava lucida, calcolò l’orario scolastico e cercò
un buco nella sua agenda immaginaria che le permettesse di andare e tornare,
forse oggi stesso, forse il giorno dopo, le date si accavallavano e gli impegni
anche, non riusciva a fare mente locale.
Doveva chiamare Jeremy? Doveva dirgli
cosa stava succedendo o era meglio non creare inutile allarmismo? E se si fosse
trattata di una semplice, stupidissima inesattezza?
E se invece il test stesse dicendo la
verità e Sammy fosse...
Si torturò la frangetta,
scompigliandola, lisciandola, arricciandola, una sorta di intorpidimento le
aveva liberato le vie respiratorie ma tutto il peso si era spostato al petto,
alla base dei polmoni, e il senso di nausea svaniva e ricompariva, sentiva la
testa piena di ovatta.
«Sammy? Sammy, tutto bene?»
La voce di suo padre la trapassò, la
pelle d’oca la investì in pieno su ogni parte del corpo, fredda, gelida.
«Bene, bene, arrivo subito!» replicò in
tono più alto del normale.
Normale. Doveva essere normale. Sembrare
normale, fare finta di nulla, dimenticarsi di quel mastodontico dettaglio fino
a che non avesse trovato un punto di riferimento in quel caos, e fino a quel
momento l’idea della gravidanza sarebbe rimasta un fantasma, una fantasia di
quelle che rimanevano nel letto dopo essersi svegliati la mattina.
Riaprì il sacchetto dal cestino mezzo
vuoto - l’assenza degli assorbenti e la presenza di quella stecca le strizzò lo
stomaco in una morsa - lo sfilò dal supporto e legò con il sottilissimo filo di
plastica.
Normale.
Proprio in quel momento gli occhi le si
riempirono di lacrime, ma le ricacciò indietro, una a una, non era il momento
di frignare, non era il momento di farsi prendere dal panico. Era ora di andare
a scuola.
Lanciò un’occhiata alla propria immagine
riflessa nello specchio senza vederla realmente, abbassò il maglioncino fin sul
ventre, ancora piatto, ancora insignificante.
La bocca si piegò in un sorriso
all’etere, falso, così falso e molle che sperò non si sciogliesse in un pianto.
Girò la chiave e uscì. Suo padre era in
cucina, udiva l’acqua del lavandino scorrere e il rumore delle stoviglie che
venivano lavate e poi posate sulla griglia per asciugarsi alla frizzante aria
di gennaio. Sammy corse in camera, posò la borsina verde menta a terra e si infilò la giacca senza
perderla di vista un secondo. Assestò la tracolla sulla spalla e la riprese al
volo, strinse il solco del laccio come se avesse voluto strozzarla, ucciderla,
annientarla.
«Sammy, vuoi i
muffin di ieri? Ne sono rimasti due al limone e uno al cioccolato.» Suo padre
era sorridente, radioso come sempre, biondo e assolutamente all’oscuro di cosa
la stava rodendo dall’interno.
«No, grazie, li lascio per la mamma.» Si
fermò sulla soglia della cucina, a osservare le sue spalle ampie, le scapole
che si muovevano sotto una maglietta troppo leggera per l’inverno. Brett si
voltò, non si era ancora fatto la barba, e le rivolse un sorriso interrogativo.
«Cosa c’è?»
La verità le risalì l’esofago,
traditrice e devastante, il desiderio di dire tutto quanto, di sfogarsi, di
ridare ad alta voce quanto quella cosa la stesse terrorizzando.
Irrigidì la mascella e il sorriso finto
svanì dalle sue labbra, sentì freddo alle guance.
«Niente. Vado. Ciao.»
Non incrociò il suo sguardo, si avviò
alla porta con un passo troppo lungo per lei e uscì di fretta, sentendosi un
blocco di ghiaccio.
