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Autore: thecarnival    01/03/2013    4 recensioni
MOMENTANEAMENTE SOSPESA CAUSA: ESAMI UNIVERSITARI.
Lei: ventisette anni, francese di nascita ma italiana d'adozione.
Lui: italiano, meglio dire, romano D.O.C.
Lei: vive in un piccolo appartamento in una zona tranquilla di Roma e si mantiene grazie ad un modesto lavoro che tuttavia sta iniziando ad odiare, perché è propria a causa di esso che ha visto infrangere le sue aspettative sul vero amore e sugli uomini: l'organizzatrice di matrimoni.
Lui: condivide casa con due sue amici e colleghi e, a differenza di lei, ama il suo lavoro, perché non solo guadagna soldi ma anche donne: è uno spogliarellista in un noto locale di Roma, il Ladies Night, ed è la principale attrazione del locale.
Entrambi pensano che l'amore sia inutile e passeggero, che la gente si stanchi di stare sempre con la stessa persona e che, prima o poi, si finirà per soffrire.
Le loro vite si intrecceranno per caso e il caso non li lascerà più allontanare.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Undress my heart.'
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The (he)art of the streap VIDEO.

Tredici.

Il tetto era molto interessante, sì, molto. Ed era l'unica cosa che potevo guardare da quella posizione: avrei potuto chiudere gli occhi e dormire, ma non riuscivo a smettere di pensare a quello che era successo nelle ore precedenti. Avevo bisogno di uscire dalla stanza, bere e calmarmi. 
Spostai la sua mano grande e calda dalla mia pancia e lentamente scivolai lungo il materasso, cercando di fare meno rumore possibile. Quando misi i piedi a terra, esultai in silenzio e cercai qualcosa da mettere addosso per evitare di girare per casa in intimo: sulla poltrona riuscii a trovare una felpa, così la indossai mentre mi richiudevo la porta alle spalle.
- Lo sapevo che sarebbe successo prima o poi.
Mi morsi il labbro per non urlare e mi voltai spaventata: il coinquilino di Gerry, quello biondo che faceva l'idraulico con cui avevo litigato al locale e di cui, ovviamente, non ricordavo il nome, se ne stava in piedi di fronte a me, in mutande e tutto sorridente. 
Chiusi immediatamente la lampo della felpa nascondendo il mio corpo al suo sguardo troppo curioso.
- Dov'è la cucina?
Cercai di guardare ovunque tranne che il suo corpo scolpito e pieno di tatuaggi che, stranamente, risplendeva nella penombra neanche fosse un vampiro fasullo; cercavo di non fargli capire quanto fossi imbarazzata in quel momento:tra lo stare nudi e l'avermi scoperta fuori dalla camera del suo coinquilino, avrei voluto sotterrarmi. 
Senza rispondere, mi lasciò come una cretina lì dov'ero e andò verso la porta d'ingresso. Voltando a destra, lo seguii e trovai la cucina.
- Dove sono i bicchieri?
La sua occhiata mi gelò tanto che mi sedetti sullo sgabello e smisi di parlare, guardandolo mentre versava l'acqua e mi passava il bicchiere.
- Quindi, siete già arrivati a questo punto? - Lo ignorai, perché forse sarebbe stata la mossa più giusta, ma lui continuò, sedendosi accanto a me e sottoponendomi a un imbarazzante terzo grado. - Sei diversa dalle altre, quelle di solito urlano come pazze possedute e questa volta non ho sentito nulla o forse ero concentrato a fare altro.
Finì la frase quasi sussurrando e guardando verso il corridoio: si stava riferendo a qualcuno e a qualcosa perciò era meglio non rispondere o sarebbe stato in grado di raccontarmi i dettagli. 
- Mi sono sempre chiesto come sia Pietro a letto, insomma, è anormale e impossibile che quelle tipe urlino ogni volta, no? - Sputai l'acqua dentro il bicchiere: cosa aveva detto? - Ti ho fatto ricordare qualche dettaglio hot?
Quando mi decisi a parlare, qualcuno arrivò alle mie spalle, salvandomi da quella brutta e strana situazione; mi voltai verso destra, guardandolo, non appena mi sfiorò il collo e accennai un timido sorriso. Molto timido.
- Oh, come siete carini.
- Coglione! - Gli diede un forte pugno sul braccio, facendolo sbilanciare all'indietro. Mi chiesi se gli avesse fatto male, ma con tutti quei muscoli che si ritrovava a malapena aveva sentito il tocco. - Che t'ha detto?
Scrollai le spalle: non avevo voglia di stare lì a riferire tutto, anche perché era imbarazzante. 
- Ho chiesto cosa hai di speciale per farle urlare tutte.
Mi nascosi tra le mani e desiderai, per la seconda volta, sparire. L'altro idiota, e lì capii perché erano amici e vivano insieme, scoppiò a ridere fortissimo: perché non ero a casa mia, a dormire nel mio caldo e comodo letto?
- Sei invidioso? - Non smetteva di ridere.
- Di te? Se sapessi le magie che faccio a letto, vorresti...
- EH NO! - Li interruppi prima ancora che continuassero e diventassero volgari – Non starò qui a sentire i vostri discorsi da primadonna.
Pietro mi spostò i capelli su un lato e si chinò a baciarmi la porzione di pelle dietro l'orecchio: rabbrividii.
- Andate in camera, mi viene da vomitare. 
Fui io a ridere questa volta e lo salutai felice mentre lo guardavo andare via e il mio sguardo cadde più volte sul suo sedere fasciato da un paio di boxer: non era colpa mia se quella casa abbondava di perfezione.
Qualcun altro attirò la mia attenzione, sedendosi di fronte a me e lasciandomi baci su tutto il viso, baci che divoravano. 
- Fa sempre così? - Non volevo essere assalita, non in quel momento e in quel luogo. - Assalta tutte le tue conquiste? 
- No perché di solito non sgattaiolano via dal letto, anzi... 
La sua mano provò a tirare giù la cerniera della felpa e lo fermai.
- Avevo sete. Dobbiamo parlare.
- Ecco, ci siamo: lo sapevo, mi chiedevo dove fosse finita la vera Emily.
Mi irrigidii – Tu non sai niente di me.
Le sue mani si strinsero in due pugni ed ebbi paura che mi colpisse o distruggesse qualcosa, ma, dopo un respiro profondo, mi guardò negli occhi e parlò. – So che ogni volta che facciamo un passo avanti, TU ne fai cinque indietro perché hai paura di qualcosa, perché non ti fidi di me e perché sei una stupida.
- Io, invece, mi chiedevo dove fosse finito il Pietro stronzo! 
Mi alzai, andando verso la sua camera, lasciandolo come un'idiota. Forse non dovevo reagire in quel modo, forse sarebbe stato meglio continuare a parlare e arrivare a un punto d'incontro, ma che senso aveva parlare con lui quando l'unica cosa che voleva da me era portarmi a letto?
Accesi la luce e iniziai a raccogliere i miei vestiti sparsi per la camera. 
- Che stai facendo? 
Se ne stava poggiato allo stipite, in mutande, con le braccia incrociate e le sopracciglia corrucciate: gli avrei voluto tirare la scarpa in faccia e sfigurarlo per sempre, almeno sarebbe stato meno attraente.
- Mi sembra ovvio.
Entrò, chiudendo la porta con un rumore secco, facendomi sussultare: era davvero arrabbiato; con due passi mi fu vicino. Riuscivo a vedere le sfumature dei suoi occhi.
- Voglio che me lo spieghi, visto che io non leggo i tuoi cazzo di pensieri.
- Infatti qui devi solo osservare: raccolgo i miei vestiti.
Era fumo quello che usciva dalle sue orecchie?
- Il motivo? - Lo guardai fisso, sperando che capisse, ma la sua reazione mi stupì: fece un altro passo, costringendomi a indietreggiare e afferrò al volo un mio polso, stringendolo. - Ti ho detto che non leggo nella mente, perciò dimmelo.
Se avesse continuato in quel modo avremmo finito per urlare, svegliando tutto il palazzo.
- Perché me ne vado, pazzo. 
Si poteva leggere nel suo sguardo quanto mi stesse odiando in quel momento, tuttavia mi lasciò andare e si rimise a letto ignorandomi.
- Fa' quel che cazzo vuoi, sono le quattro del mattino: se trovi un modo per tornare a casa buon per te.
Immaginai tutto: il momento in cui prendevo la lampada dal suo comodino e gliela sbattevo più e più volte in testa, ridendo beatamente di quel gesto e sentendomi, poi, soddisfatta nel non dover ascoltare più le sue battute fastidiose. Tuttavia feci come aveva fatto lui prima con me e, dopo aver preso la scarpa che stava sotto un mobile, uscii dalla sua camera, sbattendo la porta.
Ero talmente nervosa che avrei potuto piangere, ma non potevo lasciarmi abbattere e d'altro canto non potevo farlo vincere rientrando in camera e stendendomi accanto a lui per fare finta di nulla dandogli in questo modo tutte le ragioni del mondo: io ero più forte.
Mi sdraiai sul divano, coprendomi con i miei stessi vestiti e aspettai che il mio cuore decelerasse, chiusi gli occhi e solo dopo un'oretta mi addormentai, stanca e ancora nervosa.


