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Autore: Nymphna    25/02/2013    7 recensioni
[Disney]1-Jasmine~ “Voglio volare” bisbigliò. Il vecchio Joe scoppiò in una risata strana, sguaiata, che sembrava l’abbaiare di un cane.
2-Cindy~ Lui l’aveva riconosciuta. L’aveva cercata. Ma, soprattutto, l’aveva trovata.
3-Ariel~ Quel ragazzo meraviglioso con la risata contagiosa e il viso impertinente l’aveva appena baciata.
4-Belle~ E lei voleva un’avventura? Lei chiedeva di avere qualcosa in più? Proprio lei, che non aveva mai fatto niente.
5-Esmeralda~ Prese un Tennessee Wisky e ne ingollò due grandi sorsi. Poi ripensò a Febo e la preoccupazione prese il sopravvento.
6-Aurora~ “Perché sorridi?” domandò la mora. “Ora ti racconto” disse Aurora, i capelli sciolti che si muovevano al vento “Anch’io ho trovato l’amore”
7-Jane~ "Io non voglio perdere la libertà. Ma soprattutto non voglio perdere papà. E nemmeno te."
8-Meg~ "Sei veramente … fantastica. Una forza” “No. Sono tremendamente sola”
9-Blanche~ "Ma quella sera il baco si era aperto e ne era uscita una meravigliosa farfalla.
10-A Whole New World~ Fine.
Genere: Generale, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 10, A Whole New World
(giovedì 30 luglio
)



Era una giornata soleggiata a New York e il caldo cominciava a farsi sentire insistente. I clacson delle automobili e dei taxi per la strada non erano affatto cambiati negli anni. Jasmine aprì gli occhi, svegliata dalle allegre urla del figlio Ahmed che giocava con Rajah, ormai invecchiato e raddolcito. Si girò su un fianco e vide accanto a sé suo marito, l’uomo fantastico che l’aveva presa per mano una volta, al Bazar, quando non era altro che una ragazzina, e non l’aveva più lasciata. Dormiva con gli occhi chiusi, le palpebre che si muovevano velocemente nel sonno, la bocca leggermente aperta e una mano appoggiata sopra il petto. La donna si alzò dal letto e scivolò in bagno, decidendo di concedersi una veloce doccia prima di andare a dedicarsi della famiglia e dell’importante giornata che si sarebbe svolta alla Reggia del Sultano. Quando si fu liberata della maglietta e della biancheria, si guardò allo specchio, come quella mattina di dieci anni prima. Non era cambiata poi molto. La gravidanza non aveva avuto effetti sul suo corpo ed era rimasta tonica e magra, forse per la mole di lavoro che ogni giorno aveva davanti. I capelli erano sempre più scuri e lunghi, gli occhi dolci e maliziosi avevano preso una certa dolcezza in più, ma non si era alzata di un centimetro. Ridacchiando delle sue fissazioni passate aprì l’acqua e si lasciò scivolare via il sudore notturno.
Quel giorno era importantissimo, perché era la decima volta che lei e tutte le altre ragazze ormai legate dall’indissolubile filo dell’amicizia si incontravano per festeggiare la rinascita di Blanche Woodson.
Jasmine aveva ricevuto molte mail, fotografie e telefonate e sapeva benissimo cosa stavano facendo tutte quante, ma non si incontravano mai, per un motivo o per l’altro. In fondo erano cresciute e ormai ognuna aveva i suoi pensieri, non poteva certo distrarsi con le feste.
Per quanto la riguardava, a ventisei anni, Jasmine era perfettamente felice. Per quanto avesse odiato quella casa e quel ristorante del centro di Manhattan, aveva imparato ad amarli, a dare la vita per i clienti e per i tavoli e non avrebbe mai permesso che qualcuno di diverso dal figlio si prendesse cura di quel nido. Capiva finalmente tutti i timori e le paure di suo padre, che era andato in Texas dalla zia, ma sperava che Ali si sarebbe dimostrato più indulgente nei confronti del piccolo Ahmed. In caso contrario, ci avrebbe pensato lei.
Uscì dalla doccia avvolgendosi in un asciugamano ma si bloccò sulla porta sorridendo quando vide il figlioletto, seguito a ruota dal gatto, entrare nella camera di soppiatto e saltare sulla pancia del papà, che tossendo spaventato subì l’agguato di prima mattina.
“L’ho preso, mamma, l’ho preso!” esclamò il bambino “Ho preso papà, proprio come Rajah prende il topolino finto!” Jasmine scoppiò a ridere e si avvicinò a entrambi, diede un bacio sulla fronte di Ahmed e uno sulle labbra di Ali, dando loro il buongiorno, per poi andare a vestirsi, mentre il marito ringhiava al figlio e i due cominciavano un inseguimento per la casa. Alzò gli occhi al cielo, prevedendo un vaso rotto entro pochi minuti. A volte non riusciva proprio a capire chi fosse più bambino fra i due, se il figlio o il marito. Ma in fondo, pensò, non li avrebbe amati così tanto se fossero stati due persone serie da morire.
Si infilò un paio di morbidi pantaloni azzurri e una t shirt in tinta, si legò i capelli e andò verso la cucina. Li trovò a rovistare nel frigo insieme, li spostò ridendo e preparò per tutti latte e cereali. Ahmed li amava, e da bravo bambino adorava specialmente quelli al cioccolato, magari ripieni e croccanti. Mise il cibo sul tavolo e mentre Ali e il bambino aspettavano, Jasmine rovesciò un po’ di cibo nella ciotolina di Rajah che faceva le fusa e fece due grattini al gatto, poi si unì alla famiglia per la colazione.
“Oggi è una giornata importantissima” annunciò “E il ristorante rimane chiuso” Ahmed la osservò con gli occhioni scuri spalancati.
“Pecchè?” domandò con il suo accento ancora infantile. La donna gli fece un buffetto sul naso.
“Perché oggi è il giorno in cui mamma fa la festa con tutte le sue amiche. Verranno Ariel, Aurora, Blanche, Meg, Esmeralda… ma questa volta ci saranno anche Cindy, Jane e Belle, che arrivano da molto lontano” disse, mentre l’espressione del bimbo cambiava e diventava felice. Jasmine sapeva che adorava Melody, la figlia di Ariel, della sua stessa età. Era stato così strano sapere della vivace rossa che aspettava un figlio, ma ancor più sorprendente era scoprire com’erano diventati lei ed Eric: da buffi, divertenti e avventurosi erano diventati quasi seri nel seguire il loro tesoro, e una volta avevano addirittura ammesso di pensare a un altro bambino.
“Ti serve una mano a liberare il piano di sotto?” le domandò Ali con un gran sorriso. Jasmine annuì.
“Non ho mica la formidabile forza dei miei due ometti” scherzò.
Quand’ebbero finito di mangiare e si furono vestiti, tutti e tre si diressero al piano di sotto, per spostare tutti i tavoli contro il muro, in modo da avere un grande spazio libero al centro della sala. Jasmine si diresse in cucina, per quel giorno aveva chiesto ai cuochi di lavorare e andò a controllare. Erano arrivati i due chef che aveva chiamato per l’occasione con i loro aiutanti e l’aspettavano in attesa di direttive, mettendosi il grembiule. La mora porse loro dei fogli che aveva stilato, che comprendevano tutti i cibi preferiti di ognuno degli invitati da fare in abbondanza, in modo che potessero mangiare da pranzo a sera senza interruzioni e senza mancanza di cibo.
Quando tornò in sala cominciò a dare una mano al marito a spostare i tavoli, e anche il piccolo Ahmed aiutava trascinando le sedie da una parte all’altra. Jasmine sperò che crescesse nel suo cuore ancora infantile un amore incondizionato per il ristorante, a differenza dell’odio che l’aveva legata per anni della sua vita.
Quando la stanza fu libera lanciò un’occhiata all’orologio e quasi si spaventò quando vide che erano già le undici e mezzo di mattina.
“Oh, cavolo! Ali! Ti prego controlla gli chef! Devo prepararmi! Ahmed, tesoro, vieni con mamma!” esclamò, per poi scappare con in braccio il bambino al piano di sopra. Era una giornata importante e non poteva permettersi di avere nemmeno un capello fuori posto. Finì di asciugarsi i capelli e si truccò attentamente, sottolineando i suoi occhi scuri a mandorla, poi indossò un elegante abito di seta con le maniche corte, che le scendeva fino sopra il ginocchio, decorato ai bordi con ghirigori d’oro, in contrasto con il lilla del vestito, calzò delle eleganti scarpette con il tacco alto color oro, con un fiocchetto sul davanti, si pettinò meglio i capelli, infilò una collana e un bracciale e andò a preparare il figlio, abbigliandolo con un paio di pantaloncini scuri e una camicetta bianca che seppe già sporca entro la serata.
Quando tornò al piano inferiore, Ali la guardò scendere dalle scale a bocca aperta, arrossendo lievemente, e Jasmine gli volteggiò fra le braccia. Il marito l’abbracciò forte.
“Sei bellissima, come sempre” commentò baciandole la fronte.
“E tu boccheggi ancora quando scendo vestita bene, come una volta”
“Perché non è cambiato niente da allora, dalla prima volta che ti ho vista. Tu sei sempre meravigliosa” le bisbigliò, per poi darle un bacio sulla guancia e andare anche lui a prepararsi per la giornata.


