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Autore: Melanto    15/09/2007    5 recensioni
Due membri dell'Esercito Interstellare ed una missione di cui avrebbero volentieri fatto a meno! Ma non si possono MAI rifiutare gli ordini del Comandante, MAI!
Genere: Azione, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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PreNota: Questa storia partecipa alla prima edizione della Disfida di "Criticoni" (sito di critica positiva e negativa)
La sfida prevedeva la scrittura di una storia basandosi su un'immagine. Io avevo scelto l'immagine che conteneva un paesaggio desertico con al centro degli enormi cristalli rosa. :)

Si ringrazia Maki-chan per la betalettura (*w*)

Gli ordini del Comandante

Trakka aveva una composizione simile alla Terra, ma una gravità dieci volte inferiore che richiedeva l'utilizzo di particolari attrezzature per poter camminare sulla sua superficie.
Una vera seccatura per i soldati dell'Esercito Interstellare, ma, grazie alla Galaxy S.p.a., il problema era stato risolto con l'inserimento di sistemi gravitazionali dotati di microchips dell'ultima generazione. Eppure, non tutti sembravano apprezzare quell'incredibile ritrovato della scienza e della tecnica...

“Tecnologia?! Ultima generazione?! Stronzate!” sbottò per l’ennesima volta Jeremy Key, arrancando con movimenti impacciati sul suolo trakkano. Ad ogni passo il pulviscolo, sottile come la più fine polvere di argilla terrestre, si sollevava in fastidiose nuvolette che andavano ad ostruire i filtri del respiratore, necessario alla sua sopravvivenza.
“Guarda qua! Sembra che stia camminando nelle sabbie mobili!” e tossì un paio di volte, roteando gli occhi al cielo con fastidio. “Per non parlare di questa terra della malora! Puliscimi un po’ i filtri, va!”. Si avvicinò al suo compagno di missione, alto quasi il doppio di lui e sottile come uno stecco, che scosse il capo coperto dal grosso casco nero.
“Ma voi terrestri vi lamentate sempre tanto?” domandò, armeggiando con la divisa dell’altro. Ne staccò una piccola scatola, grossa quanto due dita umane, e la agitò facendo cadere un po’ di terra che era riuscita ad accumularsi al suo interno. Dopodichè, la sistemò nuovamente nella sua locazione originaria, dando un colpetto leggero sulla spalla di Jeremy.
“Non è vero! Sono questi affari che non funzionano come dovrebbero! Con tutte le tasse che paghiamo al Governo, e che quest’ultimo spende per gli armamenti, vorrei che minimo minimo mi facessero la barba, il caffè… ed anche una sega, già che ci siamo!” e prese a scrollarsi convulsamente “Avrò la terra fin dentro le mutande!”
“E’ probabile che tu li abbia regolati male, come al solito. Ho notato che quella di attribuire le colpe dei propri errori agli altri è una caratteristica della vostra razza.”. Riprese il suo interlocutore che si guardò intorno, armeggiando con il doppio schermo del visore sul quale erano comparsi una serie di quadranti con immagini e numeri. L’area era divisa in settori e lui riusciva a scandagliarli tutti dalla sua posizione, almeno fino ad un raggio di trenta chilometri.
“Ah, sì?!” il soldato Key si portò le mani ai fianchi con ironia “E da quando saresti divenuto un esperto conoscitore della razza terrestre, JuDka?!”
L’altro si strinse nelle spalle strette e magre. “Da quando sono entrato nell’Esercito Interstellare.” e mentre diceva questo, ruotando lentamente il capo per ispezionare la zona, si fermò. Lo sguardo coperto dalla celata nera del casco che proteggeva la vista dai raggi solari, troppo forti per loro e che li avrebbero ustionati all’istante. Le dita, coperte dai guanti, pigiarono un paio di pulsanti ai lati dell’elmetto.
Temperatura Settore Z3-b: 110° C
Temperatura Settore Z3-c: 90° C
- Mmm… un calo di 20° C… - si ritrovò a pensare l’alieno, mentre l’elaborazione dei dati restituiva strani bip al suo sistema acustico.