- Mi fai male, coglione. 
Una risata e delle sedie che si spostavano.
- Adesso fa male? 
Rumori di sportelli chiusi troppo forte e voci indistinte: dove diavolo ero?
Aprii gli occhi, notando un’enorme tv al plasma, un tappeto bruttissimo, un tavolino in vetro e una poltrona troppo vecchia che stonava con l'arredamento; un'altra risata mi riportò alla mente ciò che era successo la notte prima e, come un automa mi alzai, scoprendo come indossassi ancora la felpa dello stronzo, mentre la metà dei miei vestiti era sparsa per terra. 
Il tizio biondo e Riccardo erano in cucina a fare colazione. Forse, se avessi fatto piano, non si sarebbero accorti di me e sarei potuta uscire di nascosto.
- Problemi in Paradiso, madame? 
Piano fallito.
Anche Riccardo si voltò e mi sorrise non appena incontrò il mio sguardo assonnato e imbarazzato.
- Emily? - Anche lui era molto sorpreso di trovarmi lì. – Cavolo, mi hai fatto perdere la scommessa.
O forse no. 
Avevo bisogno di una doccia, di un caffè e di vestiti puliti.
- Potreste dirmi dov'è il bagno?
- Non vuoi fare colazione con noi? - Riccardo non smetteva di sorridere e, dopo qualche secondo di seria riflessione, accettai, anche perché stavo morendo di fame. - Il caffè è ancora caldo.
- Oh sì, ti prego. 
- Non hai risposto alla domanda di prima. – L'idraulico anonimo iniziava a darmi sui nervi. - Problemi in Paradiso?
Fu Riccardo a intervenire, dicendogli di lasciarmi in pace e farmi godere la mia colazione; gliene fui grata visto che era dalla notte che non faceva altro che stuzzicarmi e, in tutta sincerità, volevo mangiare e bere il mio caffè prima che quell'altro cretino arrivasse e rompesse il clima sereno. 
Il bagno era la porta in fondo al corridoio, quella arancione, come avevo potuto dimenticarlo visto che, mesi prima, era stata la prima che avevo aperto? 
Sorrisi al pensiero di quel momento assurdo ed entrai nella stanza non rendendomi conto, però, che ci fosse qualcun altro dentro.
- Se volevi vedermi nudo...
Mi tappai gli occhi. – Oddio, scusa, non sapevo fossi qui, io... - Rise, interrompendomi: era sempre così antipatico! Sbirciai dalle mani mezze aperte: aveva indossato un asciugamano che gli copriva ciò che doveva, per fortuna.
- Devi dirmi qualcosa?
- No, mi serve il bagno.
- Appena finisco sarà tutto tuo.
Se questa notte gli avrei sbattuto la lampada in testa più volte, adesso gli avrei tirato addosso il contenitore d'acciaio del sapone liquido, almeno se lo sarebbe ricordato per sempre.
Non avevo tempo da perdere e mi urtava vederlo muoversi con lentezza solo per infastidirmi; lo spinsi via da di fronte lo specchio guadagnandomi un'occhiataccia.
- Ti dispiace? 
- Sì. Puoi finire di impiastricciarti i capelli in camera tua, ho bisogno di sciacquare il viso.
Aveva il suo solito ghigno stampato in quella faccia da schiaffi, ma dovevo comportarmi da donna matura quale ero e ignorarlo.
- Emily, sei a casa mia. Ricordi? - Il suo sguardo si illuminò, come se in quel momento avesse ricordato qualcosa di molto importante che avrebbe risolto il peggior male del mondo. - Non dovevi andare via questa notte? 
Per la prima volta mi ritrovai senza parole e, come sempre, scoppiò a ridere; quando capì poi, che avevo dormito sul divano, si piegò in due: se mi guardava rideva ancora di più. Era un cerchio senza fine.
- Quando hai finito me lo dici, così esci e mi lavo.
Per un attimo tornò serio. – No, biondina acidella, io devo fare la doccia perciò sei pregata di aspettare fuori, a meno che...
- Un corno! Devo andare a lavoro e ho bisogno di lavarmi.
Lo capii troppo tardi, quando ormai non avevo più scampo: un getto d'acqua fredda mi colpì in pieno viso e poi alle spalle, stronzo di un Vermetro! 
Era guerra.
Lasciai cadere i vestiti a terra perché avevo bisogno delle mani per difendermi e, allo stesso tempo, attaccare; cercai di schizzarlo dal rubinetto del lavandino, ma era impossibile visto che il soffione della doccia era puntato contro la mia faccia e rischiavo di morire soffocata o di annegare. Mi voltai per respirare e per trovare un'arma tutta mia e fu allora che vidi ciò che mi avrebbe fatto vincere: afferrai la bomboletta e, dopo averla agitata per qualche secondo, gliela spruzzai addosso sperando di averlo colpito visto che avevo gli occhi chiusi per colpa dell'acqua. 