Cindy pose il piede calzato in una scarpetta con dodici centimetri di tacco, argentata, sul marciapiede davanti alla Reggia del Sultano a mezzogiorno in punto. Scese dal taxi con un movimento fluido e si portò una mano a coprire gli occhi per la luce del sole, sorrise guardando il familiare caos del centro di Manhattan, dopodiché si voltò con un sorriso verso Chris, che la seguì fuori dall’auto sorridendole, tenendo fra le braccia l'ovetto nel quale dormiva un bimbo di appena tre mesi, che già aveva una folta chioma dello stesso colore del papà, mentre gli occhi erano tutti quelli della mamma. Cindy era tornata velocemente in forma, grazie alla scuola di danza che aveva aperto a Vancouver, in cui teneva corsi per quasi tutto il giorno, e si era potuta permettere di indossare un aderente abito argento scuro per l’occasione, le maniche fino ai gomiti e una profonda scollatura sulla schiena. Guardandosi allo specchio dell’albergo non si era affatto trovata fuori forma.
“Siamo arrivati in perfetto orario” commentò Chris, cingendole la vita in un abbraccio “Come sempre grazie a te, tesoro mio” Cindy gli sorrise guardandolo negli occhi: era incredibile come la magia che era nata fra loro quella sera della festa non fosse affatto mutata in dieci lunghi anni.
“Entriamo? Fa un gran caldo, non vorrei che Noah ne soffrisse” propose poi, sbirciando la testolina del figlio adagiata tranquillamente sul cuscino. Era un bambino così dolce. Chris e la zia dicevano che aveva preso tutto da lei, ma Cindy non era d’accordo: somigliava molto più a Chris, e crescendo l’avrebbe dimostrato.
Il marito le aprì la porta galantemente, e appena entrata Cindy sospirò dal sollievo: l’aria condizionata era accesa. La seconda cosa che la fece sorridere fu il buffo bimbo di Jasmine e Ali, Ahmed, che non vedeva da due anni, che la guardò molto seriamente per poi dirle:
“Benvenuta signora!”. Cindy si chinò e lo guardò divertita.
“Grazie, signor Ahmed. Mi farebbe l’onore di darle un bacio?” Ahmed arrossì un po’ annuendo, la bionda lo circondò con le braccia e gli stampò un sonoro bacio sulla guancia piena. Jasmine si fece allora avanti, abbigliata con la consueta eleganza, che non aveva mai perso sin da quand’era solo una ragazzina. Le due ragazze si abbracciarono e una lacrimuccia minacciò di far colare il trucco a Cindy, che l’asciugò subito. “Da quanto tempo!” esclamò felice, baciando sulle guance Ali, mentre Chris si curava di appoggiare Noah su un tavolo e rimboccargli il lenzuolino.
“Caspita, Cindy, sembri ancora una ragazza! Non sei affatto cambiata nonostante la gravidanza e tutti i chili in più che ne derivano!” esclamò Jasmine, ma la bionda pensò che fosse un commento inutile, perché anche lei sembrava al massimo della forma.
“Grazie, ma è tutto dovuto solo al mio lavoro. Comunque, New York non cambia mai, eh? Sempre la solita metropoli!”
“Non per niente la chiamano la Grande Mela.” Le strizzò l’occhio Jasmine, per poi andare a congratularsi con Chris per il bambino e ad ammirarlo. Cindy si avvicinò a un muro e si sedette su una sedia, pensierosa. Tornare nella sua città natale le faceva sempre scaturire ricordi orribili, ma una volta l’anno si sforzava di intraprendere il viaggio per andare a trovare le sue amiche e la sua famiglia.
Sì, Cindy ancora andava a trovare la matrigna e le sorellastre. Ciò che le avevano fatto non aveva intaccato minimamente il suo buon cuore e nonostante i dolorosi ricordi le andava a trovare. Proprio quella mattina si era fatta portare da un taxi davanti alla vecchia residenza dei Tremaine ed era quasi rimasta scioccata notando il giardino incolto e pieno di erbacce secche, la polvere sulle persiane e le finestre incrostate di sporco ormai indelebile. Era entrata e la casa non profumava certo di pulito. Madame era seduta al tavolo, reggendosi il viso con una mano, abbigliata con la consueta eleganza ma decisamente trascurata: nascondeva i rattoppi del vestito con la fierezza incrollabile che la contraddistingueva. Anastasia da tempo se n’era andata, a quanto stava alle lettere che aveva ricevuto, si era alla fine fidanzata con il ragazzo della festa e un anno e mezzo dopo aveva lasciato il nido con lui. Si erano stabiliti in qualche città minore dello stato di Washington. Genoveffa invece era a casa anche quella mattina, sdraiata sul divano. Cindy non ci aveva messo molto a capire che non erano in una situazione facile, perché nessuna delle due si “abbassava” a lavorare. Così si era chiusa nella biblioteca con la matrigna e avevano deciso a tavolino che Cindy avrebbe passato loro una certa cifra di soldi al mese, che bastassero per il cibo, i vestiti e una donna delle pulizie, per poter vivere una vita dignitosa insomma. Madame aveva dovuto accettare la sua proposta, con grande umiliazione perché aveva sempre detto che non si sarebbe mai abbassata a chiedere la carità, ed era esattamente ciò che Cindy stava facendo. Le dispiaceva, ma d’altro canto capiva che prendere soldi dalla persona che aveva sempre umiliato e maltrattato era una punizione sufficiente, e la ragazza si era imposta di essere il più discreta possibile. Così le aveva dato i soldi in contanti, in una busta argentata, quella mattina stessa.
Chris non era stato affatto d’accordo con la sua scelta, ma l’aveva capita e accettata. Lui era più radicale di lei, e giustamente pensava che chi l’aveva fatta soffrire in quel modo avrebbe anche potuto andarsene all’inferno. Ma Cindy era troppo buona per lasciare la sua famiglia nei guai, nonostante tutto ciò che aveva subito.
“Ehi, tesoro” la chiamò Chris, sedendosi accanto a lei e cingendole le spalle con un braccio “Va tutto bene?” Cindy gli sorrise.
“Si, stavo solo ripensando a questa mattina, e alla mia vita prima di te. Mi è venuta un po’ di malinconia” ammise, appoggiandosi a lui. L’uomo, il suo uomo, dal giorno in cui si erano sposati, la strinse a sé, comprendendo le sue emozioni e dimostrandole che poteva contare totalmente su di lui.
“Sono tempi passati, Cindy” le disse piano “So che oggi siamo di nuovo a New York, siamo di nuovo in mezzo alle persone che hai conosciuto in quel momento e ricordiamo un avvenimento che ci sforziamo di rendere gioioso nonostante la sua drammaticità. So che stiamo festeggiando delle vite che sono cambiate totalmente e che inevitabilmente pensiamo a ciò che avevamo dietro, prima della svolta. Ma ora abbiamo un intero nuovo mondo davanti a noi. E nessuno ha il diritto di distruggercelo. Rendiamo
piacevole anche questo evento”.
Cindy lo guardò negli occhi e pensò che un uomo così bello non l’avrebbe mai trovato da nessun’altra parte. Pensò che Chris aveva ragione e che lui era stato il fratto fra un mondo di sofferenza ed umiliazioni, di sogni e restrizioni e uno di gioia e felicità, di sogni realizzati e libertà. Lo baciò dolcemente sulle labbra sentendo il desiderio ancora presente anche dopo dieci anni, gli sorrise con dolcezza e si alzarono per accogliere Ariel ed Eric che entravano dalla porta del ristorante, felici.


Ariel non aveva realizzato che un desiderio adolescenziale. Non era diventata ricca, anzi. Ora viveva in Florida, a Jacksonville, e campava su un negozietto che vendeva un po’ di tutto vicino a un benzinaio. Non era nemmeno diventata famosa. Certo, non era facile dimenticarsi della sua chioma rossa, dei suoi vispi occhi blu e della sua inesauribile vitalità, ma non poteva dire di avere la fama di Aurora. Non viveva in una villa, bensì in un appartamento che era sì accogliente ed elegante, ma pur sempre al secondo piano di un palazzone. Non era parte dell’élite: era semplicemente una proprietaria di un negozietto da cinque anni. Però aveva trovato l’amore e l’affetto di Eric, e vivevano gioendo della vita, del mare di Jacksonville, della caoticità di una città della Florida. D’estate uscivano la mattina presto, prendendo i surf, e si lanciavano fra le onde. La sera partecipavano a falò sulla spiaggia e a feste sulla sabbia e d’inverno non faceva mai freddo. E poi, era nata la luce dei loro occhi, che aveva riempito ancor più di felicità la loro vita: Melody, la loro prima figlia, che ora aveva quasi cinque anni e sgambettava sul marciapiedi, chiaramente non vedendo l’ora di arrivare a destinazione e giocare con qualche altro bambino. Ariel non era proprio sicura che si ricordasse di Ahmed, ma sperava che i bambini fossero talmente incuranti di quelle inutilità da diventare subito amici per la pelle.
Il cane che aveva al guinzaglio la strattonò.
Ebbene si, da quando se n’era andata da New York aveva cominciato a sentire la mancanza di quel rompiscatole di Sebastian e Eric di Max, così avevano preso altri due cani e non ne avevano più potuto fare a meno.
Si fermarono un momento davanti alla porta d’ingresso del ristorante e Ariel si girò a squadrare figlia e marito, che si somigliavano come due gocce d’acqua. Si accertò che la camicia di Eric fosse ben messa e non avesse macchie e che la bambina non si fosse ancora sporcata giocando, le sistemò i capelli scuri nel cerchietto e le diede un sonoro bacio su una guancia, mentre Eric apriva la porta.
“Prima le principesse!” dichiarò, mentre Melody sfrecciava oltre la porta.
“Allora prima io!” esclamò la bambina. I cani la seguirono e Eric scoppiò a ridere.
