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Autore: Red S i n n e r    01/03/2013    1 recensioni
La storia di diversi ricordi, una domanda che è sempre la stessa e delle risposte che cambiano sempre. La storia di una guerra, uguale a centomila guerre, di un desiderio che verrà esaudito e di lettere che non sono mai state scritte.
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Ricordo il volto di un vecchio, segnato dalle rughe e dalla fame, non rispose alla mia domanda, ma guardandosi intorno disse: “ ho vissuto così a lungo da aver pensato di aver visto tutto,” poi guardò me e continuò “ma questo non avrei voluto vederlo mai.”
[Vago nonsense]
Genere: Guerra, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Nonsense | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Piccolo esperimento: la prima volta che scrivo in prima persona. I contenuti non sono esattamente leggeri, ma le descrizioni sono appena accennate, in ogni caso meglio essere avvertiti prima. Forse vago nonsense. Un grazie a chi leggerà e un grazie più convinto a chi lascerà un parere. 
Red.__________________________________________

Lettere d’addio.

Mama, they try and break me. 
The window burns to light the way back home 
A light that warms no matter where they've gone. 
They're off to find the hero of the day 
But what if they should fall by someone's wicked way? 

[…]

Do you hear your babies crying? 
Mama they try and break me 
Still they try and break me

Metallica – Hero of the day.

 

Della mia infanzia ricordo solo immagini confuse di caldi estati e risate con gli altri bambini, però ricordo con precisione che il sogno di tutti i miei compagni di gioco era di essere come il loro papà ed io, che di padri non sapevo nulla, stavo zitto.

Mia madre mi aveva detto che il mio papà era morto in guerra e che non ci potevamo far nulla, ma mi diceva sempre che avevo i suoi stessi occhi ed il suo stesso sorriso.

Non so se fosse vero, non avevamo una foto di lui, ma io iniziai a crederci e nel tempo avevo costruito l’immagine di un uomo alto con le spalle larghe, il sorriso a metà e occhi scuri e senza fondo.

Sono cresciuto in fretta, come tutti, e presto le estati così calde iniziarono a significare lavoro nei campi e un sordo dolore alla schiena per tutto il tempo passati chini, non più risate e giochi.

Andava bene lo stesso, però, perché i miei compagni di gioco erano cresciuti con me e non avevo motivo di annoiarmi; ma insieme a noi crebbero anche le bambine, quelle che nei nostri giochi non entravano mai e di cui non ci curavamo, ed erano belle, belle, belle.

Mi innamorai e non pensai più a nulla, non c’era niente di più bello, per me, di quella ragazza dal viso dolce e gli occhi castani. Niente.

Pensavo che la vita fosse tutta lì e non mi sembrava poco, anzi, nemmeno ci pensavo: era tutto quello che volevo e mia madre era tanto contenta; poi, un giorno, scoppiò la guerra.

Ricordo quel giorno come un incubo ad occhi aperti, il cielo era così blu che feriva gli occhi e io non riuscivo a pensare che stesse succedendo davvero.

Un giovane soldato era appena sceso da cavallo ed aveva proclamato a gran voce che la guerra era iniziata, che era iniziata da un pezzo, e che servivano altri uomini, nuovi uomini, perché non stava andando molto bene e non si poteva di certo perdere.

Ricordo mia madre mettersi le mani sulla bocca e i suoi occhi spalancarsi così tanto da far male, ricordo la mia promessa scoppiare a piangere e la mia indecisione: chi delle due dovevo guardare? A chi delle due andava la mia devozione?

Guardai i volti dei miei compagni di giochi passati e ci vidi la paura, l’incertezza, chissà se c’erano le stesse cose nei miei di occhi.

Il soldato continuava a cianciare di date da rispettare, protocolli da seguire e ci disse che il giorno dopo saremmo dovuti partire, poi se ne andò e portò via tutti i suoni.

