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Autore: Venise    04/03/2013    10 recensioni
Se Hook fosse costretto, per naturale indole, a tornare all’isola che non c’è, di tanto in tanto, e a spendere il resto del tempo vagando per i Sette Mari godendosi la propria libertà, la mancanza di vincoli, vivendo di rum, leggerezze, vento e salsedine… tornerebbe mai nel nostro mondo? Cosa potrebbe trattenerlo dal non tornare mai più? Una fanfiction sulla coppia a mio avviso più intrigante della serie [Captain Swan]
Genere: Erotico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Emma Swan, Killian Jones/Capitan Uncino
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Se Hook fosse costretto, per naturale indole, a tornare all’isola che non c’è, di tanto in tanto, e a  spendere il resto del tempo vagando per i Sette Mari godendosi la propria libertà, la mancanza di vincoli, vivendo di rum, leggerezze, vento e salsedine… tornerebbe mai nel nostro mondo? Cosa potrebbe trattenerlo dal non tornare mai più? Una fanfiction sulla coppia a mio avviso più intrigante della serie.
La parte nera è descritta da un narratore onnisciente;
la parte blu è l’introspezione del Capitano:
quella rossa descrive i pensieri diEmma;
infine la scritta verde è una riflessione comune ad entrambi i personaggi.
Spero che vi piaccia quanto leggerete e che vogliate farmi sapere cosa ne pensate (nel bene ma soprattutto nel male) tramite un recensione. (Ringraziamenti e note alla fine!)
BUONA LETTURA!

 
 
Emma stava fissando da almeno mezz’ora il cielo stellato, impassibile solo apparentemente. Lo sguardo rivolto alla seconda stella a destra, il cuore in subbuglio, lo stomaco popolato da strane farfalle che da troppo tempo non svolazzavano.
Si chiese da quando aveva cominciato ad aspettare invano l’arrivo di… di… di un pirata infrangi-promesse. O forse si stava chiedendo se avrebbe mai smesso.

All’improvviso il peso della solitudine e delle illusioni infrante la fecero vacillare ed ebbe la tentazione di voltarsi e rientrare, nonostante l’aria non fosse affatto fredda, ma anzi la brezza estiva rendesse il clima davvero piacevole.
Rabbrividì. Ebbene sì, rabbrividì nonostante l’aria apprezzabilissima. La causa del suo brivido infatti le aveva appena respirato pesantemente sul collo cingendole i fianchi con le mani, o forse sarebbe più corretto dire con la mano e l’uncino.

“Ho avuto il dubbio di aver sbagliato posto. Mi è parso di vedere vacillare la fermezza della donna che stava lì a guardare per aria”, ammiccò seducente e sfacciato lasciandole un bacio a fior di pelle tra la clavicola e l’orecchio. Così facendo le strappò un sospiro involontario e più intenso di quanto si sarebbe voluta concedere. Lei si girò, non riuscendo più ad attendere oltre per incrociare lo sguardo ipnotico del pirata, già annebbiata dal prendere consapevolezza che lui era davvero lì.
“Dolcezza, ti giuro che non ho toccato un goccio di rum da quando siamo salpati ma mi sento già completamente ubriaco… sto facendo troppa fatica a pensarti senza vestiti: mi faresti il favore di non lasciarmi troppo da immaginare?” esibì il suo sorriso splendente inclinando leggermente il capo, come divertito dalla sua stessa battuta o dalla reazione che la ragazza ebbe a queste parole. Lei ci mise comunque poco a riprendersi: si avvicinò lentamente al viso del seduttore e non impedì il contatto tra i loro nasi, permettendogli di abbassare lo sguardo bramoso sulle labbra che gli sibilarono un “Non potrei mai privarti della tua parte preferita del gioco” mirato ad una provocazione sottintesa.
Lui si allontanò appena sogghignando e annuendo, per poi avvicinarsi lentamente, riportarle una ciocca dietro all’orecchio e sussurrarle famelico: “Non hai ancora imparato nulla se pensi che quella sia la parte più divertente”.

