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Autore: Gweiddi at Ecate    06/03/2013    7 recensioni
"Jefferson aveva diciotto anni quando incontrò Alice la prima volta."
Vasto uso di pre-serie!Jefferson, e head canon. Andiamo in pace.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Jefferson/Cappellaio Matto
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Jefferson aveva diciotto anni quando incontrò Alice la prima volta.
Era il suo compleanno, e si era regalato una giornata d’ozio a Wonderland. Al tempo gli piaceva molto quel mondo: colorato, vivace, folle.  C’era un uomo dagli occhi allucinati che amava le torte alle carote e lo invitava sempre a prendere il tè. A Jefferson faceva ridere, e quindi accettava volentieri.
Fu una di quelle volte, mentre beveva un tè alla cannella con mr Hare, che un grosso gatto dal muso antipatico piombò nel giardino, e Alice scavalcò la recinzione per rincorrerlo.
Era una ragazza scarmigliata, con i capelli biondi legati in un fiocco azzurro, e il grembiule bianco macchiato da orme feline sporche di terra e marmellata.
«Il mio gatto!»
Il signor Hare scattò in piedi, scandalizzato dall’intrusione, ma Jefferson acciuffò il grosso soriano, guadagnandosi una graffiata poco amichevole sulla mano. Si morse la lingua, sussurrando insulti coloriti.
«Alice! Sai che non voglio interruzioni durante i miei tè, accetto solo nuovi ospiti! E quel tuo gattaccio mi fa sempre scappare il topo.» sibilò contrariato il signore attempato.
La ragazza guardò il signor Hare e poi Jefferson, che le tese il gatto sogghignando. Alice lo prese in braccio, sussurrando al felino di stare buono, e guardò Jefferson a bocca aperta.
«Mi spiace, signor Hare. Ma se gradisce, mi farebbe molto piacere prendere il tè con lei.»
Gli occhi spiritati dell’uomo splendettero «Oh bene, bene! Prendi un’altra sedia allora, cara. Bisogna essere in tanti, si festeggia oggi!»
Alice prese una sedia tra quelle abbandonate sotto il porticato sbilenco, trovandone una con il cuscino senza macchie di tè, e sedette al tavolino rotondo, tra Hare e Jefferson.
«Cosa si festeggia?»
«Mia cara, oggi è il mio noncompleanno, come ben saprai.» sorseggiò il tè rumorosamente, ed Alice annuì, lanciando uno sguardo ed un sorriso a Jefferson, che le sorrise a sua volta. «Ma è anche il compleanno del mio amico Jefferson.»
Hare mosse la tazza, indicando il giovane, e qualche schizzo di tè cadde sulla tovaglia in lino già macchiata.
«Cincin.»
«Oh, tanti auguri!» disse Alice.
Jefferson aprì bocca per ringraziarla, ma Hare lo precedette «Grazie, Alice, grazie mille!»
Il ragazzo rise «Tanti auguri davvero, amico mio.»
Alice lo guardò, soffocando una risata, e Jefferson le fece l’occhiolino, ammiccando.
«Una giornata come altre, non trovi?» le sussurrò.