Più in alto del grande portone
dell’entrata principale campeggiava la scritta a lettere cubitali, in rilievo
di almeno quattro centimetri, di un color marrone scuro e lucido, quasi ci
passassero la cera tutti i giorni. C’era scritto Franklin Gooding Valley High School, e
ogni volta che lo si rileggeva pareva che dalle due finestre poste proprio
sopra Gooding e High uscissero folate
di brillantini glitterati, come enormi sospiri
d’orgoglio.
Andy aspirò una boccata dalla sigaretta,
col naso all’insù a osservare l’innegabile presenza scenica della facciata del
suo nuovo liceo. L’edificio aveva un che di antico che gli ricordava collegi
inglesi, forse per via dei mattoni accuratamente incastrati l’uno sull’altro e
delimitati da sottili strisce di cemento dipinto di un professionale color
cacao, e allo stesso tempo era moderna, lussuosa, rigida ma al passo coi tempi.
Le ampie ante esterne del portone erano
di vetro spesso, zigrinate al centro fino a formare l’acronimo di ciò che stava
scritto qualche metro più su. Come se qualcuno per sbadataggine se lo
dimenticasse.
Aspirò di nuovo ed espirò il fumo dalle
narici, col collo che doleva un poco per la posizione scomoda. Infilò una mano guantata nella tasca della giacca ed estrasse l’iPhone quel tanto che bastava per controllare l’orario. Era
in ritardo di quaranta minuti.
Non male come primo giorno.
Aveva acidità di stomaco, come tutti i
primi giorni, e probabilmente il caffè che aveva ingoiato bollente venti minuti
prima non lo stava aiutando.
Un’altra boccata e gettò a terra il
mozzicone, calpestandolo e riducendolo in trucioli nocciola, decidendosi a
entrare. Abbassò la maniglia laccata in argento e spinse.
All’interno c’era caldo, un piacevole
tepore un po’ umidiccio che però profumava di vaniglia non troppo dolce, le
pareti erano bianche, un po’ macchiate verso il soffitto, c’erano appesi fogli,
attestati, fotografie, poster contro l’anoressia e contro il bullismo, e
un’enorme bacheca di sughero con gli annunci più disparati, che andavano dal
cercare un bassista per una band all’appello per qualcuno che vendesse appunti
di biologia.
Andy sarebbe rimasto volentieri lì
davanti a leggerli tutti, ma la sua parte razionale decise che era arrivato il
momento di fare il bravo. Imboccò il corridoio di sinistra mentre si sfilava i
guanti e li gettava in una tasca qualsiasi della tracolla, lo percorse per
qualche metro, poi di nuovo a sinistra. Di tanto in tanto udiva rumori di passi
o suoni di voci, professori che spiegavano o studenti che stridevano, ma
dovette ammettere che l’ambiente era tranquillo, emanava un’aura di serenità,
così calmo, così insolitamente quieto per una scuola americana. Ma d’altronde
quella era la Franklin Gooding Valley High School, chi mai si sarebbe immaginato qualcosa di
diverso?
Trovò l’ufficio del consulente
scolastico senza problemi. Porta di vetro spesso e insonoro - neanche a dirlo
con su zigrinata l’immancabile sigla - e accanto a essa un’altra bacheca di
sughero, dove però erano appesi fogli e cartoncini per ogni tipo di aiuto di
cui chiunque avesse avuto bisogno. Sostegno psicologico per gli studenti, e per
i genitori, numeri utili per chi avesse subito maltrattamenti a casa, o a
scuola, brevi vademecum su cosa occorreva fare quando qualcuno si sentiva male,
indirizzi di consultori e dipartimenti sanitari che Andy non aveva mai saputo
esistessero.
Tenevano anche sedute degli alcolisti
anonimi?
Bussò due volte, con garbo, evitando di
indovinare le sagome di cosa ci fosse oltre. Attese cinque secondi, al settimo
una voce femminile gli diede il permesso di entrare.
«Salve.» salutò con un sorriso
rassegnato, quello del buon viso a cattivo gioco che ormai faceva parte di lui.
Si stupì di ciò che vide.
