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Autore: Sat Before Collide    26/02/2013    1 recensioni
Una storia incentrata sull'importanza del destino nelle nostre vite. Virginia capirà che, volente o nolente, il fato ha sempre la meglio, ma che soprattutto non tutte le sfortune si rivelano tali. Cambierà idea quando incontrerà quegli sbruffoni di All Time Low? Chiamatela fortuna. O sfortuna...?
Genere: Generale, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Call it luck

Capitolo uno: Temporale



Ricordo perfettamente quel giorno. Probabilmente sarebbe rimasto inciso nella mia memoria anche se non ti avessi incontrato. Voglio dire, non avevo mai visto un temporale così violento in vita mia! Le nuvole cariche di pioggia e fulmini si avvicinavano velocemente e io ero senza ombrello. Succede sempre così: lo porti dietro ogni santissimo giorno di sole e appena decidi di lasciarlo a casa vien giù il diluvio universale.   
Quella mattina mi ero svegliata con la sensazione che sarebbe successo qualcosa. Non ero di certo una sensitiva -nemmeno credevo in quelle cose- probabilmente era solo la voglia che potesse davvero accadere qualcosa, qualsiasi cosa. E bè, ecco, trovarmi nel bel mezzo di un temporale non era esattamente ciò che mi aspettavo. 
Accelerai il passo anche se ormai sapevo che mi sarei inzuppata dalla testa ai piedi. La strada sembrava non scorrere sotto i miei piedi che già sguazzavano nelle pozzanghere che si erano formate nel giro di due minuti. Ma chi cavolo lo aveva costruito quel marciapiede? C'erano più buche lì che in un campo da golf. Il vento si era fatto più insistente rendendo ogni passo sempre più faticoso. Sentivo i capelli attaccarsi alla fronte e alle guance, sgocciolarmi lungo la schiena. Forse era il caso che mi trovassi un posto dove aspettare che quella tempesta si calmasse. Dopotutto, quando hai ogni tipo di calamità naturale contro non puoi fare altro che rassegnarti e piegarti alla sua volontà. A quanto pare il destino aveva deciso che quella doveva essere una tipica giornata no. 
Sospirando cambiai meta e mi diressi verso il locale di Liam. Bussai ripetutamente alla porta chiusa sapendo, comunque, che lui era lì. Difatti dopo nemmeno un minuto era di fronte a me che mi guardava scuotendo piano la testa. 
"Virginia, che diavolo ci fai qui?"
Lo spostai con un braccio entrando nel pub. 
"Non vedi che tempesta sta infuriando qui fuori?" - dissi in tono melodrammatico - "ho bisogno di un riparo!"
Feci finta di non aver notato la sua espressione contrariata, ma lui si affrettò a chiarire i suoi pensieri.
"Ho il locale prenotato, lo sai, e sono pieno di lavoro. Ehi! Puoi stare ferma? Stai bagnando dappertutto!"
"Liam, rilassati! Sto buona buona in un angolino finché non passa il temporale, okay?"
Mi sedetti su uno sgabello -che non era esattamente in un angolo- e mi allungai sul bancone per prendere uno straccio pulito con il quale asciugarmi il viso. 
"Chi verrà stasera?", chiesi alzando la voce per farmi sentire da Liam che aveva cambiato stanza. 
"Una band. Verranno qui dopo il concerto."
Annuii masticando un'altra nocciolina. Non era la prima volta che una band veniva da Liam, ma sicuramente era la prima volta che prenotavano tutto il locale anzichè qualche privè. La cosa probabilmente metteva in agitazione il mio amico che si affrettava da una parte all'altra controllando che tutto fosse a posto. Non mi azzardai a chiedergli se aveva bisogno di una mano: ogni volta che mi chiedeva di fare qualcosa la criticava e finiva per rifarla daccapo lui stesso. Non ero proprio dell'umore giusto per sottostare alle richieste ridicole di Liam. 
Ma ricordate quando avevo detto di avere la sorte contro quella sera? In quel momento squillò il telefono: era Caroline, il braccio destro di Liam, che lo informava di non poter venire a lavoro per una qualche strana ragione.
