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Autore: EvelineNight    01/03/2013    1 recensioni
In fondo alla camera, su di un letto consumato dal tempo, giaceva l'unica cosa che mi permette ora di poter scrivere queste parole, un corpo gracile, consumato, sfregiato, avvolto in uno spigoloso lenzuolo senza margini, senza rifiniture senza un inizio e senza una fine, che avvolgeva un qualcosa di estremamente delineato, preciso, finito.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Un muro giallo opaco, una bottiglia rotta e un quadro di vecchia data affisso a quella solita e immutevole parete, poco più a sinistra di quella vecchia e ormai inefficiente sedia, ridotta se non altro ad inutili pezzi di legno, giaceva un vaso, un muto vaso, tenuto in "vita" da qualche strato di colla adesiva, che accoglieva al suo interno ciò che era rimasto di un qualcosa che può definirsi fiore. Falso e meschino punto di fuga, giaceva sulla parete adiacente, una finestrella penzolante, incisa con gesso e sospiri rinchiusi, ornata di rancore e malinconia, ma malinconia di cosa? fuori c' era il..niente. Ma non quel tipo di niente che spaventa, quello che anche se angoscioso suscita comunque un sentimento, no, c'era quel niente indifferente, il niente rassegnato, un irreversibile ultimo foglio giallastro di un libro troppo vecchio per essere letto.

Luce? sole? vita?..no era chiedere troppo. Buio? paura? morte? evidentemente era chiedere troppo anche così.

In fondo alla camera, su di un letto consumato dal tempo, giaceva l'unica cosa che mi permette ora di poter scrivere queste parole, un corpo gracile, consumato, sfregiato, avvolto in uno spigoloso lenzuolo senza margini, senza rifiniture senza un inizio e senza una fine, che avvolgeva un qualcosa di estremamente delineato, preciso, finito.

Una collina aspra, dove anche l'ultima sorgente d'acqua ha smesso di scorrere, leggiandra nel suo fiume più bello. Un viso senza colore, orbite oculari ornate da due occhi invisibili. Era li che prendeva vita, l' ultima cosa che della vita era rimasta. Una fanciulla, senza un nome e senza un età. Si trovava li, dall' inizio dei tempi, e per quanto lei ne sapesse, oltre a lei c'era il nulla. Ogni giorno era uguale a quello precedente, senza nessuna differenza, mutazione, tutto era uguale al giorno in cui lei aveva aperto gli occhi in quella che lei stessa per convenzione, chiamava casa. Era stata sola da sempre, non conosceva la compagnia e nemmeno la desiderava, ma c'era una cosa che ogni maledetto giorno si chiedeva, "perchè io?" ma anche quella domanda, come tutto il resto, era immutevole, indifferente, senza pretese, lei desiderava tanto che quella domanda fosse morta, ma d'altronde cos'era la morte? non ne aveva idea. Ogni giorno, una luna dopo l'altra, la ragazza si affacciava a quel che rimaneva di una vecchia finestra, e a fargli da paesaggio altro non c'erano che lontane figure che rimandavano all'idea di "albero", e qualche pietra troppo annoiata per muoversi. Era li che ogni giorno, Eveline, il nome cucito sul suo abito, trascorreva le ore, una dopo l'altra...una dopo l'altra.

Ormai Eveline non sapeva nemmeno più quando un giorno finiva e ne iniziava un altro, anche il sole aveva smesso di sorgere, l'unica cosa che la orientava era una vecchia foglia attaccata ad un albero, che in ogni tempo stabilito cadeva, per poi rinascere l'indomani sempre allo stesso punto, nasceva ma era già morta.

Gli occhi di Eveline si spostarono quel giorno da quell' albero ormai consumato dai suoi sguardi, per posarsi su qualcosa di nuovo, qualcosa di flebile, troppo, qualcosa a cui Eveline non sapeva dare un nome. Una sagoma che gironzolava nel nulla, che fredda se ne stava li, tra il freddo più caldo che Eveline avesse mai avvertito in tutta la sua...esistenza. Quella sagoma era li, ad ogni caduta di foglia, lei c'era, e suscitava in Eveline un qualcosa di nuovo, inspiegabile, suscitava in lei un indeciso frastuomo di pensieri, un concatenarsi di battiti e di incredulità, suscitava in lei un qualcosa che noi oggi chiameremo "sensazione".