“Il caratterino è tutto di sua madre!” Ariel lo guardò con una finta aria di rimprovero, poi, quando sentì le grida e le risate dall’interno precedette il marito ed entrò nel ristorante. Sembrava tutto pronto: la sala da pranzo era stata totalmente sgombrata per loro, dei tavoli allineati al muro cominciavano a popolarsi di piatti profumati, Jasmine stava comandando a bacchetta un paio di camerieri e il povero Ali, che sghignazzava alla vista della moglie così affaccendata, i cani saltellavano intorno alla stanza e Melody e Ahmed stavano già litigando per un pupazzetto. Ariel pensò che non sarebbe potuto andare meglio di così. L’inizio era già di per sé un successone.
“Ariel!” esclamò Cindy vedendola e sorridendole garbatamente, nonostante non fossero mai state in rapporti stretti.
“Cindy, ma che piacere vederti! Come stai?” domandò Ariel baciandole le guance e notando, con un pizzico di invidia, che la ragazza sembrava ancora più bella di quando l’aveva vista l’ultima volta, quando ancora era incinta di pochi mesi. Aveva una forma invidiabile. Lei, invece, aveva preso qualche chiletto.
“Io bene, perfettamente. Ma sei una meraviglia! E come sei abbronzata! Il sole di Jacksonville splende tutti i giorni, eh?”
“Sempre, mai una giornata nuvolosa” confermò la rossa, per poi voltarsi verso Jasmine. Quanto le era mancata. La abbracciò stretta e le due si sorrisero con affetto. Certo, almeno una volta al mese cercavano di vedersi, e si chiamavano a giorni alterni. Ma la migliore amica è la migliore amica, e quando si vedevano, Ariel si rendeva sempre conto di quanto le fosse mancata la mora.
“Oh, Ariel, mi sei mancata molto” esclamò infatti Jasmine.
“Anche tu” confermò lei. La guardò un momento e scoppiarono a ridere, come da ragazzine.
“Aurora dovrebbe essere qui a momenti. Ha detto che questa mattina aveva qualcosa da fare, e che forse sarebbe arrivata in ritardo, ma non credo tarderà di molto… non è da lei.” Commentò la mora. Ariel annuì, poi Jasmine la lasciò momentaneamente per andare a dirigere ancora un po’ i camerieri, la rossa si avvicinò di soppiatto al tavolo con i cibi e si infilò in bocca una polpetta fumante. Si guardò intorno con aria innocente, mentre masticava più in fretta possibile, constatando quanto fosse buono il cibo del ristorante dell’amica, pensando che fosse addirittura migliorato, e incrociò lo sguardo di Eric, che ovviamente l’aveva vista. Lui alzò le sopracciglia come per dire “sapevo che avresti fatto qualcosa del genere” e lei alzò le spalle, come simbolo di “non è niente di sconveniente”. Si sorrisero.
Il rapporto con Eric era sempre stato splendido. Lei lo amava con gioia e passione e lui altrettanto. Il loro amore non era sdolcinato come quello di molte altre coppie, ma dinamico e pieno di risate, originale a modo suo. Ariel sapeva che avevano entrambi l’animo che sarebbe per sempre rimasto infantile, e questo era fantastico. Tornò per un momento indietro con il pensiero ai giorni in cui si erano conosciuti, e constatò che in effetti l’accoppiata Eric – Aurora non sarebbe durata molto: l’amica era matura per la sua età, e molto sensibile; non avrebbe mai tenuto il passo degli scherzi e delle ribellioni del ragazzo. Lui, d’altro canto, non avrebbe mai provato lo spirito d’avventura e di libertà che sua moglie gli offriva da sempre. Pensò che lei non aveva mai deciso di sposarsi, anzi, avrebbe voluto rimanere single per il resto della vita, ma che poi quando Eric gliel’aveva chiesto, portandola in barca a fare un giro, illuminati da piccole luci sull’acqua, le era sembrato così naturale accettare che non si era nemmeno ricordata dei suoi buoni propositi. Ma Ariel era fatta così, le idee andavano e venivano come la marea.
Pensò che avrebbe dovuto andare a visitare le sue sorelle prima o poi, ma quando ripensò alle loro vite decise che andare a fare un salto dal padre e da Alana sarebbe bastato e avanzato.
Le vite delle sorelle erano andate quasi tutte peggio della sua, ecco perché Ariel era così soddisfatta del suo destino. Acquata, che ora aveva trentatré anni, era diventata la responsabile di un acquario e si era sposata con un anonimo notaio, in ogni caso era quella che aveva fatto più strada fra tutte ed ora viveva in una villetta a due piani deliziosa, aveva due figli e tre gatti. Probabilmente aveva fatto molto bene a studiare all’università, perché si era così disegnata una vita migliore, o sicuramente con più denaro in cassa. La situazione di Andrina, invece, non era cambiata molto: insegnava sempre aerobica in qualche anonima palestra, l’unica differenza era che alla fine aveva capito che il suo ragazzo del Guadalupe era un bugiardo e aveva almeno tre amanti sparse per la città e dintorni, non si era quindi sposata con lui né era andata a convivere ed ora era single da anni, e secondo Ariel stava diventando una vecchia e antipatica zitella. Arista, che sembrava quella che avrebbe concluso meno di tutti, aveva invece mollato il ragazzo che faceva da pusher, ma si era guadagnata abbastanza soldi per entrare nell’élite, ed ora veniva mantenuta da un sessantenne che andava a casa sua solo per andarci a letto. In ogni caso, lei non si lamentava e ne era felice, così tutti avevano cominciato a pensare che forse non era stato così male come destino. Attina non aveva mai sfondato nel mondo della musica. Finita l’università nessun produttore discografico le aveva messo gli occhi addosso ed ora era ancora single e viveva cantando nel locali, la sera. Ariel pensava che fra tutte le sue sorelle fosse quella più insoddisfatta. Adella, quando Arista era diventata l’amante del veccho, era stata abbandonata e da quel momento si era trasferita da qualche parte del Kansas di cui nessuno sapeva niente, ogni tanto mandava a casa un po’ di soldi e una lettera dicendo di stare bene. Una volta la rossa le aveva lette tutte, e ne era risultato che aveva una fattoria, che si era sposata e aveva tre figli. Ad Ariel sarebbe piaciuto conoscere i suoi nipoti. L’ultima sorella, quella più unita ad Ariel, che molte volte andava a trovare, Alana, era rimasta invece a casa con il vecchio Tritone, si era sposata con un ragazzo onesto ma dolce e aveva avuto un bambino, Justin, che Ariel conosceva e che era un adorabile birichino con i capelli castani che era l’orgoglio del nonno, così come la sua Melody. Tritone andava ancora a pescare, ma se prima era amareggiato e stanco di vivere, quando aveva visto le sue due figlie preferite sistemate e con degli adorabili nipotini era cambiato totalmente ed ora era allegro e gioviale. Ariel non l’aveva ancora detto a nessuno, ma lei e Eric stavano segretamente tenendo da parte dei soldi per comprarsi una villetta che avevano visto a Jacksonville, in un quartiere elegante e semplice, con un vicinato delizioso e i marciapiedi con la corsia per le biciclette, e avevano tutta l’intenzione di andare a vivere lì con il padre di Ariel e la sorella con la famiglia. Eric stava aspettando trepidante che il padre lasciasse a lui la sua azienda, che li avrebbe portati ad avere i soldi necessari per vivere molto più agiatamente di adesso.
Ma Ariel non si lamentava. Mentre ancora era immersa nei suoi pensieri, la porta si aprì, e seguiti da un “oohh” generale entrarono Belle e Adam.


Belle entrò nel ristorante con Adam, e si accorse subito che il suo arrivo appariva una sorpresa. La cosa la fece ridere. Era vero che per tre anni di seguito non era riuscita a partecipare alla festa, e solo quell’anno lei e Adam erano riusciti a liberarsi dagli impegni, a prendere l’aereo e affrontare il faticoso viaggio fino a New York. Alla fine erano scusati, arrivavano da un altro continente.
“Belle!” esclamò subito Cindy, con un’espressione che faceva chiaramente pensare che qualcuno le avesse appena tirato uno schiaffo in pieno viso. Belle si morse un labbro, rendendosi conto di essere stata davvero antipatica a non aver detto all’amica che sarebbe venuta. Cindy era sempre stata buona e gentile con lei, aveva sempre cercato di starle accanto, l’aveva invitata più volte a Vancouver e non aveva mai mancato di farsi sentire. Poi la bionda scoppiò in lacrime e si nascose il viso fra le mani. Belle si sentì ancor più una schifezza. Certo, aveva una giustificazione a tutto, ma… corse incontro a Cindy e l’abbracciò forte.
“Cindy mi dispiace” esclamò, mentre nella stanza era sceso il silenzio “Mi dispiace di non essermi fatta sentire, mi dispiace di non essere venuta a trovarmi, ma ora se ancora lo vuoi resterò qui per un mese intero, d’accordo? Alla fine non mi sopporterai più…” la bionda ricambiò l’abbraccio e anche Belle si rese conto di avere le lacrime agli occhi. Quando si staccarono l’un l’altra, Belle si affrettò a salutare anche Jasmine, l’organizzatrice, e Ariel, rimasta a bocca aperta.
“Scusateci davvero se non siamo venuti prima, ma non è stato facile l’ultimo periodo” disse Adam, avvicinandosi a lei e prendendola per mano “Negli ultimi tre anni siamo stati molto impegnati a Parigi”
“Lo capisco” disse Cindy, con il sorriso, nonostante le lacrime le stessero ancora rigando il viso. Chris prese un fazzoletto e lo porse alla moglie. “Ora mi farebbe molto piacere se veniste con noi a Vancouver per un po’.”