Il mio amico riagganciò il telefono dopo aver discusso animatamente con Caroline per qualche minuto. Sembrava disperato.
"Oh, no! No, no, no!", precedetti Liam quando spostò i suoi occhi blu su di me, avevo capito subito dal suo sguardo la tacita richiesta di prendere il posto di Car.
"Ti prego, Vì! Ti pago!" 
Ero quasi indignata dal fatto che cercasse di corrompermi con i soldi. Infame!
"Avrai qualche altra cameriera, cavolo!"
"Dove la trovo una cameriera libera di sabato sera?"
Quella domanda posta con quel tono mi fece sentire tanto, tanto, tanto sfigata, della serie: solo tu sei libera il sabato sera. 
"Cazzo, Liam. Ti odio!" sbottai incrociando le braccia al petto ancora bagnato.
"Grazie!"
Mi strinse in un abbraccio facendo aderire la mia maglia fradicia alla pelle provocandomi una lunga serie di brividi. 
La verità era che non avevo voglia di stare lì. Non avevo voglia di servire un branco di musicisti arrapati; non avevo voglia di sottostare agli ordini di Liam; non avevo voglia di sorridere allegramente come si addiceva ad una cameriera. Io non ero una cameriera, diamine! Ero una stramaledettissima conduttrice radio. E mi piaceva come lavoro: non dovevi sorridere e non dovevi servire nessuno. Era perfetto. 
Per fortuna l'arrivo di Mickey sembrò calmare almeno un po' l'inquietudine di Liam. 
"Ecco il mio barista preferito!", lo salutai sventolando lo straccio. 
"La nostra Virginia al lavoro? Che succede?"
"Caroline ci ha abbandonati!", lo informò Liam porgendogli la divisa.
"E per una buona mezz'ora vi abbandono anch'io. Necessito una doccia."
Come avevo previsto Mickey mi prestò le chiavi della sua auto e Liam si raccomandò di tornare in fretta. 
Se non fossi stata in debito con lui probabilmente gli avrei dato buca quella sera. Avevo l'umore a terra, ero bagnata, stanca e affamata. Ma glielo dovevo: quando avevo avuto bisogno di lui, non aveva esitato ad aiutarmi e non potevo sorvolare su una tale dimostrazione di amicizia. Però potevo sicuramente prendermi più di mezz'ora di libertà. Erano solo le nove!
A dirla tutta non avevo intenzione di stare via tantissimo, sapevo che Liam contava su di me e lo avevo visto davvero troppo agitato per abbandonarlo, ma avevo fatto l'errore di accendere il computer ed ecco che quasi due ore erano volate senza che nemmeno me ne accorgessi. Mentre guidavo verso l' /Oblivion/ pensavo a qualche scusa da appioppare al mio capo-per-un-giorno ma conclusi i miei pensieri con un /al diavolo Liam! E' già tanto che lo aiuto!/ 
Ammetto che però prima di aprire la porta del locale il cuore aveva iniziato a battere velocemente e con uno sguardo al cielo ancora nero pregai che il mio amico non si fosse tramutato in una checca isterica e mi risparmiasse la vita. Non potevo morire! Avevo ancora tante cose da fare! Dovevo completare la mia collezione di film di Tim Burton per esempio! 
Spinsi la porta d'ingresso con lo sguardo basso, fu per quello che notai il pavimento tirato a lucido che rifletteva perfettamente le luci colorate appese al soffitto. Per un momento dimenticai Liam e la sua imminente furia e ammirai il locale che sembrava messo a nuovo. Alle pareti era stato appeso qualche quadro in più tutto rigorosamente in stile anni 60. Era semplicemente favoloso: le sedie dalle linee morbide erano così colorate che sembravano emanare luce; la parete di specchi rifletteva ogni sfumatura regalando un'atmosfera magica e il bancone era unicamente abbellito da nastri fluorescenti. Non avevo mai visto l'Oblivion così bello, credetti di essere entrata in un altro mondo. Avevo lasciato il buio della tempesta fuori in città per sorridere a tutta quell'allegria.
