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Autore: SAranel    05/03/2013    7 recensioni
A volte, anche le situazioni più nere nascondono un inaspettato lato positivo. Ancora meglio, se questo porta il nome di Sherlock Holmes.
"Mi chiamo Jennifer Wilson e sono morta.
Ecco, nonostante il mio lavoro richiedesse una discreta quantità di presentazioni -nuovi assunti, nuove conoscenze, piccoli imprenditori da ingraziarsi per i fondi all’azienda- questa è la prima volta che ho occasione di farmi conoscere in questo modo. Avrei voluto introdurmi a voi in altro maniera, ma la triste verità è questa, e non posso fare altro che adeguarmi.
Naturalmente, con il solito charme che mi ha sempre contraddistinto, ponendomi cento gradini al di sopra di colleghe –sgualdrinelle- incapaci come Rosie Gardner, che ancora si ostina a giustificare quello che ho visto nell’ufficio del capo come un aggiornamento sulle ultime assunzioni.
Non avrei mai creduto che sarebbe stato questo il modo in cui avrei lasciato questo mondo."[...]
Genere: Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altro personaggio, John Watson , Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Buonasera adorabilissimo fandom!
Per prima cosa, grazie mille per le recensioni alle storie precedenti, risponderò prestissimo!
Nel frattempo, pubblico questa cosa (come definirla in altro modo? Ehm…) che mi ha tirata su in un paio di pomeriggi stressanti.
Sperando di non aver fatto troppo male, vi auguro buona lettura!

S.





The Bright Side (or The Pink Side)
*







 

Mi chiamo Jennifer Wilson e sono morta.
Ecco, nonostante il lavoro che faccio, anzi che facevo, richiedesse una discreta quantità di presentazioni -nuovi assunti, nuove conoscenze, piccoli imprenditori da ingraziarsi per i fondi all’azienda- questa è la prima volta che ho occasione di farmi conoscere in questo modo. Avrei voluto introdurmi a voi in altro maniera, ma la triste verità è questa, e non posso fare altro che adeguarmi.
Naturalmente, con il solito charme che mi ha sempre contraddistinto, ponendomi cento gradini al di sopra di colleghe –sgualdrinelle- incapaci come Rosie Gardner, che ancora si ostina a giustificare quello che ho visto nell’ufficio del capo come un aggiornamento sulle ultime assunzioni.
Non avrei mai creduto che sarebbe stato questo il modo in cui avrei lasciato questo mondo.
Se devo dire la verità, ho sempre immaginato che sarei morta a lavoro –lavoro lavoro lavoro!- magari durante la mia prima direttissima Tv dopo la strameritata promozione. Un discreto infarto dovuto alla troppa emozione, o ai troppi complimenti, o alla richiesta di produrre un’altra mezza dozzina di servizi visto l’audience altissimo del primo, sarebbe stato l’ideale, l’apoteosi della mia carriera.
Morire di gioia. Quello sì che sarebbe stato un gran bel modo di andarsene.
Ho sempre saputo che non sarei morta a novant’anni come la nonna, dopo una vita dedicata a crescere figli per vedersi poi abbandonata a discapito della loro carriera, ma certamente non avrei mai pensato, fantasticando sulla mia morte, che questa sarebbe sopraggiunta per via di uno stramaledettissimo taxi.
Quando penso al fatto che questa mattina avrei potuto tranquillamente prendere la metro o il bus per recarmi al meeting, se la mia proverbiale ipocondria non mi avesse spinta a scegliere un mezzo più igienicamente sicuro, quando ragiono su cosa sarebbe successo –o non successo- se non avessi pensato a salvaguardare il mio nuovo tailleur –bellissima tonalità di rosa, non trovate?- da spintoni, tazze di caffè pericolosamente instabili e bambini armati di gelato e in pieno estro creativo, mi sento decisamente stupida.
Mi sono trasformata in una vecchia misantropa asociale, lo so.

