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Autore: Edoatar    28/02/2013    0 recensioni
[AnnaSophia Robb]
[AnnaSophia Robb]Non esiste una legge scritta che impedisca ad una persona di raggiungere i propri obiettivi. A volte bisogna correre dei rischi, altrimenti la vita avrebbe meno gusto.
Questa è una fanfiction su sogni non inventati. Un lavoro che unisce divertimento con romanticismo.
Non mancheranno imprevisti e difficoltà e chissà, magari potrebbe pur insegnare qualcosa.
(Alcune scene sono prese da spezzoni di diversi film)
Genere: Comico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'I racconti di zio Edo'
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Chi ha detto che i sogni non si possano realizzare

 

 

Il telefono squillò alle sei e mezza di mattina. Era il mio amico Jack, che aveva voglia di rompere le palle. Presi in mano il cellulare e risposi.

-”Pronto?”

-”Ehi che fai, dormivi? Avanti, muovi il culo e vestiti. O forse ti sei dimenticato del provino di oggi?”

Sbuffai.

-”Ascolta, il Lincoln Theatre non apre prima delle dieci e i produttori cominciano a far entrare la gente dopo mezzogiorno.” Dissi, cercando di sembrare il meno seccato possibile.

-”Sì, ma devi ripassare la parte e considerare del tempo per arrivare in centro con il taxi.” Disse lui, ”O non ti sei ancora ripreso dalla rissa dell'altra sera?” Chiese.

-”Vaffanculo.” Risposi amichevolmente.

Prima di riagganciare, lo sentii ridacchiare. Comunque, non potei dargli torto, quindi mi feci una doccia veloce e bevvi del caffè.

Tornai nella mia stanza per raccogliere i fogli del provino, salutai mia madre e uscii in strada.

Mentre ero in taxi per andare nel pieno centro di New York, leggevo e rileggevo la mia parte. In fondo, il film che dovrebbe venirne fuori potrebbe essere abbastanza bello. La Walt Disney aveva avuto l'idea di portare sul grande schermo un romanzo fantascientifico degli anni 60. In poche parole si trattava di un gruppo di ragazzi che si ritrovano a viaggiare nel tempo.

Finita la corsa, pagai il tassista e mi avviai verso il teatro dove si sarebbero tenuti i provini. Le strade di Manhattan non erano molto affollate, forse per l'inverno in avvicinamento.

Raggiunsi l'entrata della struttura e trovai un ragazzo dai capelli rossi e ricci che mi aspettava. Jack era assorto nello sfogliare le pagine della sua rivista preferita: Playboy.

-”Ehi.” Mi salutò quando mi vide.

-”Ma non hai niente di meglio da fare?” Gli dissi, indicando il giornalino, “Tipo studiare e non venire rimandato in algebra anche quest'anno?”

-”Trovo molto più interessanti le curve di una ragazza che quelle dei cerchi.” Rispose.

Guardai l'ora sull'orologio di Time Square.

-”Su, andiamo. Sono le 11:45.”

-”Hai ripassato la parte come ti ho detto?”

-”Sì, sì. Ora muoviti.”

Entrammo nel teatro e quasi mi prese un colpo per il numero di persone che si trovavano nella sala d'attesa.

-”Tranquillo, sono quasi tutti dilettanti.” Cercò di rassicurarmi Jack.

Mi misi in fila per prendere il mio numero.

-”1078!” Lessi ad alta voce. Ma come cavolo facevano più di un migliaio di persone a stare in un piccolo edificio come quello?

-”Beh,” Disse Jack, indicando lo schermo di una TV appesa al soffitto, ”Finora ne hanno scartati già più di ottocento e ci sono 231 ragazzi prima di te.”

Sospirai.

-”Allora ci toccherà stare qui ad aspettare. Meglio leggere qualcosa nel frattempo.” Dissi, mettendomi a studiare il copione.

-”Buona idea.” Concordò Jack, e tirò nuovamente fuori Playboy dallo zaino.

Nelle tre ore che passarono mentre aspettavamo, riuscii quasi ad addormentarmi. Secondo Jack non era un buon segno. Lo trovava pericoloso e strano. Pericoloso perché secondo lui non sarei stato concentrato davanti ai produttori, e strano perché non aveva mai visto nessuno tanto rilassato prima di un provino.

Attesi che anche l'ultimo aspirante attore concludesse e mi alzai.

-”Buona fortuna amico.” Mi incoraggiò Jack.

Un tizio mi fece strada per il corridoio principale del teatro e mi condusse in una sala con le pareti rosse e bianche. Tre figure sedevano su delle sedie pieghevoli e avevano le braccia sul tavolo posto davanti a loro. Vicino ad ognuno, ci saranno state almeno una decina di bicchierini di caffè vuoti. Avevano una faccia chiaramente stanca e non sembrarono nemmeno accorgersi della mia entrata nella stanza.

-”Buongiorno.” Dissi.

Quelli sollevarono le teste. Alla mia sinistra era seduta una donna sulla trentina, con i capelli neri raccolti in una coda. L'uomo al centro aveva i capelli grigi e lungi, era vestito con una camicia hawaiana, (proprio in tema con l'inverno) e avrà avuto all'incirca 50 anni. Il tizio al suo fianco era calvo, grasso e indossava una maglia bianca a maniche lunghe in stile francese, con righe orizzontali nere.