- Questo non vale. - Aveva smesso di bagnarmi e quando aprii gli occhi per guardarlo scoppiai a ridere: era completamente sporco. - Lo trovi divertente? 
- Abbastanza. 
Gli spalmai come fosse crema abbronzante, tutta la schiuma da barba sul petto, in faccia e poi tra i capelli, sotto il suo sguardo allibito. Poi, con un abile gesto, mi appropriai del soffione e fu il mio turno di bagnarlo e rischiare di annegarlo. 
- Non vincerai mai.
Risi ancora più forte nel vederlo con gli occhi chiusi, sporco e bagnato di schiuma da barba e confuso perché non riusciva a trovarmi e disarmarmi.
- Se ammetti che ho vinto e che sono più intelligente e furba di te, ti lascerò in pace.
- MAI.
Aprì gli occhi di scatto e si avventò su di me, facendomi urlare dalla paura, e mi trascinò fin dentro la doccia dove completò la sua opera, mettendo il soffione dentro la sua stessa felpa per bagnarmi l'intimo e sporcarmi di schiuma da barba viso e capelli.
- Ma così non vale, tu sei grande e grosso e io non posso difendermi. 
Tentai di dissuaderlo con le buone, ma ottenni solo una sua grossa risata, perciò passai al piano B, quello che sapevo l'avrebbe fatto impazzire: tirai giù la cerniera della felpa, sfilandola e gettandola sul pavimento. Mi guardò come un uomo perso nel deserto: assetato e confuso.
Feci spallucce - Ormai era inutile e pesante. 
Volevo che cascasse nella mia trappola, ma quando rimise il soffione al suo posto e mi spinse contro le mattonelle fui io a cadere nel baratro: ero, come sempre, incantata dai suoi occhi azzurri e luminosi e di certo l'acqua non aiutava a calmare i miei ormoni.
Avrei dovuto allontanarlo, mettere fino a quella tortura, smettere di guardarlo e immaginare le sue labbra contro le mie o le sue mani sul mio...
- Emily. - Tornai sulla terra, più o meno. - Non sono un tipo da discorsi, ma tu sei abbastanza, non mi fraintendere, diversa e credo che sia il caso di farne uno. - Quelle gocce d'acqua che cadevano lungo il suo naso e finivano sul labbro inferiore erano troppo pericolose... - Sto per baciarti e vorrei che dopo tu non ti comportassi da pazza perché mi piaci e mi piacerebbe che, insomma, ci fosse qualcosa tra noi. Non qualcosa di serio né solo sesso ma, non so...
- Pietro – Uh, come mi sentivo figa nell'interrompere i discorsi. - Mi baci o stiamo qui a sprecare acqua? 
Come avevo potuto resistere, come avevo potuto dormire sul divano quando potevo approfittare di tutto questo ben di Dio? 
Mi aggrappai alle sue spalle muscolose, allacciando le gambe al bacino visto che i suoi baci sul collo mi avevano tolto la forza e la ragione. Gli morsi il labbro famelica mentre mi slacciava il reggiseno con un colpo da maestro: era stato così veloce da farmi pensare al numero delle donne con cui era stato. Cercai di cacciare via il pensiero e concentrarmi su di lui, noi e l'asciugamano in procinto di essere tolto.
- Pietro! - Dei colpi alla porta ci fecero sussultare - So che sei lì dentro. 
- Cazzo vuoi?
Il suo sguardo incazzato era decisamente migliore del mio confuso: chi osava disturbarci e per quale motivo?
- Abbiamo da fare, ricordi? Perciò VIENI! 
Da quella squallida battuta si capiva che fosse il biondo; mi trattenni dall'urlargli quanto fosse cretino, inopportuno, stronzo eccetera perché al momento non avevo termini abbastanza offensivi per la mente visto che la visione di Pietro mezzo nudo e altro che si allontanavano mi avevano annebbiato il cervello.
- Arrivo, scassacazzo. - Si asciugò alla bene e meglio e prima di uscire tornò da me – Ti trovo qui al mio ritorno?
Negai, ancora scossa – N-no. Sono già in ritardo.
Il suo sorriso mi uccise – Ci vediamo più tardi al Ladies allora. – Annuii, rendendomi conto troppo tardi e grazie alla sua radiografia della mia quasi nudità – Conserverò un ottimo ricordo.
- Cretino. 
Il mio tentativo di colpirlo con la spugna fu vano, visto che fu più veloce nell'avvicinarsi e pizzicarmi il sedere.
Quando andò via ragionai su quello che era successo e su quello che mi aveva detto: forse dovevo smetterla di pensare e iniziare a prendere tutto quello che mi veniva offerto, compreso il suo corpo, lavarmi in santa pace, essere una normale donna di gnegne* anni che si gode la vita e basta con le paranoie.


