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Autore: boll11    17/09/2007    10 recensioni
Dopo la morte di Maes la paura di Glacier era che le cose non si sarebbero mai messe a posto.
Genere: Suspence, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro personaggio, Winry Rockbell
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Noticine d’obbligo: Ho ideato questa storia per il Concorso estivo - Storie inquietanti indetto da Harriet sul forum di EFP ed ha avuto una storia travagliata.
L’idea m’è venuta praticamente subito appena letto il topic e quindi parecchio tempo fa, ma scriverla è stata un altro paio di maniche!
Ci sono riuscita in extremis e ne vado fiera.
Amo Glacier e amo Elicia e non vi dico quanto amo Maes.
E sono arrivata ad amare questa storia.
Un grazie particolare alla mia beta Mary, che ha fatto un ottimo lavoro come sempre.
Non temere.
Tornerò al più presto a calcare i soliti lidi.
Ne sento il bisogno anch’io. ^_-

 

Itadakimasu*
Buon appetito, tesoro

 

La morte non è nel non poter comunicare, ma nel non poter più essere compresi.
(Pier Paolo Pasolini)

Glacier era preoccupata.
Molto preoccupata.
Quello che aveva rimandato per troppo tempo non poteva più essere evitato.
Per questo s’era rinchiusa in camera da letto e stava smantellando ogni ricordo di Maes.
Con professionale precisione aveva riempito il primo scatolone di abiti.
Li aveva ripiegati con cura passando affettuosamente le dita sulla stoffa.
A volte se l’era strofinata sul viso per carpire l’odore del marito.
Stupido, certo, visto che ogni capo era stato accuratamente lavato dopo la sua morte.
Però non riusciva a farne a meno, e se ne stava per lunghi minuti con i suoi maglioni premuti contro il naso a sforzarsi d’esser forte, di non cacciar fuori neanche una lacrima.
Non era proprio il momento di cedere al dolore.
Se non l’aveva fatto prima, non c’era ragione di farlo adesso a distanza di più di un anno.
S’era trattenuta a lungo sebbene sentisse cedersi le gambe a ogni passo e avesse il disperato bisogno di accoccolarsi a palla sotto le coperte, di lasciare che lo strazio la privasse d’ogni forza e le donasse un torpore momentaneo.
Ma c’era Elicia.
Per lei aveva tirato avanti a testa bassa.
Forzando sorrisi, e abbracci, e conforto.
Aveva relegato in una parte remota di sé ogni sentimento negativo.
Quel ripugnante furore che provava per il marito che l’aveva lasciata sola, quella sottile invidia verso la figlia, che negli ultimi anni aveva conosciuto il calore di Maes più di lei.
Sentimenti talmente assurdi da vergognarsene, da farla sentire una sciocca donnetta meschina.
C’erano istanti terrificanti in cui dentro di sé scopriva l’agghiacciante bisogno di urlare “Non t’avessi mai incontrato…”
Tratteneva quell’impulso perché era talmente spregevole, talmente amaro da farla impallidire.
Allora si comprimeva le tempie con le dita e sussurrava il nome del marito come una preghiera.
Proprio ora sentiva acutamente la mancanza di Maes.
Lui avrebbe capito.
Avrebbe posto rimedio.
“Che cosa devo fare?”, chiese alla sua camicia rossa, premuta sulle labbra.
Rise di un piccolo riso nervoso staccandosi a forza l’indumento e deponendolo nello scatolone ricolmo, che chiuse poi con pochi gesti energici e accantonò in un angolo preparandosi ad attaccare il comò con la sua biancheria.
“Mamma…”
Glacier alzò il viso sorridendo alla figlia.
Represse un brivido a vederla.
Era sparuta.
In altezza era cresciuta molto, ma la carne che la rivestiva le si era sciolta di dosso come per magia.
Gli occhi sembravano enormi nel visetto smagrito, e aveva sempre quell’espressione troppo seria.
Una bimba di quattro anni e mezzo non dovrebbe essere la caricatura di un’adulta.
Glacier tese le braccia e Elicia le si avvicinò lentamente.
Si fermò a due passi da lei e la guardò.
“Cosa volevi, tesoro?”.
“Io e Angie vogliamo andare a giocare in cortile. Possiamo?”
Glacier si incupì e una ruga sottile le divise la fronte.
Fissò il viso della figlia, così magro e inerme, e sospirò.
Si costrinse a sorridere e le fece un segno di assenso con il capo, incapace di far uscire la voce.
Continuò a guardare la porta dove era sparita senza un rumore, lieve come l’aria, per un tempo assurdamente lungo.
“Cosa devo fare, Maes?”, pensò. “Aiutami tu…”.