Jeremy, intanto, continuava a borbottare. “Ah, fantastico! Ci mancava solo che mi mettessero in coppia con un gambelunghe saputello! Perfetto!” e tentò di avanzare di qualche passo nella distesa arida che, intervallata da spuntoni di roccia arenaria, si dipanava davanti a loro per chilometri
I suoi movimenti risultarono goffi e si fermò di nuovo dopo aver superato JuDka di meno di un metro, sbuffando. “Che la Galaxy S.p.a. vada in malora con i suoi gingilli del cazzo!”
“Forse li abbiamo trovati…” disse l’alieno, interrompendo i suoi improperi ed attirandosi la sua attenzione.
Il soldato terrestre si volse ad osservarlo, celando sotto al casco un’espressione interrogativa, prima di sorridere. “Era ora, maledizione!” sbottò, guardandosi attorno. “Allora? Da che parte?”
“Settore Z3-c, a circa una decina di chilometri da qui.”
“Dieci chilometri?! Altri dieci chilometri a camminare sotto questo sole?!” ed agitò una mano inguantata “Non so te, ma io sto facendo la sauna qua dentro!”
JuDka riprese a camminare molto più agilmente di Jeremy. “Ringrazia di stare facendo ‘solo’ la sauna.” gli disse, estraendo la pistola a scarica elettrica dalla fondina pendente alla cintura e regolandone il voltaggio, mettendolo al minimo, affinché stordisse i probabili, anzi, sicuri nemici che avrebbero incontrato nell’avvicinarsi alla loro meta. Ma il termine 'nemico' aveva una valenza quantomeno relativa. Per i trakkani erano loro gli invasori, che occupavano periodicamente i loro spazi per defraudarli dei luba.
E tutto perché quelli erano gli ordini del Comandante.
Non potevano di certo disobbedire, no?
Sarebbe stato considerato ‘alto tradimento’ e, nella migliore delle ipotesi, li avrebbero ingabbiati buttando via la chiave. Nella peggiore… beh… i lavori forzati su qualche stella sperduta non glieli avrebbe levati nessuno. E JuDka non è che impazziva dalla voglia di mettersi a spalare sterco di Scarafaggio-Carbone Gigante sulle Lune Nere di Bys. No, avrebbe di gran lunga preferito passare in altro modo la sua vecchiaia… casomai fosse sopravvissuto abbastanza per arrivarci.
L’alieno gambelunghe, come venivano chiamati quelli di Hyaluna, continuò a camminare con le sue movenze ciondolanti, monitorando la zona con la speranza di non veder trakkani almeno fino a che non fossero arrivati nelle vicinanze dei giacimenti di luba-dola. Jeremy arrancava alle sue spalle con le movenze eleganti di un gatto-pancia obeso.
JuDka gli diede una rapida occhiata, scuotendo il capo. Non aveva mai avuto una buona considerazione dei terrestri. Certo, non bisognava mai fare di tutta l’erba un fascio, ma la maggior parte dei suoi superiori e colleghi erano terrestri ed erano… inclassificabili! Rozzi, egoisti, egocentrici. Le peggiori qualità le avevano loro. Non aveva mai incontrato altri alieni che fossero un concentrato di difetti come gli umani. Erano prepotenti, presuntuosi e violenti. E poi… puzzavano di carne, che era il male minore e l'unica cosa di cui non avevano colpa. La natura li aveva dotati di tessuti, nervi e cellule, ma a lui dava fastidio lo stesso sentire il loro odore forte che gli pizzicava le narici. All’inizio era stata dura dover trattenere i conati di vomito. Poi era riuscito ad abituarsi lentamente, anche grazie ai respiratori portatili che stemperavano il lezzo che naturalmente emanavano.
Inoltre… lui non si era arruolato nell’Esercito Interstellare per andare a razziare i luba-dola trakkani! Quello era un abuso di potere bello e buono!