- E tu che ci fai qui?
Dopo quello che era quasi-successo in doccia, trovarmi Riccardo a petto nudo con addosso dei pantaloni della tuta grigi e larghi mi destabilizzava; mi guardò come se fossi impazzita, ma comunque mi sorrise.
- Ci abito, tu perché indossi l'accappatoio di Pietro?
Diventai rossa quanto la porta della camera da letto che avevo accanto e mi nascosi ancora di più nella spugna accorgendomi che profumava di uomo, muschio selvatico e mare. Si chiuse nella sua stanza dalla porta verde scuro prima che potessi rispondergli, lasciandomi da sola con un grande dubbio: cosa avrei indossato sotto i vestiti, dato che la biancheria era completamente zuppa?
Se hai usato il suo accappatoio, siete già intimi.
- Non puoi fare come ti ho chiesto e tacere?
Em, sono dall'altra parte di Roma, è impossibile. - Avevo chiamato Mina per chiederle di passare da casa mia e portarmi del cambio, ma non poteva, così come Giulia: ero nei guai. - Avete dormito insieme, fatto la doccia, hai usato la sua asciugamano: metti le sue mutande!
Rabbrividii. – Oh certo, così mi becco qualche malattia.
La sentii sbuffare. – Cazzo Em! Quando stava per entrare in galleria senza cintura non hai pensato a nessuna malattia però! - Boccheggiai senza aggiungere nulla. – E scusami ma, quando ce vò ce vò.
Chiusi la chiamata prima che questa diventasse troppo volgare e accettai il mio destino: presi dei boxer dal cassetto di Pietro e dopo averli odorati ed esaminati con attenzione li indossai, sperando di sopravvivere al resto della giornata.