Di solito i consulenti erano di mezza
età, tracagnotti, ben messi e perennemente sorridenti, indossavano abiti di una
marca mediamente costosa e ai polsi avevano quasi sempre orologi o bracciali
enormi.
Quella che si trovò davanti, invece, era
una ragazza bellissima. Bionda, i capelli mossi che le cadevano sulle spalle
come acqua increspata, snella, un seno piccolo, proporzionato, e un viso
grazioso, due piccoli occhi da cerbiatta e le labbra dolci. Giovane. E
pallidissima.
«Ciao, accomodati pure.» lo salutò
alzando la testa dal foglio che stava compilando, indicandogli con la mano la
sedia di plastica arancione di fronte alla scrivania «Tu sei il ragazzo nuovo,
vero? Sei... Sei...» Frugò tra gli incartamenti e i post-it con la fronte
aggrottata nascosta da una frangetta perfetta.
«Andy.» terminò per lei «Andrew Biersack.» Si accomodò poggiando la borsa accanto a sé e
accavallò le gambe «Andrew Denis Biersack.»
«Andrew, sì...» confermò la ragazza.
Parve spaesata per un attimo, poi si ricordò di sorridergli e di tendergli la
mano. Era davvero graziosa «Scusami per il caos... Io sono Samantha Ollister, ma per tutti a scuola sono Sammy.»
«Piacere di conoscerti.» le sorrise «Non
avevo idea che gli studenti potessero fare da consulenti.»
Sammy rise, una risatina sensuale, delicata,
mentre apriva un cassetto e ne tirava fuori una cartelletta rossa che si aprì
davanti.
«I primi anni sono stata l’assistente
del consulente, e quando lui è andato in pensione hanno pensato bene di evitare
di spendere soldi e ci hanno messo me in cambio di qualche credito e una bella
lettera di raccomandazione per il college. Adesso sono all’ultimo anno.»
cinguettò con le guance che riacquistavano un po’ di colore.
«Wow.» commentò dandosi un’occhiata in
giro. Rosso, arancio, giallo, verde e blu ovunque, scaffali brillanti, libri
dalle copertine incellofanate. Un posto studiato per mettere a proprio agio la
gente. Oppure per stordirla.
«Dunque, Andrew...»
«Andy.» precisò d’istinto. Si aspettò la
doverosa ramanzina per essere entrato in ritardo, ma anche dopo qualche minuto
non arrivò.
Sammy lo squadrava ogni tanto con occhio
clinico, e poi spuntava delle caselle nei fogli nella cartelletta. Andy sapeva
cosa stava facendo. Valutazione di primo impatto.
Era un espediente che i licei avevano adottato
nell’ultimo anno, quello di compilare una scheda affidandosi alle prime
impressioni che si avevano di uno studente nuovo, appena arrivato, da integrare
poi coi documenti ufficiali scolastici. La micro-criminalità e il bullismo
erano diventati una vera e propria piaga, per non parlare del pericolo mai
nominato davvero ma sempre presente di portarsi entro le mura uno psicotico
armato che avrebbe potuto freddare venti persone in un attimo.
«Come mai hai cambiato scuola a inizio
semestre?» gli chiese, sempre guardando il foglio.
«I miei viaggiano parecchio, per lavoro,
e stavolta si sono fermati qui.» spiegò con semplicità.
«Davvero?» Sammy
gli fece un sorriso di circostanza «Che lavoro fanno?»
«Manager. Mia madre si occupa
dell’organizzazione di eventi di beneficenza, sportivi, fiere, mio padre invece
di concerti, party, presentazioni... Roba così.»
«Mh-mh.» annuì
la ragazza, stringendo le labbra e tornando a scribacchiare qualche parola a
penna blu.
Andy lo trovava piacevole. La consulente
era una studentessa, e non una di quelle appiccicose e zuccherose che facevano
i salti mortali per accaparrarsi la sua simpatia, e non lo fissava nemmeno come
se avesse dovuto mangiarlo, o ucciderlo, a seconda del carattere che aveva. Sammy si manteneva a distanza e sembrava non giudicare né
il suo piercing, né i suoi capelli né il suo abbigliamento, il che gli piacque.