Emma puntò il proprio sguardo nel ghiaccio di quello di lui, alzò un sopracciglio, ambigua, e mordendosi il labbro fece per voltarsi nuovamente verso il cielo, quando in una rude e pesante carezza Hook la trattenne per la chioma e la costrinse a concedergli un bacio avventato, dapprima stampato per affermare la propria autorità e dopo approfondito per riscoprirsi dopo tempo di separazione. Lui aveva spostato la sua presa e le teneva saldo il mento con la mano sana, lei fece correre i propri polpastrelli alla ricerca dell’attaccatura dei capelli sul collo di lui: insieme si assaporavano alternando delicatezza ed irruenza, pudore e oscenità, innocenza e lussuria.

Si ritrovarono e si scontrarono, come inevitabile per due personalità forti, ribelli e indipendenti come le loro. Si strinsero per mettere a tacere i pensieri, per soffocare la tristezza e la solitudine, per lasciare vibrare i loro corpi scossi da quel tanto desiderato contatto.
L’aveva preso all’amo, di nuovo. Altrimenti non sarebbe tornato, altrimenti quel gesto di mordersi le labbra non gli avrebbe tolto il respiro né la forza di stare in piedi.
Incontenibili, avvinghiati e appena consapevoli della propria posizione nello spazio i due amanti si strattonarono a vicenda verso l’interno dell’appartamento, procedendo tentoni e già senza fiato.
Strato dopo strato i loro abiti si tolsero di mezzo lasciando che la pelle di entrambi si scaldasse e bruciasse a contatto con quella dell’altro. Con irruenza per non lasciarsi completamente in balìa l’uno dell’altra si tormentavano.  Si maltrattavano per far implorare il partner, nonostante nessuno dei due avesse intenzione di demordere e darla vinta al proprio avversario in questa battaglia erotica. Si lasciarono guidare dall’istinto calibrando però ogni singola mossa per provocare un gemito o un sospiro, calcolando ogni tocco per trascinare il complice di quella tortura al limite dell’autocontrollo.
Quando giunsero entrambi sul baratro dello sfinimento si concessero allora senza riserve, ma cercando però di non appagare mai completamente l’altro fino a quando, inesorabilmente, si ritrovarono insieme al punto di non ritorno e le occhiate di fuoco precedettero di un millesimo di secondo la meta cui ciascuno agognava fin dall’inizio.
 
So benissimo che non sei la brava ragazza che vorresti far credere, Swan, eppure sei un pensiero fisso. Sai benissimo che non sono adatto a te, che sono un portatore di guai, ma nonostante questo non riesci a scacciarmi dalla tua mente: sento la tua indecisione, sento che l’istinto di scappare il più velocemente possibile e quello di concederti senza riserve lottano dentro di te, ti lacerano.
Stavo per esplodere, sentivo di impazzire ogni volta in cui chiudendo gli occhi l’immagine nitida delle tue ciglia e delle tue labbra socchiuse mi si parava davanti. Per questo sono tornato. Sono troppo giovane per voler rischiare un infarto, ma non sono sicuro che venire da te sia il modo migliore per evitarlo.

 
Ci diamo entro alla grande, come se volessimo farci guerra, ci sfidiamo tentando di piegare l’altro per mezzo del desiderio, del piacere che ci infliggiamo. La lussuria è l’arma con cui tentiamo di destabilizzarci l’un l’altro, tentando di minimizzare a semplice sesso quel vortice di infinite sensazioni che, dannazione, ci fa perdere la testa ma non la determinazione di affermare la reciproca superiorità.
Siamo rudi in questo atto quasi animalesco che è però di una delicatezza inestimabile. Ho perso il conto degli oggetti che abbiamo rotto e di quelli che abbiamo fatto volare a terra, ho perso il conto delle porte sbattute nella frenesia di raggiungere un posto adatto a lasciare ardere la nostra fiamma. Non ci curiamo dell’uragano che ci lasciamo alle spalle, a dire il vero non ce ne accorgiamo, troppo vittime della passione che ci travolge e ci controlla, sfinendoci.
Siamo dannatamente inadeguati, incompatibili, impossibili da decifrare, non riusciamo nemmeno a starci dietro l’un l’altra in questa sfida: abbiamo da tempo rinunciato a tenere a mente i punteggi con cui terminano le nostre incredibili notti all’insegna della prevaricazione.