Cominciai a sentirmi in colpa immaginandomi Mickey e Liam che mettevano in ordine da soli, ma per mia fortuna il capo era stato troppo preso dai preparativi per accorgersi della mia così lunga assenza, perché si limitò a lanciarmi la divisa di Caroline avvisandomi che i ragazzi sarebbero arrivati a momenti. 
"Ti sei alzata col piede sbagliato?", chiese Mickey mentre mi versava una lattina di Coca in un bicchiere.
Lui era sempre stato fin troppo empatico. Non so se è una prerogativa dei baristi, però Mickey era in grado di conoscere il mio stato d'animo con una sola occhiata.
"No." -bascicai risultando davvero poco convincente- "Sai che semplicemente odio lavorare per Liam. Cioè, è proprio questo lavoro che non sopporto."
Il barista ridacchiò annuendo e io gli riservai uno sguardo storto coperto per metà dal bicchiere di Coca.
"Si ma oggi sei piuttosto abbattuta o sbaglio?"
"Ma che ne so. Sarà questo infinito temporale che mi getta addosso il malumore, che ti devo dire."
Misi fine a quel discorso con un'alzata di spalle. In fondo che motivo avevo di essere di buon umore? La mia vita non era entusiasmante come quella dei tizi che stavano varcando la porta del locale. Loro si che avevano una ragione per la quale sorridere: chissà quanti soldi si erano fatti con il concerto appena terminato! Sì, lo so, ho una visione alquanto materialista della vita ma non prendiamoci in giro: i soldi fanno la felicità. 
"Virginia! Cosa diavolo stai aspettando?", mi rimproverò Liam sbraitando come un pazzo e solo allora mi ricordai di essere la cameriera.
"Fammi finire la Coca e vado!"
Mi guardò talmente male che mi fece sentire quasi in colpa. Presi un ultimo, lungo sorso e abbandonando sul bancone il mio bicchiere mi diressi verso quel gruppo esaltato di ragazzi che occupava almeno metà locale. Come facevano a gestire quel pub solamente in tre? E soprattutto, come faceva Caroline a non impazzire dopo dieci minuti? Io non avevo ancora preso nessuna ordinazione e volevo già scappare! Solo l'idea di dover stare ad ascoltare le richieste di una ventina di persone mi faceva venir voglia di fuggire. Eppure stavo camminando lentamente verso di loro con un sorriso più finto di Godzilla stampato in faccia e cercavo di farmi forza pensando a tutt'altro. 
"Buonasera e benvenuti  all'Oblivion.", dissi con voce impostata. 
Mi sembrava di star facendo quel lavoro da tutta la vita, che tristezza! Mi risucchiava l'energia, ecco! In più aver puntati addosso più di venti paia di occhi non mi faceva sentire proprio a mio agio, se dobbiamo dirla tutta. 
"Che volete?" La mia voce era risultata più fredda e antipatica del previsto così mi affrettai ad aggiungere: "Da bere, intendo." 
Mi ripetevo mentalmente che se le cose si fanno vanno fatte bene mentre segnavo millemila nomi di cocktail sul blocknotes. Forse forse il mio compito non era poi così arduo. Mentre scribacchiavo su quel foglietto compativo Mickey che avrebbe dovuto preparare tutta quella roba, poverino!
Feci una decina di viaggi avanti e indietro dal bancone ai loro tavoli accontentando ogni singola richiesta e cercai di trovare un lato divertente in quello schifo di lavoro. Non avevo ancora capito chi facesse parte della band e chi no così cercai di dare un ruolo a ciascun ragazzo presente. Ma quel giochino iniziava a risultare più complicato che divertente: c'era un tipo che sembrava non avesse nemmeno l'età per poter bere quella roba e per il resto erano assolutamente anonimi. Stavo giusto scommettendo con Mikey su chi potesse essere chi quando si avvicinò a noi quello che scoprii successivamente essere il chitarrista. 
"Hai bisogno di qualcosa?", chiesi cercando di apparire cordiale. 
"Bè, in effetti sì..." -abbassò lo sguardo sulla targhetta della divisa- "...Caroline."
Lanciai un'occhiata a Mikey che alzò le spalle sorridendo divertito. 