Cominciava inaspettatamente bene.
«Ok.» Sammy
chiuse la cartelletta, alzando la testa «Probabilmente ti ci vorrà un po’ per
ambientarti, ma vedrai che qui starai bene.» Si alzò e andò a uno degli
scaffali, quello rosso vivo, facendo scorrere un’anta e ficcando le dita tra
grossi raccoglitori ed enormi buste di plastica trasparente «Non abbiamo ancora
ricevuto i tuoi documenti dalla scuola precedente, ma immagino che siano stati
in vacanza anche loro, quindi probabilmente arriveranno entro questa settimana.
Intanto ti do...» Posò sulla scrivania una risma di fogli e plichi graffettati «... i programmi delle materie, i libri di
testo che puoi trovare usati cercando bene nella bacheca all’entrata, gli
orari, le tabelle dei corsi extra-curricolari, il calendario degli esami, la
lista dei club nel caso ti voglia iscrivere a qualcuno di loro...»
Ecco, quella era la parte che
peggiorava l’acidità di stomaco di Andy. Informazioni, troppe, troppe
informazioni in cui doveva orientarsi ogni dannata volta, tra nomi diversi e
professori che non avrebbe mai ricordato, aule che non avrebbe trovato, club
che non aveva mai sentito. Ma li prese e li allineò docile, sospirando internamente.
In fondo la colpa non era nemmeno della scuola.
«Le squadre ormai sono già al completo,
ma se tu volessi provare a entrare in qualcuna fammelo sapere, potrei riuscire
a farti avere qualche aggancio.» continuò Sammy,
gentile «Immagino che con alcune materie avrai bisogno di qualche aiuto in più
visto che il programma statale è diverso da quello che hai fatto nell’altra
scuola, vero?»
Andy le fece un sorriso che rasentò la
gratitudine. Era la prima consulente che affrontava l’argomento senza farlo
sembrare un idiota.
«Abbiamo diversi aiutanti che si
occupano di tutti quanti, Freshman, Sophomore e Junior, e anche Senior quando hanno bisogno
dell’ultima spintarella, ma non si tratta di veri e propri gruppi di studio. Se
hai qualche problema con una materia comunicamelo, e ti farò avere un
appuntamento con un supporter, ok?» Attese che Andy scuotesse la testa
per proseguire «E, oh... tra due settimane c’è il Sadie’s
Hoaks*.» Gli porse il volantino con su stampata una
tremenda fantasia di colori confetto che raffiguravano una ninfa, o una fata, o
qualcosa del genere.
«Grazie, anche se non penso proprio di
partecipare.» rise scuotendo un poco la testa.
«Le ragazze della Franklin sono molto
intraprendenti, e tu sei un bel ragazzo.» Sammy gli
fece l’occhiolino «Secondo me di proposte ne avrai eccome.»
Andy si limitò a fare un sorriso a metà
tra la perplessità e il divertimento. Allora Sammy
un’analisi attenta l’aveva fatta.
«Allora... il tuo armadietto è il 34A8.»
disse ricontrollando uno dei post-it, che incollò alla cartella rossa «Se vieni
con me andiamo alla portineria e ci facciamo dare la combinazione, e poi ti
spiego qual è il tuo corridoio.»
«Stupendo.»
Andy raccattò tutto quello che Sammy gli aveva dato e lo ficcò nella tracolla, poco
importava se si fosse piegato qualche angolo. Prima di allontanarsi, Sammy infilò nella maniglia un piccolo cartello con su
scritto Torno subito. Non si facevano mancare davvero nulla.
«Anche qui abbiamo qualche problema coi
bulli e con il nonnismo, purtroppo.» esplicò mentre camminavano fianco a
fianco. Si voltò verso di lui con un sorrisino ironico «Ma di solito con quelli
alti e con le spalle quadrate non se la prende mai nessuno.»