Si volse al comò e al primo cassetto già spalancato, dove la sua biancheria e quella del marito erano mischiate in un caotico insieme.
A lei piaceva.
Riusciva sempre a cogliere senza neanche guardare quella che le apparteneva, ma intanto poteva sfiorare l’elastico spesso degli slip e riconoscere al tatto che un tempo c’era un uomo a dividere la sua vita e il suo letto.
Riusciva anche a percepire lo spettro di un tocco lontano, quando affondavano le mani in quel cassetto scontrandosi giocosamente.
Erano giorni in cui si faceva tutto insieme, per mancanza di tempo.
Glacier sapeva che avrebbe vissuto per sempre con quel fantasma lieve ad inseguirla nello snodarsi della vita quotidiana.
“Quando muore un uomo come Maes, non muore realmente…”, sussurrò contro il tessuto, prima di gettare tutto nella scatola.
“Che cosa fai, Glacier?”, le bisbigliò una voce incorporea alle sue spalle.
Lei sorrise senza accorgersene.
“Devo occuparmi di Elicia, ora. Lasciami in pace per un po’.”
Afferrò veloce il resto della biancheria con gesti frenetici guardando l’orologio.
Quanto tempo era rimasta in quella stanza?
Finì di svuotare il cassetto e sospirò.
Non c’era scritto da nessuna parte che dovesse terminare in quel momento.
Maes aveva lasciato la sua impronta ovunque.
Sarebbe stato semplicemente impossibile pensare di risolvere tutto in un unico, misero giorno.
Sospirò ancora volgendo il viso alle pareti ingombre di foto.
Da ogni semplice cornice vedeva il sorriso di Maes, dei suoi commilitoni in momenti di pausa, di Elicia, di lei.
Al marito piaceva fare foto.
Era un autentico appassionato della macchina fotografica.
Ne aveva una cui teneva in maniera maniacale con accessori annessi che puliva e ricontrollava per ore.
Ogni momento era importante e degno di essere immortalato e Maes aggiungeva in ogni piccolo ritaglio quadrato la passione che era propria del suo carattere.
Il giorno che le avrebbe staccate dal muro e riposte con cura in una scatola da accantonare, sarebbe stato quello in cui si sarebbe arresa.
E lei non era ancora pronta.
Non per quello.
Distolse a fatica lo sguardo e uscì velocemente dalla stanza e dal fantasma del marito che le sorrideva mille volte da ogni cornice.

