Una vita bistre e pervinca
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Si allaccia i suoi stivali in una uggiosa giornata di Dicembre, proseguendo poi verso il suo giradischi; ne ferma la riproduzione e con le sue piccole mani alza il braccio e afferra il disco in vinile. Pulito, lucido, vecchio. Con delicatezza lo ripone nel suo freddo involucro di carta datato 1972. Si guarda in giro, osserva come il sottile pulviscolo posato sul monitor del suo mac si stacchi da esso e voli via nell’aria leggera quando l’etere tracima dai confini dell’impianto di condizionamento. Le sue mani scivolano poi sul capospalla blu e, braccio dopo l’altro, lo indossa; ghermisce poi la pashmina pervinca e l’attorce al collo, veloce come il lampo. Poi una pausa, lunga un attimo. Afferra svelta la stilografica sulla scrivania, il taccuino bistre e solidago dal taschino interno del paltò. Una veloce occhiata all’ultimo caso, poi una smorfia, poi le spalle che si alzano, infine il taccuino e la penna nella tasca. Ed ecco che, prima di varcare la soglia della porta, un’ultima mano scivola tra i corti capelli rossi che lasciano la nuca bianca scoperta. Ora è tutto pronto; ora è predisposta ad affrontare il mondo.
Così, con le mani in tasca, il suo piede attraversò anche l’ultimo centimetro di casa sua.