Serie TV > Il Trono di Spade/Game of Thrones
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Autore: Trick    25/02/2013    9 recensioni
“Abbiamo litigato così tante volte” ricordò Sansa. “E per così tante sciocchezze”.
Sansa non è che un adorabile usignolo cresciuto in gabbie dorate, ma quando il tempo per le ballate finisce non resta che il tempo perfetto per perdere ogni cosa.
| Sansa/Petyr |
Terza classificata al contest "Writers are coming" indetto da MedusaNoir.
Genere: Drammatico, Romantico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Arya Stark, Petyr Baelish, Sansa Stark
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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NdA: La one-shot è fondamentalmente divisa in tre parti che ipotizzano eventi collocati a grande distanza gli uni dagli altri. Essendo questa una What-If, ho fatto del mio meglio per rendere comprensibili i motivi che hanno portato allo sviluppo di questa o di quell'altra situazione. La prima parte è collocabile poco dopo la fine della seconda stagione, la seconda dopo parecchi mesi e l'ultima dopo quattro anni – quindi Sansa ha diciotto anni e Arya quindici.

Terza classificata al contest Writers are coming indetto da MedusaNoir.



*

Qual è la cosa che più desideri al mondo?

Su Harrenhal erano state composte le ballate più malinconiche e sventurate. La sua grigia maestosità era nota in ogni angolo dei Sette Regni, e le alte guglie e gli imponenti cancelli scuri figuravano neri e dannati anche agli occhi di chi non aveva mai davvero veduto quel malaugurato castello. Ma era maledetto, maledetto più di quanto non lo fosse mai stato nessun altro luogo in tutto il continente – perfino oltre la Barriera, diceva qualcuno, non v'era inferno altrettanto oscuro e profondo.
Sansa Stark non poteva negare di aver provato un brivido di terrore nel vedere il gigantesco maniero apparirle alla vista per la prima volta. Si ergeva dalla nebbia che lo circondava come un titano silenzioso, con i torrioni perduti nel grigiore del mattino e il fango della terra battuta come sola difesa contro i propri nemici. Ad Harrenhal non servivano né fossati né barricate: le dicerie sulla sorte di chi aveva l'ardire di conquistarne le colossali mura erano note anche al più stolto degli uomini. Era stato lord Baelish a spiegarglielo durante il viaggio da Approdo del Re. Sansa era rimasta segretamente intimorita dalla lunga lista di morti che il nome di Harrenhal si trascinava appresso. Il suo disagio non era sfuggito agli occhi penetranti del Maestro del Conio.
«Temete forse di essere rapita nel sonno dagli spettri del castello, mia giovane lady?» gli chiese beffardo.
Lei chinò il capo e l'ampio cappuccio del mantello che indossava le scivolò sulla fronte, costringendola ad alzare lesta una mano per ricacciarselo indietro. Non era mai stata un'abile cavallerizza – non era mai stata come Arya, lei – e l'olezzo di quegli animali la nauseava. Il movimento del destriero sotto di lei le aveva provocato una forte emicrania, ma Sansa preferì non farne parola alcuna con lord Baelish.
«No, mio signore».
«Approdo del Re è a centinaia di leghe di distanza da noi» aveva replicato dopo qualche istante di silenzio l'uomo. Seduto sul suo cavallo pezzato con la lunga cappa verde sulle spalle e il fermaglio a forma di tordo stretto alla gola, Petyr Baelish appariva ben più alto e imponente di quanto non fosse nella realtà.
«L'ho notato, mio signore».
Lui scoppiò in una risata dal suono accattivante.
«Mi è difficile pensare non l'abbiate fatto, mia lady. Presumo non abbiate mai dovuto cavalcare talmente a lungo».
«Ho sempre preferito muovermi in carrozza».
«Vi chiedo perdono per le miserevoli comodità alle quali vi ho sottoposto» le disse con un mezzo sorriso. Il suo tono sembrava tuttavia scoppiettare di incontrollabile sarcasmo. «Abbandonare Approdo del Re in condizioni più regali avrebbe sicuramente attirato sguardi che preferirei restassero ciechi... ancor meglio se defunti per grazia degli dèi, invero».
Sansa si umettò le belle labbra rosee.
«Non sapevo stessimo... fuggendo».
«Non lo sapevate proprio perché non lo stiamo facendo. Stiamo solo raggiungendo la mia nuova dimora, affinché possiate riprendervi dalle tremende sofferenze del vostro soggiorno ad Approdo del Re». Non è stata Approdo del Re” pensò con furia improvvisa Sansa, serrando le dita sottili attorno alle briglie della puledra. “È stato Joffrey. È stata la regina Cersei. È stato ser Payne. È stato il rumore della testa di mio padre che cadeva a terra”.
«Perché mi avete portato con voi?» domandò a denti stretti.