* * * * *

La cucina era sempre stato il suo regno incontrastato.
Si pregiava di essere una brava cuoca e sua figlia e suo marito erano sempre stati delle ottime forchette.
A lei piaceva cucinare.
Si rilassava a riordinare ingredienti, a contornarsi di ciotole e ciotoline dove impastava, mescolava, dosava.
Molto spesso Elicia la aiutava. Si faceva legare dietro la piccola schiena un grosso grembiule e in piedi sullo sgabello con la lingua a far capolino dalle labbra, era capace di star ore a rimestare gli ingredienti impiastricciandosi tutta e ridendo felice.
Elicia aveva un sorriso bellissimo.
Disarmante.
Glacier sospirò ancora mentre sminuzzava le verdure per la zuppa.
Aveva perso anche quello, assieme alla salute.
E lei non sapeva proprio come fare.
Subito dopo la morte del marito non sembrava che le cose andassero così male.
Avevano bisogno l’una dell’altra e a questo si erano affidate.
Quand’è stato, allora, che le cose hanno cominciato a guastarsi?
Iniziò a battere la carne con movimenti nervosi ripercorrendo avvenimenti che aveva lasciato scorrere senza curarsene troppo.
Il deperimento di Elicia non era cominciato subito dopo la morte di Maes: di questo ne era certa, perché sebbene fosse stata tanto abbattuta da sentirsi come disincarnata, occuparsi della sua piccola l’aveva salvata dalla depressione.
La confortava stringersi addosso quel corpicino caldo.
Era un sollievo sapere quanto la bimba avesse bisogno di lei.
Eppure, man mano aveva cominciato a perdere peso: quasi impercettibilmente all’inizio, poi in maniera via via più evidente.
Lei aveva accantonato la questione dicendosi che era inevitabile che la perdita di un papà come Maes dovesse farsi sentire, prima o poi.
Eppure mangiava.
E anche parecchio.
A tavola le tendeva sempre il piatto per avere una seconda porzione e lei era ben lieta di soddisfarla.
Ma poi era uscita fuori Angie che le aveva portato via ciccia e sorriso dal giorno alla notte.
Elicia la descriveva come una bimba della sua età, con grandi occhi neri e fiammanti capelli di un rosso vivo tutti arruffati.
Elicia faceva ogni cosa con lei.
Era una compagna inseparabile.
Glacier le aveva dovuto approntare un lettino accanto a quello della figlia.
Aveva il suo spazzolino da denti sulla mensolina in bagno, i suoi vestitini nell’armadio, i suoi giochi nella cassapanca e il suo piatto in tavola.
Glacier l’aveva accettata come si accettano tutte le malattie.
Rassegnata ma battagliera.
Fino a che anche la sopportazione era sfumata, lasciandole solo una rabbia atroce, violenta.
Si tratteneva dal prendere la sua bimba a dallo scuoterla con forza.
Dall’urlare che non c’era nessuno lì accanto a lei!
Che lo spazzolino di Angie aveva le setole perfettamente dritte, i suoi vestiti erano ancora nuovi, i suoi giocattoli stranamente intatti e le lenzuola sul lettino sempre candide.
Solo il suo piatto, a tavola, veniva svuotato con metodo.
Glacier non aveva mai visto Elicia mangiare anche il cibo dell’amichetta immaginaria, ma doveva essere stata lei.
“Ed allora perché, bontà divina, perché è così sciupata?”, pensava frenetica affettando la carne in sottili listarelle.
Lo squillo del telefono le penetrò la coscienza facendole alzare il viso dal suo lavoro.
Prima di lasciare la cucina, diede una mescolata alla zuppa che bolliva a fuoco lento, versò la carne nella padella fumante e si asciugò mani e bocca con lo strofinaccio.
Elicia aveva già risposto.
Un lieve rossore le imporporava le guance mentre parlava felice all’interlocutore dall’altro capo del filo.
Per un folle istante immaginò fosse Maes che scherzava con la sua bimba.
Solo lui aveva il potere di farla ridere tanto.
Inspirò ed espirò e lasciò che la sua speranza uscisse fuori insieme al fiato in un piccolo sospiro dolente.
La bimba si volse a lei e Glacier notò che il sorriso svaniva come per incanto.
Un attimo prima c’era.
Un secondo dopo non era mai esistito.
C’era comprensione, e amore, e paura.
“Chi è tesoro?”
“E’ la sorellina, mamma”.
Glacier tese la mano e la bimba le affidò riluttante la cornetta.
“Torno a giocare, Angie mi aspetta”.
E trotterellò via sulle piccole gambe sottili, con un andatura dondolante.
Sulla porta si volse.
“Posso fare merenda?”, chiese con voce titubante.
Glacier le fece un gesto con la mano come a dirle “Aspetta” e la bimba rimase pazientemente ferma, le braccia abbandonate lungo il corpo.
“Pronto?... Winry, che piacere sentirti. Scusa un secondo, per favore…”, si volse a Elicia.  “Solo un biscotto, tesoro. Fra poco si pranza.”
“E uno per Angie, vero mamma?”
“Certo. Uno anche per lei…”, Glacier aggrottò la fronte impensierita. “Anche due per uno, Elicia. Anche due”.
Il sorriso che le rivolse sembrò quasi famelico per un attimo.
Poi sparì.
Corse veloce verso la cucina con un energia che le sembrò eccessiva.
Glacier tornò alla conversazione telefonica.
Quando agganciò erano passati soltanto pochi minuti.
Winry era a Central e lei l’aveva invitata per il pranzo.
L’idea di rivederla le faceva piacere.
A Elicia stava simpatica, come a Maes.
Glacier sperava che fosse l’aiuto di cui aveva bisogno.