Poteva davvero succedere qualcosa del genere con un cielo così blu? Mi sembrava assurdo e insensato, “ma la guerra è insensata, bambino mio, per questo il tuo papà non c’è più” ricordai queste esatte parole, le stesse che mia madre mi ripeteva quando mi arrabbiavo con la guerra che si era presa mio padre.

La vidi, le vidi entrambe, mia madre e la mia promessa, avvicinarsi a me e in un attimo capii che la guerra non solo mi aveva privato di un padre, ma anche di tutto quello che avevo sempre voluto.

Il giorno dopo partii con la speranza di tornare, ma senza alcuna vera certezza di poterlo fare davvero, avevo dato un bacio tra i capelli della mia promessa e stretto brevemente mia madre. O forse il contrario, non lo ricordo più.

Alzai gli occhi al cielo: era ancora blu.

 

 

Ricordo la prima volta che vidi il campo di battaglia, era nero di esplosioni e aveva l’odore acre della polvere da sparo, c’erano lunghe ferite nel terreno e tanti soldati ammassati lì dentro.

Pensai all’inferno descritto dal parroco della mia chiesa e pensai fosse anche peggio. Col tempo imparai a non far più caso all’odore acre delle esplosioni e alla sensazione viscida del sangue rappreso sui vestiti, ma non dimenticai mai gli occhi degli uomini che avevo visto morire.

Avrei voluto scrivere una lettera, ma un soldato di cui non ricordo il nome è morto sui pochi fogli che ero riuscito a trovare, il suo sangue sulla carta era così scuro da sembrare nero.

Forse è un bene, mamma, perché non avrei trovato mai le parole per dirti quel che vedevo.

Vivevo in una trincea, col fango fino alla vita e il fucile così stretto tra le dita da farmi sbiancare le nocche. Ho visto morire i miei compagni di gioco e la morte nei loro occhi, ma non ho mai visto il cielo, perennemente coperto dalla cappa di fumo di cannoni e dalla cenere.

Ho sentito solo gli scoppi delle  bombe e quello dei fucili, non ricordo più il suono delle risate.

Mamma… mio padre ha visto le stesse cose prima di morire?

Cerco di non pensarci, ma non ci riesco e il pensiero mi ossessiona.  E la mia promessa, Anna, è ancora promessa a me?

Anna, Anna, Anna, com’eri bella Anna! Ti ricordo quando avevi le lacrime agli occhi, ma sempre bella, sempre così bella…

 

 

Non ricordo come iniziò, ma cominciai a vagare per il campo in cerca di uomini in fin di vita, mi accasciavo accanto a loro e li guardavo morire.

Un giorno iniziai a chieder loro a cosa pensavano prima di morire. Quasi nessuno faceva caso a me perché parecchi di noi erano impazziti.

Ricordo il volto di un vecchio, segnato dalle rughe e dalla fame, non rispose alla mia domanda, ma guardandosi intorno disse: “ ho vissuto così a lungo da aver pensato di aver visto tutto,” poi guardò me e continuò “ma questo non avrei voluto vederlo mai.”

Morì guardandomi.

I giorni erano sempre gli stessi, non cambiavano mai, e il fumo era così denso in cielo che non ero mai del tutto certo che fosse giorno oppure notte, d’altronde non era importante.

Nella mia trincea c’erano centocinquanta persone, qualche settimana dopo solo cinquanta, quando mi sono addormentato eravamo in trenta, appena sveglio c’ero solo io.

Non è possibile, vero?

Ho visto tutti i miei amici morire a tutti loro ho fatto la stessa domanda: a cosa pensi prima di morire?

A casa.

A cosa pensi prima di morire?

Alla mia famiglia.

A cosa pensi prima di morire?

A niente. Sto morendo!

A cosa pensi prima di morire?

Sto morendo? – terrore - Non voglio morire, non sto morendo!

A cosa pensi prima di morire?

Penso che non ho vissuto abbastanza.