«Perché il tuo indomito fratello e il suo incrollabile esercito è già fra noi e la capitale. Tywin Lannister è ebbro di una vittoria che non ha davvero vinto, Tyrion Lannister giace a un soffio dalla morte e Cersei Lannister ha dovuto suo malgrado concedere i propri poteri a chi nella sua famiglia calza pantaloni e non sottovesti. Come puoi ben capire, mia cara, il trionfo delle Acque Nere non è che un breve preludio alla disfatta verso cui i nobili Lannister stanno inesorabilmente remando».
«Ma Joffrey è--».
«Un ragazzo che indossa una corona senza avere una testa sui cui appoggiarla» ribatté schietto. «Le leggi della natura gli sono assai sfavorevoli: scivolerà via dai suoi riccioli dorati prima ancora che se ne possa rendere conto».
Sansa non capiva con esattezza cosa stesse cercando di spiegarle lord Baelish. La logica delle sue parole era inequivocabile, ma la ragazza ancora ignorava il dettaglio principale: perché aveva convinto lord Tywin che sarebbe stata più utile entro i confini di Harrenhal? Perché strapparla dal totale controllo che i Lannister potevano esercitare su di lei ad Approdo del Re? Lo Sterminatore di Re era ancora nelle mani di suo fratello, dopotutto: com'era possibile che l'avessero lasciata andare? Lord Baelish le aveva assicurato che l'avrebbe riportata a casa per amor di sua madre, ma il tetro castello verso il quale stavano andando non era Grande Inverno. Non era nemmeno remotamente vicino alla zona in cui pareva essersi accampato l'esercito di Robb.
Non fidarti mai” si ripeté per l'ennesima volta. “Non fidarti più di nessuno”.
«Per quale motivo avete bisogno di me?» chiese a voce bassa. «Perché mi avete tanto voluta con voi in questo posto?».
L'uomo le lanciò un'occhiata in tralice e fece un sogghigno.
«Senza di voi sarei stato povero di un'adeguata compagnia femminile, mia giovane lady» scherzò. «Per non contare il fatto che nulla rende più orgoglioso un lord del vanto di poter ospitare una principessa fra le proprie mura».
Sansa aggrottò confusa la fronte.
«Ma io non sono una principessa».
Lord Baelish fermò improvvisamente il proprio cavallo e allungò una mano per rallentare il trotto della puledra di Sansa. Si avvicinò a lei e inclinò il capo con gli occhi che parevano brillare quanto quelli di un gatto nell'oscurità. Le sue labbra sottili erano arricciate in un sorriso lievemente inquietante. Sansa si era resa conto solo in quell'istante che il Maestro del Conio di Approdo del Re non le aveva mai rivolto un vero sorriso. Così era parso a lei, certo, ma in verità i suoi sogghigni erano ferini e denigratori. Era come una faina, come una volpe, come un predatore che nascondeva le prede affinché predatori più grossi di lui potessero morire di stenti. Sansa guardò di nuovo il tordo beffeggiatore che l'uomo aveva reso suo personale simbolo.
Il tordo beffeggiatore” rievocò la voce di septa Mordane nella sua mente. “Un piccolo volatile assai raro e particolare che depista i propri nemici imitando il loro stesso verso”.
Le sfiorò appena la guancia arrossata con il pollice. Sansa si ritrasse d'istinto, ma la mano dell'uomo rimase lì, a pochi centimetri dal suo bel viso. Il suo sogghigno si fece più ampio.
«Ma tu sei una principessa, mia cara» sussurrò piano. «La principessa del Nord».
Sansa scosse testarda il capo. Un ricciolo rosso scivolò dal cappuccio e le finì davanti al volto.
«I Lannister non--».
«I Lannister non lo hanno ancora capito. Non lo capiranno mai... tu sei nata per essere regina». C'era una nota pericolosamente avida nella sua voce. Sansa ne rimase spaventata. «Le tue parole tremano insicure e le tue gote arrossiscono come i papaveri in primavera, ma nei tuoi occhi imperversa il mortale gelo del nord, mia cara. Io l'ho visto. Devi solo vederlo a tua volta».
Al secondo tentativo di toccarla, Sansa non reagì. Le scostò delicato il ricciolo dietro l'orecchio sinistro e le accarezzò lentamente la mandibola e il pallido collo.
«Chiediti, Sansa... qual è la cosa che più desideri al mondo?».
Lei fece un profondo respiro e per un attimo avvertì la sensazione di essere a un passo dal perdere i sensi. Quella volta non accadde, tuttavia. Continuò a fissare gli occhi inquisitori di lord Baelish, cercando invano di capire cosa stesse davvero succedendo, cosa realmente si supponeva dovesse fare. Le parole le risalirono la gola d'impulso e il loro suono parve fendere l'aria tra di loro.
«La testa di ognuno dei Lannister fra le mie mani».
L'uomo emise un soffio divertito, si allontanò da lei e comandò al cavallo di avanzare nuovamente.
«Un ottimo inizio, mia cara».

