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Autore: Glirnardir    27/02/2013    0 recensioni
Legolas viene invitato a Erebor per festeggiare il Capodanno con la famiglia di Gimli, e lì scopre più cose del previsto sui Nani e sul suo amico.
Storia completa.
Questa storia non è mia. Io l'ho semplicemente tradotta per farvi conoscere la meravigliosa autrice Soledad. Per chi fosse interessato alla versione originale, la trovate qui: http://www.fanfiction.net/s/2187161/1/A-Dwarven-Yuletide
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Gimli, Legolas
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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N.d.T.: Questa storia non è mia. Io l'ho semplicemente tradotta per farvi conoscere la meravigliosa autrice Soledad. Per chi fosse interessato alla versione originale, la trovate qui: http://www.fanfiction.net/s/2187161/1/A-Dwarven-Yuletide.
 
PARTE 1

     Legolas amava Dale. L’aveva sempre amata. Come molti degli Elfi Silvani che avevano frequenti rapporti con quell’amena cittadina, aveva terribilmente sofferto ricordando la sua prima distruzione, quando le sue allegre campane erano state spezzate, e gli argini del vivido Fiume Fluente - il Celduin, come lo chiamavano gli Elfi - carbonizzati. La sua conoscenza di quella città risaliva a molto tempo prima dell’arrivo del drago - all’epoca in cui essa era prospera e ridente, brulicante di attività, e intratteneva rapporti commerciali con gli Elfi del Boscoverde, oltre che con i Nani di Erebor e gli Uomini di Pontelagolungo.
     Per un capriccio del fato, Legolas si trovava a Dale quando arrivò il drago, e dovette assistere, furioso e impotente, alla morte fiammeggiante seminata dal mostro. Una vista che non avrebbe mai dimenticato. Gli dava una vaga idea di ciò che Kortirion, la Prima Città degli Elfi - e di Elmö, suo bisnonno - doveva aver patito durante l’attacco dei Valarauki. Avvertiva una strana affinità con i superstiti, che erano fuggiti a Pontelagolungo soltanto per perdere anche quella città a causa del drago.
     Dopo l’inattesa dipartita del drago, erano stati i suoi ricordi - e quelli dei suoi fratelli elfici - ad aiutare nella restaurazione di Dale agli antichi fasti. Anzi, ad essere onesti, a fasti persino maggiori. I Nani di Erebor, che si erano assunti la maggior parte delle opere di ricostruzione, avevano fatto un lavoro meraviglioso. Le idrovie della città, le pozze splendenti, le strade pavimentate di pietre dai mille colori erano splendide a vedersi, nel lontano e rustico Nord. Era come se un’eco della bellezza dei tempi remoti avesse fatto ritorno in quelle contrade da tempo abbandonate.
     Per timore di un altro attacco da parte di un nemico potente e spietato, gli Uomini di Dale avevano deciso di costruire la maggior parte delle loro abitazioni e strade sotto terra. Si trattava dunque di caverne, con archi scolpiti in forma di alberi dall’esperta mano dei Nani, come se appartenessero a una grande città nanica. E i terrazzi e le torri che risalivano i pendii meridionali della Montagna Solitaria compiacevano persino l’occhio degli Elfi. Le stesse grotte di Thranduil erano molto simili.
     Beninteso, la bellezza di Dale era rimasta gravemente ferita nelle recenti battaglie, ma i Nani e gli Uomini non erano rimasti in ozio mentre Legolas si attardava nel Sud. La maggior parte dei danni era ormai riparata, ed era chiaro che la città sarebbe presto tornata a risplendere dell’antica bellezza, anche se il cordoglio per i caduti sarebbe continuato ancora per molto tempo.
     Il limpido risonare di numerose campane di dimensioni diverse, sostenute in molteplici file sull’alto campanile nel centro della grande piazza del mercato, cominciarono a rintoccare un’allegra melodia, il segnale di mezzogiorno. Legolas, che percorreva sin dall’alba le strade della città, allungò la sua falcata, conducendo alla briglia Arod, il suo fedele cavallo di Rohan. Avrebbe dovuto incontrare Gimli al cancello settentrionale di Dale, circa… ecco, più o meno in quel momento.
     Per fortuna era ormai vicino, benché farsi strada in mezzo alla folla pre-Capodanno non fosse impresa facile. La città era gremita come un alveare, e molta gente lo riconosceva e si fermava a salutarlo. Gli Elfi Silvani erano alquanto amati a Dale, per via dei generosi aiuti di Thranduil nella ricostruzione della città, e Legolas vi era stato troppe volte per passare inosservato, anche se avesse portato la sua semplice tenuta da arciere.
     E in quel momento non la portava. Secondo il suo rango di Principe Ereditario di Eryn Lasgalen, vestiva di velluto verde scuro e di seta color grigio-argento, e portava l’obbligatorio cerchietto di mithril sui capelli espertamente intrecciati, che nella stagione invernale avevano assunto una scura tinta castana, quasi nera, come il suolo gelato.
     Erano degli abiti che detestava, trovandoli limitanti, poco pratici… e per di più attiravano l’attenzione. Ma in certe occasioni non poteva evitare l’abbigliamento formale. Tuttavia, gli sguardi di pura ammirazione delle persone che si voltavano verso di lui, col medesimo istinto dei fiori che si voltano verso i raggi di Anor, lo mettevano ancor più a disagio.