Probabilmente se a quest’ora avessi fatto la maestra, come sognavo di diventare da piccola, e non la giornalista stronza e alla perenne ricerca di scoop, sarei ancora viva, con una bella vita e un nugolo di bambini affettuosi a cui leggere le favole alla sera. Se Rachel fosse stata ancora qui, probabilmente sarebbe andato tutto diversamente. 
Qualunque cosa io sia al momento -uno spirito, un fantasma, un essere svolazzante qualunque?- , neppure sapendo come io possa riuscire a fare qualunque cosa, non riesco a trattenere una lacrima solitaria. Scivola lungo il mio viso, che sento ancora caldo nonostante sia qui ormai da ore, e lascio che essa mi riscaldi ancora quanto può, pregando che lasci un debole rossore sulle mie guance. 
Giusto per sembrare impeccabile anche in questa situazione.
Rachel era stato il mio ultimo pensiero, prima che mi abbandonassi alla mia scelta, se mai davvero la mia era stata una scelta. Dubito fortemente, e raramente mi sono sbagliata, che l’altra boccetta contenesse pasticche innocue, ma ormai non m’importa più niente. Spero che lei sappia già quello che ho fatto. Spero che sia fiera di me, che sia orgogliosa del fatto che nonostante la mia vita non sia stata esattamente retta e senza macchia, io non l’abbia mai dimenticata. Magari la rivedrò presto, non saprei dirlo. Non sono ancora entrata bene nel meccanismo di questa cosa, ma mi sembra di aver visto in TV –o in qualcuno dei pochi libri diversi dai romanzi rosa che ho letto- che funzioni in maniera differente, quando muori per mano di qualcuno. Spero, comunque, che il mio ultimo sforzo e il conseguente spreco di uno smalto da trenta sterline a boccetta, serva a qualcosa. E mi auguro fortemente che colui che mi renderà giustizia sia affascinante quanto i brillanti detective visti alla TV.
E’ terribilmente tedioso star qui ad aspettare, e solo adesso riesco a comprendere appieno il significato del modo dire ‘è una noia mortale’. Decido di ammazzare il tempo –perdonatemi l’umorismo pessimo- pensando a quanto sarebbe stato gratificante avere un amante in polizia, o comunque nel campo dell’investigazione. Magari un bel tenebroso detective, dai capelli scuri e lo sguardo penetrante.
C’era stato Matthew, un medico legale, l’unico più o meno nel campo. Fare sesso con qualcuno come lui era sempre decisamente strano, –non era stato il primo, ma l’unico con cui era durata più di una notte- non potevi fare a meno di pensare a cosa avesse maneggiato prima di maneggiare te, ma in fondo in fondo, mi è sempre bastato concentrare l’attenzione su altro. Qualche tempo dopo avevo incontrato Donnie, una specie di fotografo d’assalto come si definiva lui –invadente, spocchioso paparazzo era invece la mia versione- specializzato in scene del crimine particolarmente truculente.
Lo scarto subito dalla lista, non ha niente a che vedere col genere di detective che intendo io, ma mi soffermo per un secondo a pensare a cosa penserebbe di una scena del crimine come la mia. No, non penso che desterebbe la sua attenzione, anche con me come protagonista principale. Troppo poco sangue, troppo mistero e scarso materiale. Poco male, comunque. Come fotografo, non era poi questo gran fenomeno. Dubito però che quelli che mi troveranno si porteranno dietro un fotografo d’alta moda, per i rilievi sulla mia scena. Se potessi sospirare, sospirerei di profonda rassegnazione.
Andare a letto con un detective, sarebbe stato davvero grandioso. Peccato non averci pensato prima, quando avrei avuto le effettive capacità di cercarne uno in carne ed ossa. Se avessi un taccuino tra le mani, l’ho sempre preferito al mio smartphone, stillerei una lista delle qualità secondo me intrinseche di un investigatore:
 

  1. Capacità di scovare cose invisibili ai più (leggasi non come Edward e il mio punto G)
  2. Smaniosa curiosità di sperimentare per arrivare alla giusta soluzione (leggasi ‘Orgasmo’)
  3. Capacità di infiltrarsi in pertugi oscuri per non essere visto (leggasi il mio stanzino delle scope e mio marito in casa)
  4. Capacità di analizzare minuziosamente ogni più piccolo indizio senza accontentarsi di quello più palese ed evidente. (leggasi se alzi lo sguardo dall’altezza delle mie mutande, troverai anche qualcos’altro)

 

Sono arrivata tardi. Adesso, tutto quello che potrò fare, sarà solo osservare in discreto silenzio –non che possa fare molto altro, comunque- e rimpiangere per tutta la vita di essermi accontentata di dottori, broker, avvocati senza scrupolo e giornalisti di mezza età divorziati. Sempre la solita snob con la puzza sotto il naso. Ben mi sta, adesso. Che mi serva di lezione.
Proprio mentre sto per lamentarmi ancora su quanto sia stufa di stare qui da sola, riversa sul pavimento senza alcuna compagnia, finalmente qualcosa intorno a me si muove. Sento qualcuno salire le scale, con una certa fretta anche, e mi chiedo chi avrà la fortuna –barra- sfortuna di trovare il mio cadavere. Vista la zona, non sono mai stata a Brixton ma conosco benissimo la sua nomea, immagino che da qui a poco vedrò sbucare qualche senzatetto ubriaco o un paio di ragazzetti in cerca di un posticino dove scambiarsi qualche sigaretta.
Se avessi avuto la stessa capacità di previsione per i numeri dell’ultima lotteria di Capodanno, a quest’ora invece che in questo squallido appartamento, mi troverei su qualche spiaggetta tropicale a prendere il sole e a godermi un margarita ghiacciato servito da un aitante e palestrato cameriere.
Due adolescenti con le facce brufolose e un ostentata espressione da duro stampata in volto, sbucano sulla soglia sghignazzando e avanzando in una nube di fumo grigiastro.
“Oh cazzo!” esordisce uno dei due, fissandomi con aria sconvolta, come uno che ha appena visto un fantasma. Ripensandoci, non è che mi ci discosti poi di molto, nella mia condizione attuale.
Spintona il suo amico, spingendolo a guardarmi, e quello, con un urletto infantile che tradisce ogni tentativo di dimostrare più della sua età reale, mi rivolge un’occhiata piena di puro terrore. Afferra poi la maglietta sgualcita del suo compare, esortandolo a seguirlo giù per le scale.
“Via da qui!” lo sento gridare, la voce che va scemando man mano che si allontanano.
Beh, ho avuto i miei primi due minuti di gloria. Ora, ammesso che quei due abbiano abbastanza senso civico da avvertire la polizia della presenza di un cadavere in un appartamento in rovina, dovrebbe mancare poco al gran momento.