Andy rise.
«Almeno mi terrò fuori dai guai per un
po’.»
«Sei uno che di solito combina casini?»
Lo chiese con aria divertita, da sorella maggiore.
«Di solito sono loro a combinarsi
intorno a me.» sorrise. Sammy rise di nuovo.
«Tu sei uno di quelli furbetti.»
commentò quando furono tornati all’entrata, giungendo alla porta laterale che
dava su un grande ufficio arredato esattamente da ufficio, al cui interno
diverse persone stavano di fronte a schermi di pc o
parlando tra loro «Sì, scommetto che riceverai un sacco di inviti.» confermò a
se stessa.
Andy annuì senza replicare, seguendola
dentro.
Chissà se avrebbe ricevuto qualche
invito anche dall’altra metà del cielo.
«Gli italiani dovrebbero farsi meno
seghe mentali.» fu il commento di Jake mentre frugava
nel proprio armadietto «Non bastava lo Spleen di Baudelaire, ci servivano anche
le tre fasi del pessimismo.»
Ashley sorrise nel sistemare i libri di
lingua, imprecando sottovoce perché lo spazio lì dentro non era mai abbastanza.
Un Senior non ne poteva chiedere uno più grande?
Qualcuno sferrò un pugno all’armadietto
accanto al suo, provocando un gran sferragliare.
«Ehi, latin lover, perché non dici alla Paris Hilton bruna di dare una calmata agli ormoni?»
Sandra come al solito stava masticando
una gomma, il ciuffo tinto di nero le cadeva sull’occhio sinistro facendola
sembrare una emo.
«Ti sta ancora tormentando?» ridacchiò Jake.
«Si è seduta vicino a me a civica e ha
passato l’intera ora a chiedermi di te.» Ficcò l’indice con l’unghia
laccata nella spalla di Ashley, punzecchiandolo più volte «Non eri tu quello
che metteva subito in chiaro le cose come stavano?»
«È esattamente quello che ho fatto anche
con lei.» replicò tranquillo, infilando nella borsa il tomo di matematica
avanzata «Se sono talmente tanto figo che non mi ascoltano mentre parlo non è
colpa mia.» Si passò una mano tra i capelli con fare teatrale. Sandra inarcò le
sopracciglia, esasperata, ma tempo qualche attimo e si sciolse in un sorriso.
«La prossima volta le dico che sei
andato a letto con la sua migliore amica, è probabile che vi odierà entrambi.»
«La sua amica non è quella che ha un neo
sotto il capezzolo destro?» Sia lui che Sandra si misero a ridere.
«Ehi, c’è uno nuovo.» disse Jake.
Ashley e Sandra si voltarono verso
l’altra parte del corridoio, dove c’erano gli armadietti delle quarte.
«Porcatroiachefigo.»
sibilò Sandra, affrettandosi a portarsi la ciocca dietro l’orecchio per avere
la visuale completa.
Quello nuovo si notava alla prima
occhiata, anche tra il mare di studenti che andavano avanti e indietro che li
dividevano.
Era alto, uno stangone probabilmente di
un metro e novanta - o anche di più - con un taglio di capelli stranissimo e
con dei jeans talmente aderenti che Ashley non fece fatica a dare una squadrata
completa al sedere rotondo e alto; indossava una giacca di denim pesante che lo
fasciava come se l’avesse fatta fare su misura, né un millimetro di meno né uno
di più. Accanto a lui c’era Sammy che era tutta un
sorriso, che non gli arrivava nemmeno alla spalla.
Ashley tornò a concentrarsi sulla scelta
dei libri per l’ora successiva, dando prima una rassicurante occhiata alla
stampa di una pin-up dalle labbra scarlatte che aveva appesa all’anta
dell’armadietto, che ammiccava maliziosa con un dito candidamente posato sul
mento e i seni messi in bellavista da una maglietta rosso fuoco.
«Potrei chiedere a lui di venire al Sadie’s Hoaks.» rise Sandra «È
proprio il mio tipo!»