*

Erano trascorsi ormai diversi mesi dal giorno in cui Sansa Stark aveva varcato per la prima volta i cancelli di Harrenhal. Le nefaste storie sul castello venivano ancora sussurrate nelle cucine e nelle scuderie, la nebbia avvolgeva ancora gli alti torrioni e il vento s'insinuava ancora nelle stanze con feroce brutalità, ma lei aveva smesso da tempo di averne timore.
Maestro Gibaud stava scendendo dalla torre dove custodiva i propri corvi in quel preciso momento con una missiva arrotolata in una mano e un grosso mazzo di chiavi nell'altra. Sul suo volto paffuto e rubizzo comparve un'espressione stupita nel vedere la giovane immobile nel centro dell'androne di pietra. Sansa gli rivolse un sorriso affabile.
«Non avreste dovuto scomodarvi personalmente per portarmi il messaggio, maestro Gibaud» gli disse pacata, tendendo il palmo verso di lui con particolare eloquenza. «Ve ne sono davvero grata».
In un primo momento, l'uomo parve terribilmente spiazzato. Aprì la piccola bocca per rispondere, ma poi la richiuse e scosse veemente il capo.
«M-mia lady...» iniziò a balbettare. «Ho r-r-ricevuto l'ordine d-da lord P-Petyr in p-persona. N-non...».
«Sarà dunque mia premura consegnarlo a lord Baelish in persona, ve lo garantisco».
Petyr era stato previdente nella scelta dei servitori da portare con sé ad Harrenhal quanto in quella del maestro: Gibaud non era che un balbuziente povero di ambizioni e dalle abilità discrete che mai avrebbe immaginato di poter raggiungere una carica elevata quanto quella del maestro di un castello tanto grande e importante. Ciò che più di ogni altra aveva convinto Petyr a sceglierlo era stata proprio la sua evidente mediocrità. Quale altro imponente maniero avrebbe potuto offrirgli ciò che gli offriva Harrenhal? Fatta eccezione per lord Baelish, nessun altro lord lo avrebbe desiderato al proprio fianco.
Devi sempre dare ai tuoi alleati un valido motivo per non tradirti mai” le aveva detto pochi giorni dopo il loro arrivo ad Harrenhal. “Qualcosa che solo tu puoi offrire o rendere loro”.
Maestro Gibaud sembrava piuttosto combattuto.
«M-mia lady, i-io...».
Principessa” lo corresse mentalmente Sansa, storcendo appena il naso. «Vi risparmio la fatica di dover fare tutti questi gradini».
«L-lord Petyr m-mi ha d-detto di...» l'uomo si umettò le labbra e si passò una mano fra i lunghi capelli, ormai del tutto ingrigiti. «Oh, m-mia l-lady, v-ve ne prego, n-non arrabbiatevi, ma... il l-lord mi ha o-ordinato di...».
«Non mi importa» sbuffò lei spazientita, avvicinandosi a lui e strappandogli di mano il messaggio. Era un maestro piuttosto comodo, Gibaud. «Racconterò a Petyr che ve l'ho estorto con la forza, non temete».
«È q-quello... è d-davvero q-quello che a-avete a-appena f-fatto, m-mia lady» protestò debolmente lui, guardandola con aria avvilita. «L-lord Petyr m-mi ha f-fatto g-giurare di n-non a-assecondare i v-vostri c-c-capricci».
«Capricci?» ripeté oltraggiata Sansa. La sua voce risuonò trillante fra le pareti della torre.
Liquidò la questione con un gesto secco della mano e distrusse la cera lacca che chiudeva il rotolo di pergamena. Nel vederla leggere avidamente il messaggio, maestro Gibaud emise un lungo gemito pietoso. Sansa lo ignorò: le parole che stringeva fra le mani sembravano averla appena presa a schiaffi. Mosse incredula il capo un paio di volte, scuotendo febbrile la lunga treccia rossa.
«Che cosa...?» borbottò sconcertata fra sé. Alzò gli occhi su maestro Gibaud e aggiunse: «Ne sapete qualcosa?».
L'uomo scosse rapido il capo.
«N-no, m-mia lady. I-io n-non l-leggo i m-messaggi c-che--».
«Certo che no, ci impieghereste troppo a ripeterli» sbottò nervosa Sansa, accartocciando la pergamena fra le dita. I suoi occhi azzurri mandavano lampi. «Mio fratello attaccherà Alto Giardino. Perché mio fratello attaccherà Alto Giardino!?».
«I-io... i-io...».
«Non ho bisogno della vostra eloquenza, maestro Gibaud, grazie».
Gli voltò le spalle con un fruscio di gonne e s'affrettò a scendere nuovamente le scale senza aggiungere altro. Il maestro attese che l'eco dei suoi passi agitati svanisse del tutto prima di sospirare stancamente.
Oh... lord Petyr non ne sarà affatto contento...” pensò addolorato.