Alice compiva ventun anni quando Jefferson fece un patto con Rumplestiltskin.
«Ho bisogno di un portale.»
«Richiesta interessante, quando proviene da una persona che ne porta sempre in testa uno.» ridacchiò Rumplestiltskin, picchiettando i polpastrelli tra di loro.
«Il Cappello ha dei limiti. Non posso portare altre persone con me.»
«Oh, e chi vorresti portare, ragazzo? Sentiamo.»
Jefferson tacque. A differenza di molti, trovava Rumplestiltskin una persona interessante, piuttosto che malvagia, ma questo non significava si fidasse di lui.
«Oh beh, se non hai intenzione di dirmelo, forse non era poi così importante. Immagino bene?»
Prima che lo stregone gli voltasse le spalle, Jefferson rispose.
«Una ragazza. Voglio portarla nel nostro mondo.»
Rumplestiltskin sgranò gli occhi e ridacchiò.
«Ma che cosa affascinante! È il tuo vero amore? La vuoi sposare, vivere insieme per sempre felici e contenti?»
«Qualcosa di simile, sì.»
«E chi sono io per ostacolare il vero amore, a questo punto. Dimmi, Cappellaio, da quale mondo viene questa graziosa giovane?»
«Wonderland.»
Rumplestiltskin si pizzicò il mento e scosse la testa, facendo una smorfia.
«Nah, nah, nah. Questo richiederà un po’ di tempo. Proprio poco tempo fa mi sono liberato del portale che avevo. Occupava spazio, prendeva polvere…»
Jefferson strinse i denti, cupo.
«Non mi aiuterai?»
«Oh no, no, mio caro. Questo significa solo che avrai tempo per preparare i bagagli, scegliere le tende nuove. Tre settimane da oggi, e l’incantesimo per far arrivare qui la tua amata sarà tuo.»
Jefferson annuì «Qual è il tuo prezzo?»
«Così di fretta? Sono un uomo paziente, posso aspettare fino alla riscossione prima di avere il mio pagamento. Se non lo accettassi, qualcosa mi dice che un giorno sarà un incantesimo che mi tornerà comunque utile.»
«Accetterò qualsiasi prezzo, basta che tu lo dica.» ribadì il giovane con decisione.
Rumplestiltskin rise, deliziato.
«Non ci sono molte cose che mi servano al momento, e sicuramente nessuna di queste è in tuo possesso, ma potrebbe essermi utile un amico che passeggia tra i mondi.»
«Ti serve un galoppino.» concluse il giovane.
Lo stregone fece combaciare gli indici delle mani strette ed ammiccò «Questa è una maniera molto scortese per definirlo, ma immagino possa andare bene.»
Jefferson ci pensò un attimo, poi sogghignò «Ci sto. Ma ad una condizione.»
«Ah-ah-ha, mio caro. Sono io che stipulo i contratti qui.»
«Voglio solo un anello per propormi ad Alice. Tu fili l’oro, è una richiesta da niente.»
Rumplestiltskin soppesò la sua proposta, poi sorrise. Fece un gesto teatrale con la mano, e gli comparve una pergamena nel pugno.
Tra le dita dell’altra, stringeva una penna d’oca e un anello in oro con un turchese in cima.
«Affare fatto.»


Il giorno del suo venticinquesimo compleanno, Jefferson pensò che la vita non sarebbe mai potuta essere migliore di com’era già.
Alice lo svegliò di soprassalto, infilando un piede gelido tra le sue gambe e tappandogli il naso. Si divertiva a fargli i dispetti, come fosse ancora una bambina, e lui si vendicava sempre con altri scherzi. Alla fine tutto si concludeva con loro due che ripulivano la casa dalla farina che si erano lanciati, o facendo l’amore sul tappetto davanti al camino acceso.
«Buon compleanno.»
Alice gli liberò il naso ridendo – il piede invece lo lasciò lì a scaldarsi e congelare lui – e lo baciò con dolcezza. Jefferson la strinse a sé, ancora assonnato, ma poi la spinse di schiena contro il materasso e iniziò a farle il solletico sui fianchi.
Alice si contorceva tra le risate, implorando pietà.
«No, no, ti prego! Odio il solletico, lo sai!»
Jefferson rideva con lei, e quando sua moglie lo strattonò per i capelli decise di smettere.
«Vendetta, dolce vendetta.» sogghignò, e le baciò il collo, già distratto dalle forme sottili che intravedeva sotto la camicia da notte.
Alice rise ancora, il respiro di lui sulla pelle la solleticava.
«Va bene, adesso fermati.»
«No.» sussurrò Jefferson, sbottonandole la camicia. Alice lo spintonò via con un sorriso.
«Dai! Non sai nemmeno che regalo ho per te.» protestò.
«Andava benissimo quello che stavo già scartando.» replicò lui.
Alice arrossì, e con una mano rimise a posto i lembi sbottonati.
«Sciocco. Non vuoi davvero saperlo?»
Gli occhi le brillavano, e quindi Jefferson smise di importunarla.
«Avanti, fammi vedere questo bellissimo regalo. Però poi torniamo a quel che stavamo facendo.»
Alice si morse le labbra, trattenendo un sorriso.
«Per fartelo vedere ci vorranno alcuni mesi. Penso almeno altri sette o otto.»
Jefferson spalancò gli occhi.
«Stai scherzando?»
«No!» ribatté lei imbronciata.
«Non mi stai prendendo in giro?» ripeté il giovane, incredulo.
A quel punto Alice lo spinse di nuovo.
«No, sciocco, è vero: sono incinta.»
«Sei…»
Jefferson si interruppe e scoppiò a ridere. Abbracciò la moglie, felice, sconvolto. Il cuore che credeva fosse già pieno di amore per Alice, scoppiava, traboccando affetto per il figlio ancora non nato.
«Da quanto lo sai?»
«Lo sospettavo da qualche settimana, ma ne sono stata certa solo da pochi giorni.»
Alice alzò entrambe le mani per accarezzargli il viso.
«Buon compleanno, amore.»


