The Phantom Limb
-
“La sindrome
dell’arto fantasma è la sensazione anomala di persistenza di un arto dopo
la sua amputazione o dopo che questo sia diventato insensibile: il soggetto
affetto da questa patologia ne avverte la posizione, accusa sensazioni moleste
e spesso dolorose, talora addirittura di movimenti come se questo fosse ancora presente. […]
La terapia applicata per lenire il dolore riferito all’arto fantasma è la
rimozione chirurgica della terminazione nervosa. I risultati di questa
procedura chirurgica sono ambigui, in quanto il dolore tende a ripresentarsi in
molti casi poco dopo l’intervento. […]
In ambito psichiatrico soprattutto di orientamento dinamico si è a volte
identificata la sindrome come un disturbo psichico innescato dalla non accettazione della perdita,
tracciando un parallelismo con le visioni di congiunti o cari deceduti.”
-
John Watson viene svegliato dalla luce fredda del
giorno: la testa è rivolta a sinistra e sente la moquette sotto la sua guancia
solleticargli i sensi. La vista è appannata dall’umidità del mattino come il
parabrezza del suo ultimo taxi, il corpo trema pervaso da un sinistro gelo
privo di senso, la camicia è perfettamente abbottonata e le sue righe si
perdono all’infinito nel tessuto. Lentamente si volta verso destra e legge la
data di oggi: 16 giugno. Prova ad alzarsi da terra per tornare indietro nel
tempo ma non può poiché la gamba ormai non l’avverte più e lentamente sta
perdendo anche l’altra, e con essa il braccio, la mano, le dita. Non ricorda
neanche più cosa si provi a muoversi. John Watson è steso sul pavimento del
221B di Baker Street e ora fissa il vuoto per l’ennesima volta: è un vuoto con
una parete bianca a fantasia nera, sono presenti 6 fori praticati da una
calibro 18mm. John ormai non riesce più a vederli ma sa che sono ancora lì,
vigili e pazienti, prova della sua esistenza. E ancora: le poltrone, la
scrivania, l’enorme libreria, lo specchio, il teschio. Se avesse avuto ancora
delle gambe (e delle braccia, delle mani, delle dita) si sarebbe alzato e sulla
tavola ci sarebbero stati i suoi strumenti, nel cassetto destro del frigorifero
delle dita atrofizzate, con un po’ più di sforzo sarebbe riuscito anche ad
arrivare nella sua camera ed osservare il disordine materiale, la tavola degli
elementi, le lenzuola bianche pendenti dal letto. Anche se lui non può vederle
sa che tutte le cose sono ferme al loro posto da sempre e non ci sarà nessuno a
toglierle.
Il dottor John H. Watson sa di non dover chiudere gli occhi,
eppure lo fa di nuovo.
Apre la porta di un laboratorio facendo peso sulla stampella e nota l’uomo più
strano del mondo non degnarlo di uno sguardo. E’ Sherlock Holmes, gli dicono,
poco dopo correrà di nuovo proprio per lui;
le mani sono legate e la corda inizia a tagliargli la pelle lentamente, nelle
sue vene scorre di nuovo la voglia di impugnare un’arma e di bruciare il campo
di guerra e nelle arterie la paura di morire. Un attimo dopo viene vestito di
bombe ed è in quel momento –quel singolo e preciso momento- che John affoga
lentamente negli occhi di Sherlock: e La Donna gli danza davanti agli occhi, le
gabbie di Baskerville gli tolgono il respiro.
Una sostanza vischiosa si espande sotto il suo corpo e inizia a circondarlo quando John ritorna alla
conclusione che occhi chiusi o aperti non importa; sente il sangue tutt’intorno
a lui e schiude lentamente gli occhi.
Sherlock Holmes è steso al suo fianco, gli occhi sbarrati a fissarlo e il
sangue che dalle sue tempie scivola sulla moquette del loro salotto e se ne
impossessa.
Il suo cadavere è al suo fianco, la mano delicatamente macchiata di sangue
poggiata a metà tra i due corpi. John piange.
«Sono qui, Sherlock.»
Stringe la mano fredda.
«Sarò sempre qui.»
Le lacrime scivolano a diventare tutt’uno con il sangue e Sherlock non smette
di fissarlo, con gli occhi della morte.
-
John Watson viene svegliato dalla luce fredda del
giorno: la testa è rivolta a sinistra e sente la moquette sotto la sua guancia
solleticargli i sensi. La vista è appannata dall’umidità del mattino come il
parabrezza del suo ultimo taxi, il corpo trema pervaso da un sinistro gelo
privo di senso, la camicia è perfettamente abbottonata e le sue righe si
perdono all’infinito nel tessuto. Lentamente si volta verso destra e legge la
data di oggi: 16 giugno…