"Ovvero?", mi rivolsi nuovamente al ragazzo che ora si era seduto sullo sgabello accanto a me.
"Vuoi ballare?"
"Sto lavorando, mi dispiace."
Lui mi guardò contrariato bevendo un altro sorso dal suo bicchiere. 
"Ma se non stai facendo nulla da almeno mezz'ora!"
Se almeno mi stesse guardando in viso avrei potuto rivalutare la sua proposta, ma dato che i suoi occhi erano puntati decisamente più in basso -e posso giurare che non stava più guardando la targhetta col nome- la mia risposta restò negativa.
"Vero. Ma non posso comunque."
"Ci sarebbero ragazze che venderebbero la proprio madre per ballare con me!"
"E allora vai da loro!", sbottai innervosita. 
Quei discorsi proprio non li sopportavo. Strimpellare la chitarra in un gruppo per ragazzine ed essere appena carino non ti dà il diritto di tirartela in quel modo. Va beh, forse era un po' più di appena carino. Ecco, diciamo che era proprio bello. Se non fosse stato per il suo carattere altezzoso da pop star avrei potuto dire che era il mio tipo: alto, capelli castani e occhi così scuri da potersi perdervi dentro. Nemmeno le sedie colorate e le luci sopra di noi riuscivano a rischiararli.
"Vorrà dire che ballerò da solo...", mi rivolse un'espressione che lo fece sembrare tanto innocente e mi chiesi come poteva un essere così antipatico avere un viso così angelico.
Il ragazzo raggiunse il centro della sala e cominciò a ballare in mezzo ai suoi compari. Sospirando mi voltai verso Mickey che senza che me ne accorgessi era sparito. Che palle. Proprio ora che mi era venuta sete! Possibile che qualsiasi cosa volessi fare, grande o piccola che fosse, non poteva andare per il verso giusto? 
"Ehi!" un'altra voce richiamò la mia attenzione e non potei fare altro che sbuffare.
Diamine! Siete almeno venticinque. Non potete stare tra di voi invece che venire a rompere le scatole a me? 
"Si?"
"Dalla tua espressione credo di dovermi scusare a nome di Jack."
"Chi?"
Il ragazzo rise e indicò con un cenno il chitarrista che ancora ballava allegramente.
"Ah. No, va beh, non ti preoccupare." 
"Io sono Alex."
Gli strinsi la mano sospirando. Alex era il cantante, no? Dannazione, avevo scommesso con Mickey che lui era il tecnico delle luci! Avevo appena perso cinque dollari, cavolo.
"È sempre così il tuo amico?", chiesi visto che Alex non accennava ad andarsene.
"Diciamo di si. Ma non fermarti alla prima impressione, semplicemente gli piace divertirsi."
"Immagino come gli piace divertirsi..."
"Ti sei proprio fatta una cattiva idea di lui, eh?", chiese accennando un sorriso.
"Ho visto di peggio."
"In fondo è un bravo ragazzo..."
"Non lo metto in dubbio.", tagliai corto prendendo una nuova bottiglia di champagne e andando verso il tizio che ne aveva appena richiesta tacitamente una.
Verso la fine della serata erano quasi tutti ubriachi fradici, non la smettevano di ridere e quelli che riuscivano a stare in equilibrio si potevano contare sulle dita di una mano. Mi infastidiva vedere tutta quella gente così allegra proprio in una serata in cui avevo l'umore sotto i piedi. Dio mio che brutta cosa l'invidia! Li guardavo dal mio sgabello e non facevo altro che pensare a quanto sembrassero felici tutti assieme. Sembravano volersi un gran bene e ognuno di loro aveva una luce negli occhi che gridava al mondo quanto fossero soddisfatti della loro vita.
Beati loro.
"Prima di andare vorrei fare un brindisi!", gridò Jack che per l'occasione era salito in piedi su un tavolo. 
"Beviamo un'ultima volta per la nostra fantastica e bellissima cameriera Caroline!"
Perfetto. Con quella frase Jack aveva chiuso la serata in bellezza. Mi morsi il labbro innervosita. Io non mi chiamavo Caroline! E non ero una dannatissima cameriera!
  
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