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Autore: chocofrogs    01/03/2013    7 recensioni
"Hai una sigaretta?” mi chiese, guardando dritto davanti a sé. Alzai un sopracciglio.
"No." risposi.
“Cosa c'è che non va?”
“Cioè, io, beh, non fumo.”
“No, nel senso perché sei al pronto soccorso alle – diede uno sguardo all'orologio che aveva al polso – cinque e mezzo di mattina, con una maglietta che potrebbe andare bene ad un gorilla e i capelli che ti fanno sembrare una foca.”
Genere: Commedia, Fluff, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Courtney, Duncan, Geoff, Un po' tutti | Coppie: Duncan/Courtney
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale
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Under Pressure

 

1. Sunday


 

People on street, people on street

It's the terror of knowing

What this world is about

Watching some good friends

Screaming let me out

Pray tomorrow, gets me higher

[
Under Pressure - Queen]




Cominciò tutto su un ponte, sul famosissimo Ponte di Brooklyn, costruito nella lontana Seconda Rivoluzione Industriale con un metallo leggero e malleabile: l'acciaio.
Ero stanca, di tutto, di tutti, della gente che mi circondava, dei miei genitori, dei miei amici e parenti.
Del fatto che fossi troppo poco intelligente e perfetta.
Di come mio padre lavorasse troppo e mi costringesse a fare quello che io, assolutamente, non volevo.
“E' per il tuo futuro, tesoro” aveva detto, porgendomi la lettera d'iscrizione per l'Università di Yale.
Di mia madre, che non aveva detto una parola per difendermi, per dirgli che, forse, stava sbagliando con me.
E, infine, dei miei amici, Zoey e Mike, che non si erano sognati di chiedermi come stavo veramente, di come mi sentivo.
Perciò, stavo camminando su quei cornicioni alti alti, guardando le automobili che passavano ed il mare, sotto ai miei piedi.
Volevo buttarmi, farla finita.
“Courtney, scendi subito, non vorrai mica ammazzarti!” urlò una voce, al mio fianco.
"In realtà, mamma, è quello che volevo fare!” le urlai di rimando.
Una luce, sotto ai miei piedi, mi abbagliò all'improvviso.
Persi l'equilibrio.
E caddi.
In mare.

***

“Senta, quanti anni ha detto che ha?”
“Sedici, ho sedici anni. La prego, ho davvero cercato di uccidermi, sogno che succeda, ogni notte e a volte ci provo. La prego.” dissi tutto d'un fiato.
Avevo la fronte madida di sudore per la corsa da casa all'ospedale dove, in questo momento, stavo pregando la signora della segreteria perchè mi mandasse da qualche dottore specializzato, avevo davvero un problema.
Sospirò.
“Compila questo – mi consegnò un foglio di carta - e poi vai da quella parte, è il pronto soccorso, lì ti aiuteranno, cara.”
Iniziai a scrivere su quel modulo, rispondendo alle domande e facendo una croce sui quadratini.
Infine, lo lasciai sul bancone e mi diressi verso la porta che mi aveva indicato.
Pronto Soccorso.
Mi sedetti su una sedia rossa, un po' scrostata e vecchia, aspettando che qualcuno mi chiamasse.
Passarono circa venti minuti quando un uomo sulla trentina, alto e moro, si sedesse vicino a me. Era vestito da medico, pensai che fosse qualcuno mandato ad aiutarmi.
“Hai una sigaretta?” mi chiese, guardando dritto davanti a sé.
Alzai un sopracciglio.
“No.” risposi.
“Cosa c'è che non va?”
“Cioè, io, beh, non fumo.”
“No, nel senso perché sei al pronto soccorso alle – diede uno sguardo all'orologio che aveva al polso – cinque e mezzo di mattina, con una maglietta che potrebbe andare bene ad un gorilla e i capelli che ti fanno sembrare una foca.”
Uhm. Simpatico.
Cercai di rispondere comunque, infondo era un dottore.
“E' l'iscrizione che mio padre ha fatto a Yale, mi rende nervosa al massimo.” provai a spiegare.
“Vuoi andare a Yale?”
No.”
“Allora perchè dovresti andare in una scuola che non ti piace?” mi chiese curioso.
Non risposi e dopo pochi secondi quello che sembrava un dottore si alzò e mi sorrise, si guardò furtivamente attorno e se ne andò con passo svelto.
Un attimo dopo un infermiera mi chiamò e io la seguii.