*

Petyr Baelish era seduto al lungo tavolo del proprio solarium, circondato da pergamene scarabocchiate di numeri e conti, un vassoio di formaggi non toccati, una caraffa di vino quasi terminata e una dozzina di alte pile di monete dorate. Sansa fece irruzione nella stanza con la grazia di un ariete da guerra. Non visto, Petyr sogghignò sotto i baffi.
«Mia cara, sei una meravigliosa visione per i miei occhi stanchi» le sorrise divertito, senza sollevare il capo dalle pergamene. «Avrei preferito fosse arrivata la serva con dell'altro vino, ma saprò dissetarmi con la tua sola bellezza».
Con una smorfia arrabbiata sul grazioso viso, Sansa attraversò l'intera stanza e gettò la missiva che aveva preso da maestro Gibaud fra le monete sparse davanti a Petyr.
«Così perdetti definitivamente il conto...» ironizzò lui. La lesse con aria distratta e le rivolse un'occhiata interrogativa. «Dunque?».
«Dunque?» esclamò sconvolta lei, con la stizza che montava nel petto secondo dopo secondo. «Dunque, Petyr, mio fratello va nella direzione opposta! Cavalca a ovest quando dovrebbe cavalcare a est!». «Starà guardando la mappa al contrario».
«Petyr!».
L'uomo la guardò rassegnato, emise un lungo sospiro e si lasciò scivolare con più comodità sulla ricca sedia intagliata. Intrecciò fra loro le dita e disse con tono serio:
«Era solo una remota possibilità, Sansa».
«Una remota possibilità che non avevamo valutato come avremmo dovuto» lo corresse duramente lei. «Ci serve Margaery, ci servono i Tyrell e ci serve Alto Giardino. Se mio fratello dovesse attaccarli, non--».
«Tu hai forse stretto qualche alleanza con i Tyrell?» la interruppe con tono saccente lui, vuotando la caraffa di vino nel proprio calice. «Hai forse sposato Loras? No, vero? Dunque non c'è nessuna clausola che impedisca a tuo fratello di radere al suolo i loro profumati giardinetti».
«Ma è una cosa stupida!».
«Lo è di certo dal tuo punto di vista, ma sono quasi sicuro che tuo fratello ne abbia di ben differenti...» ribatté lui con un sorriso leggero. «Tuo fratello ragiona da condottiero, mia cara, non da diplomatico. L'influenza dei Tyrell ad Approdo del Re è importante per noi, ma non per lui. Agli occhi di tuo fratello non sono che dei pericolosi alleati dei Lannister».
«Ma non lo sono».
«Non crederai siano nostri alleati».
«Se tu mi lasciassi parlare con Robb, ci sarebbe più utile».
«Perdonami, Sansa, ma è meglio che a tal proposito tuo fratello resti ignorante. Ho già imparato a mie spese quanto possono essere testardi gli uomini della tua famiglia».
Sansa gli rivolse un'occhiata rancorosa. Poi girò attorno al tavolo, si appoggiò con la schiena al bordo e incrociò le braccia al petto come una ragazzina viziata. Petyr rimase a guardare il suo broncio con occhi brillanti.
Era cresciuta in un modo strano, Sansa Stark. A Grande Inverno le era stata riempita la testa di favole, cavalieri e grandi giostre in onore di sovrani altrettanto grandi; Approdo del Re le aveva prima adornato il capo di vanterie senza fine, rendendola una donna solo nell'apparenza e lasciando morire la vera ragazzina nel fango di una realtà che aveva dovuto comprendere a caro prezzo. Grande Inverno le aveva insegnato l'arte del contegno e dell'eleganza, e Petyr era certo sarebbe diventata una meravigliosa cagnolina da compagnia, se solo Approdo del Re non l'avesse trasformata in un piccolo mostro.
Prima di giungere ad Harrenhal, Sansa era stata una bellissima giovane avvezza ai capricci e dal carattere sciocco; ora era una bellissima giovane avvezza a capricci e dal carattere volubile e pericoloso.
La lingua di Petyr aveva dipinto davanti ai suoi occhi straordinarie immagini di inarrivabile maestosità, di domini senza fine, di troni e potere. Le aveva insegnato a giocare a scacchi senza più il morboso gusto del passatempo, le aveva mostrato per quale motivo era consigliabile muovere prima la cavalleria e poi la fanteria. Petyr non aveva mai comandato un esercito, ma ne aveva dirottati a decine: conosceva il vero volto della guerra, quello comodo e preciso, quello tessuto attorno ai tavoli dei lord. Sansa stava imparando in fretta, ma l'euforia della gioventù la spingeva ancora troppo spesso in errore.
«Cosa succederà se Margaery dovesse confessare il nostro coinvolgimento nella morte della regina Cersei?» s'informò con voce preoccupata Sansa.
Petyr si alzò in piedi con una smorfia e si avvicinò alla finestra. Per quale istante parve completamente distratto dai servitori che affollavano il cortile interno del castello. Quando parlò, la sua voce vibrava di sicurezza.
«Noi non abbiamo fatto nulla, mia cara» le disse con un sorriso storto. «Tu eri con me ad Harrenhal su ordine della stessa famiglia Lannister e io stavo perdendo la pazienza poiché non sei che una sciocca ragazzina con la testa piena di ballate».
Sansa fece un versetto sarcastico.
«Noi non eravamo ad Harrenhal, io odio le ballate e Margaery Tyrell lo sa».
«Margaery Tyrell non parlerà».
«Come fai ad esserne certo?».
Negli occhi di Petyr s'accese una luce scaltra.
«Perché la corona che porta sul capo scivolerebbe in fretta, se qualcuno dovesse scoprire che l'amata regina Margaery ha complottato nell'assassinio della madre del nostro re Joffrey».
«Joffrey non è il mio re».
Il tono perfido con cui Sansa aveva parlato strappò a Petyr una leggera risatina sprezzante. Distolse lo sguardo dalla finestra e si avvicinò a lei, appoggiando le mani sul bordo del tavolo a pochi centimetri dalle sue cosce.
Era così simile a Catelyn, eppure così diversa. Ne aveva la bellezza, certo, forse ne aveva perfino di più. I capelli di Sansa erano più rossi e lucenti, i suoi occhi azzurri più freddi e spietati, le sue labbra più piene e pronte alla derisione, le sue spalle e i suoi fianchi scendevano in linee più morbide di quanto non avesse mai potuto vantare sue madre. Catelyn aveva la grazia dei fiumi, ne aveva attinto la loro statica determinazione, ma Sansa... Sansa era una Stark spezzata dalle meschinità del Trono di Spade. Il suo animo era gelido già da prima che la giovane imparasse a mentire tanto abilmente. Era nata per mentire, Sansa, ma nessuno prima di Petyr aveva avuto il cuore di farglielo notare.
L'onore degli Stark è ammirevole, non v'è dubbio, ma porta a scelte piuttosto incaute” le aveva detto diversi mesi prima. “Qualcuno dovrebbe dire a tuo fratello che non è con l'onore che può sperare di conquistare i Sette Regni”.
Anch'io sono una Stark” aveva ribattuto indignata lei.
Petyr le aveva sfiorato appena la guancia.
No... tu sei molto di più”.
Sansa si mordicchiò il labbro inferiore e gli passò una mano fra i capelli scuri, scompigliandoli con una risatina divertita. Lui stette al suo gioco e si limitò a fingersi spazientito.
«Robb non riuscirà a conquistare i Sette Regni, non è vero?» mormorò piano lei, carezzandogli piano la nuca.
«Più il suo esercito si allontana dal Nord, più il Nord si spezza. La sua stoltezza ha già causato la caduta di Grande Inverno».
Nell'udire le sue parole, Sansa non fu in grado di camuffare del tutto il dolore. Petyr le avvolse il volto con una mano, beandosi della sensazione della sua treccia rossa che sfiorava le sue dita.
«Riprenderemo Grande Inverno. Prenderemo tutto il Nord e prenderemo tutto il Sud» ripeté deciso. Le sue labbra erano a pochi centimetri da quelle della giovane. Ogni suo sussurro vibrava nell'aria come una carezza lasciva. «Avrai ogni cosa».
«I miei fratelli sono morti» mormorò con voce roca e distante. D'un tratto le sue palpebre si assottigliarono in due minuscole linee di rabbia, i denti bianchi si conficcarono nel labbro inferiore e le narici si dilatarono un poco. Quando guardò di nuovo Petyr, nei suoi occhi si era accesa una luce un po' folle. «Ucciderò Theon».
Petyr le baciò la fronte.
«Qual è la cosa che più desideri al mondo, mia cara?».
«Il Trono...» soffiò lei nel suo orecchio, stringendosi a lui con forza. «Portami il Trono, Petyr, e io prenderò ognuna delle loro teste».
Con il volto immerso nell'aroma dolciastro dei suoi capelli, l'uomo sogghignò vittorioso.