A Belle dispiaceva davvero non aver mantenuto l’amicizia con Cindy per tanto tempo. In realtà da quando si erano visti tutti per la prima festa per Blanche, dieci anni prima, era tornata solo un paio di volte a New York. Il giorno dopo la festa era partita con il padre per l’Europa, lasciando Adam in America. Aveva sofferto moltissimo per quella partenza, perché la sera prima, facendo l’amore, il ragazzo aveva pianto tutto il tempo, senza fermarsi mai. Lei aveva capito quanto ci teneva, ma non poteva rinunciare a tutto proprio in quel momento, ne andava anche della vita di suo padre, che ormai negli USA non avrebbe più avuto un lavoro. Cindy e Jane avevano versato lacrime di tristezza e malinconia quando le aveva abbracciate per l’ultima volta e per molto tempo non aveva più voluto nemmeno sentire nessuno d’oltremare, perché sentiva il cuore spezzato e non riusciva a rendersi conto di essere così lontana da loro. Era stata arrabbiata con se stessa perché era partita, perché non aveva trascorso prima abbastanza tempo con loro, perché le mancava Adam e perché non era rimasta con lui. Poi si era infilata nuovamente nel suo bozzolo di insensibilità e aveva cominciato a studiare come una matta. Per mesi interi non aveva fatto altro che studiare e leggere, ma si era resa conto che anche i libri le ricordavano la sua vita negli Stati Uniti e si era ritrovata in lacrime più volte di quante ne avesse voluto.
Un giorno era cambiato tutto. Davanti alla Sorbonne si era scontrata con un ragazzo alto e dai capelli chiari che non si era spostato per chiederle scusa quando si erano scontrati. Lei aveva alzato gli occhi e si era resa conto che il ragazzo aveva una cicatrice che partiva dal naso e arrivava fino alla mascella, una cicatrice che lei conosceva fin troppo bene. Adam l’aveva presa fra le braccia e le aveva giurato che non l’avrebbe fatta mai più fuggire. L’aveva detto e l’aveva fatto, perché da quel momento si era trasferito a Parigi, aveva imparato il francese e aveva frequentato un’università di economia, aveva fatto pace con i suoi genitori e finalmente si era fatto giustizia denunciando Gaston e l’aveva così fatto finire in prigione per qualche anno, si era ripreso i soldi che i suoi gli avevano negato e amministava qualche azienda del padre. Poi aveva comprato una libreria, l’aveva ritrasformata ed era diventato un libraio, luogo in cui lavorava insieme a Belle, ed erano stati assorbiti per un paio d’anni da studi e libreria. Belle per i primi cinque anni in Europa non si era fatta viva in America, e raramente si faceva sentire, presa dai suoi impegni. Il sesto anno, una volta presa la laurea, era andata alla festa per Blanche, ma solamente di passaggio. L’anno dopo, il settimo, aveva cominciato a lavorare come insegnante universitaria di letteratura francese e nel tempo libero aiutava Adam, così non si erano mossi da Parigi. Durante gli anni successivi in quel periodo avevano fatto una vacanza in Italia e l’anno prima si erano sposati d’estate. Si vergognava un po’ di non aver invitato Cindy e Jane. Poi era tornata, e si sentiva terribilmente in colpa. Ancor di più notando che Cindy non ce l’aveva affatto con lei.
“Mio Dio, la mi amica Belle si è sposata…” mormorò la bionda, commossa. Le prese la mano sinistra e guardò l’anello. “E’ splendido. Sono così felice che alla fine anche voi abbiate fatto il grande passo… spero vivamente che vi porti moltissimo amore e felicità, anche se solo a guardarvi siete stupendi” Adam abbracciò Belle mettendole un braccio intorno alle spalle.
“E i figli? Avete pensato ai figli?” domandò subito Ariel, la solita curiosa. Belle sorrise imbarazzata, arrossendo, e fu Adam a rispondere.
“Non abbiamo ancora in progetto di averne, ma chissà cosa deciderà il destino…” disse felice. Sicuramente ci sperava e Belle ebbe l’impulso di dirgli di andare in quel preciso momento da qualche parte e concepirne uno, ma si controllò.
“Sarebbe bellissimo” aggiunse, per fargli capire le sue intenzioni.
“Inoltre ora siamo sistemati economicamente, abbiamo un bellissimo appartamento a Parigi, lavoriamo…” continuò lui. Cindy rise.
“Sarà la vostra più grande avventura.” Si scostò e Belle notò che dietro lei e Chris c’era un bambino che dormiva nonostante il caos e si avvicinò cauta, notando che era il bambino più bello che avesse mai visto.
“Oh mio Dio… ma questo è…” balbettò, confusa. Non sapeva nemmeno che Cindy avesse avuto un figlio!
“Si chiama Noah” lo presentò Chris con una dolcezza nella voce che Belle non aveva mai sentito prima “Ha solo tre mesi, ed è adorabile”
“Non ne dubito”
“E sta soprattutto resistendo al casino che fa una certa bambina affamata!” esclamò Ariel puntando lo sguardo sulla figlia mora, che assunse un’espressione del tutto uguale a quella materna. La rossa alzò un sopracciglio e Melody, che Belle aveva già conosciuto, posò immediatamente la polpetta di cui si era appropriata di soppiatto. Eric stava guardando divertito la scena e la ragazza non ci mise molto a capire che madre e figlia si assomigliavano in modo impressionante.
“Sapete mica se c’è anche Jane questa volta?” domandò incuriosita, ora che aveva rivisto le sue vecchie conoscenze aveva voglia di rincontrare tutti. Jasmine annuì.
“Jane viene ogni anno” confermò, per poi dire due parole al marito e sparire nella cucina. Era tipico di Jane, pensò Belle, affrontare viaggi pazzeschi ma restare accanto agli amici sempre e comunque. Si domandò quanto le vite di tutti fossero cambiate e si sentì veramente male pensando che non c’era stata per nessuno. Capì di essere stata egoista ed era decisa a rimediare.
“L’anno prossimo potreste venire tutti a Parigi” propose “E’ una città splendida”
“Oh, sarebbe meraviglioso!” esclamò Ariel con un gran sorriso “Solo, dovremmo cominciare a risparmiare già adesso. Ma so che ne varrà la pena!”
“Ali!” esclamò Jasmine uscendo dalla cucina di corsa “Stanno arrivando Esmeralda e Febo!”


Esmeralda doveva dire di essere soddisfatta della sua vita. Da quando era successo tutto quel casino della festa, tutto era cambiato radicalmente e inizialmente le era parso di finire in un vortice senza uscita di banalità e prevedibilità, aveva avuto paura e aveva avuto l’impulso di fuggire, ma pensava che non sarebbe mai stata così felice se l’avesse fatto davvero. Un paio di volte ci aveva addirittura provato, quasi dimenticando che Febo era un detective intelligente e intrepido che nel giro di qualche giorno l’aveva ritrovata e riconquistata. Non riusciva a capire come quell’uomo, quel poliziotto, riuscisse sempre a farla cedere.
Esmeralda era diventata tutto ciò che nella vita non avrebbe mai pensato di diventare, anzi. Per prima cosa adesso aveva una bella casa in periferia che avevano scelto insieme, una villetta bianca con le persiane verdi che metteva sempre allegria, e viveva lì con Febo. Poi si era resa conto di essere diventata, nei mesi e in seguito negli anni, una fidanzata dolce ed entusiasta, che aspettava il fidanzato sveglia e che tremava quando lui le regalava qualcosa. Addirittura, un giorno, Febo le aveva chiesto di sposarlo e così era stato. Esmeralda non si sarebbe mai immaginata in abito bianco, velo e bouquet, davanti a un prete, per annunciare al mondo che avrebbe per sempre amato ed onorato un poliziotto. Accanto a lei, quel giorno, c’erano Meg, Quentin, Clopin e addirittura Cindy, che a quanto pareva le si era affezionata. Quel giorno aveva capito che l’Esmeralda trasgressiva e sensuale di una volta non ci sarebbe stata mai più. Dopo la luna di miele alle Hawaii aveva cominciato a pulire casa, a cucinare, ad andare a fare la spesa, a rifare i letti. Era diventata una mogliettina attenta e premurosa ai bisogni del marito: ogni giorno gli cucinava la cena in perfetto orario, gli faceva i massaggi alle spalle mentre lui si svagava guardando rugby alla tv e poi lo trascinava a letto, dove facevano l’amore con passione.
Se doveva essere sincera, nonostante non si fosse mai immaginata in quel modo, Esmeralda capiva che così era felice, che finalmente si sentiva accettata e protetta, sicura di sé e dei suoi affetti, serena. Ogni giorno si svegliava con un sorriso, per dedicarsi con gioia alle occupazioni della casa e della cucina. L’alcool era stato sostituito dall’amore, le sigarette dall’affetto e non provava più alcun bisogno di trasgredire la legge. Piuttosto, si preoccupava sempre più per Febo. Ogni tanto guardava telefilm polizieschi il pomeriggio, mentre stirava, ed era terribilmente in ansia pensando che al marito avrebbe potuto accadere qualcosa del genere, così cambiava canale e guardava qualcosa di stupido come American Best Dance Crew che perlomeno non la faceva preoccupare.
Poi, un mattino di cinque anni prima, quasi all’improvviso, aveva cominciato ad avere terribili nausee mattutine e un insolito male ai reni che la portava a passare sempre più tempo a letto. Andare a fare la spesa era diventato faticoso, così non andava più in centro ma si accontentava di un luogo in periferia. Dopo un paio di settimane, Febo, preoccupato, l’aveva portata da un dottore che con gioia le aveva annunciato che aspettava un bambino. Febo era stato al settimo cielo e lei aveva pianto di nascosto dall’emozione. Da quando Zefir era nato, Esmeralda era cambiata ancora ed era diventata una madre attenta e dolce con il figlio, fin quasi a viziarlo troppo. Aveva capito che lei non aveva avuto nulla e ora tutto ciò che desiderava era dargli quello che lei non aveva mai avuto, compreso l’amore di una madre e di un padre.
