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Autore: n u m b    02/03/2013    0 recensioni
“Lui mi guardò indignato e per tutta risposta mi mandò un’occhiataccia e raccolse il suo soprabito.
- Allora? - dissi io battendo il piede scalza con le braccia conserte.
- Holden - bofonchiò lui tra i denti, - Holden Caulfield - rincarò la dose intento a raccogliere portafogli e Dio solo sa cos’altro.”

Avete mai letto “The Catcher in the Rye” (o in italiano, “Il giovane Holden”) di Jerome David Salinger? Questo sorta di storia ha come protagonisti Holden appunto, un adolescente sedicenne abbastanza sensibile che non sopporta il conformismo e le idee del tempo in cui è vissuto, ergo il 20° secolo e Nancie, una quindicenne ribelle e sconsiderata. Che succederebbe se questi due s’incontrassero, magari di notte, in giro per le strade di una New York gelida e illuminata dalle luci di Natale? Grazie per l’attenzione. Se vi è piaciuta la storia gradirei un commento, anche perché non sono sicura di volerla pubblicare tutta ~
PS. Scusate ma per svariati problemi ho dovuto ri-pubblicarla.
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Quella notte dormii profondamente. Feci sogni confusi e assurdi che l’alcool non mi permette di ricordare. Mi svegliai di soprassalto, con un dolore lacerante e invasivo alla testa. Un dolore preciso, netto, che non mi permetteva nemmeno di pensare perché anche solo pensare faceva troppo ‘rumore’. Aprii di scatto gli occhi, “perché la luce arriva da un parte diversa dal solito?” fu la prima cosa che mi chiesi. La luce argentea della Luna filtrava attraverso le tende beige di un tessuto semi-trasparente, creando giochi d’ombra sull’altra parete. Mi misi a sedere, mi grattai la testa con aria confusa e una faccia sofferente e stralunata. Non feci in tempo a rendermi conto che quella non era decisamente camera mia che all’improvviso anche il mio stomaco si risvegliò, mandandomi fitte dolorose che, come  lampi, andavano e tornavano. Mi alzai e in fretta e furia, barcollando, corsi verso la porta del bagno. Durante la mia corsa, urtai uno spigolo della scrivania graffiandomi le cosce e facendo cadere un quintale di cose: un pacchetto di sigarette, una cintura, un accendino…Cose non mie. Calpestai poi le stesse cose che avevo fatto cadere e a tastoni trovai la porta, girai la maniglia, entrai e cercai l’interruttore. Accesi la luce e rigettai piegata sulla tazza. Postumi della sbornia, meraviglioso. Qualche minuto più tardi, riemersi dal bagno reggendomi alle pareti per non cadere, quando notai una figura seduta sul letto. A vederla mi prese un colpo, tant’è che sgranai gli occhi e il mio battito cardiaco aumentò notevolmente.
- Si può sapere che ti piglia? Cristo santo la prossima volta che decidi di correre e distruggere tutte le mie cose passandoci sopra avvertimi. Fai rumore peggio di un elefante in un negozio di porcellana!
Lì per lì non capii, poi un pensiero chiaro e luminoso si fece spazio tra la mia mente e capii tutto: ero in un albergo, alla periferia di New York, con uno sconosciuto presunto maniaco sessuale che aveva detto di chiamarsi Holden Caulfield. Io mi ero sbronzata, non volevo tornare a casa mia e quindi avevo proposto, anzi l’avevo costretto a portarmi con lui. Non c’è male.
Non c’è male.
Dato che la finestra è opposta alla porta del bagno e che il ragazzo era seduto proprio sulla traiettoria dei raggi luminosi, faceva uno strano effetto vedere quella figura, che si stagliava contro la luce lunare, la quale creava intorno alla sagoma una sorta di aureola. Sembrava quasi un’apparizione divina.
- Allora? Hai intenzione di startene lì ancora per molto o magari te ne torni a dormire evitando di fare altri rumori? - mi apostrofò la voce con tono di rimprovero, spazientito.
- Sì sì ora vengo, sta’ buono - risposi, biascicando parole confuse. Tornai al letto sempre reggendomi alla parete, con lo stomaco un po’ più leggero ma la testa ugualmente pesante. Mi sedetti sullo spigolo. Non avevo più sonno. Ed ero lucida. Mi riguardai un po’: ero senza scarpe…che avevo mollato vicino Central Park se non sbaglio, il vestitino nero tutto sgualcito e impolverato, i capelli intrecciati e non osavo immaginare il trucco, i collant…dov’erano i miei collant? Assunsi un’espressione sconvolta e mi girai a guardare per la stanza. Chi me li aveva tolti i collant? Io no di sicuro, insomma, non ero nemmeno arrivata alla porta della nostra stanza, come potevo aver avuto la forza di spogliarmi?! Guardai il ragazzo che dormiva vicino a me e che mi dava la schiena. Aveva ripreso a dormire, lo capivo dal respiro che era tornato regolare e profondo e dal suo ritmico abbassarsi e sollevarsi della spalla. Forse era davvero un maniaco sessuale. Magari mi aveva pure violentata.
“Oh andiamo, che razza di pensieri ti vengono in mente”, rimbombò un eco nei recessi della mia mente.
“Non si sa mai! Altrimenti spiegami dove hai i collant”, rispose un altro eco.