Ma che avrebbe dovuto fare?!
Protestare?!
Naaa!
Lui era solo un soldato semplice e contro l’elite di comando non avrebbe avuto chances.
Armeggiando con il visore controllò la distanza. Ormai dovevano esserci: dovevano superare solo una frastagliata muraglia di roccia, alle cui spalle avrebbero potuto vedere i giacimenti di luba-dola che stavano cercando.
Si arrampicarono sulla parete friabile della formazione, facendo appiglio sulle sporgenze che sembravano essere più resistenti.
“Hai regolato la pistola al minimo?” domandò JuDka.
Seeeseee…” borbottò Jeremy senza ascoltarlo davvero, preso com’era dalla scalata e dal non mettere un piede in fallo. Un pezzo di roccia franò sotto la pressione della sua mano, facendogli perdere l’equilibrio e dovette faticare non poco per non ruzzolare giù.
“Cristo Santo!” sbottò, agitando la mano nel vuoto e riuscendo miracolosamente a non cadere.
L’alieno storse il naso, fermandosi a qualche metro sopra di lui. “Ti dispiacerebbe non essere così irrispettoso verso il tuo Dio? È irritante.”
“E che avrei detto di irrispettoso?! L’ho solo nominato…”
“Invano.”
“E allora?! Non è una bestemmia! È solo… un intercalare!”
Ma l’altro sembrava irremovibile. “Non mi interessa. Fammi la cortesia di non usarlo in mia presenza, va bene?”
Jeremy sbuffò “Va bene, va bene… ma io non capisco cosa ci sia di così blasfemo!”
“C’è che, se il tuo Dio decidesse di averne le scatole piene di essere tirato in mezzo una parola sì e l’altra pure, non vorrei scatenasse la sua ira anche su di me, visto che ti sono vicino.”
Ed il terrestre non riuscì a trattenersi oltre, scoppiando in una risata sguaiata. “Oh, questa è bella! Non ti facevo così superstizioso! Ma davvero pensi che il Padreterno scomoderebbe le sue divine chiappe per così poco? Non vorrei deludere le tue aspettative, ma se fosse stato così, la Terra non esisterebbe più da secoli e secoli!”
JuDka scosse il capo con un sospiro rassegnato. “Sono dispiaciuto per il tuo Dio, non deve essere piacevole avere simili sudditi.” ma l’altro continuava a sghignazzare con strafottenza.
“Lascia perdere la mia religione, gambelunghe, e vedi di darmi una mano: non è comodo restare a penzoloni, sappilo!”
L’alieno non rispose, ma si limitò a cavare, da una delle tasche della cintura, un oggetto rotondo e nero con sopra un pulsante. Lo pigiò, puntandolo in direzione del suo compagno, e dal foro sul bordo ne uscì un filo dal diametro di circa mezzo centimetro, che terminava con un piccolo arpione. Una volta sicuro che quest’ultimo si fosse ben agganciato alla cintura di Jeremy, JuDka lasciò il pulsante ed il filo cominciò a riavvolgersi trascinandosi dietro il terrestre, senza il minimo sforzo.
Gli ant-rope facevano parte della dotazione standard dell’Esercito Interstellare ed erano uno degli oggetti più utili che la Galaxy S.p.a. avesse mai creato. La corda era una lega di titanio ed alluminio rivestita da un sottile strato di rubbex e, come le formiche da cui prendeva il nome, era in grado di sollevare fino a ventidue volte il peso dell’oggetto cui si arpionava. Grazie alla sua tecnologia avanzata, era dotata di sensori auto-adattanti che si regolavano a seconda del corpo o oggetto da sollevare, ed aveva quindi una resistenza pressoché infinita.
JuDka tirò su Jeremy senza problemi, lo portò nella sua posizione e non lo perse di vista fino a che non lo vide aggrapparsi saldamente alla roccia.
Tsk! Dio benedica la Galaxy S.p.a.!” esclamò il soldato terrestre la cui incoerenza intrinseca fece scuotere il capo al gambelunghe che riprese a scalare la parete, mentre ormai erano arrivati finalmente in cima.