Zefir somigliava moltissimo a Febo e per lei era una gioia chiamare a tavola i suoi “ometti”. Si sentiva sempre più completa e felice, ma non si era resa conto del cambiamento finchè un giorno Meg non le aveva fatto notare che ora rideva sempre più spesso.
La famigliola arrivò alla Reggia del Sultano un po’ in ritardo perché Zefir aveva piantano un gran capriccio proprio prima di uscire, e ancora in macchina aveva urlato e sbraitato finchè il padre, con una pazienza incrollabile ma i nervi a pezzi, gli aveva intimato di smettere o non l’avrebbe fatto uscire di casa per tutta l’estate. Zefir si era zittito.
Scesero dalla macchina e Esmeralda prese per mano il bimbo che ancora faceva l’offeso con papà, e quando arrivarono la ragazza si stupì trovando anche Belle alla festa.
“Oh, chi si vede!” esclamò Febo abbracciando Adam e baciando Belle sulla guancia.
“Ciao, Belle” la salutò lei a sua volta, poi si chinò vicino a Zefir e gli disse all’orecchio: “Guarda, quella bambina ha la tua stessa età e si chiama Melody. Io la trovo molto bella e scommetto che è una principessa. E quello lì vicino invece è Ahmed e ha dei poteri magici. Forse non te li ricordi, ma abbiamo spesso giocato con loro”
“Mi ricordo di Melody” disse Zefir storcendo il naso esattamente come faceva il papà e incrociando le braccia come la madre, quando qualcosa lo contrariava “Voleva fare tutto quello che voleva lei”
“Vuoi un trucco, soldato?” si intromise Febo. Esmeralda gli sorrise. “Dai alle donne tutto ciò che vogliono, e vedrai che tu otterrai ancora di più”.
Forte dei consigli dei genitori il biondino si fece avanti e attaccò bottone. Febo abbracciò la moglie.
“Come sono ingenui” ridacchiò. Poi si girò a parlare amichevolmente con Chris. Belle e Cindy si avvicinarono a lei sorridenti, sembrava che la bionda avesse pianto e sospettava che fosse a causa di Belle, che si era presentata lì dopo anni in cui non si era nemmeno fatta sentire. La salutò comunque amichevolmente: con gli anni il suo carattere si era un po’ raddolcito e calmato, non poteva certo dire di essere una di quelle donne che si lasciavano andare ad ogni emozione o troppo sdolcinate, affatto, aveva mantenuto la faccia tosta e la fierezza, ma era mutata, forse solamente maturata.
“Ciao, Belle, che piacere vederti!” esclamò, e la mora la guardò stupita.
“Cavolo, che cambiamento. Sei totalmente diversa dall’ultima volta che ti ho vista.” commentò Belle abbracciandola. Esmeralda si rilassò e scoppiò a ridere.
“Sono cambiata un po’, si, ma nella vita si cambia, no? Anche tu mi sembri diversa” disse gentilmente.
Proseguirono a chiacchierare ancora un po’, mentre Jasmine cominciava gli ultimi preparativi sul tavolo e comandava con un dito alzato due o tre pazienti camerieri. I bambini correvano per la stanza seguiti dai cani e sembrava che Zefir e Melody fossero ormai amici per la pelle, seguiti a ruota dal trotterellante Ahmed che faceva di tutto per star loro dietro. Le venne da sorridere per la tenerezza, non le sarebbe affatto dispiaciuto avere un altro figlio, magari questa volta una femmina. Sapeva che Febo ci pensava già da un po’, era solo lei che non aveva ancora dato il via libera perché non si sentiva ancora pronta. Si domandò se in realtà fosse solamente perché non pensava di poter dividere l’affetto che provava per Zefir con qualcun altro, ma quel giorno, notando i tre che si rincorrevano, pensò che non fosse una buona scusa e decise che quella sera avrebbe comunicato la sua decisione al marito. Ne sarebbe stato felice.
Per l’ennesima volta si stupì del suo cambiamento: era proprio una donna nuova. Non pensava che sarebbe mai arrivata a pensare di avere più di un figlio, per di più volendolo, anzi. Aveva sempre detto a Clopin che di figli non ne voleva.
Ma nessuno, nemmeno fra i suoi amici era rimasto lo stesso, per primo Clopin, che aveva improvvisamente smesso di rubare e vivere nel Bronks al limite della legge per comprarsi una casa e fare lì sotto un negozio d’armi da fuoco i cui affari andavano davvero a meraviglia. Non si era sposato, anzi, Esmeralda sapeva che aveva tre o quattro donne diverse che andavano a far visita a casa sua, ma lei non lo giudicava. Clopin inoltre era innamorato perso di Zefir: quel bambino gli aveva rubato il cuore e lo chiamava ‘zio’, convinto che fosse veramente il fratello della mamma. E lei non faceva proprio niente per dissuaderlo da quell’idea, perché per lei Clopin era il suo fratello gemello, punto e basta. Anche Quentin ora aveva un lavoro: si era scoperto un eccellente orefice che lavorava a collane e anelli, orecchini e piccole statuette in un ricco negozio a Manhattan. Grazie al lavoro aveva conosciuto una ragazza di nome Madeleine, che l’aveva subito colpito per la sua bontà e ingenuità, così si erano frequentati per un po’ ed infine si erano sposati. Esmeralda era davvero felice per loro. Anche Meg era cambiata molto, ma la loro amicizia era andata sempre più aumentando. Proprio mentre la pensava sentì il cellulare che squillava. Rispose al volo, vedendo che era proprio la sua amica.
“Meg!” esclamò “Dove sei? Siete in ritardo di una ventina di minuti” le disse lanciando un’occhiata all’orologio della stanza.
“Scusa, Es, volevo proprio chiederti se potresti dire agli altri che non tarderò ancora molto, al massimo di un quarto d’ora… abbiamo trovato un traffico pazzesco questa mattina! Mi dispiace!”
“Ora avviso gli altri, non ti preoccupare. E non metterci troppo!”
“Tranquilla” le disse la rossa, poi chiuse la conversazione. Esmeralda andò da Jasmine e le annunciò il ritardo di Meg.
“Oh, grazie al cielo. Siamo in ritardo colossale anche noi. Non ci manca ancora molto, e tutto sarà pronto. Speriamo che tutti arrivino entro l’una… avevo detto a Blanche di venire a quell’ora, così tutto sarebbe stato pronto…” mormorò, poi corse verso la cucina, seguendo un Ali ridacchiante e i camerieri ormai spazientiti.
Qualcuno bussò alla porta in quel momento, e pochi secondi dopo ne entrarono Filippo e Aurora, belli come due divi del cinema.


La mattinata di Aurora Reale era stata piena, come tutti i suoi giorni da quand’era uscita dall’università. Alla fine aveva studiato moda ed era diventata una stilista di abiti da sposa piuttosto famosa e ricercata, posava per diverse copertine e faceva sempre un sacco di interviste. Filippo era invece diventato un famoso veterinario che tutte le celebrità chiamavano per curare i loro animaletti. Ad Aurora piaceva moltissimo la vita che avevano costruito insieme: vivevano in una bella casa che avevano comprato sempre a Manhattan e non mancava loro niente. L’unica cosa che non le piaceva molto era che lei e Filippo, che quattro anni prima era diventato suo marito, non riuscivano a stare insieme per tutto il tempo che avrebbero voluto: era proprio per questo che avevano intenzione di prendersi una vacanza. Avevano bisogno di passare un po’ di tempo insieme.
Quella mattina l’aveva passata ad illustrare a una sarta i suoi nuovi modelli per l’autunno futuro. Non era troppo presto e le sfilate certo non aspettavano. Quando se n’era andata dall’ufficio per la festa per Blanche, quando Filippo era passato a prenderla con la limousine, la sua organizzatrice l’aveva chiamata e non l’aveva più mollata finchè non le aveva sbattuto il telefono in faccia per dedicarsi ad un appassionato bacio con il marito. Aveva spento il cellulare.
Quando entrarono nella stanza notò con gioia che c’era Cindy con il suo bimbo. Erano rimaste in contatto e spesso si andavano a trovare a vicenda, erano ormai amiche strette, ma le faceva sempre piacere incontrarla. C’erano anche Ariel con la bocca piena come al solito, Belle che le sorrideva e che fu particolarmente contenta di vedere, Esmeralda e Jasmine che dirigeva tutti affacciata nella cucina, ma Aurora l’abbracciò pur interrompendola, per poi salutare anche tutte le altre. Si affacciò sull’ovetto di Noah e gli sfiorò una manina, mentre Filippo e Chris, da bravi uomini, si davano pacche sulle spalle a vicenda, coinvolgendo ben presto anche Eric, Adam e Febo.
“E’ davvero bellissimo” mormorò guardando il piccolo che dormiva beato “Come piacerebbe averne uno anche io, peccato non avere nemmeno un po’ di tempo”
“Ah, te ne ruba moltissimo” commentò Cindy teneramente.
“Come stai, Aurora? È da molto che non ci vediamo” le disse Belle, con una lieve inflessione francese che nessun altro sembrava aver notato. Aurora sorrise fra sé: non si vedevano da moltissimo tempo e si vedeva che ormai la ragazza non aveva più nulla di americano. Le prese le mani fra le sue e le baciò una guancia.
“Sto benissimo e sono davvero felice di vederti”
“Caspita, ma sei bellissima!” esclamò poi, guardando il suo abito un po’ anni Cinquanta, rosa chiaro costellato di pois bianchi, con una cinturina con fiocco rosso come le scarpe, che riprendevano la borsetta.
“E’ la mia nuova linea di abbigliamento, un po’ retrò. Ha qualcosa di francese?” rise la bionda, volteggiando.
