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Autore: Lali_00    27/02/2013    0 recensioni
Un libro basato sui profumi e ciò che scaturiscono nella mia mente.
Genere: Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Raccolta | Avvertimenti: Incompiuta | Contesto: Contesto generale/vago
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Gelsomino.

Ai bambini non importa del tempo. Non sanno nemmeno che esista. Non sanno leggere l’orologio. E a loro non serve. I bambini hanno così tanto tempo davanti che li spaventerebbe, e nient’altro.
Io, da bambina, capivo come passasse il tempo grazie ai gelsomini. 
Il nonno della mia migliore amica, mio vicino di casa, aveva il giardino pieno di gelsomini dall’odore meraviglioso. Non per niente sono stati per moltissimo tempo i miei fiori preferiti. Amabilità, ecco qual è il loro significato.
Il loro profumo mi ricorda le sere d’estate passate a correre per la via, con gli anziani seduti in strada a parlare dei bei tempi andati. Pragmaticamente in dialetto.
La strada era piena di bambini, naturalmente alcuni più grandi. Io e Luisa eravamo le più piccole. Come sempre.
I gelsomini raggiungevano il loro culmine tra la primavera e l’estate. Primavera ed estate per me erano i giorni dei gelsomini. 
Aprivo la finestra e l’odore mi investiva.
Ogni mattina, soprattutto d’estate, raccoglievo tutti quelli caduti sul marciapiede e li premevo contro il viso.
Andavano tutti a mare, le mattine d’estate. A me non piaceva. Il mare, allora, mi faceva ancora paura. Non vedevo dove finisse.
Io restavo sola. Sola con il sole, l’afa, i (miei) gelsomini e il loro odore.
Prendevo quelli caduti per terra perché li calpestavano, e a me dava fastidio. Li proteggevo, a modo mio. A nessuno importava di loro. A me sì, anche perché gli altri non arrivavo a prenderli.
Si apprezza di più ciò che non si può avere, lo sapevo già a quattro anni.
Ma mi accontentavo di quelli che riuscivo a prendere, già a quattro anni.
Ogni tanto, cresciuta di qualche centimetro, ne raccoglievo una dozzina e facevo dei mazzi da regalare ai vicini, a Luisa o a mia madre. 
Nessuno li apprezzava.
Tanto li avevamo accanto casa, li potevamo raccogliere tutti giorni. Così li lasciavano appassire.
Ormai sapevo qual era l’estate e quale la primavera. Avevo capito che in autunno e in inverno i gelsomini non c’erano, ma il profumo l’avevo impresso nelle narici, quindi lo sentivo ogni giorno.
Andavo alle elementari e avevo preso una cotta per un mio compagno di classe. Sarebbe stato il mio fidanzatino per ben quattro anni e un carissimo amico per ben più di sette anni.
Ormai potevo cogliere i gelsomini senza problemi, perlomeno quelli dei rami più bassi. 
Così passavo i pomeriggi, le serate, le mattine, con Luisa a giocare con i gelsomini. M’ama. Non m’ama. Ormai era un rito. Giornaliero.  
I gelsomini hanno cinque petali. Ovviamente se si comincia con “M’ama” si finirà con “M’ama”. Noi non lo sapevamo. Così era sempre una bellissima sorpresa.
Ho sette anni. Vado in terza elementare. Ho già una cicatrice di 21 punti sul palmo della mano destra. Ma i gelsomini sono ancora lì.
Mi rassicurano. Loro ci sono sempre. Non scappano. Restano lì. Aspettano. Come me.
Una volta a settimana raccolgo un gelsomino e me lo metto tra i capelli.
Ho otto anni. I gelsomini sono il mio punto di riferimento.
La pianta viene tagliata.
Il nonno di Luisa è più grave, non riesce più a prendersene cura.
Ho tredici anni, quasi quattordici.
Ho scordato l’odore dei gelsomini.
So leggere l’orologio.
So che il tempo a mia disposizione non è infinito.

  
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