 
Mi fai arrivare quasi al punto di soffrirci. Vorrei solo che qualcuno mi spiegasse come diavolo è possibile che mi faccia sentire così bene ma che sia allo stesso tempo uno strazio. Vorrei sapere perché nonostante sia così appagante mi faccia sentire vulnerabile, ferito. Io lo so. So che questo è sbagliato. So che non ha alcun senso apparente. Ma forse “apparente” è la parola chiave: delle apparenze ci importa ben poco. Forse uno dei vantaggi di questo mondo “evoluto” è che qui la gente almeno tenta di non dar peso ai pregiudizi; poco importa che a infuocare le lenzuola siano un pirata e la Salvatrice. L’importante non è il chi, ma è fondamentale  il fatto in sé.
So che non dovremmo farlo mai più. Sì, so che lo dico ogni volta. Ma sono di nuovo qui, e come sempre ti trovo ad aspettarmi. Tu ci sei, io ci sono. Noi ci siamo, e, lo dico con la consapevolezza del rischio che corro, siamo lì ad amarci ogni volta, solo con l’esserci.
Per la miseria, non penso lucidamente, non posso essere razionale, non sto usando la testa. È solo colpa tua, se ho smesso di usarla: capita ogni volta, quando i tuoi dannati capelli biondi –biondi, te lo concedo- o i tuoi vestiti sparsi o la tua pelle scoperta sono nelle vicinanze. Sfido chiunque a continuare a ragionare con quel dannato profumo nelle narici; un profumo che, ammettilo, dolcezza, si mischia con il mio odore di mare e di rhum in un connubio eccitante e paradisiaco che sa di noi, sa di libertà, sa di sesso e sa di quella passione che ci marchiamo a fuoco addosso, ogni volta, sulla pelle nuda.
Questi marchi sono i nostri trofei segreti, e sono il primo dei motivi per cui non ho più bisogno di tatuarmi la pelle; il secondo motivo è che quando ci sei, quando ci siamo, sei tu il mio tatuaggio, Swan.
 

 
Mi sento così stupida ad aspettarti ogni dannata volta. È così degradante dover quasi strisciare per ottenere da te ciò che desidero più di ogni altra cosa…
Ma io non sono una che molla. Io non mi sono mai fatta sottomettere da nessuno, e tu, con il tuo savoirfaire da bastardo sensuale, non sarai certo il primo a farmi crollare.
Ammetto di aver vacillato, le prime volte, nell’incertezza iniziale, timorosa di una fiducia e di una complicità che non ero del tutto sicura di volerti e di poterti concedere. Tu però ricorda sempre, pirata, che la mia forza di volontà è stata temprata più che a sufficienza negli ultimi anni: ho imparato a tenerti a bada, perché non conosco con certezza il quando, ma il come è in gran parte nelle mie mani. Pensi che sia sfuggito alla mia attenta osservazione il modo il cui il respiro ti si mozza, a seconda del punto, del modo, della pressione, della brutalità o delicatezza con cui ti sfioro? È un punto a mio favore che mi fa guadagnare, almeno in parte, un vantaggio sulla tua sfacciata sicurezza. Vedere crollare l’assoluto controllo delle tue sensazioni è ciò che fa sì che io perda il mio.
 

Ho più volte rischiato che mi venisse strappato il cuore dal petto, letteralmente e metaforicamente: credimi se ti dico che durante le nostri bollenti nottate perdo la ragione al punto tale da volermi tracciare una croce sul petto, giurando che questa volta sarà l’ultima, e morire, travolto e stravolto da quello che mi provochi. Devi avere del veleno sulla punta delle dita, sulle labbra, qualcosa che mi crei la dipendenza di cui sono succube.
 
Lo giuriamo ogni volta. Ripromettiamo a noi stessi che quel fuoco ha bruciato per l’ultima volta. Ci godiamo la notte e ci godiamo l’un l’altro in un’agonia erotica, convinti che potremo chiudere per sempre questo bisogno di sensazioni. Giuro che questa è l’ultima notte che passo insieme a te. Poi sparirò, non esiste un domani per quelli come noi. Questa volta è l’ultima. Per la millesima volta, questa notte sarà l’ultima. L’ultima fino alla prossima.
 

