“maledizione, un’altra volta”
Ho inserito 50 centesimi nella macchinetta di bevande e tutto ciò che leggo sul display è “seleziona il prodotto” dopo che ho inserito il codice due volte.
Questa nuova scuola si sta facendo già odiare.
Giro i tacchi e, lasciando i miei 50 centesimi all’interno della mangia-soldi, evito qualsiasi tipo di contatto con altri essere umani salendo le infinite scale per arrivare nella mia classe.
Trovo due mie compagne davanti alla porta e parlano di cosa faranno sabato sera, di quanti ragazzi si faranno sabato sera. Abbasso lo sguardo e un timido “permesso” esce dalle mie labbra.
Il mio banco in prima fila mi aspetta e penso dovrò sopportare questa postazione per i restanti nove mesi.
Le pareti verde-ospedale mi rattristano ancora più di quanto io già sia.
Questa scuola sarà la mia rovina, lo so già.
Mi siedo al mio posto e occupo la mia mente disegnando con una matita sulla copertina di un quaderno.
Disegno cuori, come sempre. Disegno cuori quando non ho niente da fare, quando la mia mente è altrove, quando i miei pensieri bussano alla porta del mio cervello. Andate via, per favore.
Cuori, cuori, cuori. Straccio il foglio pieno di cuori, di amore.
Odio l’amore. Odio i cuori. Odio la scuola.
La campanella suona e l’ennesimo odioso professore entra in classe con un portamento troppo elegante, per i miei gusti.
Mi squadra da testa a piedi, posando il suo sguardo troppo pesante su di me per più di 5 secondi.
“sei nuova?” mi chiede con tono serio.
“s-si” balbetto, imbarazzata.
Le lezioni terminano in un tempo infinito e finalmente è ora di tornare a casa.
La cartella mi pesa sulle spalle e uscendo dalla classe mi scontro con il professore dell’ora precedente.
“mi s-scusi” abbasso lo sguardo e cammino più veloce senza dar conto a nessuno. Sento le mie guance infiammarsi immaginandole rosse, come quando mi imbarazzo.
All’uscita di scuola trovo Roberta, la mia migliore amica, che mi saluta con un caloroso abbraccio.
“com’è andato il tuo primo giorno in questa scuola? Ti sei trovata bene con i professori? E i compagni? Tutto bene?” come una macchinetta, mi riempie di domande.
“Robi, come potrebbe mai piacermi la scuola?” rispondo, seccamente con un sorriso in volto.
Mi parla di quanto le hanno dato da studiare pur essendo solo il primo giorno e si lamenta della sua scuola, dei suoi professori.. ed è in quinta. Perché si lamenta?
Io sono rimasta in quarta. L’anno scorso sono stata bocciata nella scuola che ho lasciato.
Penso che sia meglio così perché ce l’ho fatta a perdere quei professori che continuavano a farmi sentire uno schifo e quelle compagne che non riuscivano a conoscermi nemmeno dopo quattro anni trascorsi insieme.
Ci incamminiamo verso la fermata dell’autobus dove troviamo tantissimi studenti che aspettano il proprio.
Sono sempre stata abituata a tornare a casa con mia mamma dopo scuola, ma ora non sarà più possibile.
Con questo pensiero, non mi rendo più conto di tutto ciò che ho attorno. Le persone, la mia migliore amica, l’autobus.
Penso allo sguardo di mia mamma e sento una forte fitta allo stomaco. O forse è il cuore. Come uno di quelli che ho disegnato su un foglio durante ricreazione.
La mia mente torna lucida solo quando arrivo a casa dove trovo il mio cane che, dopo avermi vista, mi ha riempita di feste e mi ha tirato su il morale.
Ma sento il profumo di vaniglia. Il suo profumo di vaniglia. Mamma.