*

Alle luce delle torce, il corpo nudo di Sansa sembrava ancora più pallido. I capelli rossi sparsi sul cuscino brillavano come fuoco e le fiamme si riflettevano nel gelido azzurro dei suoi occhi. Seduto al suo fianco nella loro tenda, Petyr la fissava con un cipiglio preoccupato.
«Vedere la propria regina straziarsi nello sconforto non aiuterà i tuoi uomini».
«Sono gli uomini di mia zia Lysa, non i miei».
Petyr si passò una mano fra i capelli e sbuffò stizzito.
«La quale ha gentilmente appoggiato la tua causa. I soldati della Valle sono molto orgogliosi: se dovessimo perdere la loro fiducia, sarebbe la fine».
Scoraggiata, Sansa voltò il capo sul cuscino.
«Arya ha solo quindici anni. Com'è possibile che abbia potuto prendere il posto di Robb?».
«Tuo fratello non avrebbe dovuto sposare quella ragazza di Volantis» ribatté lui pungente. «Il Nord non dimentica».
Si alzò dal letto e si avvicinò al traballante treppiedi sul quale era stata appoggiata una ricca caraffa d'argento dal manico adornato di scintillanti topazi. Riempì per metà un calice altrettanto raffinato e se lo portò alle labbra con estenuante lentezza. Sansa fissò angosciata la linea magra della sua schiena.
«Ma ha dimenticato me» disse con pena. «Io sono la secondogenita di casa Stark. Arya è solo una ragazzina».
«Arya cavalca al fianco del legittimo erede di Robert Baratheon e il suo esercito promette vendetta a chi a causa di questa guerra ha perduto ogni cosa. Il popolo li invoca. I Lannister li temono».
Sansa non replicò e rimase a guardarlo con intensità. I capelli attorno alle tempie di Petyr si erano notevolmente ingrigiti in quei cinque anni di affanni e intrighi. Perfino nel suo impeccabile pizzetto scuro si contavano sottili fili di bianco. I suoi sogghigni carichi di promesse avevano ora il sapore della sconfitta.
Come ha potuto la situazione sfuggirci fino a questo punto?” si chiese nel vedere l'espressione stanca incisa sul volto dell'uomo. “Avevamo calcolato ogni cosa”.
«Arya potrebbe cadere in battaglia».
Aveva parlato con istinto brutale, secco, deciso. I suoi occhi lampeggiavano di disperazione, le dita artigliavano le lenzuola. Sansa non si fermò a domandarsi se desiderasse realmente la morte della sorella. C'erano segreti che era meglio restassero tali perfino con l'ombra di se stessi – e lei lo aveva imparato sulla propria pelle.
Petyr sedette sul bordo del letto, con le spalle incurvate in avanti.
«Non avresti dovuto voltare le spalle a tua madre» la rimbeccò debole, scuotendo affranto il capo.
«È mia madre ad aver voltato le spalle a me!» protestò con improvvisa rabbia Sansa, sollevandosi su un fianco e colpendo con un pugno il materasso. «Non ha fatto che ostacolare ognuna delle nostre mosse. Non ha mai capito ciò che avremmo potuto fare se avessimo unito le forze. Se solo Robb non fosse stato così debole e non avesse permesso a quella folle di Arya di... di...» si morse le labbra e lasciò che le parole si perdessero nel vuoto, incapace di contenere la stizza. «La forza di zia Lysa si fa flebile di giorno in giorno... i suoi alfieri attraversano il Tridente per giurare fedeltà a Gendry Waters, mentre mia sorella... mia sorella ha tagliato la testa della sacerdotessa rossa di Stannis Baratheon. Dicono non sia stata una morte particolarmente degna di R'hllor».
Appoggiò una mano alla schiena di Petyr e gli prese il calice con l'altra. Si appoggiò alle sue spalle con il corpo nudo premuto contro il suo e bevve piano. L'uomo aveva lo sguardo talmente perso nel vuoto da non accorgersene nemmeno.
«Dobbiamo andarcene».
Per Sansa fu come ricevere una frustata in pieno volto. Si strinse a lui con disperato bisogno e affondò il viso nell'incavo del suo collo. Le sue unghie si conficcarono appena nel suo petto e lui gemette fra i denti, coprendo la sua mano con la propria e stringendola con affetto.
«Non mi puoi abbandonare adesso. Siamo a un passo dal Trono di Spade».
«Lo eravamo prima che tua sorella scendesse in campo con il bastardo di Robert» la corresse in un soffio. «Gendry Waters è un nemico che noi non possiamo affrontare».
«No!» contestò piccata lei, liberandosi dalla sua stretta gentile e acciambellandosi al suo fianco. «Abbiamo schiacciato Cersei Lannister, Margaery Tyrell, Roose Bolton... le Torri dei Frey sono crollate per merito nostro».
Il suo bel volto era di nuovo storto in quella smorfia capricciosa che non l'aveva mai del tutto abbandonata. Suo malgrado, Petyr si ritrovò a sorriderle.
«Nessuno di loro nutriva l'amore del popolo quanto Gendry e tua sorella. Lui incarna la forza dei Baratheon e lei lo spirito esaltato degli Stark. Ovunque passano le genti levano cori in loro onore. Dimmi, Sansa... qualcuno ha mai composto una ballata per te?».
La sua ironia la fece infuriare ancora di più. Scagliò il calice con rabbia distruttiva verso il centro della tenda. Il vino che macchiava il terriccio battuto sembrò agli occhi di Petyr un presagio funesto.
«Io detesto le ballate!» strillò la ragazza. «E non andrò da nessuna parte!».
«Daenerys Targaryen ha fatto approdo a Lancia del Sole».
La sorpresa cancellò ogni traccia della sua ira. Sansa lo fissò con le labbra vagamente dischiuse in una muta esclamazione di sconcerto. Scosse piano il capo, con gli occhi sgranati e la gola secca.
«T-Targaryen? L-lei è... viva?».
«E cavalca attraverso le terre di Dorne con i suoi draghi, seguita dal più colossale esercito di dothraki che un essere umano abbia mai veduto».
«Credevo fosse morta».
«Se non lo avessimo creduto anche di Gendry e tua sorella, ora non saremo costretti ad abbandonare i Sette Regni».
«Io non ho intenzione di--».
«Di morire? Me lo auguro, mia cara» la interruppe rude lui, afferrando con decisione il suo polso destro. Era talmente sottile che Petyr avrebbe potuto avvolgere nella stessa presa anche l'altro. Sansa lo guardò indignata. «Svuotiamo le casse di Harrenhal e di tua zia Lysa, facciamo rotta per Lys... un quarto dei bordelli dell'isola è di mia proprietà. Vivrai come una regina in una delle più belle isole dell'Est, Sansa, non--».
«Ma non sarò regina».
Era schietta, diretta, implacabile. Era la fine del loro gioco, il fallimento di ogni intrigo grazie al quale avevano continuato a remare verso Approdo del Re. Non aveva mentito, lui, nel dire che c'erano quasi arrivati... erano davvero stati a un passo dal Trono di Spade e lui già si beava dell'immagine meravigliosa di Sansa con la corona in testa e con le vesti di seta ad avvolgere le spade di ferro dell'ambito scranno. Non era difficile sognarsi al suo fianco, con il tordo beffeggiatore riccamente cucito sugli stendardi reali.
Re Petyr Baelish, primo del suo nome” risuonava spesso nella sua testa. E quando si ritrovava a fissare Sansa davanti alla toeletta, persa nel sonno fra le lenzuola o con le cosce strette attorno ai propri fianchi e le gote arrossate dal piacere, la voce della sua fantasia riprendeva a gridare con ferocia:
Vinceremo noi”.
E ora rischiavano di perdere anche la possibilità di fuggire.
«Sansa, sii ragionevole».
La giovane si strinse al suo collo e mordicchiò appena il suo labbro. Petyr socchiuse gli occhi e la baciò come se avesse avuto la certezza che quella sarebbe stata l'ultima volta. Le passò una mano fra i lunghi capelli rossi, le carezzò le spalle candide, godette del suo inebriante profumo.
«Dimmi, Petyr... qual è la cosa che più desideri al mondo?» chiese Sansa con voce flautata.
Lei avrebbe dovuto essere la sua chiave per raggiungere il Trono di Spade. Era la sciocca figlia di Catelyn Stark, era un'ingenua bambina del Nord grazie al cui nome sarebbe diventato re. Lo aveva creduto a lungo, Petyr, e quando si era accorto di aver commesso il madornale errore di sottovalutarla, era ormai troppo tardi. Lei era già diventata più forte di lui – a lei bastava muovere le labbra per averlo al suo giogo. La risposta giaceva sulle sue labbra da tempo immemore.
«Solo te, mia regina».
Sansa sorrise soddisfatta e alzò con orgoglio il mento.
«Vinceremo noi».