“Come mai hai questi istinti suicidi?” mi chiese il dottor Humb che, a quanto pareva, si occupava di questi casi.
Volevo davvero dire che qualcuno abusava di me, che i miei genitori erano separati o che mio padre picchiava mia madre, ma i miei problemi erano molto meno drastici.
“Beh, insomma, sono stressata, nervosa per tutto da quando mio padre mi ha imposto di andare a Yale. Rispondo male ai miei amici e non riesco a dormire. Sono depressa.”
“Prendi delle medicine?”
“No.”
“Contatto i tuoi genitori, sarai un paziente esterno. Va bene?”
“Cos..? No! Forse non ha capito bene il mio problema, – mi grattai furiosamente la nuca – non riesco a stare in una stanza insieme ai miei genitori e quando sono da sola cerco di uccidermi. E sembra che io sia un robot in mano a mio padre, non mi ascolta mai. Mi aiuti, la prego.”
Sospirò a disagio, sospirò di nuovo e mi sorrise.
“Cinque giorni, è il tempo minimo da restare qui, Geoff ti accompagnerà al 3 Nord, dopo chiamerò i tuoi genitori e li informerò così potranno portarti qualcosa da vestire e uno spazzolino.”
Gli rivolsi un sorriso pieno di gratitudine.

Geoff, un ragazzo biondo vestito da cowboy con tanto di cappello, mi scortò al 3 Nord, aveva l'odore intenso tipico che c'è in ospedale, quello che sa da medicine, farmaci e malati.
Mi indicò una stanza, che dovevo dividere con un altro paziente, la 303.
A quanto pare, il reparto minorenni era inaccessibile, così io e altri della mia età lo dividevamo con gli adulti.
“Chris, le fai fare un giro?” chiese Geoff ad un uomo che era proprio quello che un'ora fa era vestito da medico.
Il moro mi rivolse uno sguardo eloquente e con un sorriso sul volto mi accompagnò a visitare tutte le aule adibite per le varie attività di gruppo.
Alla fine del giro, Geoff, mi consegnò il programma.
Ore 9.00 Colazione, Ore 10.30 Disegno, Ore 11. 30 Attività Libera, 12.30 Pranzo, 14. 00 Musica, 15.00 Attività collettiva con la Dottoressa O'Halloran, 16.30 Attività idividuale con la Dottoressa O'Halloran, 19. 30 Cena, 22.00 Riposo.
Palloso, non è vero?” mi sussurrò una voce all'orecchio.
Sobbalzai.

Mi girai di scatto e mi ritrovai due occhi di ghiaccio che mi guardavano divertiti, una cresta verde fosforescente, le spalle larghe da giocatore di football e un sorrisino malizioso stampato in volto.
“Comunque, - continuò – su 'riposo' non c'è scritto individuale, se vuoi passa in camera mia.”
“Ma che problemi hai?” scattai su, guardandolo furiosa.
“Oh, beh, niente che ti interessi. Molti qui hanno problemi ben più gravi dei miei.” disse, lanciando uno sguardo ad un vecchietto che stava parlando con la porta di quanto fossero davvero insopportabili questi giovani d'oggi.
“Duncan Nelson, piacere.”
“Courtney, Courtney Diaz.” sbuffai.
“Duncan, vedi di non spaventare troppo la nostra nuova arrivata.” lo rimproverò Geoff che aveva l'aria di aver sentito tutto, nascosto dietro un separé color caramello, proprio dietro di noi.
Lanciai uno sguardo all'orologio nero davanti a me.
Era già ora di pranzo.