“Avrò perso anche quelli!”
“O magari te li ha tolti lui, e poi ti ha tolto anche qualcos’altro…”
“Sta’ zitta, non sarebbe capace nemmeno di togliermi le scarpe!”
“Questo lo dici tu ma i maniaci non sembrano quasi mai maniaci”
“Ma per favo…”
Che cosa stavo facendo?! Parlavo da sola? Mio Dio, sto impazzendo oppure l’alcool non ha ancora terminato il suo effetto. Mi ridistesi sul letto. “Non deve essere per forza un maniaco o avermi violentato se mi ha sfilato i collant. Dopotutto è stato anche carino, mi ha portato in braccio fin qui…”. Mi rigirai verso Holden, osservando la sua schiena. Si era addormentato con tutta la camicia perché evidentemente non gli piaceva stare nudo davanti alle ragazze, come poteva violentarmi uno così?! Provai a chiudere gli occhi cercando di riaddormentarmi, ma non ci riuscivo. Ero
troppo lucida. E poi quel maledettissimo mal di testa continuava ad uccidermi. Mi alzai e andai verso l’armadio e lo aprii. Camicie, gilet, pantaloni, canottiere…Stavo incredibilmente scomoda in quel pezzo di stoffa, volevo cambiarmi. Presi una camicia, mi sfilai silenziosa il tubino e lo gettai in un angolo buio e remoto della stanza per poi infilarmi la camicia. Odorava di fumo, e menta, l’odore che avevo sentito quando Holden mi aveva preso in braccio. Inspirai a fondo per poi richiudere l’armadio. Facendo il minimo rumore possibile, aprii la finestra e mi affacciai. C’era un cornicione abbastanza ampio, tipo un metro. Rientrai dentro, mi chinai vicino alla scrivania e presi sigarette e accendino. Ritornai vicino alla finestra, posai ciò che avevo preso sul cornicione e mi issai sul davanzale. Mi sedetti poggiando la schiena sul vetro e le gambe sul freddo cemento inumidito dalla pioggia.
Rabbrividii, ma non mi dava tanto fastidio. Mi piace il freddo che ti pizzica la punta del naso, che ti fa arrossire le guance e screpolare le mani. Mi misi una sigaretta in bocca e la accesi. Tra qualche ora avrebbe sicuramente rincominciato a nevicare. Probabilmente erano le sei e mezza di mattina perché le prime auto avevano iniziato a scorrere lungo la strada. Ero assorta nei miei pensieri che sobbalzai quando sentii lo sbattersi di una porta. Mi girai di scatto facendo cadere la sigaretta, vidi Holden in camicia e boxer, sì
boxer, avete capito, che veniva verso la finestra con aria contrariata.
- Cos’hai addosso? Togliti la mia camicia. E quelle sono le mie sigarette? Poggiale, non ho abbastanza soldi per comprarle e dividerle con qualcuno, soprattutto se quel qualcuno mi ha dato del maniaco sessuale tutta la sera poi, Cristo.
- Smettila, lasciami stare. Non ti dirò più che sei un maniaco se ti dà tanto fastidio, va bene? Anche se è la verità - gesticolai con voce acuta.
- Vuoi anche la tua camicia schifa? Tieni, guarda me la tolgo subito, non sopporto l’idea di avere addosso… - mi stavo sbottonando il terzo bottone quando lui si copre con un avambraccio gli occhi e mi fa.
-N-non spogliarti. Togliti la camicia ma
dentro. - Sentii una nota di imbarazzo nella voce. Mi prese un gomito e provò a trascinarmi in stanza. Mi divincolai.
- Io rimango qui fuori. Tu torna a dormire se devi fare il petulante in questa maniera!
- Ti verrà una maledetta polmonite.
- Credi che me ne freghi qualcosa?
- Vai a quel paese, fa come ti pare. Spero che tu cada di sotto.
Sentii la rabbia dilaniarmi dentro, lui sbattè la finestra e la richiuse. Continuai a fissare gli edifici e il rosa dell'alba che iniziava a macchiare il cielo grigio e statico. Mi passo un brivido lungo la schiena, una goccia di pioggia scese e mi bagnò il piede. Chiusi gli occhi. Vento, passi per strada, le macchine in lontananza, se stavo abbastanza zitta anche con la mente riuscivo a sentire il respiro della città. Tornai dal mio viaggio mentale, rientrai in stanza e vidi che lui stava appoggiato con la schiena allo schienale del letto. Perfettamente sveglio. E luicido.
- Ti dispiacerebbe ridarmi la sigaretta che mi hai fatto cadere di sotto prima? - gli chiesi scorbutica.
- Preferirei non dover più fumare a vita.
Gli mostrai il dito medio e mi sedetti alla sedia davanti la scrivania, con le braccia conserte. Avevo i piedi freddi, gelidi, così come le mani. Mi sembrava di avere dei blocchi di ghiaccio al posto di essi.
- E poi tu avevi detto di non fumare – biascicò lui guardandomi fisso.
- E allora? Esistono cose chiamate 'bugie'.
- Ha ha ha. Davvero divertente. - sarcasmo nella voce.
Rabbrividii, mi alzai dalla sedia e andai in bagno. Accesi la luce e mi guardai allo specchio: rossetto sulle guance, aloni neri causati dalla matita e dal mascara dovunque, e in più avevo i capelli umidi e crespi. Ero lo scempio. Tornai in stanza, mi attorcigliai i capelli e mi ci infilai due penne trovate in giro e poi mi misi sul letto. Erano ormai le sette, ero frustrata, infreddolita e necessitavo nicotina. E il tizio che era con me non era nemmeno di buona compagnia. Fanculo.

 


 

  
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