Il primo a sporgersi fu proprio JuDka, ma quello che vide gli strappò un’esclamazione di disappunto in hyaluns; un attimo dopo venne raggiunto da Key che, parimenti lui, non ci andò tanto per il sottile.
“Miseria puttana!” sbuffò, battendo una manata sulla roccia che sollevò una leggera nuvoletta di polvere. “E dove sono i luba-dola?!”
Ma l’altro non rispose, intento ad armeggiare con il proprio visore. Per quanto non ce ne fosse reale bisogno, visto che erano ben visibili anche senza zoomare, l’alieno ingrandì l’immagine per osservarli meglio.
No, erano stati sfortunati: quelli erano semplici luba-tera. Le loro forme alte, perfettamente simmetriche e sfaccettate li rendevano del tutto identici ai luba-dola… peccato che fossero neri come l’ossidiana e con riflessi viola molto, molto scuro; non erano per nulla trasparenti.
JuDka sbuffò amareggiato; si era lasciato ingannare da quel calo di temperatura, ma avrebbe dovuto capirlo subito che era troppo basso perché fosse quello associato alla presenza di luba-dola. Per scrupolo fece una nuova scansione termica ed il risultato lo incuriosì.
“Ci sono solo dei comunissimi luba-tera! Maledizione!”
“Aspetta…” lo interruppe l’alieno e Jeremy si zittì, palesemente seccato.
Il gambelunghe continuò a scrutare dal monitor del visore.
Temperatura Settore Z3-c: 90° C
Temperatura Settore Z3-c/a: 45° C
Tombola!
“Ci siamo, Key.” disse JuDka cominciando la discesa, mentre l’altro lo seguì qualche attimo dopo, parlando a raffica.
“Allora? Li hai trovati questa volta? Quanto ancora dovremo camminare? Ho i filtri nuovamente intasati, accidenti!”
“Stai calmo.” a riuscì a mettere finalmente piede al suolo senza farsi nulla. “La presenza dei luba-tera aveva coperto quella dei luba-dola. Nel settore Z3-c/a c’è un calo di 45° C, devono essere loro per forza.” mentre lo diceva, sentì un gridolino allarmato e vide una chiazza scura rovinare al suolo accanto a lui, seguita da pezzi di arenaria.
Ed una bestemmia, ovviamente.
“Che imbranato.” scosse il capo JuDka, mentre osservava Jeremy che restava con il viso spalmato nella terra e le chiappe all’aria.
“Potresti anche darmi una mano, maledetto gambelunghe!” bofonchiò il giovane, allungando un braccio alla ricerca di un qualsivoglia appiglio per rimettersi in piedi. L’altro glielo afferrò aiutandolo a rialzarsi, mentre lo sentiva borbottare “Che la Galaxy S.p.a. sprofondi nella merda di Scarafaggi-Carbone!”

La distesa di luba-tera era decisamente vasta e ci volle più di una buona mezz’ora prima che riuscissero a superarla.
Dei trakkani, ovviamente, nemmeno l’ombra. I due soldati lo sapevano bene che preferivano i luba-dola, perché, rispetto agli altri, riuscivano a rinfrescare molto di più l’ambiente circostante.
Non si era ancora capito bene come questa specie di enormi cristalli si formasse su un pianeta tanto arido, con una gravità troppo bassa per trattenere chissà che atmosfera, la quale non riusciva a schermare sufficientemente la superficie dai violenti raggi del loro sole.
Ma era anche vero che gli scienziati non si erano applicati molto nelle ricerche: a che serviva, se tanto Trakka ne produceva in quantità illimitate?