Il giorno in cui Alice avrebbe dovuto compiere ventisei anni, il suo corpo era sepolto in una fredda bara già da quattro mesi e tre giorni.
Grace si era addormentata in braccio a Jefferson da pochi minuti, e lui guardava la lapide spoglia su cui aveva posato un mazzo di girasoli e fiori di campo. Erano sempre stati i preferiti di sua moglie.
Non parlava, nel timore di svegliare Grace, continuava solo a fissare quella pietra fredda mentre tratteneva le lacrime.
Si raccontavano tante storie sul vero amore, ma nessuno aveva mai il coraggio di dire cosa significasse perderlo.
Non era nemmeno troppo difficile farlo: il mondo smetteva di esistere.
Grace mugugnò qualcosa nel sonno, e Jefferson la strinse a sé, accarezzandole una guancia. Se non fosse stato per sua figlia, probabilmente avrebbe perso il senno. Lei era rimasta l’unica cosa di valore nella sua esistenza.
«Mi dispiace, Alice.» sussurrò al vento, guardando in alto verso il cielo azzurro costeggiato da nuvole bianche. La parte più ostinata di Jefferson gli diceva che Alice lo stava osservando, che seguiva sempre con occhi dolci e pieni d’amore lui e Grace.
Alice non ce l’aveva con Jefferson per essere stato la causa della sua morte, ma lui si mortificava a sufficienza per entrambi.
Dopo il giorno in cui aveva abbracciato il corpo della moglie fino a sentirlo diventare freddo e rigido contro il suo, Jefferson aveva nascosto il Cappello, deciso a non usarlo mai più. Non poteva nemmeno vederlo senza provare una collera e un dolore insopportabili.
«Grace sta bene.»
Dicendolo, massaggiò la schiena alla bimba «Cresce, ed è bellissima. Ti somiglia ogni giorno di più. So che la vedi, Alice.»
«Papà?»
Grace borbottò, strofinando il viso contro la giacca di Jefferson.
«Ho freddo. Andiamo a casa, papà?»
Lui sorrise ad occhi chiusi, malinconico.
«Sì, andiamo. Saluta la mamma, Gracie.»
La bimba non si voltò verso la lapide, ma alzò gli occhi scuri al cielo e sventolò la mano, ancora per metà assopita.
«Ciao, mamma.»
Jefferson credette di sentire il rumore del proprio cuore che si spaccava.


I genitori adottivi di Grace erano brave persone.
Avevano voluto bene a Paige come avrebbero amato una figlia loro, ma una volta rotta la maledizione corsero alla ricerca dei loro veri figli, finiti all’orfanotrofio delle suore di Storybrooke. Furono contenti per lei quando Jefferson andò a prenderla.
Le prepararono le borse con i suoi vestiti e i giochi, nascosero in alcune tasche i suoi biscotti preferiti, non sapendo se Jefferson fosse permissivo con i dolciumi, e con un bacio sulla guancia la lasciarono andare.
Grace non smetteva di piangere per la gioia e abbracciare Jefferson. Anche dopo i primi due mesi, la bambina non perdeva occasione per corrergli incontro e sedergli in braccio, sussurrargli all’orecchio quanto gli fosse mancato.
Jefferson promise di non lasciarla mai più, e questa volta sapeva che avrebbe mantenuto la promessa. Non sarebbe sopravvissuto all’idea di perdere ancora la sua ragione di vita.
Scoprì che Grace aveva tanti amici. Quando vivevano nella Foresta Incantata era sempre stato lui il suo unico, gelosissimo amico, e sentirla parlare allegramente di alcuni compagni di classe o chiedergli di dormire da un’amica lo rallegrava.
La loro casa era enorme, Jefferson avrebbe voluto che sua figlia invitasse tutti e giocasse insieme a loro, ma Grace disse di voler restare con lui, e festeggiare come avevano sempre fatto.
Jefferson accese le candeline sulla torta – alcune tradizioni di quel mondo gli piacevano molto – e aspettò che Grace le spegnesse tutte.
«Buon compleanno, Grace.»










Head!canon, head!canon ovunque. OUAT e Skins - ma anche TVD, dai - sono praticamente fonti inesauribili di head!canon. Hello.
   
 
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