- Sei in ritardo. – Neanche il tempo di arrivare, che Carla mi rimproverava. – E sei vestita come ieri, cosa ti è successo? 
Si tolse gli occhiali e mi lanciò uno sguardo che la diceva lunga che io ignorai, entrando in ufficio: non volevo rispondere a domande scomode e, soprattutto, non volevo che là dentro iniziassero a circolare voci strane e sbagliate.
Sbuffai, scrocchiando la schiena e il collo: avevo dormito malissimo su quel divano e avere addosso l'odore di Pietro mi infastidiva; era duro ammetterlo, ma avrei preferito essere insieme a lui piuttosto che rivivere quello che non era successo qualche ora prima.
Passai una mano tra i capelli, pettinandoli. Non mi ero neanche truccata perché non avevo ciò che mi serviva con me: ero un mostro, pieno di problemi.
- Uh, ecco la piccola fuori testa, ben arrivata. - Giulia entrò in ufficio sorridente, come il suo solito, e con in mano un enorme scatolone – Dammi una mano, va.
- Che è sta roba? - Guardai dentro, mentre lo posavamo sulla sua scrivania e inorridii – Perché hai questi cosi?
Rise forte, togliendosi il cappotto. – Devi portarli al locale, sono per questa sera, per le ragazze.
La guardai male mentre mi sedevo sulla scrivania di fronte la sua. – Non capisco perché debba essere sempre io ad andare là! Insomma, è la tua cliente!
- No, è di Mina. – Ridacchiò, mentre mi lanciava un cerchietto hot. – Perché tu hai un buon rapporto con i dipendenti e quando dico buon rapporto e dipendenti, intendo...
- Sì, sì, sì! Ho capito, sei peggio di una comare. Come faccio a portarlo, comunque, visto che devo andare in metro?
- Ti do un passaggio io. Forza andiamo.
Strabuzzai gli occhi: non potevo andare al Ladies in quel momento, vestita ancora in quella maniera e con addosso le mutande di Pietro.

 Dovevo prima passare a casa a cambiarmi, togliermi il suo odore dal corpo ed essere abbastanza lucida da riuscire a resistergli. Ovviamente le mie lamentela furono vane: mi ritrovai in macchina di Giulia, immersa nel traffico mattutino di Roma, verso il patibolo. 
- Devo passarti a prendere? - Non potei alzarle il dito medio perché tenevo in mano quell'enorme scatola, ma le risposi, in modo molto gentile ed educato, mandandola a quel paese e facendola ridere a crepapelle.
Mi sarei vendicata.
La porta d'ingresso del locale era chiusa perciò dovetti fare il giro fino a quella d'emergenza, ma per mia sfortuna come se non bastasse quello che avevo già passato da quando ero sveglia, anche quella era chiusa. Dovetti chiamare al telefono Pietro implorandolo più volte, visto che aveva voglia di scherzare e gli piaceva l'idea di lasciarmi fuori, in piedi, ad aspettare e congelare. 