Così, da circa vent’anni, sul pianeta erano state costruite miniere ed industrie per l’estrazione e l’esportazione dei luba – siano essi dola, tera o di qualsiasi altro tipo – che erano sparpagliate per tutta la superficie. E, in effetti, non ci sarebbe voluto nulla ad andare da una di queste maledette industrie e comprare tutte le quantità di luba-dola che il Comandante voleva, però… c’era un’altra caratteristica, dei terrestri, che JuDka aveva imparato: erano schifosamente spilorci. Ed il suo superiore non faceva di certo eccezione. ‘Perché’, diceva lui, ‘Spendere fior di doblodollari dai produttori, quando la legge non vieta di andare su Trakka e procurarsi i cristalli da soli?’.
A quelle parole, il gambelunghe avrebbe sempre voluto ribattere: ‘Visto che ci tieni tanto, perché non ti fai tu le scarpinate sotto il sole bollente a litigare con i trakkani che tutti i torti non hanno?’.
JuDka sbuffò contrariato, rallentando l’andatura e, nascondendosi dietro una formazione, fece capolino per vedere se questa fosse la volta buona.
Appena vide gli enormi cristalli, di quel tenue rosa trasparente, ringraziò mentalmente in hyaluns la sua divinità; avrebbero dovuto fare solo un altro piccolo sforzo e poi se ne sarebbero potuti tornare finalmente sull’astronave. Al fresco.
“Eccoli! Era ora!” esclamò Jeremy affacciandosi anche lui.
Ad una cinquantina di metri da loro c’era una grossa formazione di luba-dola. Perfetta. Tanto a loro ne serviva veramente una quantità misera, ma il soldato terrestre vide anche i trakkani che le fluttuavano intorno come fantasmi.
Erano creature strane. Poco consistenti, trasparenti e avvolte da polvere e sabbia. Sotto quello strato sottile di materiale inerte che li rivestiva c’erano gli organi, di un colore biancastro opalescente, più densi. Nei sottilissimi tubicini che li collegavano, e fungevano da apparato circolatorio, si vedeva il liquido refrigerante che ricavavano dai luba e che aveva svariate funzionalità: li nutriva, li riparava dalle alte temperature, li distingueva. Infatti, a seconda del tipo di luba da cui attingevano i nutrienti, cambiavano colore: nero, rosa, verde, giallo e così via. A pasto appena concluso i colori erano vividi e lucenti, ed erano anche pittoreschi da guardare, poi, appena avevano assimilato le sostanze, cominciavano a scolorirsi fino a ritornare biancastri e pronti a nutrirsi di nuovo. Durante le ore più calde della giornata si nascondevano sottoterra per ripararsi dal calore solare, mentre di notte vagavano sulla superficie brillando dei loro colori opalescenti.
Non avevano ‘mani’, né ‘piedi’ di umanoide concezione, ma lunghi tentacoli; si esprimevano con versi acuti e stridenti; vedevano attraverso sensori termici.
Ma, soprattutto, conducevano l’elettricità meglio del ferro e dell’acqua per questo, quando le missioni erano su Trakka, bastava una semplice pistola a scarica come armamento.
“Ed ecco il comitato di accoglienza.” mormorò Jeremy dopo averli zoomati e contati. “Sono solo sei, meglio così.”
“Sperando che non ce ne siano appostati sottoterra.” obiettò JuDka, stringendo l’arma tra le dita inguantate.
“Di che ti preoccupi, gambelunghe?” l'altro alzò la pistola in tono di superiorità “Noi li stendiamo con una pizzicata al culo!”
“L’umorismo terrestre mi mette i brividi.” rispose l’alieno uscendo dal suo nascondiglio e, alzata l’arma davanti a sé, cominciò a tenere sotto tiro i trakkani in lontananza.
Jeremy lo seguì a ruota, ostentando una irritante spavalderia, mentre si muoveva sempre goffamente.
Le creature fluttuanti continuavano a svolazzare indisturbate attorno ai luba-dola senza essersi minimamente accorte della loro presenza, ma Key era sempre stato dell’idea che le entrate ad effetto mettessero soggezione al nemico. Così cominciò a sbraitare.
“Ehi, polipi gelatinosi, sgombrate il campo, arriva l’Esercito!”