“Assolutamente si. Devi farmi avere il catalogo!”
“Ultimamente ci serviamo tutti da lei” confidò Cindy “E’ la nostra stilista di fiducia”
“Anche a me piacciono molto le sue creazioni” aggiunse Esmeralda “Questa t-shirt è sua, per esempio” disse, mostrando la sua elegante camicetta. Le altre si sprofondarono in complimenti e lei si schermì. Ariel le si avvicinò e cominciarono a parlare della loro prossima vacanza: Aurora e Filippo volevano passare almeno un fine settimana a Jacksonville, dai loro amici, e dovevano decidere la data e le cose da fare. Sicuramente lei voleva tornare con un po’ d’abbronzatura. Lo fece presente.
Alla fine lasciò tutti ai loro discorsi e decise di dare una mano a Jasmine a preparare tutto, si arrampicò su una sedia incurante dei tacchi dodici centimetri e cominciò a mettere i festoni brillanti per accogliere Blanche.
Aurora pensava che quell’adunata annuale fosse uno degli eventi che aspettava con più trepidazione di tutti, insieme al Natale e al suo anniversario con Filippo. Le sembrava che fosse bellissimo riunirsi con tutte le sue amiche, le persone a cui teneva e voleva più bene e festeggiare qualcosa che era sì stato drammatico ma anche stupendo, perché quel giorno aveva segnato la rinascita di una ragazzina di quattordici anni che sembrava distrutta. Lei stessa aveva visto Blanche cambiare sempre più, evolversi, superare il dolore che le aveva causato quel tragico evento, guidata da Meg, dalla dottoressa Juno e da Floriant. Si era diplomata col massimo dei voti e aveva preso subito in mano l’azienda di suo padre, lavorando e studiando economia, per poi cominciare ad aprire varie filiali anche in Canada e in Alaska, espandendo il mercato dei suoi prodotti, sempre richiestissimi. Era stata in grado di finanziare ricerche scientifiche e ora aveva anche una linea di prodotti d’erboristeria che andavano a ruba. Quello era il suo lavoro preferito. L’ultima volta che si erano sentite al telefono, un paio di settimane prima, Blanche le aveva confidato di avere una grande sorpresa e di volerla annunciare proprio alla festa. In ogni caso sembrava al settimo cielo. Da un paio d’anni ormai non si vedevano più perché lei e Floriant si erano trasferiti a Toronto, città di cui si erano innamorati durante una breve vacanza che si erano concessi un’estate. Così per lei non era stato così facile vedersi, erano entrambe piene di impegni.
Ma quel giorno finalmente l’avrebbe riabbracciata.
Aurora era anche molto contenta di rivedere Belle, anche se si sentiva un po’ offesa con lei, da qualche parte nel cuore, perché da quando era partita non si era più fatta sentire e si era fatta vedere solo poche volte. Capiva che potesse avere le migliori giustificazioni del mondo, però non le era sembrato giusto né onesto ignorare gli inviti ai matrimoni delle amiche, soprattutto di Cindy. Sapeva che ci era rimasta molto male e per un certo periodo di tempo, nonostante si fosse fatta forza, non era riuscita a trattenere le lacrime quando si nominava la sua ex migliore amica ora inghiottita dall’Europa. Era stata Aurora che le era rimasta accanto in quel periodo e proprio grazie a lei si era ripresa. In quell’occasione erano diventate quasi inseparabili.
Finì di sistemare lo striscione fatto e inviato da Ariel qualche settimana prima: l’amica rossa non aveva perso il suo spirito artistico.
Aurora pensava che non avrebbe mai potuto lasciare New York: era la sua patria e lì aveva tutti i suoi affetti e non li avrebbe mai abbandonati.
Scese dalla sedia aiutata da Filippo che la prese per la vita e la baciò furtivamente prima di lasciarla scivolare a terra.
“Quando torniamo a casa, non voglio parole né squilli di cellulare” le bisbigliò all’orecchio. Aurora arrossì leggermente, ma era perfettamente d’accordo con lui: avevano preso la mezza giornata libera e libera doveva essere. Lo guardò un momento e ripensò che una volta nemmeno lo voleva conoscere, ma poi scacciò quel pensiero concludendo che sarebbe stato il più grande spreco della sua vita, poi si voltò quando si aprì la porta e ne vide entrare Jane, che immediatamente inciampò e finì a terra, creando una risata generale nella stanza.


“Corri, Tarzan, corri! Siamo in ritardo!” incitava Jane, ma in realtà era l’uomo a trascinarla per mano per arrivare al locale di Jasmine. Erano in ritardo di mezz’ora buona, perché appena arrivati alla stazione della metropolitana erano stati affascinati nuovamente dalla città e si erano messi a guardarsi intorno come se fosse la loro prima volta a New York. In realtà tornavano lì tutti gli anni per la festa, visitavano gli amici, facevano il giro di qualche museo e se ne tornavano in Madagascar con i lemuri, ma un anno intero in un paesino come quello in cui vivevano li portava anni luce dalla caoticità e dalla frenesia delle città come quella.
Jane aveva vissuto in molti paesi dalla sua nascita: per i primi otto anni di vita era stata in Inghilterra, a Cambridge, poi si era trasferita in Canada, a Regina, per tre anni, dopodiché suo padre era stato assunto in Giappone e Osaka era stata la sua casa per cinque anni, poi era tornata ancora un anno a Londra e infine era stata a New York. Nessun luogo era comparabile nemmeno vagamente al Madagascar, che lei amava appassionatamente, così come Tarzan. Era la loro casa.
Era lì che era nato il piccolo Willy, il loro primo figlio di due anni, portato nello zainetto da Tarzan, che sfrecciava qua e là per evitare la gente che si affollava per le strade newyorkesi.
“Eccolo, eccolo!” esclamò Jane indicando l’insegna. Tarzan virò con forza a sinistra facendole perdere l’equilibrio, Jane fece per reggersi alla maniglia che si abbassò, lei sentì la porta cedere e si ritrovò lunga distesa sul pavimento del ristorante. Sentì i presenti scoppiare a ridere. Tipico. Era sempre lei che faceva certe figure. Si rialzò spolverandosi il vestito giallo che aveva comprato apposta per l’occasione, poi si guardò intorno.
La prima persona che vide e che le fece scoppiare per un momento il cuore fu Belle, tornata dalla Francia dopo chissà quanti anni. La guardò a bocca aperta, metà instupidita e metà felice di rivederla. Si domandò perché fosse tornata proprio in quel momento, ma concluse che non era il momento di pensarci, le corse incontro e l’abbracciò forte, dicendole quanto le era mancata.
“Sei mancata anche a me, signorina detective” le disse Belle con affetto, sciogliendo l’abbraccio.
“Non sono più una signorina, ora sono legalmente sposata con un selvaggio!” esclamò ridendo Jane, indicando Tarzan. L’attenzione dell’amica si focalizzò sul bimbo che veniva trasportato dall’uomo e che venne messo a terra. Willy accennò qualche passo incerto verso la mamma e Jane lo prese in braccio fiera del suo ometto. “Questo è Willy, e ha due anni fra nemmeno un mese”
“Oh, santo cielo, è stupendo!” esclamò Belle, guardandolo. Il bambino la scrutò ben bene, poi si mise a ridere. “E’ identico a te, ha ereditato tutto il tuo carattere”
In quel momento altri tre bambini si radunarono intorno a loro. Jane li conosceva tutti: il biondino era Zefir, il figlio di Esmeralda e Febo, con i capelli del padre e gli occhi della madre. Non sapeva se si ricordava ancora di lei e Willy, forse all’epoca erano troppo piccoli l’uno per l’altro. La bambina che era con lui sembrava la fotocopia di Eric ed era Melody, la figlia di Ariel, da cui aveva ereditato il carattere. E il terzo bimbo, che stentò a riconoscere, sembrava proprio Ahmed, il figlioletto di Jasmine e Ali, bello più che mai. Si rese conto che era cresciuto moltissimo.
“Chi è lui?” domandò Zefir prendendo la parola.
“Lui? Lui si chiama Willy. Può giocare un po’ con voi?” lo presentò Jane.
“Va bene, però solo se fa il soldato insieme ad Ahmed” decise Melody. La donna scoppiò a ridere lasciando scendere Willy dalle sue braccia. Sembrava decisa, la bambina.
“Ma certo. E voi cosa fate?” domandò.
“Io sono la principessa, e lui il principe” disse indicando prima se stessa e poi Zefir.
“Penso che quando saranno abbastanza grandi per capire si sposeranno” commentò allegramente Febo, che già guardava in avanti. Ma lui era fatto così, non si guardava mai indietro ed era sempre ottimista. Lui e Tarzan si salutarono.
“E’ davvero un piacere rivedervi” disse Tarzan “Procede tutto bene?” l’inglese dell’uomo era migliorato enormemente da quando viveva stabilmente con Jane e suo padre, che era rimasto all’albergo per lasciare ai ‘ragazzi’ l’opportunità di uscire con i loro amici indisturbati. Sembrava quasi che non l’avesse mai imparato ma sempre saputo, a parte qualche lieve inflessione che ogni tanto prendeva. Aveva anche imparato il francese.
“Jane!” esclamò Ariel “Ti ho vista in un programma tv qualche settimana fa! Hai fatto un programma sui lemuri!”
“Si, è vero” confermò Jane, per poi venire inondata dalle domande di ‘quando’, ‘su che canale’, ‘voglio vederlo’. “Ho fatto un documentario su una nuova specie di lemuri che abbiamo scoperto da pochissimo tempo… sono delle creature intelligentissime che hanno una società molto complessa. Sono veramente interessanti da studiare…”
“Che bello, allora hai coronato il tuo sogno” sospirò Cindy intrecciando le mani con aria sognante “Sei diventata alla fine un’etologa famosa!” Jane si sentì per un momento in imbarazzo.