- Ciao Emily.
Fu Maurizio ad aprirmi, sorridente e viscido come sempre; neanche lo salutai: gli mollai la scatola enorme e scesi le scale di fretta, trovandomi dietro le quinte.
Una musica assordante rimbombò nelle mie orecchie: i ragazzi erano sul palco a provare; avanzando, vidi prima Riccardo con gambe e braccia incrociate che guardava di fronte a lui, mentre Giovanni e Pietro stavano facendo dei passi. Anzi, l'idiota numero uno li stava spiegando all'idiota numero due.
Per poco non mi mancò il respiro quando fui di fronte al palco e vidi ogni cosa, soprattutto Pietro e il suo abbigliamento: i pantaloni di tuta blu larghi risaltavano, inspiegabilmente, il suo sedere bello, sodo e da mordere, la felpa bianca modellava le sue spalle e i suoi muscoli.
Avevo bisogno di una sedia e di tanto ossigeno.
- Oh, abbiamo un ospite. - Idiota numero due si accorse di me e fece cenno al dj di staccare la musica. Con un salto scese dal palco e si avvicinò a me – Hai bisogno di qualcosa o qualcuno?
- Lasciala in pace, Van. 
Riccardo si intromise, come sempre, facendomi un saluto da lontano al quale ricambiai con un sorriso. La mia attenzione fu catturata però da Pietro che beveva dell'acqua in un modo tutto suo e così sexy da farmi desiderare d'essere quella bottiglietta.
Stavo perdendo la testa o forse l'avevo persa tempo prima e me ne stavo rendendo conto lentamente.
- Ehi. - Perché mi sorrideva così? Non doveva farlo! - Come mai sei qui? 
- Ho portato delle cose per questa sera, ma sto andando via
Dove stavo andando? Da quando il solo guardarlo negli occhi mi faceva dire scemenze?
- È venuta per vedere te, come una ragazzetta innamorata.
L'avrei ucciso. Se solo poi non avessi dovuto pagarne le conseguenze, lo avrei ucciso con le mie stesse mani. Ma che diavolo voleva da me quello...
- Stupido coglione? - Mi accorsi troppo tardi di aver parlato ad alta voce e mi tappai la bocca con entrambe le mani, guadagnandomi un'occhiataccia dall'oggetto dell'offesa in questione e uno sguardo molto divertito dagli altri due. – Scusa, non volevo dire quello che ho detto. – Ci pensai su. - In realtà sì! Non capisco quale sia il tuo problema nei miei confronti e perché parli tanto a sproposito.
Mi avvicinai di qualche passo a lui, lasciando alle mie spalle un Pietro sorridente e incuriosito dal mio atteggiamento, perché in effetti non mi aveva mai visto reagire in quel modo, per un'accusa sciocca e infondata. 
- Se ti infastidisce avermi tra i piedi o vedermi con lui puoi girarti o andare via, questo è il mio lavoro e purtroppo sono costretta a condividere la tua stessa aria. Adesso ti conviene andare a provare il tuo spettacolino perché facevi pena. 
Probabilmente mi avrebbe risposto o picchiato, se la risata di Riccardo non lo avesse distratto e richiamato la sua attenzione. Non capivo sul serio perché si comportasse in quel modo con me: non avevo mai fatto niente di male, al nostro primo incontro era stato lui stesso ad aggredirmi e io mi ero difesa, giustamente; quel ragazzo aveva dei seri problemi nel socializzare e io non potevo farci nulla.
- Dai Van, ha ragione. Vieni su e continuiamo a provare.
Riccardo lo chiamò più volte, prima di convincerlo. Fino ad allora non abbassai mai lo sguardo, non volevo mostrarmi intimorita o altro: volevo che capisse quanto mi avesse infastidita con il suo comportamento e quanto fossi stufa del suo atteggiamento da idiota. Quando si voltò verso il moretto sorridente tornai a respirare, calmandomi e mi accorsi della presenza di Pietro accanto a me.
- Dunque, come mai sei qui?
- Te l'ho detto, ho portato la roba per questa sera. 
- E stavi andando davvero via? - Con un passo fu a pochi centimetri da me. Mi guardava negli occhi sorridendo furbo e io ero consapevole di stare affogando nel mare dei suoi occhi e speravo, con tutto il cuore, che qualcuno mi venisse a salvare prima che fosse troppo tardi. - Potresti restare qui fino al termine delle prove e poi potremmo andare a casa a finire quello che abbiamo interrotto oggi... - Quello era il momento adatto per rifiutare, andare via e sopravvivere, ma, stupida, accettai, sentendo l'acqua bagnarmi ogni parte del corpo, fino a quasi soffocarmi. Il suo sorriso si trasformò in uno più sincero e forse dolce, come se la mia risposta gli avesse fatto davvero piacere e mi baciò, cogliendomi di sorpresa. Un bacio veloce, ma lento, un bacio che tornò a farmi respirare, facendo sparire tutta l'acqua.