*

Se il tempo aveva trasformato la graziosità adolescenziale di Sansa nella giovane nobildonna più bella dei Sette Regni, lo stesso trascorrere degli anni aveva reso i tratti spigolosi e cavallini di Arya ancora più secchi e rudi. Il suo volto pallido era ancora magro e allungato e il suo corpo ossuto era in perenne e nervoso movimento. Portava i capelli neri corti quanto quelli di un uomo, calzava abiti di foggia maschile e mentre fissava la sorella più grande in ginocchio davanti a lei le labbra erano tirate in una fredda linea sottile.
«Sansa».
La sua voce era gelida e penetrante quanto l'inverno.
«Arya» rispose con un sorriso nostalgico Sansa. Le corde strette attorno ai suoi polsi sfregavano dolorosamente la pelle. «Porti i saluti di nostra madre?».
Arya scosse la testa e fece uno sbuffo di perfido sarcasmo. Sarebbe stata pronta a negarlo davanti a ognuno dei loro dèi, ma quell'espressione feroce e inumana sul volto della sorella più piccola faceva più male di quanto non avesse creduto. “Giocavamo a Grande Inverno come se l'estate non dovesse mai finire” ripensò tristemente. “Che ne è stato di tutti noi?”.
«Hai rinnegato nostra madre nello stesso momento in cui hai deciso di combattere contro la tua famiglia» sbottò tagliente Arya, scrutandola con enorme disprezzo. «Se solo avesse ancora una testa con la quale guardarti, nostro padre si vergognerebbe di averti generato».
Sansa sorrise placidamente. Gli uomini di Gendry – re Gendry – erano avvolti in un silenzio palpabile, incappucciati sotto i vessilli degli Stark mentre i primi fiocchi di neve cadevano sui loro mantelli. La giovane socchiuse gli occhi: la sensazione del freddo fra i capelli sciolti aveva il sapore di Grande Inverno.
Io sono una Stark” si ripeté con forza.
«Sarebbe altrettanto lieto di sapere che la spada di sua figlia è affondata nel ventre dell'uomo che lui stesso aveva scelto come suo re» fu la sua replica. «Nostro padre desiderava Stannis Baratheon sul Trono di Spade, poiché era il legittimo erede. Con che coraggio accusi me di tradimento? Con quale onore calzi i colori del nostro meta-lupo?».
La furia distorse d'improvviso i tratti rigidi del volto di Arya. La sua voce echeggiò nell'accampamento come il boato di un tuono.
«Non osare! Gendry è il legittimo erede!».
«Sette sono le terre che compongono il nostro regno, sorella, e altrettanti sono coloro che si dichiarano i suoi legittimi sovrani» spiegò piano. «Non esistono eredi al Trono di Spade. Non sono mai esistiti».
«Hai marciato verso Approdo del Re con la convinzione di poter diventare regina».
«Tu no?».
Arya spostò il peso da un piede all'altro. La lunga spada che era appartenuta a Eddard Stark brillò al suo fianco sotto le prime luci dell'alba.
«Io ho combattuto per giustizia».
La risata di Sansa risuonò atona. Qualcuno degli alfieri di Robb Stark si mosse nervosamente alle spalle di Arya, senza il coraggio di frapporsi nella pericolosa discussione fra le due sorelle.
Abbiamo litigato così tante volte” ricordò Sansa. “E per così tante sciocchezze”.
«Nostro padre è morto per giustizia. V'è una considerevole differenza fra ciò che ha fatto lui e ciò che hai fatto tu. Hai insanguinato le terre dei Lannister e dei Tyrell proclamando un bastardo come sovrano. Il lord nostro padre ha sacrificato la sua vita per permettere a Stannis Baratheon di rivendicare il proprio diritto al Trono di Spade».
«Ditocorto si è macchiato della sua morte quanto Joffrey e Cersei».
«Questo è ciò che ti hanno detto?».
«Questo è ciò che è stato».
Sansa inarcò critica un sopracciglio.
«Il tuo regno durerà molto poco, Arya».
Il colpo arrivò talmente in fretta che Sansa non ebbe il tempo di rendersene colto. Lo stivale di Arya le colpì duramente lo zigomo, facendola cadere con il volto nel terriccio freddo. Il dolore giunse in tutta la sua implacabile morsa solo qualche secondo più tardi. Quando trovò nuovamente la forza di parlare, la sua voce tremava un poco, ma il suo tono era ancora intriso di feroce sicurezza.
«Oh, sono certa che nostro padre sarebbe così fiero anche di questo...».
«Taci!» strillò rabbiosa Arya, con le gote arrossate dal vento e dalla furia. «Tu non sai niente di nostro padre! Tu sei la causa per la quale è morto!».
Sansa chiuse gli occhi d'istinto e l'immagine del corpo di suo padre che si afflosciava sul patibolo senza testa tornò vivida a incendiarle i ricordi. Il compiacimento di Joffrey, lo scalpore della folla, lo stupore della regina Cersei, la stretta soffocante del Mastino attorno al suo petto... e un unico pensiero nella testa: “Non può morire, mio padre non può morire, lo hanno giurato, lo hanno promesso, è mio padre, lui non può morire”. E poi ser Payne che donava alle smanie della gente di Approdo del Re la vista del capo reciso del lord di Grande Inverno. E lei che cadeva, precipitava, moriva...