     “Puoi dirmi perché devo cavalcare sino a Erebor, conciato come uno dei cortigiani di Aragorn, soltanto per trascorrere il Capodanno sottoterra in compagnia di una massa di Nani, quando potrei piuttosto danzare con la mia famiglia sotto le stelle?” domandò cupamente a Gimli.
     Il Nano, che l’aspettava al cancello, indossava un abito non meno ricco del suo, bianco e oro, sul quale la sua barba strigliata e intrecciata pareva emanare un bagliore di fuoco. Nei profondi occhi di Gimli, neri come il carbone, sfavillava il buonumore, e il Nano sembrava positivamente eccitato - qualcosa che, sino ad allora, Legolas aveva osservato esclusivamente in battaglia.
     “Forse perché Re Thorin in persona ti ha fatto onore di un invito?” ribatté il Nano, borbottando amichevolmente. “E non pensare che lo dica alla leggera, Legolas. Anche se tu sei uno dei pochissimi Elfi che mai siano stati chiamati Amici dei Nani, nessuno di essi ha mai visto ciò che tu stai per vedere questa sera. O meglio, nessuno tranne Celebrimbor…” proferì il nome del grande fabbro Noldorin con la pronuncia Khelebrimbur, come solevano fare i Nani - “ma questo è diverso.”
     “Diverso, in che senso?” inquisì Legolas, salendo cautamente sul dorso di Arod; non era il caso di rovinare i suoi abiti formali, per quanto li odiasse. Gimli lo imitò, montando in sella ad un robusto pony delle colline.
     “Khelebrimbur e Narvi condividevano un legame unico,” spiegò il Nano. “Uno specifico giuramento che soltanto gli artigiani possono prestare. Quell’Elfo era considerato fratello di Narvi, in tutto meno che nel sangue.”
     “Capisco.” Legolas meditò su queste parole mentre trottavano lentamente sulla strada che dal cancello settentrionale di Dale conduceva direttamente alla Porta Principale di Erebor. “E allora che cosa conferisce proprio a me questo onore?”
     “Sei il mio fratello di scudo,” disse semplicemente Gimli, “vale a dire la stessa cosa, per due guerrieri. Ti conferisce il diritto di presenziare a cerimonie alle quali gli estranei non avrebbero mai il permesso di assistere. Inoltre,” soggiunse con un sorriso, “mia madre vuole conoscerti. E sai bene che le donne dei Nani abbandonano di rado le loro case.”
     Legolas gli scoccò uno sguardo stupito. “Non sapevo che tua madre fosse ancora viva!”
     “Sono molte le cose che non sai sul mio conto,” ribatté Gimli. “Stasera le cose cambieranno.”
     Non volle rivelare altro, nonostante tutte le esortazioni di Legolas, e quindi continuarono a cavalcare in silenzio. La strada passava sul ponte del Celduin, un tempo spezzato, che però, dopo il ritorno dei Nani a Erebor, era stato anch’esso riparato, rinforzato e ridecorato, e giunsero infine alla terrazza rocciosa innanzi alla Prima Porta - un alto cancello ad arco, dal quale un ampio sentiero interno conduceva direttamente alla grande sala di Thrór.
     A difesa della Porta, ora anch’essa riccamente scolpita e rinforzata, vi erano due imponenti guardie corazzate, che vestivano cotte di maglia, giubbe imbottite e brache in cuoio. Ambedue portavano grandi asce da combattimento di traverso sulla schiena, e spadoni fissati alle cinture. Salutarono i visitatori con un inchino talmente profondo e rispettoso che le loro barbe forcute e intrecciate sfiorarono quasi il pavimento roccioso, e chiamarono con un fischio un giovanotto che si presentò per potare via i loro cavalli.
     Dopodiché si fecero da parte, permettendo il passaggio ad un altro giovane Nano. Questi aveva i medesimi occhi neri profondamente incassati, simili a bottoni, e il naso leggermente all’insù di Gimli, ma i suoi capelli erano neri come carbone. Anch’egli vestiva sfarzosamente, e rivolse a Legolas un’occhiata sospettosa, ma ciò nonostante s’inchinò e saluto l’Elfo in modo assai garbato.
     “Benvenuto nel Reame sotto la Montagna,” Legolas figlio di Thranduil,” disse in Ovestron, con una voce profonda e borbottante molto simile a quella di Gimli. “Io sono Grór figlio di Glóin, al tuo servizio e della tua famiglia.”
     “E io al tuo, per sempre,” replicò Legolas, che conosceva abbastanza le tradizioni dei Nani da saper dare la risposta corretta. Tuttavia il nome lo colse alla sprovvista. “Grór figlio di Glóin, hai detto? Allora sei fratello di Gimli?”
     “Uno dei suoi fratelli,” lo corresse Grór, e improvvisamente il suo viso rotondo fu solcato da un gran sorriso. “Scommetto che non ti ha mai parlato di noi.”
     “No, infatti, mai,” ammise Legolas con cipiglio. “Ho sempre pensato che fosse figlio unico.”
     Queste parole gli fruttarono un risolino beffardo. “Nessun Nano con un minimo di amor proprio metterebbe al mondo un figlio solo, specialmente un maschio,” disse il giovane Grór.
     “E io, di grazia, come potevo saperlo?” ribatté Legolas, sprezzante. “Voi Nani siete senza dubbio gente assai riservata.”
     “Basta così,” intervenne dall’interno una voce severa. “Grór, bada a come parli, giovanotto, o ci baderò io. Gimli, accompagna qua dentro il tuo ospite d’onore.”
     I due fratelli Nani abbassarono istintivamente il capo, e proferendo in coro un docile “sì, madre”, obbedirono.
  
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