Quando finirono le prove, era già ora di pranzo e io avevo cercato di concentrarmi non tanto sui loro movimenti sensuali e sul mio stomaco brontolante, quanto sulle carte da lavoro che avevo in borsa e fare delle chiamate importanti. 
- Sto morendo di fame, ti dispiace se prima di andare a casa ci fermiamo a mangiare qualcosa?
Riflettei su quella frase: dovevamo andare a casa insieme, mangiare insieme, muoverci insieme; neanche fossimo stati una coppia vera e propria. Ci eravamo solo scambiati qualche bacio e visti mezzi nudi, stop, non era successo altro e già lui parlava di andare a casa insieme. 
Gli risposi prima di farmi prendere da un attacco di panico.
- Non posso. Cioè, devo tornare a lavoro
- Ti accompagno allora
Lo avevo fatto di nuovo, lo avevo allontanato quando avevo promesso a me stessa e, soprattutto a lui, di non farlo: dovevo rimediare, fargli capire che mi piaceva trascorrere del tempo insieme e che mi piaceva sul serio.
Mi bloccai di fronte all'auto prima di aprire lo sportello: mi piaceva? Quando lo avevo capito?
- Tutto bene?
Lo guardai, sperando non si accorgesse di nulla – Sai, ho fame anche io e conosco un posto di fronte all'ufficio molto carino, potremmo mangiare lì insieme.
Sorrise di nuovo. – Sali, prima che ti mangi.
Il viaggio fu piacevole e veloce, diverso dai precedenti, visto che riuscimmo a parlare senza litigare, a canticchiare le canzoni che trasmettevano in radio. Risi addirittura alle sue battute senza pensare alle paranoie che mi ero fatta qualche minuto prima: non era male stare con lui, bastava solo lasciarsi andare.
- Posteggia qui, non passano mai i vigili a quest'ora. - Mi guardò male. – Dai, fidati!
Spense il motore e, dopo aver rubato le chiavi, scesi dall'auto chiudendo lo sportello con forza.
- Ehi, trattala bene. - Gli risposi con una smorfia e infilai le chiavi in tasca. - Dov'è questo posto dove si mangia bene? - Indicai il marciapiede opposto con la mano e lui si voltò a guardare, curioso. - Bene andiamo. Hai chiuso? 
Pigiai il tasto rosso del telecomando e insieme attraversammo la strada per entrare nel panificio; la signora Maria ci accolse con il suo solito sorriso e venne via dal bancone per abbracciarmi e salutarmi a dovere; dovetti abbassarmi per ricambiare il suo abbraccio, era così tenera e cortese da farmi sperare ancora nell'umanità.
- Cosa volete ragazzi? Ho appena sfornato la pizza. 
Il mio stomaco brontolò a un volume troppo alto, tanto che anche Pietro lo sentì e scoppiò a ridere, dandomi una leggera spallata e facendomi perdere l'equilibrio. Era un cretino.
- Io vorrei quel pezzo con i funghi, salsicce e olive.
Spalmò il dito sul vetro, come un bambino e aspettò che Maria gliela passasse: la guardava come se fosse un pezzo raro e prezioso d'antiquariato; al primo morso si leccò le labbra e alzò gli occhi al cielo, sembrava in paradiso.
- Tu non mangi? - Ingoiò l'ultimo boccone della pizza e mi guardò curioso.
- Sì, ho preso questa. – Indicai la sfogliatina al prosciutto, funghi e mozzarella che Maria mi aveva appena passato. – Dovresti assaggiarla, è buonissima.
Mi prese la mano e, fissandomi, diede un morso al mio pranzo, leccandosi poi le labbra come aveva fatto prima, senza togliere gli occhi dai miei. 
- Hai ragione. Posso averne una anche io? - Scossi la testa e cercai di ignorare i suoi chiari segnali maliziosi, gustandomi la mia sfogliata. - Se volevi assaggiare la mia pizza potevi dirmelo, t'avrei fatto dare un morso.
Il boccone mi andò di traverso e iniziai a tossire: di che stavamo parlando? Possibile che ogni cosa venisse fuori dalla sua bocca aveva uno sfondo sessuale? 
Mi aiutò, dandomi delle pacche alla schiena e porgendomi dell'acqua.
- Se vuoi uccidermi...
- Oh fidati, sceglierei un altro modo.
Lo guardai male – Senti…
Non riuscii a finire o quantomeno a iniziare il mio discorso, perché qualcuno ci interruppe, qualcuno che non vedevo da molto e che avrei preferito non incontrare in quel momento: Mario mi si era avvicinato sorridente e con la sua aria da perfetto gentiluomo.
- Emily, che piacere incontranti qui. – Arrossii, imbarazzata – Allora hai davvero apprezzato le meraviglie di Maria.
- Sì, io non scherzo mai sul cibo.
Sentivo lo sguardo di Pietro addosso e potevo vedere un sorriso impertinente sulle sue labbra: sentivo odore di guai.
- Se me lo avessi detto prima, t'avrei raggiunto.
Sgranai gli occhi – Oh beh... io... Lui è Pietro. Pietro ti presento Mario, lavora nell'ufficio al piano di sotto.
Si strinsero la mano, ma non riuscivo a capire lo sguardo di Pietro, sembrava lo stesse incendiando o gli stesse comunicando di scappare prima che alzasse le mani contro di lui.
- Hai preso anche tu la sfogliatina? - Pietro la guardò e rispose con una smorfia. – Brava Em, diffondi il verbo.
Avrei voluto sotterrarmi, anzi no! Avrei voluto sotterrare lui: ma sapeva stare zitto sto scemo?
Per fortuna Maria richiamò la sua attenzione e, dopo aver salutato Pietro e aver dato un bacio a me sulla guancia, un po' troppo lungo, andò a ritirare la sua ordinazione.
Uscii dalla panetteria sconvolta, soprattutto per quel “Quando ti va di pranzare insieme dimmelo, conosco altri posti carini”. Non aveva smesso di guardarmi e provarci per tutto il tempo: e se l'idiota al mio fianco, che era rimasto in silenzio, fosse stato il mio fidanzato? 
Vidi Pietro gettare quel che rimaneva del suo pranzo nell'immondizia e dirigersi a passo svelto verso l'auto, lo raggiunsi appena prima che attraversasse la strada, fermandolo e notando il suo sguardo di fuoco.
I suoi occhi azzurro scuro che mettevano paura.
- Vai via senza salutarmi?
Si diede una pacca in fronte: che teatrale. - E' vero, scusa. Dammi le chiavi.
- Qual è il tuo problema? Fino a due minuti stavamo ridendo ed era tutto normale, cosa è successo?
Mi scoppiò a ridere in faccia, una risata falsa e sin troppo ironica. – Devo andare, salutami l'amico tuo.
Feci due più due. – Siamo arrivati già a questo punto? Tu, geloso, che ti arrabbi perché parlo con un collega e te ne vai senza dire nulla? 
- Non sono geloso, puoi andare a mangiare ogni cazzo di sua sfogliatina!
Risi, piegandomi in due: come poteva essere così stupido da pensare e dire cose del genere? Mi guardò male e mi avvicinai a lui, posando entrambi le mani sul petto, costringendolo ad abbassarsi alla mia altezza: avevo le sue labbra a pochissimi centimetri dalle mie, i suoi occhi fissi nei miei confusi e ancora un po' arrabbiati.
- Preferisco rimanere a digiuno, se l'alternativa è mangiare la sua sfogliatina.
Forse era troppo esplicita e sotto sotto, molto sotto, romantica ma volevo che gli fosse chiaro il concetto di quella mattina in doccia: volevo davvero provarci, non avrei dato di matto e mi sarei comportata meglio, almeno fino a quando sarebbe stato possibile.
- Bene.
Sorrise e non riuscii più a resistere.
- Ora baciami, pazzo.