“Jeremy, guarda che non sono gelatinosi…” gli fece notare JuDka.
“Ecchettifrega! Tanto non capiscono un accidenti di multilingua!” si difese alzando la pistola a scarica, mentre i trakkani rimasero ad osservarli smettendo di ruotare attorno al luba-dola e mantenendosi in sospensione. Li studiarono attraverso i sensori termici. Poi uno dei più piccoli, di un tenue color paglia, emise uno stridio acuto e li caricò con intenzioni per nulla pacifiche.
“Arrivano…” mormorò il gambelunghe concentrandosi sui fluidi movimenti dell’alieno, mentre Key la prese come al solito troppo alla leggera, puntandogli contro la sua arma.
“Massì, massì… l’ho visto.” disse, aspettando che il trakkano fosse a tiro, poi abbozzò un sorriso sbilenco di pura soddisfazione sotto al casco. “To'! Adesso lo stendo.” e fece fuoco, ma quello che avvenne non fu esattamente ciò che entrambi avevano ipotizzato.
La scarica partì con un raggio di intensità abbagliante, friggendo il trakkano in meno di un nanosecondo. Il suo corpo fluttuante e semi-consistente rovinò al suolo con la leggerezza di un velo di seta lasciato cadere; il colorito tenue schiarì in pochissimi attimi tornando biancastro, prima di tramutarsi in polvere sottile.
Il silenzio calò da ambo le parti, rotto solo dal tossicchiare imbarazzato di Jeremy che diede una rapida occhiata alla pistola, borbottando “…forse non l’avevo regolata…”
“Imbecille.” ringhiò JuDka ed il soldato terrestre poteva solo immaginare lo sguardo di puro disprezzo che l’alieno gli stava lanciando nascosto dal casco. “Ora siamo nella merda!”.
I trakkani rimasti si avvicinarono lentamente, schierandosi accanto a quello più grande; la polvere attorno ai loro corpi cominciò a roteare come impazzita, segno che le creature erano decisamente incazzate. D’un tratto, all’unisono, cominciarono ad emettere dei suoni talmente acuti che i due soldati dell’Esercito Interstellare si portarono le mani alla testa, piegandosi per il dolore.
“Maledizione!” gridò il gambelunghe facendo un tremante passo indietro “Adesso si fondono!”
Ed infatti, i quattro alieni più piccoli presero a brillare come luci al neon, unendosi al corpo di quello più grande le cui dimensioni divennero ancora maggiori, quasi spropositate, facendogli acquisire una consistenza molto più solida del normale. Sarebbe bastato poco e con il suo peso avrebbe potuto schiacciare i due soldati senza il minimo sforzo. Ma non era questa la cosa peggiore della Fusione Trakkana.
Il vero problema era che la creatura risultate… era isolante. Le pistole a scarica divenivano, così, totalmente inutili.
JuDka sgranò lo sguardo appena si accorse che il mega-trakkano li stava caricando, volando verso di loro a grande velocità, ed aveva perso tutta la fluidità nei movimenti. Ora sembrava una specie di masso dalla forma triangolare e la lunga coda appuntita che ondeggiava nell’aria sibilando come una frusta.
“Ci viene addosso!” gridò per sovrastare l’acuto verso dell’alieno gigante e diede una spinta a Jeremy, intimandogli di correre più velocemente possibile. Lui corse nella direzione opposta a quella del compagno, barcollando, mentre le grida strazianti del trakkano lo stordivano, rallentando i suoi movimenti.
A Key non andava di certo meglio. Già l’errata regolazione degli scarponi lo faceva muovere con difficoltà, con quei suoni quasi ultrasonici a spaccargli i timpani sembrava ancora più goffo e si ritrovò ad arrancare in ginocchio, trascinandosi lungo la polvere.
Per sua fortuna, e sfortuna di JuDka, l’alieno decise di puntare per primo il gambelunghe e si lanciò al suo inseguimento… nel senso più stretto del termine. Appena gli fu abbastanza vicino, la creatura si lanciò a peso morto su di lui e JuDka lo evitò per un pelo, tuffandosi in avanti e facendo una mezza capriola.