Quella figura la ammirava, con occhi che stranamente sembravano tali. La dolce Eveline per quanto ci provasse non riusciva a superare quella barriera che aveva nella mente e nel cuore, quella barriera che non le permetteva di conoscere, gioia, tristezza, felicità, quella barriera che la faceva vivere nell' indifferenza assoluta, per ogni cosa, eppure sentiva che qualche granello di polvere stava iniziando a cadere da quei mattoni tanto robusti quanto violenti. Dopo la caduta della ventunesima foglia, qualcosa mutò , nuovamente, sotto quell' albero non c'era più una figura "umana" bensì un "oggetto". Eveline scosse tra la fitta nebbia un oggetto rettangolare che giaceva li, ed emanava un qualcosa di inconsueto, un leggero scintillio mai avvertito prima. Eveline voleva quell' oggetto, lo voleva, per la prima volta aveva una pulsione che le premeva all'interno, per la prima volta desiderava effimeramente un qualcosa che non fosse il "nulla." Ma come raggiungerlo? Eveline non aveva mai lasciato quella stanza, non aveva mai aperto nessuna porta, non gliene era mai fregato niente di andare fuori e di vedere cosa c'era. Ma quella volta si. Armata solo della sua voglia irrefrenabile di prendere con se quell' oggetto, Eveline scese veloce quella vecchia e tremolante scalinata, e giunta al suo termine aprì la porta, ma quando uscì fuori non rimase ne sorpresa ne stupita, tutto era come nella stanza, il tempo immobile, le stradi grigie, i silenzi soppressi. Pian piano si avvicino a quella scatola, le si avvicinò così tanto da toccarla con un dito, e provò istantaneamnte una sensazione che non permettete al suo respiro di fuoriuscire dal corpo come aveva fatto nei tempi precedenti, cos' era quella "sensazione?" Eveline non voleva pensare, non l'aveva mai fatto, perchè iniziare proprio ora?. Prese fuggitiva la scatola, e la portò con se in quella stanza...doveva aprirla, non voleva, ma lei era li troppo vicina, troppo luminosa... Doveva aprirla. Un leggero scatto, una molla che rimbalzò...un "tac" senza rumore, un istante, la scatola era aperta...forgiata da un fuoco mai accesso, e decorata di paure, danzava al suo interno una creatura immobile. Un essere leggiadro...poi improvvisamente. un "tac" rumoroso, un suono, un qualcosa, era una nota...una nota che si poggiò sulle pareti, sul letto, sul vaso, sulla finestra, sulle strade, un qualcosa che con un pennello invisibile iniziò pian piano a colorare quel posto fatto solo di ombre. Eveline non capiva cosa stesse accadendo, sentì dentro lei una magica sensazione di tristezza, di felicità, ora sentiva. Qualcosa scese dai suoi occhi, lacrime. Eveline stava piangendo. Incredula e spaventata vide i suoi capelli arricchirsi di un pigmeto d'oro mai visto fin ora, le sue guance iniziarono a prendere colore, il suo corpo, già il suo corpo...Da spigoloso filo d'erba divenne un fiore fiore con tante curve, morbile, delicate, dolci che avvolgevano le sue infermabili sensazioni. Cos' era successo...

Il muro di mattoni si sbriciolò...il tempo iniziò a scorrere piano, impaurito, ma scorreva...la realtà "viveva".

...in quel cofanetto c'era racchiusa l'ultima nota di una melodia, che aveva permesso al mondo di tornare ad esistere.

 

2031

 

Sono queste le pagine del diario di una certa Eveline, che parlò di lei sempre in terza persona, e  che ci racconta come un uomo sconosciuto, in un luogo sconosciuto, le aveva regalato un qualcosa di altrettanto sconosciuto che conteneva all'interno una delle Magie immortali dell' umanità, l' unica cosa che non potrà essere mai uccisa ne dai pensieri ne dalla società, l'unica cosa che vive nei sotterranei della terra, nelle curve delle montagne, nei fondi degli oceani, nel sorgere della luna, in un bacio negato, nella nascita di una vita, l'unica cosa che accarezza il mondo dall' esterno, in silenzio, paziente... Eterna.

La musica.

  
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