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Autore: Ordinaryswan    02/03/2013    8 recensioni
Lana ha 17 anni ed è difficile e scontrosa. L'unica cosa che la fa stare bene è il conservatorio, la sua seconda casa.
Kristian ha 20 anni. Un arrogante studente universitario. Bello e stronzo. La loro routine si spezzerà quando si incontreranno nella stessa aula scolastica. L'insegnante e la studentessa, una storia già vista no?...Un patto. Prime volte. Nuove sensanzioni. Una tesi.
Dal prologo:
Era assurdo, quel ragazzo, perché avrà avuto più o meno la mia età si andò a sedere alla cattedra.
Scossi la testa amareggiata. Un moccioso che beveva ancora il latte era stato mandato a insegnarmi la materia più importante della mia sezione.
Genere: Commedia, Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico
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Ciao! Allora questo è un piccolo esperimento. Ho iniziato a scrivere questa storia per gioco, così perché avevo voglia di scrivere qualcosa di diverso. Spero che questa storia sia piacevole e non pesante. Non so mai cosa pensare del prologo. Come ogni autrice, suppongo, mi piace sentire i pareri dei lettori perciò non siate timidi (: ... Anyway, grazie per aver aperto la mia storia, Cri ^^


Mi ero sempre chiesta come girasse il mondo, non nel senso strettamente fisico, per quello c'erano i libri, per tutto il resto?

Chi mi diceva se esisteva o meno la fortuna? Chi mi diceva cosa?

Ero stranamente dissolta dal mio mondo – asociale – dei sogni per tornare alla realtà.

Ero al quarto anno di conservatorio. Non ero male, affatto. QUesto mi impegnava molto spesso fino alle tre del pomeriggio. Nel tempo rimanente cercavo di sopravvivere.

Beh, dicevo, ero tornata sulla Terra per un motivo : il professore di Storia della Musica veniva sostituito perché lui doveva operarsi. Assurdo.

Era l''unico professore che riuscisse, in tutta quella teoria, a farmi arrivare qualcosa: con lui l'associazione delle parole musica e storia aveva senso, non era una narrazione dei fatti.

Il problema era che sarebbe arrivato un supplente il giorno successivo.

Rimasi incantata davanti alla bacheca per venti minuti a leggere la mia disgrazia scolastica, poi con l'Ipod alle orecchie uscii dall'edificio.

Pioveva quel giorno, non troppo forte ma a vento, e ciò significava che l'ombrello non serviva a niente poiché l'acqua mi avrebbe bagnato comunque e così avvenne.

Mi girai indietro per un secondo, l'edificio della scuola di Firenze era molto bello all'interno, ma da fuori, con la pioggia, aveva un aspetto troppo serio.

Firenze era la mia città.

Non poteva esserci niente di più bello per me, anche perché non avevo visto molte altre città.

A Bologna stava mia nonna, e la città mi piaceva, ma mai come Firenze. Tutte le altre le avevo viste in fotografia per lo più.

 

Rientrai a casa, un appartamento di 150mq, enorme e arioso. Una casa da sogno che non mi apparteneva affatto e in cui non mi sentivo molto spesso a mio agio.

Come mi aspettavo non c'era nessuno; abitavo con mio zio, la casa era sua ed io ero orfana per colpa di un incidente stradale. Non ero una che amava parlarne.

Mio zio era il parente più vicino ai miei, era adorabile se non per il fatto che non ci fosse mai a causa del suo lavoro.

Non mi lamentavo, poteva andarmi peggio e poi ormai erano passati 10 anni dall'episodio e smisi di pensarci.

Oltrepassai la cucina e il salone, sorridendo al mio pianoforte, e arrivai nella mia stanza dove buttai lo zaino in malo modo e mi misi a leggere la relazione che avrei dovuto consegnare il giorno dopo.

Appena approvai tutto ciò che avevo scritto misi la mia firma: “Lana Mati”

Cenai con un primo scaldato al microonde. Avrei dovuto fare la spesa quel week-end per non nutrirmi costantemente coi surgelati di mio zio, che per altro, non mi piacevano.

 

Andare a letto fu da una parte un sollievo, ero stanca, era giovedì e stavamo giungendo alla fine della settimana. Per altri aspetti volevo che il giorno seguente non arrivasse, perché non ero pronta ad affrontare un cambiamento nella mia monotona routine di casa-scuola e scuola-casa.

Le poche volte che uscivo era perché lo zio Jack, così lo chiamavo, anche se il suo nome era Giacomo, aveva bisogno di staccare dal lavoro e fare un po' di shopping e quindi si portava in giro me. Ogni tanto mi faceva anche piacere. Le altre poche volte in cui uscivo era per andare a casa di Lorenzo, il mio amico di infanzia, gay, che abitava davanti al mio appartamento.

