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Autore: Artemisia89    16/09/2007    0 recensioni
Quattro idee.
[Grazia. Distanza. Profondità. Armonia.]
Sword of Mana - Palazzo Devius.
"Di nuvole esenti da morale, staccate da terra senza far parte del cielo."
Dedicato a Lady Antares Degona Lienan.
Genere: Triste, Malinconico, Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: Alternate Universe (AU) | Avvertimenti: nessuno
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Chiara

Nuvole

[Quattro idee]

 

 

 

 

1.       Grazia. [Pilla]

 

 

Punto numero uno. Punto numero due. Al terzo punto ne salti uno, al quarto torni indietro. E ricominci.

Punto numero uno. Punto numero due, punto numero tre, al quarto ne salti uno, al quinto torni indietro.

 

E ricominci.

 

 

Pilla era metodica: era la quinta essenza della routine. Si alzava tutti i giorni alle sei, eccetto che nei giorni liberi o di festa (in quelli aveva il permesso di alzarsi all’ora che più le aggradava), e le sue giornate erano scandite da mille impegni divisi alla perfezione. Dopo la sveglia e le abluzioni mattutine, puliva la sua camera, indossava la veste di servizio e scendeva in giardino. Mentre le altre si occupavano a turno delle fontane e delle piante, lei si preoccupava di dar da mangiare agli animali e, nonostante il loro benessere fosse ufficio di Philumena, in special modo agli uccelli: puliva le gabbie, cambiava l’acqua, riempiva le ciotole con miglio e frumento, li accarezzava quando glielo permettevano, e poi tornava a Palazzo. Gli orari in cui di solito si pranzava erano i meno impegnativi: la loro padrona in fin dei conti non traeva alcun benessere dal cibo e tutte le ragazze si limitavano a preparare una cena frugale di frutta e verdura. Gli unici veri alimenti di cui cibarsi senza avere paura.

Nelle prime ore del pomeriggio, dopo aver pranzato e pulito la cucina, Pilla riposava, come tutte le altre. Il caldo a Jadd sapeva essere più che opprimente e lei era quella che meno di tutte lo sopportava: aveva sempre la veste appiccicata addosso, quasi come se fosse una seconda pelle.

Odiava Jedd, con tutta se stessa e questo Medusa lo sapeva fin troppo bene, ma l’aveva chiamata al suo seguito lo stesso.

E lei, non aveva potuto di certo opporsi alla sua Principessa.

 

Nel pomeriggio, Pilla finalmente, si dedicava a quello che per lei contava di più: raggiungeva una certa sala del minareto ovest e sedendosi ad una precisa finestra, prendeva in mano il suo lavoro. Era stata sua madre, a Malvolio, ad insegnarle a ricamare, ma aveva scoperto quanto le piacesse disegnare sulla stoffa con ago e filo, soltanto nell’adolescenza. Inizialmente si trattava di piccoli animali: pesci, cigni, farfalle. Poi cervi, leoni, pappagalli dalle mille piume colorate, ondinee e driadi. Poi era passata ai paesaggi, e infine ai ritratti. E lì, si confondeva perché nella stessa tela, sembravano due lavori inconciliabili. Finché Medusa, per il giorno del suo matrimonio, non le aveva richiesto una cosa ben precisa.

Erano venticinque metri di stoffa, e non aveva che venticinque giorni di tempo. Quando Pilla si azzardò a chiedere quale fosse il soggetto del ricamo, Medusa le disse che voleva Malvolio.

<< Tutto? >>. Tutto quanto. In 25 metri di seta banca e purissima, Pilla doveva stillare un universo.

 

Il primo giorno, aveva pianto. Il secondo aveva chiesto di uscire. Il terzo aveva cercato di scappare dalla torre, inutilmente. Sentiva su di se lo sguardo onniveggente di Medusa che bucava le pareti e la scrutava dentro. Il quarto giorno, tentò di contattare i suoi genitori, il quinto minacciò di tagliare in mille pezzi la seta.  Il sesto giorno, si affacciò dalla finestra.