L’impatto del corpo del trakkano con il terreno sollevò un’intensa nube di polvere che oscurò la sua vista, ma il gambelunghe non smise di correre, nonostante non sapesse da che parte stesse andando.
“Che i terrestri siano stramaledetti! Tutti!” gridò JuDka terrorizzato, con il cuore che gli era arrivato fino in gola e batteva forsennatamente, tanto da fargli male “E tutta la loro progenie!”.
Per quanto fosse inutile, smosse l’aria davanti a sé sperando di diradare il sottile strato di terra, ma fu solo quando impattò contro qualcosa di duro, che lo fece cadere rovinosamente all’indietro, che capì di essersi mosso nella direzione sbagliata.
Intanto, la creatura si era rialzata e, questa volta, decise che Jeremy fosse un avversario più facile. Roteò rapidamente la coda, frustando l’aria, sollevando altra terra.
Key continuava a camminare carponi, ma lo sentì distintamente arrivare. Cercò di aumentare l’andatura per quanto possibile e maledisse all’ennesima potenza la Galaxy S.p.a.
Appena un’ombra scura si pose sopra di lui, capì di essere stato individuato. Non seppe quale Santo gli diede la lucidità necessaria a fargli salvare la pelle, ma di sicuro gli sarebbe stato grato da lì all’eternità.
Con gesti frenetici, mise rapidamente mano alla cintura estraendo l’ant-rope e, puntandolo alla cieca in una direzione – tanto non si vedeva niente ovunque! – , pigiò il tasto lasciando che l’arpione vagasse a cercare un probabile appiglio. Senza nemmeno essere sicuro che avesse fatto presa da qualche parte, lasciò il pulsante giocandosi il tutto per tutto.
E fu fortunato.
Appena mollò, si sentì trascinare lungo il terreno dissestato, giusto un attimo prima che il trakkano si lasciasse cadere al suolo, mancandolo di un soffio.
“Qua finisce che ci tiriamo le cuoia!” gridò sobbalzando attaccato all’ant-rope.
“Fa’ silenzio, idiota!” lo redarguì JuDka, aspramente “Ti ricordo che è colpa tua se ci stanno attaccando! Se tu avessi giustamente regolato quella dannata pistola, non ci troveremmo in questa situazione!” e si mise a sedere tenendosi il capo, ancora un po’ intontito.
“Non stare sempre a sottilizzare!”. Key premette nuovamente sul pulsante, facendo disincagliare l’arpione e fermando così il riavvolgimento del filo. Ruotò su sé stesso, mettendo mano ai tasti che regolavano il visore, cercando di individuare il trakkano tramite i sensori che riuscivano ad oltrepassare la coltre di terra.
Apparve una schermata marrone, su cui individuò una grossa formazione blu scura ed erano i luba-dola; alla loro base c’era una chiazza arancio-rossastra che si muoveva barcollante ed era JuDka; infine adocchiò il trakkano che emanava un colore giallino tenue ai sensori termici. Si stava lentamente rialzando e lui lo imitò, tenendolo sempre sotto controllo. Lo vide girare in tondo piuttosto nervosamente, e sembrava indeciso su chi attaccare. Probabilmente avrebbe scelto lui, che era lontano dai luba-dola, e se lo avesse puntato di nuovo probabilmente non se la sarebbe cavata a buon mercato.
D’un tratto, un rombante rumore di reattori squarciò l’aria circostante, sovrastando anche i lamenti del trakkano che apparve spaventato e volò in direzione dei luba-dola, in cerca di rifugio. Ma prima che potesse nascondersi tra gli enormi cristalli della formazione, venne raggiunto da un getto di refrigerante.
Jeremy e JuDka individuarono, tramite i sensori, una grossa astronave sopra di loro, ma appena il mezzo mise in moto gli aspiratori, diradando la coltre di polvere, riuscirono finalmente a vederla nella sua interezza.