«Ma il tuo tipo non era quello sfigato
dell’altr...»
«Jake, sei
rimasto indietro, quello è già andato!» replicò la ragazza con un gesto ampio.
«Ah...»
Ashley richiuse l’armadietto con un
sospiro.
«Ci vediamo oggi, ragazzi.» li salutò
avviandosi verso le scale che portavano al secondo piano, senza voltarsi a
guardarli.
Gli studenti si stavano già dirigendo
verso le proprie aule in un chiacchiericcio che si andava smorzando, scese le
scale con calma, conscio che la professoressa Insky
sarebbe arrivata col solito quarto d’ora di ritardo, quindi non c’era bisogno
di mettersi fretta. Alle spalle udì passi che scendevano frettolosamente, gli
ci volle solo qualche secondo per capire di chi si trattasse.
«Ash!» Sammy lo abbracciò alle spalle, congiungendo le mani contro
il suo petto «Sei scappato e non mi hai neanche salutato!» lo rimproverò
spettinandogli i capelli.
«Eri impegnata a mostrare la scuola a
quella pertica, non volevo distrarvi.» sorrise rendendole lo stesso
trattamento, a cui lei cercò di sottrarsi dandogli degli schiaffetti sulle
braccia.
«Andy è molto carino!» sbottò
rimettendosi a posto l’acconciatura «Non appena l’ho visto ho pensato che fosse
il classico che se la tira, però... Però no, tutt’altro, è molto simpatico.»
sorrise «Potresti fargli vedere qualcosa uno di questi giorni. Lo porti a una
partita, o gli mostri i laboratori e la biblioteca...»
«Sammy, lo sai
che non mi faccio problemi con le nuove leve, ma lui non è esattamente il mio
genere preferito.» precisò fermandosi nei pressi della porta, aperta, dl cui
interno proveniva un brusio allegro, e di tanto in tanto un aeroplanino di
carta fendeva l’aria «E mi pare che stesse bene in tua compagnia.» la punzecchiò.
Sammy, tutt’un tratto, smise di sorridere.
Ashley ebbe l’impressione che il sangue le fosse defluito dalla faccia
nell’arco di un istante, rendendo il suo viso una maschera di cera.
«Stai bene?» domandò toccandole la
spalla, pensando di aver detto qualcosa di sbagliato «Tu e Jeremy avete
litigato?»
«No...» soffiò lei. Scosse la testa con
energia «No, non ti preoccupare. Oggi non sto molto bene...» Si passò le dita
nella frangia e l’arricciò. Ashley la osservò dubbioso. Negli anni aveva
imparato a capire che quella frangia era l’indicatore esterno di Sammy, e ogni volta che lo toccava significava che c’era
qualcosa che le dava dei pensieri.
«Sul serio, Sammy?»
Marcò l’ultima parola, un piccolo espediente che di solito la convinceva «Cos’è
successo?»
«Purdy, che fa
ancora fuori dalla classe?» La Insky arrivò nel
momento meno appropriato «Non è l’ora delle chiacchiere, si sbrighi o la metto
assente.» Ed entrò con le scarpe tacco dieci che ticchettavano lucide, laccate
della vernice verde pisello in tinta coi collant menta ricamati.
«Vai, è meglio.» annuì Sammy, che sembrò sollevata.
«Lo voglio sapere, intesi?» sussurrò
sulla soglia «Ci vediamo all’uscita?»
Sammy fece di no con la testa e gli mimò un
gesto con entrambe le mani, che significava che gli avrebbe scritto un sms. Poi
si voltò e scappò via come un coniglietto, scomparendo oltre l’angolo a est.
«Purdy, vuole
rimanere fuori?» lo riprese la Insky.
Ashley andò a sedersi in uno dei banchi
della prima fila, vuoti come al solito, chiedendosi che diavolo fosse preso a Sammy così all’improvviso. Che avesse davvero litigato con
Jeremy? Impossibile, la notte prima si erano sentiti fino alle due e lui non
aveva accennato a niente di simile, e Ashley dubitava che i due avessero potuto
discutere di prima mattina.