 

 

Muoiono quasi tutti con gli occhi aperti e io li chiudo, ho chiuso così tanti occhi che non me lo ricordo più, ho visto così tanti morti che è da un pezzo che non piango più.

Alla fine sono rimasto solo io, solo io davvero.  Sono rimasto nella trincea col fucile stretto tra le dita e ho sparato, sparato, sparato, sparato…

È passato un anno da quando me ne sono andato e a casa sono rimaste solo le donne. Sono loro a mietere il grano? Mia madre intreccerà ancora cesti sulle sue ginocchia?

E Anna, Anna… sarà ancora così bella? Mi penserà ancora?

Per un attimo non vedo più nulla, dev’essere il sangue negli occhi, quando li riapro sono sdraiato e non ho più il fucile.

 

 

C’è un uomo col petto trafitto di medaglie, mi dice che sono l’unico sopravvissuto nel raggio di chilometri dalla mia trincea, mi vuol stringere la mano e mi dice che sono un eroe, un eroe.

Vorrei rispondere, ma il dolore forse ce l’ho tutto in gola e non riesco a parlare. Sento mani toccarmi, ma quasi non sembra vero, sento il sangue, il mio sangue andare via. Dove va?

L’uomo mi dice: “non chiudere gli occhi, non ti addormentare.”

Non so perché, ma poco dopo urlo, urlo così tanto che mi fa male anche la gola, oltre a tutto il resto. Un po’ di dolore sono riuscito a buttarlo via, quindi.

Sono nella tenda-ospedale del campo, capisco, e perdo così tanto sangue, così tanto.

Non te ne andare, ragazzo mio, non ti arrendere!” commenta burbero l’uomo delle medaglie, “parla… parla di casa tua. Te la ricordi?”

“È dall’inizio che la ricordo, è da sempre che sto ricordando tutto, ma non succede nulla. Nulla!” gli rispondo, ma non credo mi capisca.

Si avvicina - forse perché parlo piano, forse perché spunto sangue e non si capisce niente - e vedo che ha gli occhi scuri e le spalle larghe, allenate. Mi ricorda mio padre, mio padre che mi somiglia e che non ho mai conosciuto.

Mi ricordo di tutti i bambini che volevano essere come il loro papà e che non ci sono riusciti perché sono morti prima.

“Sei un eroe”

“Un vero eroe”

“Un eroe, ragazzo mio, un eroe”

 

So che ci sono diverse persone accanto a me, ma non le vedo più: sarà il sangue negli occhi? Provo a togliermelo via, ma il braccio non mi risponde, non mi risponde più.

E a me interessavano le risposte, me lo ricordo, facevo sempre la stessa domanda, ma la risposta cambiava sempre.

Da qualche parte alla mia destra sento la voce burbera dell’uomo delle medaglie borbottare “sta morendo, vero?” e un flebile assenso.

Sì, sì… adesso ricordo, ricordo la domanda. Ma a cosa penso? A cosa penso?

Scommetto che fuori il cielo è ancora così scuro, di cenere ed esplosioni, che non si capisce davvero se è giorno oppure notte.

Penso che ho perso anche il colore del cielo, che la guerra mi ha portato via anche questo. Penso che non rivedrò più nessuno.

“Gli daremo una medaglia… la daremo alla sua famiglia se…”

Ha una famiglia, vero?”

“Una madre, signore, forse qualcun altro.”

Penso al volto di Anna, la mia bella, bella Anna e non provo rabbia all’idea di non rivederla più. Penso a mia madre che starà ancora intrecciando cesti di vimini sulle sue ginocchia, con il capo chino e le mani rovinate.

“Non ha un padre?”

Penso al desiderio dei miei compagni di giochi passati, penso che solo io che non l’ho mai desiderato riuscirò a rispettarlo.

“Morto in guerra.”

 

Do you hear your babies crying? 
Mama they try and break me 
Still they try and break me

 

   
 
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