“In realtà è una società in cui lavoriamo io, papà e Tarzan… siamo etologi tutti e tre” si schermì senza grandi risultati. Le sue amiche parevano estasiate.
“E’ fantastico” disse Jasmine “Dev’essere interessantissimo studiare gli animali nel loro ambiente naturale, no?”
“E’ affascinante perché si scopre il loro vero valore” spiegò Jane “Se tenuti in cattività perdono alcuni dei loro istinti e dei loro impulsi, invece in questo modo riescono tranquillamente a mantenere intatte tutte le qualità. Noi non facciamo che trattenerli per mettere loro un microchip e fare delle cure mediche in caso di bisogno, tutto il resto è lasciato a natura e computer. Mio padre ormai si è appassionato”
“E Willy? Che meraviglia, crescerà in un ambiente del genere!” esclamò Aurora, pensando agli animali che erano una delle sue passioni.
“Si, beh, probabilmente dovremo trasferirci ad Antananarivo quando diventerà più grande, ma non smetteremo di occuparci dei primati” dichiarò Tarzan con serietà. Aveva preso il suo lavoro molto seriamente da quando Jane era andava in Madagascar, e si era sinceramente appassionato alla scoperta di nuove specie di lemuri. Entrambi speravano che anche il figlioletto si sarebbe appassionato prima o poi.
“Ehi, ma non ci siamo tutti o sbaglio?” domandò Jane guardandosi intorno “Manca l’ospite d’onore!”
“Certo, le ho detto di venire più tardi, così avevamo il tempo di preparare tutto” spiegò Jane, per poi guardare soddisfatta la tavola finalmente pronta. “Spero che Meg arrivi in fretta, non vorrei mai che Blanche anticipasse un po’… sapete com’è, a lei piace arrivare in anticipo”
“Già, speriamo…” mormorò Ariel.
“La chiamo” decise Esmeralda. Prese il telefono e digitò il numero dell’amica. Jane ricordava ancora bene quel giorno in cui aveva aspettato Esmeralda, Clopin e Meg fuori casa di Ade, quando erano spuntati all’ultimo momento, erano saltati in macchina e lei era sgommata via col cuore in gola, terrorizzata al pensiero che Ade e qualcuno dei suoi scagnozzi uscissero fuori per sparare alla macchina, come nei film, spaccando i vetri e sgonfiando le ruote… ancora ora tirava un sospiro di sollievo ogni volta che ci pensava.
“Dice che è all’angolo” esclamò allegramente Esmeralda chiudendo il cellulare dopo una breve discussione. Jane si girò appena in tempo per vederla entrare seguita da Herc, ovviamente, e da un bimbo. Ne aveva un altro in braccio. Però, evidentemente i due si erano dati da fare!, pensò.


Meg sapeva di essere in ritardo colossale e le dispiaceva moltissimo, ma aveva assistito a una gara di Herc molto importante per la sua stagione sportiva. Il ragazzo aveva già ventisette anni e la sua carriera stava andando in discesa, essendo sopraggiunta la nuova generazione. Era proprio per quel motivo che la ragazza pensava fosse il caso di andare ancor a più spesso a supportarlo in tutti i modi: così non si sarebbe buttato giù perché ormai non aveva più i riflessi di una volta. Per lei rimaneva lo stesso sempre un megafusto.
Vedendo le persone che popolavano la stanza, Meg pensò che lei e Esmeralda probabilmente
erano le persone che erano cambiate di più fra tutte quante e sapeva che era tutto a causa del loro passato turbolento che ora avevano trovato la tranquillità e la banalità, e come qualcuno cercava di liberarsene, loro ci sguazzavano felici.
Lei ed Herc erano sempre rimasti insieme ed insieme, con l’aiuto della dottoressa Juno e di Jupiter avevano cresciuto Blanche al meglio, l’avevano aiutata a reagire al fattaccio che l’aveva vista protagonista e l’avevano vista diventare donna. Meg e la ragazzina erano diventate molto più che solamente sorelle, ora erano anche migliori amiche, madre e figlia. Erano una famiglia, l’una per l’altra. E, ovviamente, Herc e Floriant facevano parte del loro piccolo nucleo, e c’erano sempre stati l’uno per la propria ragazza. La cosa che le pareva strana era che non si vedevano ormai da un paio di mesi: Blanche non era voluta tornare a New York da Toronto sostenendo di essere troppo occupata e Meg non sarebbe mancata per nulla al mondo quel giorno, perché voleva rivederla a tutti i costi. Lei ed Esmeralda si erano spesso interrogate sul perché, senza trovare una risposta.
La vita della rossa era cambiata anche grazie alla nuova influenza della ragazzina che si era trovata a dover crescere, ma si erano fatte forza e insieme, lei, Blanche ed Esmeralda, avevano raccolto i cocci delle proprie vite insieme, si erano supportate a vicenda e si erano date una mano quando avevano avuto paura. Avevano ripreso la rotta e finalmente potevano dirsi tutte e tre felici.
Meg aveva fatto moltissimi sforzi, perché nulla era stato facile per lei da quando era uscita dalla casa di Ade. Innanzitutto si era trovata nelle mani un’azienda agricola con la portata di miliardi di dollari l’anno e memore delle ultime amministrazioni non se l’era sentita di lasciare tutto alle decisioni di qualcuno che avrebbe potuto tranquillamente fregare lei e la sua sorellastra e appropriarsi di chissà quanti soldi. No, lei si era messa a capo dell’azienda e aveva fato in modo di mantenere la rotta. Aveva studiato economia con passione e ne aveva fatto la sua vocazione, arrivando ora a possedere una parte delle aziende di Blanche, che amministrava decisamente bene. Le metteva un nonsochè di inquietudine, quando pensava che il fiuto per gli affari l’aveva ereditato da sua madre.
Grimilde era morta per un’iniezione letale una settimana dopo l’ultimo processo, ma né Blanche né Meg avevano voluto partecipare, nonostante avessero ricevuto una domanda dal carcere. Si erano semplicemente rifiutate: una persona che le aveva fatte soffrire così tanto non meritava nemmeno di essere vista mentre moriva, nessuna delle due voleva darle la soddisfazione di vedere quanto le loro vite fossero distrutte e avevano preferito fare le cose per conto loro, illudendosi di non aver mai avuto una madre così.
In ogni caso, con l’aiuto onnipresente della dottoressa Juno, che si era dedicata anima e corpo ad aiutare le due ragazze, senza curarsi dei soldi ma per semplice spirito di partecipazione, erano riuscite a rinascere e a superare le loro crisi. Meg si era fidanzata con Herc un anno dopo che si erano messi insieme, esattamente la sera in cui c’era stata la loro prima volta. Per Meg era stata un’emozione enorme che non aveva mai provato: si era sempre concessa agli uomini che Ade sceglieva per lei, ma mai prima d’allora aveva sperimentato cosa volesse dire ‘fare l’amore’ e c’era voluto un anno prima che si sentisse pronta a provare con il suo ragazzo. Ma Herc era stato d’una dolcezza indicibile e da allora ogni paura della ragazza spariva quando lui l’abbracciava facendola sentire al sicuro. Era proprio per quel motivo che sette anni prima, quando avevano solamente ventun anni lei e venti lui si erano sposati e avevano deciso di mettere su famiglia. Avevano capito che non volevano altro dalla vita se non una famiglia tutta loro. Dalla loro unione erano nati due splendidi bambini: il più grande, Alessandro, di tre anni e mezzo, che aveva l’età di Ahmed e ne era il migliore amico, e la più piccola Cassandra, di appena due mesi. Alessandro era identico a Herc, se non per gli occhi che aveva preso dalla madre, mentre la piccola era stranamente uscita con gli occhi blu.
Quando entrarono, Meg notò subito la presenza di Belle, che non vedeva da almeno otto anni e si domandò come mai fosse lì proprio quel giorno. Sapeva che non si era più fatta viva per moltissimo tempo, ma sapeva anche che la vita portava continui cambiamenti e che non stava a lei giudicare la sua condotta. Herc sorrise ad Adam e cominciarono a ridere insieme e a parlare, loro erano rimasti amici e in contatto, ecco perché Meg aveva avuto negli anni qualche informazione di Belle. Sapeva difatti che ora era diventata una giovanissima professoressa universitaria, che aveva una libreria con Adam a Parigi e che gli affari andavano a gonfie vele. Sapeva anche che si erano sposati, infatti non pose domande sulla sua vita, conoscendone già le risposte.
“Siete arrivati, finalmente!” esclamò Ariel, avvicinandosi a loro, per poi addolcirsi notando Cassandra in braccio a Meg. “Com’è carina” commentò. Meg la ringraziò: anche lei la trovava stupenda. Herc le porse l’ovetto e lei ce la infilò con i giochi ma le rimase vicino perché non si era ancora addormentata, nonostante l’avesse allattata durante il viaggio in auto.
“Allora, siamo pronti? Manca solo Blanche. Qualcuno ne sa qualcosa?” domandò Jasmine guardando verso Meg, supponendo chiaramente che lei ne sapesse di più, ma la ragazza alzò le spalle.
“Non l’ho più sentita da ieri sera, ma ha detto che sarebbe arrivata puntuale. E puntuale per lei vuol dire in orario. Sarà quasi arrivata” concluse guardando l’orologio appeso a un muro.