* * * * *

Quando squillò il campanello, Glacier aveva finito di preparare il pranzo.
Si asciugò le mani, si rassettò la gonna, spianò come poté le pieghe della camicetta ma quelle tornarono a tendere i bottoni.
Lo sguardo le s’incupì per qualche istante e rimase pensierosa.
Aveva una macchia proprio all’altezza del seno.
“Oh, beh!”, mormorò sorridendo e s’affrettò ad aprire.

Winry era accovacciata accanto ad Elicia e le sorrideva debolmente, le mani sulle cosce.
“Piacere, Angie!”, disse al vuoto accanto alla sua bambina.
Nel riquadro della porta quell’immagine le parve come una foto del marito.
Si strinse la mani al petto e salutò.
“Oh, signora Hughes!”, esclamò la ragazza, alzandosi in piedi e spazzolandosi i pantaloni. Glacier s’accorse dell’attimo d’esitazione, di quella pausa nel sorriso, di quel lampo inquieto negli occhi chiari. Se ne accorse perché l’espressione di Winry poi le sembrò artefatta.
Avrebbe trovato il tempo per spiegarle.
Ma non ora.
Non con la piccola davanti.
“Che piacere rivederla…”, bisbigliò la ragazza abbassando lo sguardo.
Finse di non accorgersi di questo imbarazzo e sorrise al suo capo chino.
“Dai, entrate che è pronto. Così mi date una mano ad apparecchiare”, esclamò vivace facendo spazio sulla porta.
La ragazza entrò prendendo per mano Elicia.
Glacier notò ancora quel sorriso illuminarle il visetto e gli occhi sgranati volgersi in su a guardare Winry, come se l’idea di perderla di vista anche solo un momento potesse farla scomparire.

“Ti dispiace aiutarmi, cara?”, chiese mentre apriva la credenza.
Winry annuì con entusiasmo.
Le passò piatti e posate e la vide aggrottare le sopracciglia in un’espressione interrogativa.
“Angie mangia con noi”, le disse con un tono amaro. “Angie fa ogni cosa con noi!” aggiunse con maggior acredine.
Poi si zittì, sentendosi molto stupida e fece un ampio sorriso.
“Su, apparecchiate che porto in tavola. E’ già tutto pronto e non voglio che si freddi”.
Una volta in cucina si accorse di tremare e non capì il perché.
Percepiva una tensione nervosa a cui non sapeva dare un motivo se non la preoccupazione per la figlia.
E un ansia di spiegarsi con Winry il prima possibile.
Di chiederle aiuto, in fretta.
Versò la minestra nella zuppiera mentre il silenzio attorno a lei sembrava avvilupparla in maniera insopportabile.
“Cosa stai facendo, cara?”
Solo quel bisbiglio sommesso dietro le spalle.
Maes glielo chiedeva in continuazione.
Sempre quelle parole lì.
“Preparo il pranzo, amore”, rispose ora con la gola secca.
Si passò il braccio sul viso asciugando lacrime, che non si accorse di aver versato e qualcos’altro.
Qualcosa che macchiò la manica della sua camicetta.

