Fanfic su artisti musicali > Lady Gaga
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Autore: shadowsymphony    03/03/2013    2 recensioni
"Adesso mi odierai ogni volta che ti dirò 'va bene'?" chiese lei, sorridendo, appoggiando la testa al suo petto. "Potrei farlo" rispose lui, ridendo. "Ti odio" rise anche lei. "Capisco. Sfoga pure la tua rabbia su di me". "Allora preparati alla tortura" ridacchiò, e si alzò in punta di piedi per baciarlo.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Quanto tempo era passato? Ore, giorni, settimane, forse anche mesi? Il tempo sembrava essersi fermato, ogni orologio bloccato nell'istante in cui aveva risposto a quell'sms e poi più nulla. Non aveva avuto nemmeno il coraggio di ribattere, di telefonargli, di dirgli che non avrebbe mai e poi mai voluto rispondere "va bene". Non andava bene niente. Perchè lo aveva scritto, e inviato? Perchè qualcosa non si era mosso per fermarla? E perchè non aveva più risposto? Aprì gli occhi e si rotolò nel letto, allungò il braccio e prese il telefono sul comodino. Lo sbloccò: la foto del blocca schermo era rimasta la stessa da quel giorno. Sfiorò l'icona dei messaggi. Scrollò le conversazioni fino ad arrivare a quella col suo nome. La aprì per la milionesima volta e guardò quel "va bene". Sotto c'era scritto "letto" e la data. L'aveva letto. Non si era minimamente stupito al suo consenso, non aveva avuto neanche bisogno di rispondere. E da lì in poi tutto si era fermato . uscì dalla pagina dei messaggi e aprì l'orologio: new York 12.58 San Diego 9.58 Chicago 11.58. Mancavano due minuti a mezzanotte a Chicago. Fissò l’orologio del telefono. 11.59. Si sarebbe ricordato del suo compleanno? Anche solo un messaggio di cortesia, un semplice “buon compleanno”, e si sarebbe messa il cuore in pace. Lo schermo si spense e rimase a fissarlo, nel buio totale, finché non sapeva più se aveva gli occhi chiusi o aperti.

Mancavano due minuti a mezzanotte a Chicago. Fissò l’orologio del telefono. 11.59. a New York era già passata la mezzanotte. Guardò l’icona di messaggi. La sfiorò, cercò la conversazione con “my princess” la aprì per l’ennesima volta. Il suo ultimo messaggio era stato quel dannato “va bene”. Prese un respiro profondo e aprì un nuovo messaggio. Che cosa doveva scrivere? “buon compleanno”? Semplice, diretto, non avrebbe mai avuto modo di capire cosa c’era dietro a quelle due parole. Le digitò, ma le dita sembravano sfiorare le lettere senza controllo, scrivendo tutto quello che voleva tenere nascosto dal semplice messaggio. All’improvviso si accorse di aver scritto una decina di righe e, stupito, le rilesse. “no no no” sussurrò, e cancellò tutto. Sospirò. Scrisse di nuovo “buon compleanno” e si fermò. Doveva scrivere anche il nome? Era troppo personale? Lo scrisse comunque. “buon compleanno Stef”. Invio?

All’improvviso il cellulare squillò e lo schermo si accese illuminando la stanza buia. Si svegliò di soprassalto e vide il telefono acceso, stretto in mano. Il cuore iniziò a batterle all’impazzata e, cercando di mettere a fuoco, lo sbloccò e controllò i messaggi. “dimmi che è lui, dimmi che è lui!” la voce girava frenetica nella sua testa. “buon compleanno Stef”, ma il messaggio era della sua coreografa. “ma vaffanculo” sussurrò, troppo stanca per arrabbiarsi. Erano le 3 e mezza a Chicago. Lasciò cadere il telefono sul cuscino, accanto alla testa. Cercando di riaddormentarsi, immaginò cosa stesse facendo lui in quel momento. Stava dormendo? Era ancora in giro per bar con i suoi amici? Forse non era nemmeno a Chicago, forse era andato alle Hawaii? O a San Diego? O a New York? Sussultò al pensiero, e sorrise… forse era vicino a lei. Ma forse era in un posto dove non era ancora arrivata la mezzanotte. Forse le avrebbe inviato un sms più tardi quel giorno. Forse, forse, forse. Si riaddormentò.

