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Autore: Lilith Lancaster    05/03/2013    1 recensioni
Questa storia non tiene in nessun modo conto degli avvenimenti della terza serie. Payson Keeler ha vinto l'oro alle Olimiadi, lei e Sasha si sono persi di vista. Dopo dieci anni, ormai donna, Payson ritorna per cercare ciò che in fondo ha sempre desiderato, quella persona che ha creduto in lei e che l'ha portata alla vittoria. Che ha migliorato la sua ginnastica, ma anche la sua vita.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La macchina si era fermata dopo circa un quarto d’ora di strada. Sasha ‘aveva guidata in silenzio dentro un bel palazzo elegante, accompagnandola silenzioso dentro l’ascensore. Nessuno dei due aveva trovato niente da dire e Payson aveva iniziato a temerlo, l’imbarazzo che piomba improvviso quando due persone che non hanno niente in comune si rivedono dopo anni. Era stato così con Lauren, con Emily, che era andata a cercare a Las Vegas. Era successo con Kaylie, con Jordan, con Rigo con Max. il pensiero che quell’imbarazzo che sapeva di vita ormai passata potesse adesso contaminare il suo incontro con Sasha la paralizzava. No, non con lui. Con tutti ma non con lui. Non poteva essere imbarazzo e vuoto con l’uomo che le aveva dato la forza di lottare per un sogno. L’uomo che per tanto tempo era stato un sogno a sua volta, un idolo nella mente di una giovane ginnasta. Un uomo che ancora oggi manteneva intatta quella posizione.
Sasha aprì una porta entrando nel suo appartamento. Si muoveva con la stessa agilità scattante di sempre. Movimenti essenziali, secchi e al tempo stesso armonici.
Payson rimase ancora sulla soglia, spaventata, a guardare quei movimenti che aveva studiato per anni, prima in televisione ma che poi, sorprendentemente aveva avuto l’occasione di osservare dal vivo. Vicini.
Così vicini che spesso si era chiesta se lui riuscisse a sentire il suo cuore e i suoi pensieri.
“entra Payson” la invitò lui, aggrottando la fronte mentre la guardava, impietrita sulla soglia di casa sua. Non aveva mai esitato, in passato, prima di entrare nella sua roulotte.
“è così diverso..” si lasciò sfuggire Payson entrando nell’appartamento. Lusso essenziale ed eleganza. Era questo ciò che la circondava. Sembrava l’appartamento di un ricco manager, di un uomo abituato ai lussi. Era così diverso dall’ambiente che era abituata ad associare all’uomo che le stava davanti. Ma erano passati dieci anni, ricordò a se stessa, e tutto era cambiato. I posti, le persone. Lei. Lui.
“Allora perché io vedo tutto uguale” le mormorò quasi sovrappensiero, piegando lievemente il capo a sinistra, studiandola con la stessa attenzione, la stessa cura, con cui aveva studiato i suoi movimenti da atleta. Ma adesso la guardava in modo diverso, la studiava come Payson, come persona, la studiava come se lei fosse una risposta.
“Non guardarmi così, questo rende tutto diverso” si schernì Payson togliendosi una ciocca di capelli umidi dalla guancia. Cercò di sorridere, di fare passare quella frase sfuggita tra un respiro e l’altro per un battuta. Lui non rise, non assecondò il suo gioco di maschere e di inganno, lo stesso gioco che, senza saperlo, preterintenzionalmente, avevano dovuto portare avanti per anni.
“Come vuoi che ti guardi” le domandò senza perplessità. C’era curiosità nella sua voce ma non dubbio. Entrambi sapevano il significato di quelle frasi, l’essenza dietro il modo in cui si guardavano. La verità dietro la maschera degli anni, delle convenzioni, dei ruoli e delle esperienze.
“Come se il tempo non fosse passato. Come se mi conoscessi ancora.” Soffiò incapace di allontanare i suoi occhi da quelli di lui. Le era sempre piaciuto il suo colore. Quell’indefinibile amalgama di grigio e verde, quel contorno appena più scuro dell’iride. Quegli occhi. Lui .
“Io ti conosco da sempre Payson, e anche volendo non potrei smettere di conoscerti. Conoscere te.” Si passò una mano sul viso, stanco. Si erano scambiati appena qualche frase, eppure sembrava esserne provato. Forse, pensò Payson, la mia visita è un fastidio. Non era arrivata fin lì per procurargli sofferenza. L’unica a cui pensava di fare del male era se stessa, rigirando il coltello in quella ferita mai rimarginata, sanguinando di nuovo su un passato rimasto congelato a dieci anni prima, un passato che li vedeva vicini, ma non insieme.
“non vuoi sederti” Non era stata una domanda e lei non si preoccupò di rispondere. Era solo una tregua, una pausa che lui concedeva a lei, a se stesso, per riprendere il fiato, per prepararsi di nuovo a quelle frasi dai contorni sfumati e dai significati profondi.
“Cosa vuoi che ti dice Payson? Che sono felice di vederti? Lo sono. Sono felice di vederti di nuovo. E al tempo stesso odio che tu sia qui, in questa stanza, perché quando domani te ne andrai, ogni singolo oggetto mi parlerà di te e non riuscirò più a guardare ciò che mi circonda. Quando me ne sono andato…ho dovuto cambiare tutto. Ogni singola cosa. La mia casa, il mio lavoro, il mio modo di vivere. Volevo che tutto fosse diverso per non vederti. Per non respirare te ad ogni singolo passo. Era la cosa giusta”
Uno dei due, alla fine, aveva trovato il coraggio di scoprire le carte. Lo aveva fatto lui, con alle spalle i suoi annidi esperienza, di sofferenza e di comprensione, mettendo per la prima volta davanti a Payson cose di cui lei non sospettava l’esistenza.
“ci sei mai riuscito? Perché io, per dieci anni, ad ogni respiro ho sempre sentito te. Solo te. Ed era come annegare e soffocare perché tu non c’eri. Non c’era niente di giusto per me”
Non aveva inteso mettere in quelle parole tanto dolore e tanta rabbia. Risentimento che non aveva mai davvero capito di provare nei suoi confronti. Perché l’aveva lasciata indietro.
“Vuoi delle scuse? Sai che non posso farlo. Non sono pentito di averlo fatto. Se fossi rimasto non saresti arrivata dove sei adesso. Sapevo che da sola potevi farcela. Che saresti stata grande. Non posso pentirmi di aver scelto te Payson. Come allenatore, come amico, come.. qualunque cosa. Sceglierò sempre te, anche se le mie scelte non ti piaceranno” era arrabbiato, arrabbiato e vicino, più vicino di quanto non fosse mai stato davvero. Era vicino perché era sincero, era vicino perché lei era nei suoi discorsi in modo diverso che come allieva e come ginnasta. Era vicino perché in ogni respiro c’era lei come donna.
“e dove sono adesso? A km da casa, inzuppata fradicia, senza nessuna voglia di continuare il mio lavoro, senza nessun sogno, sono svuotata, bloccata a dieci anni fa. Dimmi, Sasha, quanto grande ti sembro in questo momento? Quanto credi che sia andata lontano se sono ancora qui, di fronte a te e non riesco a respirare altro che il tuo odore e non riesco a desiderare atro che respirarlo ancora?”
Non aveva urlato ma le sue parole lo fecero indietreggiare.
“non volevo questo per te. Volevo che avessi il meglio” le bisbigliò muovendo una mano ad accarezzarle una guancia. Pioggia e lacrime si mescolavano e Payson era felice che lui non potesse davvero avere la certezza, di quelle lacrime.
“io volevo te” sussurrò Payson. Poi scostò appena il maglione che indossava, tirando fuori dalla scollatura un nastro rosso, liso per tutte le volte che era stato accarezzato, nel buio di notti in cui lei non era riuscita a dormire.
La sua medaglia. La medaglia che lui le aveva dato come pegno della sua fiducia, del suo affetto, del loro legame speciale. La medaglia che era l’unica pezzo di lui che le era rimasto, la medaglia che per anni aveva giaciuto sul suo seno sinistro, dove pulsava il suo cuore, dove lui non aveva smesso di esistere.
Sasha allungò una mano. Le dita, solitamente forti e ferme, tremavano mentre sfioravano il metallo.
“la rivuoi indietro?”
Adesso si toccavano. Si toccavano i loro respiri, i loro capelli, i loro sguardi.
Sasha lo sapeva, che quello era un punto di non ritorno. Se lui le avesse chiesto indietro a medaglia, avrebbe chiesto quella parte di se che non aveva mai rimpianto di averle lasciato. Avrebbe chiesto quell’unico pensiero che la notte lo aveva aiutato a dormire, pensando che, in un modo o nell’altro, qualcosa di lui era rimasto nella vita di Payson.
“No. Non la vorrò mai indietro” mormorò quasi sulle sue labbra. Forse sarebbe stato meglio per lei allontanarla. Salutarla definitivamente. Ma non poteva, non di nuovo, non quando sentiva il suo sapore sulle labbra, così vicine, con le loro pellicine mangiucchiate e il loro colore naturale, privo di qualsiasi finzione o artificio.
Non distolse lo sguardo dalle labbra di lei mentre sentiva qualcosa di caldo scivolargli intorno al collo, un nastro che chiudeva definitivamente un capitolo del passato, ricollegandosi ad un presente che aveva atteso troppi anni per iniziare.
 “Allora è giusto che adesso tu prenda la mia” mormorò Payson respirando piano, respirando il suo assenso, il loro passato, il suo amore. Loro.