Quando tornò con la zuppiera, la tavola era pronta e si erano già accomodate.
“Avanti, passatemi i piatti”, esclamò con  vivacità.
Registrò lo sguardo sgomento di Elicia mentre versava nella terrina la zuppa fumante e la porgeva alla sua ospite.
“Una bella porzione abbondante anche per te, piccola”, cercò di incoraggiarla con un sorriso. “E per Angie”, aggiunse facendole l’occhiolino e posando il piatto davanti alla bimba immaginaria.
Poi si sedette.
Immerse il cucchiaio nel piatto e il suono acuto dell’acciaio contro la ceramica la scosse un po’.
Alzò il viso.
Winry non la guardava.
Col capo chino fissava il piatto e piccoli sussulti le scuotevano le spalle.
“Cosa c’è che non va?”, chiese, mentre l’ansia le invadeva i polmoni.
La ragazza sollevò lo sguardo.
Grosse lacrime le solcavano le guance.
“Signora Hughes…”, bisbigliò.
“Cosa hai fatto, Glacier?”, incalzò il marito leggero come il vento.
La donna abbassò lo sguardo sul suo piatto.
E, incredibilmente, le parve che fosse vuoto, candido, lucido.
Con uno scatto volse il viso a quelli di fronte a lei.
Vuoti.
“Cosa hai fatto, Glacier?”
Scosse la testa, incredula.
La bocca le si riempì di saliva.
“Niente, Maes, niente... Non ho fatto niente…”, sussurrò con le mani premute sulle tempie.
“Sono solo stanca”.
Chiuse gli occhi e aspettò che i sussurri di Maes sfumassero, insieme ai lievi singhiozzi di Winry e al battito forsennato del suo cuore.
Poi li riaprì cauta.
Sorrise dolcemente e con un cenno del capo invitò a riprendere il pranzo.
“Forza, mangiate o si fredda.” Sorrise ancora e poi aggiunse:
“Buon appetito, tesoro”.
E affondò il cucchiaio nella zuppa.

 

*  Buon appetito

Note finali: Ho lasciato indizi per tutto il corso della storia, ma sono talmente labili che forse si fa fatica a notarli. Glacier cucina sul serio, veramente, ma…
Spero che qualcuno scopra cosa realmente combina. ^^

Usagi95: Oh, essere paragonata a SK (cui mi inchino deferente, fonte continua d’ispirazione, autore sommo che non mi stanco mai di leggere e rileggere) è un complimento talmente gradito che mi ha commosso. 
E mi fa vergognare. XD
Il grande pregio delle sue storie è che riesce proprio a lasciarmi con l’ansia fino alla fine e a farmi passare notti insonni al ritornello di: ancora un capitolo e poi a nanna. Ecco perché riesco a leggermi libroni come IT in pochi giorni! XD
Trattare Glacier mi spaventava alquanto, perché è un personaggio che amo particolarmente. Amo tutta la famiglia Hughes a dire il vero e il rapporto splendido che avevano.
Per questo la morte di Maes mi ha lasciato l’amaro in bocca.
E penso che la sua mancanza non possa non lasciare qualche strascico.
Sapere che almeno un po’ sia riuscita a far percepire man mano la follia di Glacier senza svelare tutto subito è una cosa che mi fa davvero molto, moltissimo piacere.
Grazie per esserci sempre, e lasciarmi commenti così carini!