“Qui è la Bambina Cattiva, avete bisogno di aiuto?” cinguettò una voce femminile ai loro microfoni.
Key ringhiò inferocito. “Vaffanculo, Michelle! Potevate muoverle anche prima le metalliche chiappe della Bambina, eh!”
“Oh Jerry, mio amato scaricatore di porto-stellare…” lo canzonò l’addetta alle comunicazioni “…ti ricordo che siamo in perfetto orario, sono le tredici-punto-zerozero. Avete preso i luba-dola?”
“Vaffanculo anche ai luba-dola!” continuò a sbraitare “Noi ci stavamo per lasciare la pelle per quei maledetti pezzi di ghiaccio alla frutta! Il Comandante non poteva accontentarsi dei luba-tera per una volta?!”
Ma l’altra sbuffò annoiata. “JayJay, lo sai anche tu che il Capo impazzisce per il ghiaccio-fragola! Quello prugna non lo digerisce. E poi, senza il suo cocktail serale, diventa di pessimo umore.”
JuDka si rimise in piedi, estraendo un contenitore dallo zaino che aveva sulla spalla: era un recipiente di forma cilindrica, grande quanto un bicchiere perché la legge, sì, permetteva di auto-procurarsi i luba, ma in quantità misere. “Che ci si possa strozzare…” sibilò tra i denti, riempiendolo fino all’orlo di luba-dola per poi richiuderlo e infilarlo nuovamente nella sacca.
“Vedi di tiraci su, Michelle!” strepitò Key e la ragazza cinguettò un “Okay.” Un attimo dopo, due dischi in metallo furono espulsi dallo scafo ellissoidale e galleggiarono davanti ai due soldati che vi si sedettero sopra, allacciando la cintura. In meno di un minuto furono finalmente al sicuro nel fresco hangar della Bambina Cattiva.
JuDka si tolse il casco, gettandolo a terra con un moto di stizza. La pelle grigia, che brillava di quel naturale riverbero simil-metallico, era imperlata di un sottile strato di materiale oleoso, paragonabile al sudore. Le capillari e nere fessure verticali che usava per vedere non riuscivano a schermare la sua irritazione. Infilò rapidamente il respiratore per stemperare il lezzo di carne umana che permeava l’intero ambiente, slacciò la cintura e cavò il contenitore dallo zaino, lanciandolo ad un enorme sholano, grosso quanto un armadio a quattro ante. “Tieni Bhol! Portalo al… Comandante.” intrappolando un insulto tra i denti.
L’altro lo prese al volo, abbozzando un sorriso di comprensione. “Dai, JuDka, non prenderla a male, magari la prossima volta sarai più fortunato nel sorteggio.”
“Certo, come no.” sbuffò e si diresse ad uno degli oblò, osservando come Trakka si facesse sempre più piccolo a mano a mano che si allontanavano dalla sua superficie.
Jeremy gli si fece di fianco, ed era un molliccio umano dai folti capelli rossicci ed una cicatrice che gli infilzava le efelidi sul naso. “Finalmente a casa!” esclamò con quel suo ironico e stupido sorriso terrestre. Il gambelunghe sospirò rassegnato.
Intanto, sulla superficie del pianeta, il mega-trakkano aveva interrotto la fusione a causa del getto refrigerante che i cannoni della Bambina Cattiva gli avevano sparato addosso.
Ora erano di nuovo dei fantasmi polverosi, inconsistenti come stracci di nebbia e vivacemente colorati di un bianco luminoso. Svolazzarono felici e sazi attorno alla formazione di luba-dola, prima di rintanarsi sotto un sottile strato di terra, in attesa del prossimo pasto.

 

** Fine **

 

PostNota: per questa storia ringrazio ‘Lo Zio’ George Martin e la sua bellissima raccolta di racconti di fantascienza “Le Torri di Cenere”, che mi ha dato l’ispirazione giusta per fare un tentativo in questo genere narrativo.

 

 

   
 
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