Era l’alba. Non un’alba fuligginosa, umida di rugiada, fredda. Era un’alba nitida, calda, dorata. L’odiata Malvolio, di solito così ombrosa e scura, le appariva sotto una luce diversa. Le chiome degli alti alberi, lasciavano che la luce disegnasse a terra giochi di ombre ammalianti, e i vetri delle case riflettevano il cielo con un bagliore quasi fatale. I volti delle persone che cominciavano a popolare strade e quartieri, avevano sorrisi minuscoli, assonnati, ma puri.

A Pilla piacque: il settimo giorno, cominciò a ricamare.

Quando Medusa, il giorno del suo matrimonio, aprì davanti a tutta la Corte l’arazzo che Pilla aveva ultimato entro i venticinque giorni richiesti, fece molta fatica a mantenere la sua proverbiale compostezza. L’arazzo conteneva la sua Malvolio e i suoi sudditi. Ne conteneva l’anima.

 

Ordinò che venisse chiuso e riposto. Pilla sorrise. Ordinò che si preparasse per il viaggio verso il regno di Granz. Il sorriso di Pilla, si pietrificò sul suo volto, per poi sgretolarsi.

 

Pilla odiava i cambiamenti: non riusciva ad abituarvisi. Li odiava come odiava Jedd e Granz intero. Troppo eterogeneo il regno, troppo calda la città, troppo imprevedibili gli umani, troppo effimeri, come i cambiamenti.

Non facevi in tempo ad accettarli, che già scomparivano. Troppo tutto.

Così quando Medusa, la voce stanca e gli occhi vacui, le chiese un arazzo di Jadd, Pilla chinò lo sguardo a terra per non mostrare il disappunto nei suoi occhi. Non di nuovo, pensava, non di nuovo Dea, ti prego non di nuovo.

Ma evidentemente la Dea, non la stava ascoltando in quel momento.

 

Pilla impiegò tre giorni per scegliere la seta più adatta, altri tre giorni per il minareto, un giorno per la finestra. Aveva tanti fili di colori diversi con sé, ciononostante, uscì in paese per comprarne altri. Velata nei suoi veli candidi, uscì dal palazzo veloce come una nuvola, e ancor più velocemente vi fece ritorno.

Filo d’oro, filo di sabbia, filo di notte.

 

Cominciava a ricamare nel tardo pomeriggio, quando ormai il sole era calato e la notte avvolgeva Jedd: disegnava dune sabbiose, tetti ricoperti di stoffe, vasi d’oro e cammelli sonnacchiosi. Disegnava madri chine sui propri figli e libri abbandonati su tappeti. E uccelli, gli uccelli di palazzo Devius che vigilavano sulle stanze e sul giardino. Ne disegnò perfino il canto, che si alzava dalle gabbie aperte e che sfiorava l’acqua delle fontane.

Ricamava, ricamava, ricamava sfruttando la sua vista fino all’inverosimile. Quando si svegliava, i suoi occhi erano arrossati e irritati, ma le iridi slavate sembravano brillare.

 

Finì l’arazzo, lo mostrò a Medusa. Lei la guardò.

Le sorrise.

Pilla, sentì le mani tremare e gli occhi farsi lucidi come di febbre.

 

Ordinò che venisse chiuso e riposto. Pilla non sorrise. Ordinò che lei rimanesse a palazzo Devius insieme alle altre ragazze. E Pilla questa volta pianse.

 

 

Pilla era metodica: era la quinta essenza della routine. Odiava i cambiamenti: li trovava nemici ingiusti, contro cui non si poteva combattere, per questo li sfuggiva con le sue giornate costruite e progettate nei minimi particolari. Era orgogliosa di aver creato un paradiso di eternità.

Ma Medusa, con la sua morte, aveva distrutto tutto quanto un’altra volta.

 

 

 

Punto numero uno. Punto numero due. Al terzo punto ne salti uno, al quarto torni indietro. E ricominci.

Punto numero uno. Punto numero due, punto numero tre, al quarto ne salti uno, al quinto torni indietro.

 

E ricominci.

  
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