Elyxyz:  No, concordo, non è un racconto facile. Ci ho messo mesi a costruirlo e a dosarlo proprio come fa Glacier con le sue pietanze. XD Sono contenta che ti sia comunque piaciuto.
E’ un mio vezzo quello di mettere particolari di poca importanza nelle mie storie. Ma penso siano fondamentali per sottolineare la caratteristica di un personaggio. Lo rendono più reale, credo. E mi diverte dar loro vizi e virtù. ^^
Grazie ancora.

faccina buffa: Ti ringrazio molto! Quanti complimenti… Ebbene si, sono fissata col suono delle parole. Musicalmente parlando devono armonizzarsi tra loro. Sono una strenua combattente contro le ripetizioni. A costo di cambiare intere frasi la lettura alla fine deve risultarmi fluida. Poi ci sono lavori che scivolano via facilmente e altri, come questo che devono essere soppesati per lungo tempo. Scrivere appositamente una storia inquietante mi ha richiesto quasi tre mesi e mezzo, da che ho messo l’occhio sul concorso. Come ho detto l’idea è stata immediata, ma scriverla cercando di calibrare bene i tempi è stato molto più complicato.
L’idea della lucida follia non è facile da riportare ma questi vostri commenti entusiasti un po’ mi risollevano! XD
Ti ringrazio ancora per tutto il tuo apprezzamento. Mi ha fatto realmente piacere.

Gan_HOPE326:  Uh, un concorrente! Che piacere enorme! Ti ringrazio per i complimenti. Ho letto anche io la tua storia e mi è piaciuta parecchio, e appena mi risollevo dal ritardo cronico te la commento. Grazie ancora d’averla letta e di esserti fatto affascinare. In bocca al lupo anche a te, di cuore! ^^

Shatzy: Che bel commento Shatzy!
Capita anche a me di non trovare le parole per commentare un lavoro che mi ha veramente colpito ed allora mi prendo tutto il tempo che posso per riordinare le idee e fare chiarezza, per ci ti capisco benissimo.
Vedi, anche senza la mia noticina finale avevi captato che c'erano delle cose che non quadravano!
Avevo paura di averla fatta troppo criptica, ma non potevo e non volevo svelare cose che avrebbero tolto la suspance troppo presto.
Questa storia è stata concepita per un concorso su storie inquietanti e inquietare doveva! XD
Quindi in questo, almeno sono riuscita... Gongolo! ^^
Hai colto ogni sfumatura che avevo dato!
Le macchie sui vestiti e i bottoni che tendono la camicia, infatti, dovrebbero (metto il condizionale
perchè mica è detto che il mio intento debba per forza essere riuscito!) far intuire che Glacier cucina veramente, ma che mentre cucina mangia quello che prepara. Tutto. Ogni cosa.
Anche l'intervento di Winry aveva la sua funzione.
E devo tranquillizzarti. Winry le aiuterà entrambe. Non penso che sia il tipo da far finta di nulla. Lei le aiuterà, ne sono sicura.
In quanto ad Angie, la scelta del nome non è casuale. L'ho scelto perchè ha assonanza col termine Hanger che in inglese vuol dire fame.
E questa non è un'invenzione di Glacier. L'amichetta immaginaria c'è e Elicia l'ha inventata per una serie di motivi, non ultimo quello che hai dedotto tu.
I bambini sanno come sopravvivere. Hanno una forza di volontà fuori dal normale. Si adattano ad ogni situazione.
Angie esplica diverse funzioni. Ma è anche uno sfogo. L'unica amica con cui confidarsi.
Quella che l'aiuta a tirare avanti, quella forte e spregiudicata. Quella che accompagna Elicia nelle sue razzie notturne (ho immaginato una Elicia disperata che nottetempo fruga nella dispensa e mangia quello che è possibile mangiare, altrimenti non sarebbe sopravvissuta).
Elicia è quella che dona volentieri il suo cibo alla piccola Elicia.
Ti ringrazio
davvero per i tuoi complimenti e per aver voluto farmi sapere quanto ti è piaciuta questa storia.
Grazie (e mi sembra sempre così poco quando una persona spende il suo tempo per lasciarmi il suo parere!).

  
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