«Non sputare sul mio onore più di quanto tu non abbia il diritto di fare, Arya» la rimbeccò seriamente. «Amavo nostro padre quanto lo amavi tu. Amavo ognuno dei nostri fratelli allo stesso modo».
«Davvero?» sibilò sprezzante la sua voce. Si chinò davanti alla sorella e le sollevò con rudezza il volto. Non erano mai apparse tanto diverse. «Eppure hai complottato alle spalle di Robb per interrompere la sua conquista del Sud. Hai dimenticato Bran e Rickon, hai dimenticato lo sfregio che dei loro corpi è stato fatto, hai dimenticato Grande Inverno, nostra madre, la nostra famiglia. Tu e Ditocorto avete cercato di affondare ognuno di noi».
Abbiamo cercato di vincere”.
«Daenerys Targaryen sta risalendo l'altopiano alla guida di un pericoloso esercito dothraki. Se solo tu e il tuo re bastardo aveste guardato un poco più avanti del vostro naso, avreste potuto accorgervi della sua minaccia. Adesso è tardi, Arya». “È tardi per ogni cosa”.
«Non siamo sprovveduti quanto credi» replicò seccata. «Attendiamo il momento più adatto per distruggerla».
Sansa rise ancora. La sua ilarità bruciava di una beffarda derisione che non fece che incrementare la rabbia della sorella minore.
«E come distruggerai i suoi draghi? Li brucerai, forse?».
«Li spazzerò via come ho spazzato i leoni dei Lannister».
«Un leone non è un drago». Le labbra di Sansa si storsero in un sogghigno sarcastico. «E la tua onorevole avanzata è a un passo dal baratro».
Arya sbuffò innervosita e liquidò le sue parole con un cenno frettoloso della mano. Scambiò un'occhiata carica di eloquenza con un uomo dal ventre prominente che Sansa non conosceva. Sul suo petto troneggiavano due lunghe asce incrociate attorno a un corvo. “Casa Dustin” ricordò Sansa. “L'intero Nord è contro di me”. Lo sconosciuto vassallo degli Stark fece a sua volta un cenno a un paio di soldati che non indossavano nulla più di una cotta di maglia rovinata. Sparirono per qualche secondo dalla vista di Sansa e quando riapparvero sorreggevano fra le braccia il corpo semicosciente di Petyr.
Portava addosso solo un paio di logore braghe di lana marrone strette ai fianchi da una corda ruvida. Accanto ai due uomini di Dustin che lo stavano trascinando, il suo corpo magro sembrava ancora più piccolo e fragile. Il segno rosso della cicatrice lasciata dalla spada di Brandon Stark riluceva sul suo malsano pallore come carne viva.
Lo gettarono sgraziatamente in terra, strappandogli un gemito sommesso. Per un attimo, Sansa dimenticò di respirare. Mentre Arya lo obbligava ad alzare il capo con la punta dello stivale, avvertì la rabbia risalirle implacabile la gola secca.
«Non toccarlo».
«È questa la tua scelta?» Lo sguardo di Arya si velò di tristezza, ma la sua voce vibrava ancora di collera. «Scegli l'uomo che ha tradito nostro padre al posto della tua famiglia?».
Petyr levò faticosamente il capo. Un copioso rivolo di sangue scendeva dalla tempia lungo la mandibola. Sansa lo vide scuotere impercettibile la testa. Le sua labbra screpolate tentarono di articolare un vago borbottio che la giovane non fu in grado di comprendere.
«Scelgo l'uomo che la guerra ha voluto farmi scegliere» rispose con naturalezza Sansa. A giudicare dalla luce triste che attraversò gli occhi di Petyr, quelle non erano le parole che sperava di udire. «Non è la stessa cosa che hai fatto tu, Arya?».
Arya storse il naso con disappunto.
«Io ho scelto il legittimo re».
«Voltando le spalle a Robb nel momento stesso in cui l'appoggio del Nord si faceva più debole, insinuandoti fra i suoi vassalli al fianco di questo acclamato ragazzo-toro e strappandogli la corona dal capo...» continuò Sansa senza remore. «Io desideravo strappare il trono ai Lannister. Tu l'hai rubato a Robb. Dimmi, Arya: chi di noi ha davvero tradito la nostra famiglia?».
Non ricevette alcuna risposta. Arya si posizionò accanto a Petyr e si rivolse ai propri uomini.
«Uomini del Nord! Uomini del Tridente! Costui è lord Ditocorto, Maestro del Conio dei Lannister, membro del loro Concilio di impostori e voltagabbana. Si è macchiato del complotto che ha portato lord Eddard Stark al patibolo!».
«Traditori!» echeggiò il coro furente. «Traditori del re!».
«La legge del Nord è nota a noi tutti» riprese Arya con voce febbrile. Si voltò per rivolgere un'ultima occhiata impietosa alla sorella. «Il tradimento è punito con la morte».