La radiosveglia si accese alle 11.00, con un bip bip noioso sovrapposto al gracchiare di una radio locale. Sbuffò e allungò il braccio verso il comodino per spegnerla. Si rigirò nel letto e finì con la faccia sopra al telefono, rimasto tutta la notte acceso sul cuscino. C’era ancora il “buon compleanno Stef” scritto nei messaggi, ma non inviato. Non aveva ancora trovato il coraggio di contattarla, dopo tutto quello che era successo. Sbuffò e si alzò dal letto, portandosi dietro il telefono. Andò in cucina e accese la tv, intanto si preparò qualcosa da mangiare per la colazione. Verso le 11.30, all’improvviso, bussarono alla porta e andò ad aprire. “ciao Taylor, disturbo?” salutò la donna, la vicina di casa. “Hey Judy! No no assolutamente. Kit, monellaccio, ci sei anche tu!” disse il ragazzo, salutando il bambino che la donna teneva per mano. “ti ho portato la Mustang” sorrise il bambino, facendogli vedere la macchinina giocattolo che aveva con sé. “Stupenda, grazie! Dopo la aggiungiamo alle altre” disse, abbassandosi per prendere il giocattolo in mano. “oggi pomeriggio mi puoi tenere  Matthew per qualche ora come hai fatto l’altro giorno? Devo andare a portare Kit dal dentista” chiese la donna. “certo” rispose lui. “magari portalo in giro se puoi, è da un po’ che non esce… oggi non fa neanche tanto freddo”. “ci divertiamo, non ti preoccupare” sorrise. “perfetto. Te lo porto alle 2. Buona giornata!” disse la donna, prendendo in braccio il figlio “andiamo”. “ciao!” salutò il bambino. “Fai il bravo, Kit!” gli disse, poi i due se ne andarono e tornò in casa.

Verso l’una il telefono suonò e Gaga si svegliò di nuovo. Trovò il cellulare vicino a lei, sul cuscino, e lo prese. Sullo schermo c’era il nome del suo manager. Rifiutò la chiamata e controllò i messaggi: 31 nuovi messaggi, tutti con scritto “buon compleanno”, ma nessuno da parte di chi sperava. Sbuffò e si alzò dal letto, spense il telefono e lo buttò sulla coperta. Andò in bagno e poi si trascinò in cucina, ancora in pigiama. Sua mamma stava preparando il pranzo, e le disse sorridendo “buon compleanno tesoro! Ti sei svegliata tardi oggi”. “mmh, grazie” sospirò, e si sedette al tavolo. “andiamo al ristorante stasera, vuoi?”. “non lo so, non ho voglia. Devo… aspettare… una cosa…” disse, toccandosi i capelli nervosamente. La donna la guardò un po’ confusa “cosa?”. Aveva detto a sua madre che lei e il suo ragazzo si erano presi un “periodo di pausa”, ma la realtà non era così semplice. Non avrebbe capito, se le avesse detto tutto per filo e per segno. “bah, lascia stare” disse, e tornò in camera. Sentì sua madre lamentarsi mentre tornava nella sua stanza, poi chiuse la porta e si sedette sul letto. Prese il telefono. Controllò i messaggi: ancora niente. Si sdraiò sul letto e, fissando il soffitto, ripensò velocemente al suo compleanno dell’anno precedente: l’aveva passato con lui, a San Diego, solo loro due. La giornata in giro per la città, poi la cena al ristorante e la nottata sulla spiaggia. Sembrava passato un secolo.  Rivoleva una giornata come quella, ma sicuramente il compleanno di quell’anno sarebbe stato pieno di gente, regali, drink, balli in discoteca… e non ne aveva la minima voglia. Voleva solo andare da lui. Ma dove diavolo era? Non aveva il coraggio di telefonargli. Poteva essere dappertutto. E poi, anche se l’avesse trovato, forse non avrebbe avuto nessuna voglia di vederla. Andare in capo al mondo e poi sentirsi dire “non ti voglio” sarebbe stata la cosa più orribile. Pazienza, doveva vederlo. Doveva dirgli tutto. Aveva aspettato troppo. Prese il telefono e chiamò l’hangar del suo jet.
   
 
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