Attendo, impaziente –strano come questa mania non mi sia passata, adesso che ho tutto il tempo del mondo- che qualcosa di emozionante smuova questa piattissima giornata. Mi sono leggermente stufata di aspettare, dirò la verità. La fanno così facile nei film, quando la polizia riesce a trovarti nemmeno un quarto d’ora dopo il fattaccio, come se dotata di una sorta di radar per cadaveri. Mi auguro vivamente che non ci sia Matthew con loro.
Sarà stato anche bravo ai suoi tempi, ma dopo aver scoperto di sua moglie e dei ben quattro figli di cui mi aveva tenuta all’oscuro, gli avevo del tutto interdetto l’accesso a casa mia e a qualunque altro luogo dotato di un letto o di una parete abbastanza solida per reggerci entrambi. Sarò anche una traditrice seriale, ma con una certa etichetta da seguire.
Improvvisamente, le mie elucubrazioni vengono bruscamente interrotte da un nuovo lontano scalpiccio, che questa volta però è più intenso e, soprattutto, non appartiene ad una sola persona. China come sono sul pavimento, percepisco chiaramente almeno quattro –forse cinque- rumori diversi di suole, scarpe di pelle seguite da un paio di tacchi –bassi, non spillo- e da un lento e multiplo trascinarsi di stivali pesanti –gomma, da qualche sterlina-, principale fonte del baccano al piano di sotto.
Sento un vociare aggiungersi al precedente rumore, accompagnato da un debole fruscio di vesti.
Ah. Poliziotti. Conosco quella sciocca bardatura azzurra che si infilano addosso prima di metter piede in una scena del crimine, nemmeno fossimo tutti residuati bellici ad alto livello di radioattività. CSI ci ha sempre presi in giro. Mi piacerebbe se a raccogliere prove, oltre il mio indispensabile sexy detective, ci fossero un paio di quelle donne avvenenti in tacchi a spillo che ci propinano nei serial TV. Non sarebbe male se, morta e tutto, ricevessi comunque un paio di complimenti sul mio abbigliamento e sul perfetto coordinamento tra tailleur e scarpe. Solo le donne possono cogliere certi dettagli.
Qualcuno, infine, varca la soglia della stanza, infrangendo finalmente il mio senso di solitudine. L’uomo che mi si para davanti, chino per osservarmi meglio, è un uomo sul lato sbagliato dei quaranta, dal corpo niente male, i capelli brizzolati e un paio di profondi occhi scuri. Non cominciamo male per niente, bellezza.
Il bel tipo si solleva, rivelando un paio di gambe lunghe e apparentemente agili, purtroppo coperte dalla tuta blu che indossa. La camicia bianca che vi intravedo indica la sua discreta posizione in polizia, non è certo un semplice agente, e immediatamente mi dispiace un pochino di meno l’essere morta. Incontrarlo in questa occasione è sempre meglio che non incontrarlo affatto, no?
Lo vedo fare un cenno all’uomo dietro di lui, uno più giovane e dalla faccia arcigna che sembra tutto fuorché felice di trovarsi in questo posto. Quello si avvicina lentamente, infilandosi nel frattempo un paio di guanti di lattice. L’idea di essere perquisita da questo tipo non mi fa impazzire per niente. E’ questo il lato negativo dell’infatuarsi dei pezzi grossi: lasciano sempre che siano i sottoposti –e i più insignificanti- a sbrigare il lavoro sporco.
“Guarda se riesci a trovare dei documenti” miss Tacchi Bassi dietro di lui –capelli ricci e un’aria snob che non ha motivo di ostentare- esordisce. L’uomo dal grosso naso annuisce, lanciandogli un’occhiata complice. Mister Capello Brizzolato li fissa, con espressione incerta.
I modi del tipo non sono dei migliori, rovista nelle mie tasche senza granché rispetto, e lo vedo sfilarmi dalla giacca il portafoglio e la carta di credito. Un rumore di fogli accartocciati mi avverte del fatto che stia rovistando tra le carte.
“La carta di credito dice Jennifer Wilson” l’uomo esclama, e Mister Brizzolato annuisce, con fare dubbioso. Mi gira ancora una volta intorno, limitandosi ad studiarmi e a trarre, probabilmente, le sue conclusioni dalla sola osservazione.
“Credi che il modus operandi sia lo stesso degli altri tre?” lo sento domandare a Mister Naso Grosso. “Questa volta, c’è un elemento discordante. Il messaggio”.
Se potessi gridare di gioia, lo farei, oh sì. Griderei per ore intere, saltellando qua è la come una cavalletta. E’ servito, ho avuto la giusta intuizione, la forza di volontà necessaria per indirizzarli sulla retta via. Spero vivamente che quell’ultima lettera mancante, ero pur sempre moribonda, non li conduca su una strada totalmente sbagliata.
“Sembra lo stesso identico scenario. Credo sia morta per asfissia, probabilmente in seguito all’assunzione del veleno. Prelevo i campioni”.
Ogni mia speranza che il Commissario –barra- Ispettore –barra- qualunquecosasia decidesse di sostituirsi al suo galoppino, svanisce in meno di un secondo. Ho sperato fino all’ultimo che lo facesse, con tutta me stessa, magari per riassaporare il brivido del -come ha detto l’altro? Oh sì- prelevare campioni, ma evidentemente, questo giorno sfortunato è destinato a non regalarmi neppure una pallida gioia. Che mondo crudele.
Non invidio per nulla la donna di Mister Naso Grosso, in caso in situazioni più private usi le mani come le sta usando adesso sul mio povero corpo. Solleva, infila strani cotton fioc un po’ ovunque, tagliuzza il tagliuzzabile e nel frattempo canticchia una melodia stonata che, se non fossi già stecchita, mi avrebbe dato il colpo di grazia. Spero vivamente che questo strazio abbia preso fine.
“Ho finito, Ispettore” esclama il tizio, chiudendo i flaconi che ha raccolto in una busta di plastica trasparente, porgendola poi a Miss Tacco Basso. Quella lo afferra e riapre la porta per portarlo a qualcuno al piano di sotto. L’unica nota positiva degli ultimi dieci minuti, è il fatto che finalmente abbia scoperto il grado del bel tipo in Scotland Yard.
L’ispettore annuisce ancora, sembra incapace di fare altro, e poggia le mani sui fianchi, osservando me e poi la stanza con sguardo preoccupato e meditabondo. Pagherei oro per conoscere i suoi pensieri in questo momento. Nella mia immaginazione, sta pensando a qualcosa simile a ‘peccato, era proprio una bella donna’.
Sospira, poi scuote la testa, con rassegnazione.
“Vado a prenderlo, Anderson” dice poi, afferrando un cellulare da una tasca della tuta e dirigendosi verso la porta. “Tu e Donovan restate qui ad aspettare i referti”.
Oh no. Rimanere sola quelli che ho appena scoperto chiamarsi Donovan e Anderson nella stessa stanza, per di più senza la distrazione del bel tenebroso che adesso sta chiudendo dietro di sé la porta, non è davvero il massimo del divertimento.
Mai una gioia, oggi, è proprio la mia giornata no. Quella per eccellenza. L’unica cosa che mi consola, è che sicuramente non ce ne saranno mai più.
Il fato però, e gli sono davvero grata per questo, ha deciso di concedermi un’inaspettata tregua.
Sono sempre stata irrimediabilmente, mostruosamente pettegola. E una della peggior specie, quelle che godono profondamente nell’origliare conversazioni altrui, che provano un piacere quasi malsano nel venire a conoscenza di piccoli dettagli pruriginosi su chiunque.
E chi si sarebbe mai aspettato che avrei avuto il privilegio di un posto in poltronissima per un battibecco tra un uomo fedifrago e la sua amante, senza che loro nemmeno si accorgessero di me?
“Sei un bambino” Donovan dice, e io attizzo le orecchie come un cane all’arrivo del padrone.
“No, non è vero. Ti ho detto che non posso farlo” Anderson risponde, con fare esasperato.
“Dici di non sopportarla più. Eppure vi vedo camminare insieme, mano a mano, come due vomitevoli sposini” Donovan rimette la palla in campo. Anderson sbuffa.
“Devo conservare le apparenze. Non potrei permettermi il mantenimento, se divorziassi”.
“Ma hai detto che le cose tra voi si sono incrinate. Che non ti guarda più come prima e che passa tantissimo tempo fuori casa” Donovan mette le mani sui fianchi e lo guarda come fosse una maestra arrabbiata e lui uno studente particolarmente discolo.
“E’ così infatti”.
“Perciò vi pastrugnavate su quella panchina a Hyde Park, stamattina?” la donna batte un piede sul pavimento, sempre meno tranquilla. “E se vi foste odiati, cosa avreste fatto? Avreste dato spettacolo in pubblico?”.
Anderson sembra spiazzato. E’ veramente stupido come sembra essere. E io che avevo cercato di dargli una possibilità, credendo di averlo giudicato troppo presto.
“E’…complicato” è la risposta che lui le rifila. Lei lo guarda sbigottita, con la bocca aperta dallo stupore.
“E’ tutto quello che riesci a dire, Anderson?” si rivolge a lui per cognome. Brutto segno. Tifo per lei, comunque. Sembra intelligente, sotto la maschera di arroganza che si porta dietro.
Donovan scuote la testa, spazientita, ed esce fuori dalla stanza.
“E’ tutto quello che posso dire” Anderson le grida, arrampicandosi sugli specchi e seguendola a ruota già per le scale.
Oh, peccato. Mi stavo appassionando. Proprio mentre comincio a chiedermi quanto dovrò aspettare ancora per un po’ di compagnia, qualcuno fa nuovamente irruzione nella stanza. Se da un lato spero siano ancora i due litigiosi piccioncini –adesso illuminati da tutt’altra luce ai miei occhi- dall’altro ho un gran bisogno di facce nuove.
Il primo che entra dalla porta è invece il mio Ispettore, un lieto, graditissimo ritorno, seguito a ruota da altri due figuri che vedo adesso per la prima volta.
E ciò che vedo, mi piace oltre ogni immaginazione.