Era chiaro no che ero un'asociale? Eppure lo ribadivo.

Al mattino, già stanca per la levataccia andai in cucina per la colazione. Almeno quella, in quella casa, era qualcosa di decente. Avevamo infatti una macchinetta che faceva cappuccini perfetti. Un paio di biscotti della migliore pasticceria della città e la mia colazione era fatta.

Trovai lo zio seduto a bere il suo caffè.

“Ciao bellezza” mi chiamava così in ogni momento della giornata. Lui era quel tipo di uomo che tutte le donne vorrebbero accanto: gentile, bello, malizioso, elegante e ricco.

“Mmh” mugugnai strusciandomi gli occhi.

“Ti ho già preparato tutto” mi disse e guardai il tavolo dove trovai la colazione pronta. Non scherzavo quando dicevo che era uno zio adorabile.

Feci un mezzo sorriso e mangiucchiai i biscotti.

 

Uscii di casa contemporaneamente con Jack.

Direzioni opposte.

Io avevo la mia bici per girare la città e così giunsi a scuola.

La monotonia era sempre stata la mia caratteristica anche nelle cose più banali.

Davo il buongiorno in generale alla classe quando entravo, poi mi sedevo subito, ripassavo se ce ne era bisogno, o sennò mi mettevo con l'Ipod in un angolo in attesa del professore.

Le mie amicizie si limitavano alle sei ore scolastiche come compagni di classe e niente di più. Preferivo comunque la compagnia maschile a quella femminile, che per qualche strano motivo non mi sopportava. Come avevo già detto, ero bravina. Soprattutto in due materie: pianoforte e storia della musica. Le materie principali della mia sezione, per il resto ero nella norma.

Poi, non sapevo minimamente perché le ragazze mi guardassero male.

Fisicamente ero solo una femmina. Okay, affermazione ovvia ma avevo semplicemente degli occhi color cioccolato, capelli rossi non quel rosso tendente all'arancione, ma il rosso mattone, labbra carnose ma non troppo grandi, e a parte il viso il mio corpo davanti era una tavola da surf, dietro potevo vantarmi di un bel sedere, forse l'unica cosa di cui potevo vantarmi.

Mi sedetti nell'aula 8 alle ultime due ore aspettando il peggio: il supplente.

Al suono della campanella entrò un ragazzo, che ci fosse un nuovo compagno di classe a metà anno?...

Era assurdo, quel ragazzo, perché avrà avuto più o meno la mia età si andò a sedere alla cattedra.

Scossi la testa amareggiata. Un moccioso che beveva ancora il latte era stato mandato a insegnarmi la materia più importante della mia sezione.

Non ci potevo credere, e non potevo credere che tutte le mie compagne fossero già a mormorare tra loro quanta fortuna avessero, solo perché era oggettivamente piacevole alla vista. Moro, occhi blu, bel portamento, sorriso smagliante.

Io non volevo una sottospecie di graziato dalla natura con un fisico perfetto, io volevo un insegnante.

Ero indignata abbastanza che misi via i quaderni e i libri e cominciai a fissare il vuoto pur di non ascoltare una parola che uscisse da quella bocca.

Capii distrattamente che si chiamava Kristian Adams.

Mi dava sui nervi quella situazione.

Cominciò a leggere i nomi dall'elenco per associare nomi a volti.

Quando fu il mio turno alzai distrattamente la mano, posando lo sguardo dopo ben venti minuti su di lui.

“Ci degna della sua attenzione signorina Mati, finalmente” queste affermazioni mi entravano da un orecchio e mi uscivano dall'altro. Riuscivo sempre ad essere indifferente a ciò che mi stava intorno perciò alzai semplicemente le spalle, ma lui continuò.

“Bene, vedo che sei la più brava in questa materia, potresti rimanere a fine lezione per spiegarmi fin dove siete arrivati e il programma che dovete fare”

“Perché io? Tutti sanno cosa abbiamo fatto”

“Ma alle secchione dovrebbe piacere questo genere di cose” disse il professore e le oche di classe mia risero con lui.

“Peccato che lei non sia una secchiona” intervenne Edoardo, l'unico con cui parlassi davvero volentieri.

“Ormai ti ho scelto” disse serio il professore, rifeci un'altra alzata di spalle e controllai l'ora, cosa che diede molto fastidio al nuovo professore.

L'indifferenza era una brutta cosa per chi ce l'aveva -io- e per chi la subiva -tutti quelli che mi stavano intorno-.

  
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