NOTE:

Perdonate i mostruosi errori sicuramente presenti. Non ho davvero avuto il tempo e la pazienza di rileggerlo, anche perchè facendolo avrei trovato mille imperfezioni e avrei deciso di cambiare qualcosa, invece voglio che venga letto così, magari banale o semplicistico, ma spontaneo. Questa storia era iniziata come una One Shot, le parole di un momento, ma poi ho realizzato che non volevo quel tipo di chiusura per loro. Volevo qualcosa che, almeno per me fosse significativo, un loro ritrovarsi in tutti i modi possibili. ritrovarsi fisicamente, attraverso lo sguardo e attraverso il respiro. Ritrovarsi a vicenda ma anche ritrovare se stessi. Perchè per come la vedo io, Payson ha perso molto di chi era, senza Sasha. Sono sicura che per lui sarà stato lo stesso. Per questo ho voluto concludere con il gesto di scambiarsi le medaglie, perchè credo che in amore dopo aver trovato se stessi sia indispensabile donare noi all'altro. Quanto alla scelta del "respiro" come momento finale, ho scelto proprio questo perchè, a differenza dello sguardo o del fisico, il respiro è indistinto. è di Payson e di Sasha insieme, è di tutti gli innamorati e di tutti coloro che semplicemente vivono. L'aria era l'unica cosa che potesse unirli totalmente secondo me.
Scusate questa enorme e delirante nota, ma chiudendo questa breve storia sentivo il bisogno di spiegare l'importanza di alcuni attimi che per me sono stati cruciali, tra Payson e Sasha.
Grazie ha chi ha seguito in silenzio, ha chi ha aggiunto questa storia tra le seguite, le preferite o le ricordate. Grazie a chi ha lasciato un commento e grazie soprattutto a Payson e Sasha, per la loro bellissima storia di amicizia e amore.





  
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