E’ meglio di quanto avrei mai potuto prevedere, molto più sexy di ogni mia più rosea e meravigliosa aspettativa. Capelli folti e scuri, viso tagliente e zigomi alti che gli conferiscono un’aria quasi aliena ma terribilmente affascinante. E’ avvolto in un cappotto Belstaff –lo riconosco, è quello che adocchiai per Richard- che ne affusola la figura già perfetta. I bottoni della sua camicia bianca sembrano restare al proprio posto per chissà quale strano fenomeno e oh, cosa combinerei se fossi ancora capace di muovermi. Glieli farei saltare coi denti, uno per uno, a ritmo di musica persino.
Un uomo gli arranca dietro, e non è male neppure lui, nonostante un evidente zoppia alla gamba destra. E’ biondo, probabilmente più vecchio del bel moretto, con uno sguardo curioso e spaesato allo stesso tempo. Sembra quasi che la sua testa brulichi di mille domande non poste. Una, è evidente.
Che ci faccio qui?
E’ avvolto in una delle tute azzurre, cosa che mi impedisce di apprezzare nel dettaglio il suo fisico solido, e noto quanto sia effettivamente più basso e compatto rispetto al suo compare. Non si butta via niente, diceva mia nonna. Ho fatto di quel detto la mia filosofia di vita.
Sono così affascinata dai loro visi che li lascio parlare per qualche minuto prima di decidere di distogliere lo sguardo dai loro volti per carpire il succo della discussione. Quando riconnetto il cervello al mio apparato uditivo, la prima cosa che sento è “Silenzio”.
L’uomo più alto, quello dagli occhi più belli che io abbia mai visto, si china su di me lentamente, osservando qualcosa all’altezza della mia mano sinistra. Oh, lo ha visto anche lui.
Esulto ancora dentro di me, realizzando immediatamente di trovarmi di fronte all’investigatore dei miei sogni –perché non può essere che lui no?-, colui che sicuramente riuscirà a svolgere il bandolo della mia matassa. Altro che quel microcefalo di Anderson.
Lo guardo analizzare ciò che ho scritto con attenzione, e noto come stia studiando ogni singola lettera per carpirne il vero significato. Dopo qualche secondo si china ancora di più, sfiorandomi la schiena e i fianchi, sfilandomi poi l’ombrello dalla tasca e percorrendone la superficie con le dita, alla ricerca di qualcosa. Osserva i miei gioielli nel dettaglio, mi chiedo cosa stia elaborando nel suo cervello in questo momento, e mi godo la vicinanza delle sue bellissime mani mentre osserva alla lente la mia fede e l’anello di brillanti.