Le piaceva quel ristorante, e quando poteva ci andava con la sua famiglia, figli e suoceri inclusi. Aveva stretto una buona amicizia anche con Jasmine, che si era rivelata molto intelligente e un’organizzatrice impeccabile. Meg l’apprezzava molto. I cibi, a suo parere, erano migliorati da quando la gestione era paterna e infatti le sembrava anche che la media delle persone che frequentavano la Reggia del Sultano fosse più ricca di prima. Lei stava bene grazie a ciò che le fruttavano le aziende, ma la parte più grande del ricavato andava a Blanche. Anzi, stare bene era un eufemismo: ora era ricca, e non ci credeva nemmeno lei. Proprio quel giorno indossava un abito di seta viola che le stava ancora a pennello. Non era ingrassata nemmeno dopo le due gravidanze, era invece rimasta perfettamente uguale a una volta. Il cellulare suonò nella borsetta, guardò il messaggio che le era arrivato ed annunciò:
“Blanche sarà qui fra cinque minuti”.


Blanche Woodson era felice. Sì, poteva dire di sentirsi al settimo cielo, e non vedeva l’ora di dire perché a tutte le sue amiche. Da quel terribile mese in cui era rimasta in coma si era sentita felice molte volte, ma mai così tanto e mai in quella maniera. Anche Floriant sembrava camminare a un metro da terra ed entrambi non vedevano l’ora di arrivare, difatti erano in anticipo di dieci minuti.
La ragazza si era curata di infilarsi in un morbido abito nero che mostrava tutte le sue forme, anche se forse le rendeva il viso un po’ più smorto, ma non era quello l’importante.
“Siamo quasi arrivati, amore mio” disse Floriant trepidante. Blanche annuì sorridendo, guardando fuori dal finestrino della sua limousine. Era eccitatissima.
La sua vita non era stata facile dall’estate di dieci anni prima. Amareggiata e delusa dalla vita aveva cominciato la sua scalata per tornare a essere una persona normale aiutata da molte persone di cui in un certo momento non aveva capito l’affetto profondo, ma che pian piano l’avevano profondamente segnata diventando per lei praticamente essenziali. Al primo posto per amore provato avrebbe messo senza alcun dubbio Floriant, anche solo per il fatto che l’avesse accettata nonostante tutto ciò che le era accaduto, nonostante l’umiliazione, nonostante le ferite, nonostante il suo blocco nel fare l’amore con lui anche dopo anni. Lui aveva sempre aspettato e amato con dolcezza, con pazienza, riempiendola di baci, amore e fiducia. Era proprio il ragazzo perfetto per lei, e Blanche non avrebbe potuto chiedere di meglio.
Al secondo posto c’era Meg, che aveva veramente fatto qualsiasi cosa per lei. Pensava che alla fine si somigliassero molto per esperienze vissute e per ciò che era successo loro. Le era stata accanto come una tutrice, come una madre, come una sorella e come un’amica, ecco perché Blanche provava nei suoi confronti un grande affetto e un grandissimo debito. Sapeva che lei non se ne rendeva conto, perché Meg era fatta così: lei faceva le cose che le venivano naturali, ma non si rendeva affatto conto di quanto ciò che faceva contasse per gli altri. Lei si limitava a starle accanto, anche se ora erano due mesi che non si vedevano, ovviamente per un motivo ben particolare.
Blanche era contenta perché Ariel le aveva mandato un messaggio dicendole che c’era anche Belle, che non vedeva da moltissimo tempo. Belle non era mai stata una persona particolarmente importante nella vita della ragazzina, però era ugualmente legata a lei da un profondo affetto, perché era una di quelle persone che avevano lottato per lei, per la giustizia, per scoprire la realtà, per i fatti. E anche per questo Blanche sarebbe stata profondamente grata a lei.
La limousine si fermò davanti al ristorante, i due sposini salutarono l’autista e si avvicinarono alla porta.
Blanche e Floriant si erano sposati ad appena vent’anni, quattro anni prima, perché stavano già insieme da sei anni e perché avevano capito che non ci sarebbe stato nessun altro. Spesso Blanche pensava a suo marito come ‘l’unico e il primo’. Non aveva mai baciato nessuno né prima né dopo quell’adorabile ragazzo con gli occhi nocciola che componeva bouquet, non aveva mai amato nessuno e non avrebbe mai fatto l’amore con nessun altro. E poi, Floriant era stato in grado di donarle la più grande gioia che mai avrebbe potuto provare.
Aprirono la porta e appena fu dentro quasi le si mozzò il respiro vedendo tutta quella gente, il cartellone su cui era scritto ‘Dieci anni di rinascita: un intero nuovo mondo per te, Blanche’, e sentendo urla e applausi da bambini e adulti, l’abbaiare dei cani, notando il delizioso buffet su un lato della sala del ristorante e avvertendo tutto l’affetto di quelle persone che avevano tenuto a lei dal primo momento, senza nemmeno conoscerla. Le lacrime le salirono agli occhi, e scoppiò a ridere quando Ariel fu la prima a notare la novità.
“Ehi, ma cos’è successo alla tua pancia?” domandò. Blanche fu presa di nuovo dalle lacrime, che ormai incontrollate le scendevano per le guance e per il collo. Floriant le passò un braccio intorno alla vita.
“Sono incinta… ci siamo riusciti. Sono incinta, aspetto un bambino!” esclamò fra le lacrime, troppo emozionata. Ci fu un momento di silenzio, poi tutti cominciarono a parlare contemporaneamente. Meg aveva un sorriso che partiva da un orecchio e terminava all’altro, boccheggiava e aveva gli occhi umidi. Esmeralda le sorrideva felice e batteva le mani. Jasmine era rimasta a bocca aperta e le guardava la pancia come se fosse un miracolo divino. Ariel rideva sbigottita, colta dalla felicità. Aurora, le lacrime agli occhi, si copriva la bocca con le mani trattenendo il respiro. Jane sembrava estasiata ed esultava. Cindy scoppiò in lacrime di gioia. Belle le fece le sue congratulazioni.
“Complimenti, Blanche, ce l’hai fatta… questo si che è l’inizio di un intero nuovo mondo!” esclamò.
Blanche rise, seppur piangendo. Erano lacrime di gioia. Gioiva perché ora aveva tutto ciò che avrebbe mai potuto desiderare. Aveva l’affetto, l’amore, il calore di quelle diciassette persone che le stavano intorno, aveva il suo Floriant che la stringeva a sé e che le aveva donato una nuova vita, che aveva reso il suo desiderio più grande reale. Si sfiorò la pancia sporgente.
“Sono al quinto mese” bisbigliò.
“E come si chiamerà? È maschio o femmina?” domandò Jane.
“E’ una femmina, e si chiamerà Rose” disse Blanche con più sicurezza. “E voglio che questo sia il suo mondo. Quello che ho avuto io dal risveglio. Quello che ho oggi. Un mondo nuovo di gioia e felicità. Grazie a tutti, davvero. Vi voglio bene” concluse, asciugandosi con un fazzolettino. Guardò il cielo fuori dalla finestra. Il sole brillava. E lei era davvero felice. Davvero.












Nymphna's Space: GENTE! E' finita ç.ç Allora, come vi sembra questa fine? Degna? In realtà l'ho scritta perchè volevo farvi sapere che cosa è accaduto dopo. Durante il pezzo dedicato a Blanche mi sono molto commossa... devo dire che questa storia è stata una grandissima avventura che va avanti da circa sei mesi, ma che mi ha divertita, appassionata, a volte stressata, ma soprattutto ho adorato condividerla con voi. Detto ciò, non mi resta che passare ai ringraziamenti :)
Per prima cosa, ringrazio di cuore Elelovett, _BriciolaElisa_, petitecherie, Sissyl, merychan, _Uneksia_, Dora93, LaStellaNera e Babykikokikka per aver recensito uno o più capitoli della mia storia, mando soprattutto un abbraccio forte a chi ha avuto la pazienza di recensirli tutti (o quasi), senza di voi non avrei mai finito questa storia, veramente. Grazie.
Ringrazio moltissimo poi Dora93 e Chiaretta92 che mi hanno fatto l'onore di inserire questo racconto fra i preferitiiii *-* Che meraviglia, non sapete quanto ciò mi renda felice e fiera di me stessa!
Un grazie anche ad Alice_Wolf che ha inserito questa storia nelle ricordate, spero ti sia piaciuta ^^
E poi... grazie ancora a Elelovett, LaStellaNera, Marina94, merychan, Moonlove, petitecherie, Sissyl, Veronika87, X_LucyW e _BriciolaElisa_ per aver messo questa storia nelle seguite :) Grazie davvero moltissimo!
I ringraziamenti non sono ancora finiti! Un grazie ENORME a Lucia, che ha ascoltato le mie prime svarionate per questa fanfiction in afosi pomeriggi di luglio, che mi ha supportata ed incoraggiata e soprattutto mi ha voluto tantissimo bene (so che non è facile xD) e mi ha così dato il coraggio di scrivere quel famoso primo capitolo e poi anche di pubblicarlo. Ringrazio il mio ragazzo con tutto il cuore, anche lui ha fatto la sua grandissima parte ascoltandomi e standomi accanto, dicendomi che andava tutto benissimo anche se non ha mai visto un film Disney volentieri xD Grazie amore :) Un enorme ringraziamento lo do anche ai miei genitori, che mi hanno cresciuta a pane e Disney... mi avete fatto scoprire un mondo che mi porto dietro ancora oggi :) Grazie di avermi trasmesso questi valori. Ovviamente ringrazio anche Mr. Walt Disney e la sua azienda, perchè senza di loro, nonostante ormai io sia in un'età in cui i sogni ormai dovrebbero essere accantonati, non avrei la fantasia che ho e non sarei rimasta un po' bambina!
Con questo vi saluto.
Un bacio a tutti, spero di incrociarvi in una mia altra o futura storia ^^
Nymphna <3
   
 
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