«No...» sfuggì dalle labbra di Sansa. La paura le attanagliò improvvisamente le viscere. Arya non poteva giungere a tanto. «Arya...».
«Che gli antichi dèi giudichino secondo la loro legge! Noi, ora, giudichiamo secondo la nostra!» continuò a tuonare. La folla ruggì la sua approvazione. La mano di Arya scivolò sull'elsa della spada appartenuta a Ned Stark. «Lord Petyr Baelish, i tuoi pari ti dichiarano colpevole di complotto e tradimento ai danni di re Gendry, primo del suo nome, legittimo erede di Robert Baratheon».
Petyr stentò un tremulo sogghigno, ma era ben lontano il tempo in cui la piega delle sue labbra poteva incutere timore.
«Un re che a sua volta uccise un altro legittimo erede...» biascicò. «Il gioco del trono è molto ironico, non trovate?».
Arya lo ignorò, ma Sansa scattò in piedi terrorizzata. Lord Dustin fu lesto a bloccarla in una stretta micidiale.
La giovane non riusciva a rendersi conto di cosa stesse accadendo. Era davvero Arya, quella che stava levando la spada di suo padre? Era Arya, dannazione, era la sua sorella più piccola... ma dov'era il tempo in cui giocavano a rincorrersi fra le mura di Grande Inverno? Robb e Jon davano battaglia nel cortile con spade senza punta, Bran s'allenava invano con l'arco, Theon derideva ogni suo fallimento, Rickon lo sbeffeggiava a sua volta senza che il ragazzo riuscisse a vederlo, Arya le tirava la treccia rossa e fuggiva, e lei strillava e sfrecciava lungo la sua scia, gridando che l'avrebbe strangolata, ma c'era il sorriso sul suo volto, c'era un sorriso su ognuno dei loro volti... c'era stata l'estate, c'era stato un tempo in cui la guerra non era che una storia raccontata davanti al fuoco.
Non è vero. Mia madre non lo permetterebbe, mia madre non avrebbe lasciato che Arya perdesse il senno... mia madre non lo farebbe”.
«No!» strillò spaventata, cercando invano di dimenarsi fra le braccia di lord Dustin. «Arya, ti imploro!».
Petyr fece un lungo sospiro e la guardò con espressione impenetrabile.
«Qual è la cosa che più desideri al mondo?» le domandò con voce ansante. Tremava, ma i suoi occhi brillavano ancora di vivace arguzia.
«Petyr...» lo chiamò mentre le lacrime iniziavano a sgorgarle incontrollabili sul volto esangue.
«Qual è, mia regina?».
Sansa non aveva idea di cosa desiderasse in quel momento. La vita di Petyr, probabilmente, il rinsavimento di Arya... non credeva sarebbe davvero giunta a questo. Ancora non se ne rendeva conto. Doveva essere un trucco, doveva essere uno scherzo, sua sorella era solo una bambina infilata nel costume di un soldato... ma Petyr era lì, davanti a lei, con la disperazione negli occhi e l'ombra della spada sul volto distrutto.
«Lys» esalò in un soffio di completa afflizione lei. «Desidero fuggire a Lys...».
L'uomo sorrise flebile e scosse appena la testa.
«Il trono, Sansa» la corresse. «C'è il trono che ho inseguito per tutta la vita in attesa della mia regina. Il trono più straordinario che occhio umano abbia mai visto. Solo per la mia regina... solo per te».
Il sibilo della lama fendette l'aria gelida in un lampo di metallo – il grido di Sansa lacerò ciò che di essa era rimasto. I corvi spiccarono il volo nel pallido cielo del primo mattino.
Qual è la cosa che desideri di più al mondo?” continuò a riecheggiare nella sua testa.
«Qual è la cosa che più desideri?» mormorò fra i denti Sansa, con gli occhi sbarrati inchiodati al terriccio. Il sangue di Petyr si stava allargando in una grossa pozza, girava attorno ai suoi piedi scalzi, si insinuava fra le sue dita. Il suo calore era stranamente confortante. «Qual è la cosa che più desideri al mondo, Arya?».
La sorella la scrutò con le palpebre strette, confusa. Nella stretta di lord Dustin, Sansa iniziò a tremare. La sua risata folle avrebbe fatto rabbrividire il più ardito degli uomini di Gendry.
«Tu lo sai?» le gridò, con i capelli rossi che danzavano come una fiamma davanti al volto sconvolto. Alzò gli occhi al cielo e rise ancora più forte, gettando il capo in avanti. «No, non lo sai... non lo sa nessuno».

«Qual è la cosa che più desideri al mondo?» domandò curiosa Sansa, alzando il viso dal suo petto magro e scostando un ciuffo rosso dalla fronte.
Petyr le sorrise con affetto e le sfiorò la guancia con il palmo della mano.
«Il Trono di Spade».
Lei inarcò dubbiosa un sopracciglio e si allungò sul suo corpo nudo come una gatta. Gli baciò delicata l'incavo della spalla, il collo, la mandibola. I suoi polpastrelli risalivano a memoria la cicatrice che solcava il suo petto.
«È la verità?».
Lui sogghignò nella penombra.
«Non scommetterci, mia cara».



   
 
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