La lavagna iniziò quasi immediatamente a
riempirsi di calcoli, cifre, incognite e simboli, si udì lo sfogliare delle
copertine dei quaderni e delle pagine, e poi l’unica voce fu quella della
professoressa che teneva una lezione monocorde sulla matematica avanzata.
Ad Ashley la Insky
non piaceva. La trovava fredda, sgarbata e noiosa, incapace di insegnare e di
coinvolgere gli studenti, col risultato di arrivare alla fine dei semestri con
valanghe di insufficienze per cui non faceva altro che lamentarsi di fronte
alla macchinetta del caffè, e se possibile le lezioni supplementari erano
ancora peggio.
Lui e un’altra dozzina di studenti erano
gli unici tra tutti i Senior a essere giunti al livello avanzato, e nessuno
grazie alle capacità uditorie della Insky. Tranne
forse Markus, che essendo un leccapiedi di professione era ovvio che passasse
ogni esame che gli si presentasse davanti.
Ashley sospirò, grattandosi la fronte
con la gomma della portamine, ripensando a Sammy e a quanto fosse stata strana, al suo cambiamento
radicale quando le aveva nominato Jeremy.
La sua mente vagò ancora un po’ più
indietro, a qualche minuto precedente, quando l’aveva vista accanto al nuovo
studente proveniente dalla California come le aveva accennato qualche settimana
prima.
Aggrottò la fronte, risolvendo
distrattamente una funzione differenziabile. Non ce la vedeva affatto Sammy a tradire Jeremy con l’ultimo arrivato, per quanto
bello fosse, né se la immaginava prendersi una cotta per un diciassettenne,
così a caldo.
Si trattava di una delle loro faccende
private in cui nessuno doveva ficcare il naso? Forse, anche se non era mai
capitato che nessuno dei due non si confidasse con lui.
Sospirò alzando gli occhi, vedendo sulla
lastra di ardesia una serie di passaggi totalmente inutili che sul suo foglio
erano stati sintetizzati e dimezzati.
Si chiamava Andy. Aveva dei capelli del
cazzo. Un bel fisico. Un bel culo. E gli pareva di aver intravisto anche una
bella bocca e lo scintillio di un piercing.
Si batté il portamine
sulla fronte, facendo uscire altri tre millimetri di grafite.
Non doveva pensarci. Fortunatamente si
sarebbero incrociati solo durante i cambi d’ora - e forse neanche in tutti -
quindi i loro contatti sarebbero rimasti debitamente limitati, non c’era da
preoccuparsi.
Chinò la testa per scrivere un’altra
funzione, e un biglietto ripiegato fino a diventare un quadratino rotolò sul
suo banco. Lanciò un’occhiata alla sua destra, appena più indietro, dove Maggie Winter gli stava facendo
l’occhiolino, arrotolandosi una ciocca intorno alla biro. Ashley le sorrise e
sbirciò il bigliettino.
Rise senza rumore per la proposta
esplicita che vi era scritta, e di nuovo si voltò verso di lei, con in
sottofondo una voce roca e sgraziata che spiegava che il limite era
inteso in relazione alla topologia del piano. Le lanciò uno sguardo d’intesa,
rapido, essenziale, che quasi non trasmetteva nessuna emozione, che le faceva
impazzire. Infatti Maggie squittì avvampando sulle
gote, guadagnandosi un richiamo dalla Insky.
Ashley tornò alla sua funzione con un
sorrisetto sulle labbra, col buonumore che montava e riponeva in un cassetto
temporaneamente chiuso Sammy, il nuovo venuto, e
un’altra tremenda ora di inutili spiegazioni mal gestite. Si prospettava un
pranzo piuttosto movimentato.
*Continua*
* Il Sadie's Hoaks è un ballo
scolastico liceale che si svolge in gennaio, ed è tradizione che siano le
ragazze ad invitare i ragazzi.