-”Buongiorno.”Sorrise la donna.

-”Giorno.” Ripeté l'uomo al centro.

-”Yaaawwwn.” Sbadigliò il terzo.

-”Allora,” Disse la ragazza, ”Tu che personaggio interpreti?”

Mi aspettavo che chiedessero i miei dati personali, o forse l'avrebbero fatto alla fine del provino.

-”Ehm...io pensavo a John Evans.” Dissi, e il tipo grassoccio sbuffò.

-”Ma perché tutti vogliono fare i protagonisti?” Chiese.

-”Stephane!” Lo rimproverò la donna. Quello tornò a fissare i bicchieri del caffè.

Poi la signorina mi fece cenno con la mano di cominciare.

Sapevo la parte di John a memoria, quindi scelsi la scena in cui cercava di far mantenere la calma ai suoi compagni dopo il primo viaggio indietro nel tempo. Recitai come se la situazione fosse reale e ci misi il massimo impegno possibile.

Alla fine, la donna mi guardava e ogni tanto annuiva alle mie battute. L'uomo al centro mi scrutava con interesse, sempre rimanendo in silenzio. Stephane invece era completamente assorto nel grattarsi via lo sporco dalle unghie.

-”Molto bene,” Disse la ragazza,”Nome e cognome?”

-”Edoardo Powell.” Risposi. Lei scrivette su un foglio e poi aggrottò le sopracciglia.

-”Abiti qui a New York?”

-”Sì, nella 35esima strada.”

-”Ma sei Americano? Perché il tuo nome sembra sudamericano, o è spagnolo?”

E' italiano, come mia madre. Fu lei a darmelo alla mia nascita. Era il nome di suo fratello.”

-”E il cognome è quello di tuo padre?”

Pensare a lui mi rattristò subito.

-”Sì, mia madre e lui si erano sposati e poco prima della mia nascita scomparve nel nulla. Non l'ho mai conosciuto.”

Si accigliò.

-”Oh, mi dispiace. Età?”

-”17 anni”. Lei scrivette ancora sul foglio.

-”Bene, se vuoi scusarci ora valuteremo tra di noi la tua rappresentazione.” Disse.

Nei pochi minuti in cui bisbigliarono tra di loro, riuscii a capire qualche frase.

-”Di certo ha potenzialità...” Stava dicendo la donna.

-”Non è tagliato per fare Evans, al massimo gli affiderei il ruolo della comparsa.” Ammise Stephane.

Continuarono così per un paio di minuti e poi si voltarono.

-”A quanto pare non riusciamo a trovare un accordo.” Disse la ragazza, “Può andare, le faremo sapere.”

Annuii, li salutai e mi avviai verso l'uscita.

Jack era seduta su una panchina di legno in mezzo a due ragazze.

-”...Vedrete, vi divertirete un casino.” Lo sentii dire,”Sarà il miglior triangolo che farete in tutta la vostra vita.”

Avevo sempre trovato il modo per fargli da guastafeste. Mi avvicinai.

-”Ehi tesoro!” Lo chiamai, facendo una vocina da

effeminato, ”Non avevi detto che questa sera ci saremmo divertiti solo io e te?” Gli chiesi. Le due ragazze si alzarono di scatto.

-”Bugiardo! Sei dell'altra sponda.” Gli sbraitò in faccia una e se ne andarono.

-”Ma...Ashley! Lola!” Le chiamò lui.

-”Non parlarci, frocio!” Scomparvero tra la folla.

Jack si voltò verso di me, e aveva una luce assassina negli occhi.

-”Grazie tante Capitan Rompicoglioni.” Disse,” Ma dico, le hai viste quelle? Potevo portarmele a letto.”

-”E come con i tuoi in casa?”

-”Fidati, le avrei fatte passare.” Sbraitò, ma poi si dette una calmata, “Allora, come è andato il provino?”

-”Non ne ho idea. Come sempre, mi faranno sapere.” Dissi e uscimmo dal teatro.

Avanti malato d'amore.” Lo incalzai, “Ti offro il pranzo. McDonald o Burger King?”

 

Aspettai di sapere l'esito del provino per due settimane. Ricordo che era successo una sera di ottobre. Tornai a casa e trovai mia madre con in mano la cornetta del telefono.

-”Hanno chiamato quelli della produzione.” Mi disse e io trattenni il fiato.

-”E...?” Chiesi. Lei abbassò lo sguardo.

-”Mi dispiace.” Continuò. Ecco fatto, lo sapevo.

Poi un sorriso le comparve sul volto.

-”Mi dispiace per il fatto che non ci vedremo per almeno sei mesi!” Urlò ad alta voce, “Perché te ne voli dritto sul set.”

-”Cosa!?” Mi detti un forte pizzicotto per verificare che non fosse un sogno.

-”Sì, ti hanno preso. Ma la tua parte non è ancora confermata, nel senso che i produttori e il regista optavano per un altro personaggio e quindi sei il sostituto dell'attore che interpreterà John Evans.”

-”Oh...sì, va bene.” Ero già felice per quello.

-”Parti a fine mese.” Disse mia madre, ”Hanno spiegato che il film, ambientato in tempi differenti, sarà girato anche in luoghi diversi. La prima destinazione è Wellington, in Nuova Zelanda.” 

  
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