*******

*Gnegne anni: Emily non ha voluto dire la sua età.


L'ultima volta era il 16/01 e adesso io non so cosa dire per scusarmi di questo immenso ritardo. Forse aiuterebbe se dicessi che la sessione d'esami mi ha, in pratica, rapita e costretta sui libri senza neanche darmi il tempo di respirare?
Non posso neanche promettere di essere più costante la prossima volta perché, purtroppo, tra qualche giorno ricomincio a studiare per la sessione straordinaria di Aprile e ho minimo tre esami da fare; mi dispiace tantissimo, spero mi capiate e seguiate ugualmente.
Passiamo al capitolo: un parto!
Mi scuso per la lunghezza, dieci pagine in cui non si dice nulla, in pratica ma, in sostanza, capiamo che Emily ha FINALMENTE (sento il suono delle campane) messo la testa a posto, cioè, si è arresa all'evidenza e ha deciso di lasciarsi andare con Pietro.
NON SENTITE I CORI DELL'ALLELUIA?
Ovviamente ha sempre alcuni scatti da pazza e fa ragionamenti assurdi ma ci siamo, siamo arrivati al punto cruciale: è iniziato qualcosa.
Non mi soffermo su Mario, so che voi lo odierete e direte abbastanza, perciò chiudo qui le note e vi ringrazio per l'attesa, per esserci sempre e per tutte le recensioni.
Un immenso grazie.
Ringrazio anche Elle per il suo splendido lavoro.
Alla prossima, spero presto.
Che la panna sia con voi



Vi ricordo, per chi volesse, l'esistenza del gruppo facebook e del mio canale youtube.
E, per chi se la fosse persa: LA ONE SHOT NATALIZIA.


UN SOGNO DI NATALE.


One Shot Natalizia tratta dalla long: The (he)art of the streap.
Pietro ed Emily si trovano in una situazione del tutto nuova per loro, quasi surreale e con loro c'è un nuovo, piccolo, personaggio.

   
 
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