Oh, quelle mani. Non credo di aver mai visto dita più armoniose, affusolate e perfette in un uomo in vita mia. Sospetto suoni qualcosa, forse pianoforte, più probabilmente un arco. Quello che è sicuro, è che mi sarebbe davvero piaciuto essere suonata da uno come lui, in passato. Le labbra perfettamente a cuore si separano di qualche millimetro appena, mentre mi sfila la fede per qualche secondo, rinfilandola poco dopo.
“Trovato nulla?” l’Ispettore gli chiede, mentre lo spilungone si sfila i guanti di lattice.
“Non molto” lui afferma.
Una profonda delusione mi afferra le viscere, o meglio, qualunque cosa un essere semi-incorporeo come me abbia al posto delle viscere.
“E’ tedesca” la voce di Anderson s’intromette, dalla porta. Incredibile quanto riesca ad essere inopportuno quest’uomo.
Rache” esclama ancora, attirando la mia attenzione verso di lui. “E’ tedesco, significa vendetta. Probabilmente cercava di dirci qualcosa…”.
Vedo il mio detective dirigersi spedito verso l’uscio e verso Anderson, chiudendogli la porta in faccia con decisione.
“Sì, grazie per il suggerimento” lo liquida lui, senza essere minimamente turbato da ciò che ha appena fatto. Immediatamente, la mia ammirazione per lui raggiunge livelli stratosferici.
Prima che possa rendermi conto di cosa stia succedendo, il mio giustiziere comincia a sciolinare ai presenti l’intera storia della mia vita, compresi dettagli che ho sempre cercato di nascondere accuratamente, e ogni particolare riguardo le mie abitudini, il mio lavoro, il modo di vestire e la mia storia matrimoniale –barra- sentimentale –barra- sessuale. Rimango sbigottita quando fa menzione alla mia fede nuziale, al fatto che sia linda al suo interno e rovinata all’esterno, deducendone di conseguenza la mia costante infedeltà a mio marito. Vorrei saltargli al collo, anche se mi sta descrivendo come la più ignobile, immorale e senza cuore delle donne, perché nonostante in vita avrei considerato quest’uomo come uno stronzo impiccione, adesso vorrei poterlo trascinare nel primo pertugio disponibile e darmi da fare come mai in vita mia. Ho sempre vivacemente apprezzato l’intelligenza, in un uomo.

Vedo il biondino fissare lo spilungone con insistenza, e non riesco a capire se sia solo profonda ammirazione quella nei suoi occhi o un rispetto edulcorato da altro sentimento. A quanto ho capito si conoscono da poco, almeno stando al tono delle loro conversazioni, ma sono certa che le occhiate complici che sembrano non poter fare a meno di lanciarsi, travierebbero anche il più attento osservatore. Sono esperta del campo, modestamente: sono una abituata ad ottenere quanto più possibile anche da un semplice gioco di sguardi. Secondo la mia modesta opinione, lunga conoscenza o meno, il biondino non desidererebbe altro in questo momento che saltare addosso al bel moretto, in barba a tutti i presenti. Lo capisco anche, alla fin fine. Chiunque sentirebbe le gambe cedere di fronte ad un tipo come il sexy detective.