La sala dove si pranzava era bianchissima, con lunghi tavoli di un color giallino che mi ricordarono quelli della mensa della mia scuola elementare.
Presi il vassoio con il mio pranzo, - pasta al pomodoro, cotoletta, insalata e una mela – e mi sedetti ad un tavolone vuoto.
Iniziai a mangiucchiare l'insalata e mi accorsi che era senza sale.

Meglio, pensai. Meno grassi.
“Non dirmi che sei una fissata con la dieta che pur di rimanere in forma si mangia cibo senza sale.” sbottò una voce al mio fianco.

Duncan.
Posò rumorosamente il suo vassoio sul tavolo, vicino a me.
“Non hai, che ne so, altre persone con cui
chiacchierare amorevolmente a pranzo?” gli sorrisi sarcastica.
“Certo, ma visto che eri tutta sola ho pensato di farti un po' di compagnia.” disse, sedendosi sulla sedia.
“Ma che gentiluomo.” ribattei, fingendo di sospirare sognante.
Lui sghignazzò ed iniziò a squartare la sua cotoletta, mangiandola come un animale.
“Oh, Signore.” mormorai afflitta.


La lezione di musica iniziò circa trenta minuti più tardi perchè una ragazza, Bridgette, aveva avuto problemi di stomaco: a quanto pare non si ricordava di essere allergica al pomodoro.
Comunque l'insegnante, una grassoccia ragazza sui venticinque anni dalla pelle scura, ci fece accomodare su divanetti sparsi qua e là per la stanza.
Ero tra Chris, che si era dimostrato molto gentile e simpatico, e Duncan che non la smetteva di seguirmi dappertutto.
Avevo scoperto che era una specie di Casanova in ospedale e al 3 Nord aveva
quasi tutti gli esseri di sesso femminile ai suoi piedi.
Le uniche che si salvavano eravamo io e la signora schizofrenica che non usciva mai dalla sua stanza.
Non avevo ancora scoperto perchè l'impiastro – nome che gli avevo personalmente affibbiato – fosse in questo reparto e non volevo chiederglielo, poteva essere una cosa molto personale.
“Oggi canteremo un po', che ne dite?” esclamò l'insegnante Leshawna.
La stanza riecheggiò di urla entusiaste, un ululato partì da Duncan.
A quanto pare sapeva suonare il basso elettrico.
Leshawna indugiò per qualche secondo con i grandi occhi scuri su di me ed io sorrisi.

“Courtney, sono nuova.” replicai.
Lei si avvicinò con le labbra piegate all'insù.
“Courtney – disse – perchè non ci canti qualcosa?”
“Non sono capace.”
“Tutti ne siamo capaci, Courtney. Basta solo volerlo.”
Sospirai e tamburellai le dita sul tamburo che mi avevano costretto a suonare.
“Bhè. Io. Non. So. Farlo.”
“Ma Courtney...”
E sa perchè? Quando cercai di cantare in quinta elementare tutti e dico proprio tutti, risero di me. Ecco perchè.” sbottai, lasciando cadere il tamburo ed andandomene dalla sala.
Corsi dritta nella mia camera e mi rifugiai sotto le coperte, mentre le risa dei miei ex compagni di scuola mi echeggiavano in testa.














note della coraggiosa o molto stupida autrice.

credo sia il capitolo più lungo scritto da me, davvero, mi sono impegnata.
allora, ho incominciato questa ff subito dopo aver visto il film '5 giorni fuori', un film davvero davvero davvero fantastico, da cui ho preso l'ambientazione e cambiato qualcosina.
credo che courtney sia uscita un po' dal suo carattere originale, ma cercherò di farla ritornare odiosa quel che basta per essere detestata.
fatemi sapere cosa ne pensate, ho paura che non vi piaccia.
beeeeeeh, vi saluto bricconcelli. (?)


adiossss. ♥

 

  
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