Io ci provo. Ci provo davvero a negarmi a te, a non lasciarmi andare, ma il mio corpo è un traditore, ti si getta addosso, esprimendo un inequivocabile assenso a spingerci oltre, anche questa volta.

Ci provo. Provo a fermarti, a staccarti da me, a prendere fiato, ma hai un sapore indimenticabile, un sapore che sogno ogni notte della nostra lontananza, ma che assaggiato dal vivo ha ogni volta un vigore e una squisitezza cui il mio ricordo non potrebbe mai rendere giustizia. Mi toglie il respiro. Mi togli il respiro.
C’è da dire però che quando sto tentando di raccogliere la forza di volontà adatta per allontanarmi tu mi tiri nuovamente verso di te, chiedendomi di più, e ricominciamo da capo.


 
Il risveglio comporta un odio profondo verso sé stessi, perché nonostante tutti i tentativi di prevaricarsi e di sottomettersi l’un l’altro durante la notte, l’alba porta con sé la sempre più profonda consapevolezza che da predatori quali ci si crede il proprio vero ruolo è quello di vittime.
 
 Siamo vittime di una passione travolgente che tremiamo nel riconoscere come amore. Se fosse sesso non saremmo così dolci nell’essere violenti. Se fosse sesso i nostri baci non sarebbero così intensi. Se fosse sesso non ci guarderemmo così profondamente né così a lungo negli occhi. Se fosse sesso non mi strazierei al pensiero di illuderti né alla consapevolezza che sono il primo ad esserci cascato. Se fosse sesso i graffi non sottintenderebbero la tenerezza che invece traspare ad ogni tocco, quasi a voler preventivamente curare una ferita che ci mantiene vivi nei ricordi e nell’attesa.
 
Il risveglio è agrodolce. Apro gli occhi con una sensazione di disgusto verso me stesso, odiandomi, ma la mia rabbia si lascia presto cullare dall’appagante soddisfazione, con una tenerezza di cui mi meraviglio ogni volta, fino a quando il senso di colpa mi chiude lo stomaco. È vergognoso dirlo, ma talvolta mi sorprendo a trattenere a stento le lacrime all’idea di doverti lasciare, il più delle volte senza il conforto di un ultimo bacio che allevierebbe la mia pena.
Alla fine, però, incatenando i nostri sguardi ci concediamo la promessa di un’ultima, prossima volta. Chissà tra quanto, ma è irrilevante: anche mille anni possono trascorrere in una pace tormentata se si ha qualcosa per cui valga la pena prendersi il disturbo di perdere il sonno. Non ti illudere, dolcezza, non ti sto facendo un complimento, sto solo maledicendo me stesso per essermi fatto fregare.  

 
 
Il posticino dell’autrice
Allora, salve a tutti i coraggiosi che si sono spinti fino alla fine della mia creazione.
A questo punto, dopo tanta fatica nel partorire questa OS, la prima che pubblico “degna” di questo nome, è d’obbligo ringraziare colei che mi ha infuso il coraggio necessario per pubblicare, pur non conoscendo il fandom: ebbene sì, @ragazzadinverno , sto parlando di te. Grazie! Il mio salto nel vuoto è il primo passo per migliorarmi come scrittrice, e devo a te e al tuo incoraggiamento questo atto di bravery.
Cari lettori (spero che ci siate!), vi ringrazio per avermi concesso la possibilità di intrattenere qualche minuto del vostro tempo, e vi lancio una piccola sfida: sapreste individuare la canzone (commerciale) che è stata l’ispirazione per questo mio sclero? Ci sono riferimenti anche ad un secondo brano che sono però meno evidenti. Lo chiedo giusto per accendere un po’ di interesse in voi e per sfizio personale!
Rinnovo il mio invito a essere educatamente spietati nel dirmi cosa ne pensate, mi bastano anche recensioni formato telegramma! :)
Al prossimo sclero,
Venise
  
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