Continuo ad ascoltare il bel tipo, rapita, mentre risale alla mia provenienza da qualche macchia umida sul mio cappotto, un ombrello richiuso e un paio di pagine internet sul suo cellulare. Poi tremo –più o meno- di pura felicità mentre lo sento menzionare la mia valigia perduta, che spero presto ritroverà, opportunamente priva del mio inseparabile cellulare.
Quando poi, sorprendendomi ancora e sfiorando la soglia della mia completa adorazione, accenna a Rachel, mi sento morire. Certo, metaforicamente.
“Dovremmo scoprire chi è Rachel” afferma, sicuro. Sono lieta che abbia abbandonato la sciocca ipotesi del tedesco. Non l’ho neppure mai studiato, figuriamoci.
“Stava scrivendo Rachel?” l’Ispettore, che nel frattempo ho saputo chiamarsi Lestrade, sembra stupito.
L’investigatore, che invece –non posso fare a meno di trovarlo strano- corrisponde al nome di Sherlock, lo fissa con aria fintamente ingenua.
“Oh no, ci stava lasciando una nota in tedesco” lo scimmiotta, con voce sarcastica. “Certo che stava scrivendo Rachel. Non può essere altrimenti”.
Oh sì sì sì sì e sì, ragazzi!
Il battibecco che segue, riguardante i loro dubbi sul mio bagaglio misteriosamente perduto e sulla veridicità delle ipotesi di Sherlock –come diamine fanno a non credere a una spiegazione tanto brillante?- mi rapisce come la trama di un coinvolgente romanzo rosa, come quelli da due sterline che compravo assieme a Waitrose. Mi immagino, per un momento, come l’eroina di turno in groppa ad un cavallo bianco, mentre guardo il prode Sherlock galoppare verso di me in lontananza, con la sua camiciola leggera slacciata e la chioma scura in balia dell’impetuoso vento.
Cerco di riservare il torrido incontro per più tardi. Mi domando, mentre ancora discutono sul mio bagaglio, se Sherlock abbia qualcuno accanto.
“Magari ha lasciato la valigia in un Hotel”.
“No, non è mai arrivata all’Hotel, guardale i capelli! Mette scarpe e rossetto dello stesso colore!”.
Mi sento immediatamente lusingata dal fatto che almeno lui l’abbia notato. Mio marito, dannato idiota ubriacone, non si sarebbe accorto del mio vestiario nemmeno se fossi uscita sul vialetto di casa in accappatoio e cuffietta per la doccia.
Forse non ha neppure una donna. Magari è gay, lo sono sempre quando sono così perfetti. Stranamente, tifo per lui e il bel biondino. Li vedo naturalmente propensi allo stare insieme, in qualche maniera, come se l’uno sia il complementare dell’altro.
Improvvisamente, Sherlock sembra colto da una divina illuminazione e prende a saltellare per la stanza come in preda ad una folle frenesia. Credo abbia capito qualcosa, non l’ho mai visto prima di oggi ma lo vedo predisposto a reazioni del genere, di fronte ad un passo avanti nella risoluzione di un caso. La mia valigia perduta ha fatto colpo, evidentemente. Non avrei mai creduto potesse essere un così efficace mezzo di seduzione –se così si può chiamare-, prima di oggi.
Lo vedo zampettare come una gazzella verso la soglia e improvvisamente non sono più così contenta che sia arrivato così in fretta al prossimo passo. Mi pento, per un secondo, di aver messo tutti quei gioielli stamattina, e mi pento addirittura di aver indossato l’abito a tinta unita che avevo atteso con trepidazione di poter mettere.
Se magari avessi indossato uno dei miei soliti gessati da meeting di lavoro a Londra,  Sherlock avrebbe impiegato più di qualche secondo a venire a capo dell’arcano, regalandomi anche solo qualche minuto in più della sua compagnia. Invece no, gli ho reso il compito facile, un gioco da bambini, e adesso eccolo lì davanti alla porta del tutto dimentico di me e tutto eccitato per la mia stupida valigia. Certo, ci tengo che il mio assassino venga catturato, che quel tassista bastardo paghi per quello che mi ha fatto, ma cosa saranno mai dieci minuti in più?
Ovviamente, pecco di troppa avidità secondo la sorte, che probabilmente ha decretato che farei meglio a farmi bastare quello che ho già ottenuto. Sherlock scompare dalla mia vista –i fantasmi non dovrebbero arrivare dappertutto? Io no, ovviamente, sono ancora inchiodata qui- e io mi sento improvvisamente arrabbiata con lui, come se mi stia deliberatamente facendo un torto. Grida qualcosa dalle scale, qualcosa che non riesco a sentire ma che John –sì, si chiama John- e Lestrade sembrano percepire chiaramente dal pianerottolo.
Cosa avrebbe dovuto fare?’ interpello il mio sciocco e infantile cervellino, cercando di cavarne una risposta sensata. ‘Restare con me e fare una chiacchierata col mio corpo attendendo l’arrivo del coroner?’.
Rimango sola di nuovo, chiedendomi adesso cosa accadrà e soprattutto se mai rivedrò Sherlock di nuovo. Lo avevo atteso talmente tanto, lo avevo desiderato così intensamente e il nostro incontro era stato più fugace di un battito di ciglia.
Mi consola il fatto che potrebbe –e il condizionale è d’obbligo- aver di nuovo bisogno di me, magari più tardi, forse verso sera. Insomma, non può essere certo un addio il nostro, no? Sono la sua datrice di lavoro in un certo senso, cazzo!
Il mondo ce l’ha con me. Lo so, sto facendo la vittima, sto diventando fastidiosa. Ma è veramente più forte di me. Aspetto, non posso fare altro.
Dopo qualche minuto, un paio di uomini che non avevo mai visto mi sollevano con la grazia di due elefanti, infilandomi poi in uno di quegli orribili sacchi scuri di cui mi lamentavo sempre, durante la visione dei già citatissimi serial TV. Sono dell'idea che per un morto ammazzato, già depresso di suo comunque, venir infilato in una specie di enorme sacco nero della spazzatura sia solo un sadico infierire su una povera creatura sfortunata. Due anni fa, quando mi ingessai il braccio dopo la lite -avevo ragione io- con quella stronza di Sally Porter, il dottore mi permise addirittura di scegliere il colore del mio gesso. Sono ancora deliziata, al ricordo di quanto quel delicato grigio s'intonasse ai completi color perla di quella settimana.

Se solo questo coso fosse di un bel rosa acceso, forse il trauma passerebbe più in fretta.
Insensibili.
Vengo trasportata giù per le scale e poi sistemata in un anonimo furgoncino, di quelli che vedi passare per strada ma a cui non presti minimamente attenzione.
Penso ancora a Sherlock -e se devo dire la verità, anche a John- e fantastico sulla possibilità che sia proprio quest'ultimo ad occuparsi di me quando finirò -e l'idea mi fa accapponare la pelle e sbuffare- sul freddo tavolo di qualche ospedale.
Di me non m'importa. Ormai che posso farci? Ma non posso fare a meno di chiedermi se davvero tagliuzzeranno il mio bel tailleur. Se proprio dovrà succedere, spero tocchi davvero a John farlo. Lui si che ha l'aria di uno delicato.
Il furgone si ferma proprio mentre comincio a mettere da parte Sherlock -solo un pochino- a favore del suo dottore, e vengo di nuovo tirata fuori e trasportata su una sorta di enorme barella a rotelle. Che lusso.
Percorriamo un corridoio lunghissimo che sembra non finire mai prima di fermarci di botto davanti a quello –che a giudicare dal rumore- sembra un ascensore appena giunto al nostro piano. Un rumore metallico seguito da un fruscio, conferma la mia ipotesi.
Vi entriamo, e cerco di ignorare gli sballottamenti vari a cui mi sottopongono i due tipacci, pregando di giungere sana e salva –insomma, si fa per dire- fino a destinazione.
All'uscita, avanziamo per un paio di corsie ancora prima di fermarci -oh, finalmente!- ed entrare in uno stanzone –la luce filtra attraverso la sacca- illuminatissimo. Non vedo l'ora che mi levino questo coso di dosso.

'Sherlock e John, Sherlock e John, Sherlock e John, Sherlock e John' ripeto quei due nomi come un mantra mentre sento qualcuno armeggiare con la cerniera. Spero davvero di trovarmi davanti i loro volti quando verrà aperta.
La zip scivola giù e io mi impongo di non guardare subito, per non rovinarmi la sorpresa in caso io ci abbia preso e per allontanare il più possibile la delusione in caso non sia stata esaudita.
"Cazzo, Jack, è Jennifer Wilson!" una voce, incredibilmente familiare, sbuca fuori dai miei ricordi e si palesa davanti a me. Oh, avrei riconosciuto tra mille la sua faccia tosta, quel naso alla francese e le labbra leggermente piegate all'ingiù che addrizzerei con un pugno.
Matthew il tagliuzzacorpi. Una parte di me a cui non avevo voluto prestare attenzione, aveva pensato a questa possibilità.
Il suo compare, assistente o qualunque cosa sia, gli lancia un'occhiata sbalordita e incredula.
"Quella Wilson di un anno fa?" domanda e mi sorge il dubbio che io non sia stata la prima Wilson a cedere alle sue grazie.
"Proprio lei. Quella stronza che mi ha lasciato accampando la scusa del 'perché sei sposato, non può andare avanti, dovevi dirmelo..." parla con voce stridula che mi rifiuto di riconoscere anche di un briciolo simile alla mia. "Come se non sapessi del suo di matrimonio. Credeva che bastasse levarsi la fede, il genio!".
Mi ha chiamato stronza. LUI A ME. Se potessi alzarmi da qui, lo strangolerei.
L'altro scoppia a ridere come se Matthew abbia appena detto qualcosa di chissà quanto divertente. Deve essere un praticante, o comunque un sottoposto -qualunque sia la scala gerarchica in questo luogo- e da come si comporta sembrerebbe pronto a strisciare pur di accaparrarsi le lodi e l'attenzione del suo supervisore. Questo tipo riesce a schizzare in cima alle mie antipatie senza aver quasi aperto bocca.
"Ipocrita".
"Puoi ben dirlo".
"Ma tua moglie ha mai saputo?".
Matt ride di gusto.
"Mia moglie è un'idiota, cosa vuoi che sappia? Ti ho mai detto di quella volta...".
Improvvisamente, nonostante mi trovi in pessima compagnia, nonostante sia stecchita su questo tavolo con un mio ex amante pronto a testare il suo campionario di bisturi su di me, riesco a trovare un lato positivo nell'intera faccenda.
Sono propensa a credere che quando Sherlock e i suoi burattini in polizia -perché ho capito chi comanda, non sono stupida- riusciranno a risolvere il mio caso, potrò finalmente sbloccare questa spinosa situazione. Gli sciocchi film di fantascienza avranno pur un fondamento no? Spiriti perduti, inquieti, bloccati sulla terra da una questione non risolta e bla bla bla, avete presente? Ecco, credo di essere uno spiritello di quel tipo, io.
Sherlock ce la farà perché ho visto di cosa é capace. Credo in lui perché pur avendolo conosciuto oggi per la prima volta, mi ha lasciato addosso una sensazione -nonostante il caratteraccio, ma quello è un problema di John- di profonda fiducia. Conto di riuscire a svicolare da qui entro stasera, ma prima carpirò quanto possibile dei delicati e amorevoli racconti di Matt su quanto sia sciocca la sua signora, sulla sua infantile ingenuità, di come -innamoratissima- gli perdoni qualunque torto, affermando di 'fidarsi di lui come di nessun altro'.
Una volta libera, potrei fare una capatina a casa della povera donna, sussurrandole nell'orecchio qualche pruriginoso segreto su suo marito, aggiungendo magari qualche dettaglio sull'alta opinione che lui ha di lei.
Chissà, magari potrebbe venir fuori qualche scheletro nell’armadio capace di far finalmente imbestialire la dolce e tranquilla Signora. Naturalmente, da brava giornalista, le chiederò di citare la fonte delle sue informazioni, quando lo sbatterà fuori di casa a calci nel sedere.
Già pregusto, con una certa delizia, la scena.
"E con gli auguri di Jennifer Wilson!".
Ah. Che rinfrancante vendetta che sarebbe. Spero che un qualche ragazzetto armato di cellulare passi di lì quando succederà, così che la mia opera buona possa essere tramandata ai posteri.
Dai Sherlock. Forza Sherlock, datti da fare. John, aiutalo più che puoi, su. Ho fretta.
Improvvisamente, la mia particolare condizione non mi dispiace più così tanto. Ha i suoi lati positivi in fondo, e al diavolo la convinzione che dopo la morte si diventi improvvisamente pii e innocenti, anche dopo una vita di dissolutezze. Me la godrò alla grande da oggi in poi, altroché, alla faccia di quel tassista bastardo, di mio marito e di tutti quelli che adesso staranno silenziosamente esultando per la mia tragica dipartita.
Ah, se penso alla già ampiamente insultata Rosie Gardner, mi sento quasi in pena per lei adesso che certamente otterrà il mio tanto agognato posto.
Chissà cosa succederà quando suo marito, magari nel sonno, le esporrà per filo e per segno la dinamica dei nostri piccoli meeting privati.
Distolgo l'attenzione dalla luuuunga lista di sassolini nella scarpa di cui presto mi libererò e sorrido nell'immaginare quale mondo di magnifiche opportunità si aprirà davanti a me, nella mia nuova vita.
Per prima, primissima cosa, andrò da Rachel. Nessun dubbio su questo. Poi, ottenute le mie piccole rivincite, mi dedicherò a qualche frivolo sfizio personale.
Scarto immediatamente mio marito e i miei amanti. Noiosi.
Butto via il mio capo, i colleghi, il barista del mio caffè preferito a Cardiff e anche il portiere del mio stabile. Noiosi anche loro. Non avrebbe senso fingere di interessarmi ancora alle loro vite, adesso che ho possibilità di fregarmene.
In meno di due secondi, individuo l'esemplare perfetto per i miei primi giorni di praticantato da fantasma.

Mi sento davvero sciocca a non averci pensato subito, in verità.
L'idea di intrufolarmi a casa di Sherlock e John, ovunque sia la troverò, è vergognosamente allettante.
Magari sgattaiolerò nella doccia per prima cosa, godendomi il sicuramente meraviglioso spettacolo, seguendo poi Sherlock in camera da letto per guardarlo vestirsi –o svestirsi- in primissima fila con tanto di immaginari pop corn. Ovviamente, poi mi dedicherò anche al buon dottore. Sono una tipa premurosa, io.
Ah sì, questo è davvero un fantastico programma, altroché. Posso già pregustarlo sulla punta della lingua come una caramella particolarmente dolce.
Non ho più dubbi, neppure uno. Non ho mai avuto grandissimi problemi ad adattarmi ad una situazione del tutto nuova e non mancherò di farlo neppure stavolta. E non ho certo molte opportunità di scelta, comunque.
A conti fatti, impossibilitata a sconnettere il cervello dall'immagine di uno Sherlock nudo e cosparso di goccioline d'acqua e bagnoschiuma, arrivo alla conclusione finale.
Essere morta, in fondo, non è male per niente.

Basta solo una buona dose di ottimismo e un’adeguata -se sexy anche meglio- distrazione.



 

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